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identità perdute
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E-book705 pagine10 ore

identità perdute

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Info su questo ebook

Una civiltà ha raggiunto un enorme sviluppo scientifico e tecnologico, ma ha perso la sintonia con la natura e con i principali valori umani, dimenticando la propria identità e il suo passato.
Soltanto un uomo, un principe, possiede, senza saperlo, la chiave per ristabilire gli equilibri perduti. Per poter svolgere la sua missione, aiutato da una squadra di fedelissimi amici disposti a tutto, dovrà prima affrontare un lungo e doloroso viaggio interiore, nonché un difficile addestramento che lo porterà alla piena consapevolezza di se stesso e dei suoi poteri e che gli farà incontrare il vero amore. Così fortificato egli potrà affrontare innumerevoli avventure e pericoli nell’eterna lotta contro il male.
“Identità perdute” è un romanzo avvincente, pieno di colpi di scena che si legge d’un fiato.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2020
ISBN9791220235716
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    Anteprima del libro

    identità perdute - Davide Calaminici

    progetto.

    Capitolo primo - Risvegli

    «Buongiorno, vecchio mio» salutò Ametista, inoltrandosi di buon mattino per il sentiero appena fuori dalla grotta che aveva lo stesso colore blu profondo del mare del sud.

    «Io, vecchio?» ribattè Diaspro qualche decina di kiliatron [1] più avanti che, mentre scrutava con gli occhi il miglior percorso da intraprendere, in quel paesaggio roccioso e selvaggio, aggiunse: «Ricorda che sono più giovane di te di quasi venti anni.»

    «Solo vent’anni? Cosa vuoi che siano venti anni?» disse Ametista ridacchiando, mentre con il bastone pieno delle preziose pietre che gli davano il nome toccava delicatamente una piccola pianta senziente chiamata Aquifilìa, amante del clima umido e temperato che caratterizzava la valle nascosta a sud del pianeta dove si trovava ora.

    «Una volta venti anni significavano qualcosa. Quanti di loro non vissero neppure la metà di quegli anni? Se solo avessimo avuto a disposizione un poco di tempo in più...» ricordò triste Diaspro, lasciando che vecchi pensieri sostassero nella sua mente. E immediatamente, nel breve tempo di un sospiro, realizzò che quei ricordi non lo avevano mai abbandonato e gli stringevano ancora il cuore. Non bastava tutto il tempo che era passato, il tempo che aveva impiegato per tentare di cancellare il dolore, la tristezza, le paure. Niente era bastato a colmare il vuoto di tutto ciò che lui, come tutti, aveva da tempo perduto.

    Ametista percepì una dolorosa tristezza.

    «Sei ancora lì?» gli chiese.

    «Sono ancora qui» gli rispose l’altro.

    «Scusami, Diaspro» disse Ametista, mentre con una andatura scandita da passi veloci quasi sorvolava il sentiero indefinito, solo a lui familiare, per arrivare in tempo al luogo dell’incontro. «Non volevo portare la tua mente a ricordare i fantasmi del nostro passato.»

    «Non importa, non pensarci. Continua a camminare, anzi, se necessario, corri! Dobbiamo arrivare in tempo al luogo stabilito. Sai quanto è suscettibile il nostro nonnetto se arriviamo in ritardo.»

    Nonnetto era il nomignolo che i due avevano dato ad una loro vecchia conoscenza: Diamante.

    Diamante, effettivamente, era più che una vecchia conoscenza. Era il saggio, il più vecchio, colui che aveva la grande sapienza, il detentore di tutti i segreti del passato, il religioso: la loro guida spirituale.

    «Nonnetto?» intervenne questi. «È questo che i saggi di Cronhos pensano di me?»

    Le parole di scherzosa stizza pronunciate da Diamante sfiorarono appena Ametista e Diaspro che scossero sorridenti la testa. Il nonnetto continuò:

    «Appena ci incontreremo faremo i conti, birbantelli. E ricordate che io sto camminando con i miei propri piedi, non con la mia evoluta mente.»

    Ametista e Diaspro accelerarono il passo sentendo l’affettuosa voce del loro amico nelle vicinanze, proprio come un viaggiatore stanco si rianima e dimentica la stanchezza quando ode i festosi rumori di un paese vicino.

    «Cerchiamo di arrivare prima di quanto avevamo stabilito» comunicò Diamante. «Dobbiamo essere pronti per tutto quello che potrebbe succedere in futuro.»

    Diamante lasciò passare qualche secondo, poi disse:

    «I tempi stanno cambiando rapidamente. Sento che sta per accadere qualcosa di inaspettato, amici miei. Quanto questo sarà importante per noi e per la nostra causa, mi è ignoto. Siate pronti ad ogni cosa. Che Dio sia con noi!»

    Queste ultime parole pesarono come macigni grossi quanto una casa sugli animi di Ametista e Diaspro nel momento in cui percepirono una preoccupazione rara, alquanto insolita, nella persona in cui riponevano la più assoluta fiducia. I numerosi anni che i tre avevano trascorso insieme, le incredibili avventure che avevano vissuto spalla a spalla affrontando mondi nuovi, realtà che mai avrebbero potuto sognare, avevano forgiato una legame di amicizia e lealtà che aveva pochi riscontri nella storia. Ma loro erano i saggi di Cronhos, il pianeta della speranza; i custodi di preziosi segreti, i detentori di straordinari poteri. Le preoccupazioni non potevano fermarli; le paure dovevano essere affrontate e vinte.

    Ametista accelerò il passo, camminando per il sentiero con grande sicurezza e confidenza, tante erano le volte che lo aveva percorso. Al suo passare arbusti pieni di spine e di siero velenoso si spostavano ubbidienti davanti al comando del loro padrone. Animali bizzarri lo precedevano facendogli strada, intuendo istintivamente il luogo dove il vecchio aveva intenzione di dirigersi. Quasi distratto, Ametista rivolse lo sguardo ad un piccolo ruscello e questi smise di scorrere per il solo tempo necessario al guado.

    Le stesse meraviglie accadevano davanti agli occhi di Diaspro, che in quel momento era salito in groppa ad un animale pacifico, agile e veloce, tipico solo di quei luoghi: l’ Avkas’mime [2] . Questi aveva la straordinaria capacità di mimetizzarsi e rendersi quasi invisibile, divenendo parte integrante dell’ambiente. Diaspro, a contatto con esso, quasi ne aveva assunto le caratteristiche e si muoveva con lui a grande velocità. Nell’osservarlo, se mai fosse stato possibile, gli occhi di chiunque si sarebbero contorti nel tentativo di fissare quella strana realtà invisibile che si muoveva: il passeggero, l’avkas o il mondo che li circondava?

    Ad un tratto Diamante espresse un lieve gemito di dolore.

    «Cosa ti è accaduto, nonnetto?» chiese con tono di voce calma Ametista, immaginando che difficilmente il suo amico potesse incorrere in qualche pericolo.

    «Sono stato morso alla mano da una di quelle strane bisce azzurre velenose» rispose dolorante Diamante da non molto lontano.

    «Povera bestia!» aggiunse serio Diaspro.

    «Povera bestia, dici?» protestò Diamante. «Sono io che sono stato morso, non la biscia. Non avete più nessuna considerazione per il vostro nonnetto?»

    Diaspro ridacchiò e disse all’amico:

    «Sai bene a cosa mi riferisco. Se solo sfortunatamente i denti del povero animale hanno sfiorato i potenti microrganismi che pullulano il tuo sangue, allora è giusto che io dica…»

    «…povera bestia! Hai ragione!» concluse Diamante.

    Poco lontano, infatti, l’audace ed incosciente animaletto azzurro stava già delirando e, con una velocità impressionante, riducendosi in polvere.

    «Ne provocherai l’estinzione!» commentò scherzosamente Diaspro.

    «Certo, certo…» disse Ametista, che riprese fiato ed aggiunse: «…se qualcuno continua a farsi mordere con la frequenza a cui è ormai abituato. Quante volte ti è successo: cinque, sei volte?» Provò a ricordare.

    «È colpa dei tuoi intrugli, Ametista» scherzò Diamante, continuando con il gioco. Poi divenne più serio:

    «Siamo fortunati» argomentò. «Se le nostre cellule ed il nostro sangue non avessero subito i radicali mutamenti e adattamenti che sappiamo, non saremmo mai potuti sopravvivere, all’inizio, quando Cronhos era ancora un pianeta inospitale.»

    Già, Cronhos, pensò fra sé Diamante. La bellezza di Cronhos, nonostante tutto, non aveva trovato nessuno spazio, seppur piccolo, nei loro cuori. Eppure il pianeta possedeva quel fascino antico, l’idea mai raggiunta del paradiso che albergava nell’intimo di ogni uomo.

    «Cosa ti preoccupa, Diamante? Diccelo!» chiese impaziente Diaspro cambiando argomento.

    «No!» rispose ora Diamante. «Al luogo dell’incontro, lì vi aprirò la mente, completamente.»

    La risposta di Diamante li rese ancora più nervosi ed ansiosi. Ma la voce della loro guida, sempre presente, echeggiò tuonante nei loro pensieri: «Concentratevi sulla meta; rendete limpide le vostre menti.»

    Questo, immediatamente, riportò la loro attenzione all’incontro e al luogo dove dopo tanto tempo si sarebbero rivisti.

    Ametista lanciò ora un fischio sibilante, un segnale, per chiamare a sé un’amica davvero speciale. Un verso acuto e gracchiante risuonò nell’aria in risposta al richiamo del vecchio. Era Dynas, una dynaquilia, un gigantesco volatile che Ametista stesso aveva ammaestrato avendolo trovato molti anni prima in cima ad una cascata di una valle sperduta.

    Già allora le dimensioni del guscio che la conteneva raggiungevano le spalle di Ametista, il quale più di una volta si era chiesto quale sarebbe stata l’indole dell’animale una volta cresciuto. Per un attimo aveva addirittura pensato che sarebbe potuto riuscire a realizzare la frittata più grande del mondo. Ma era estremamente curioso e, non avendo mai visto prima nulla del genere sul pianeta, era interessato a scoprire cosa sarebbe venuto fuori da quel grosso involucro protettivo. Sorrise ripensando al fatto che aveva considerato addirittura l’utilizzo di una padella gigante per realizzare la frittata da primato. Si sentì ridicolo a quel pensiero. Fortunatamente aveva atteso che l’enorme guscio si schiudesse.

    Quando questo accadde, comprese da subito che non aveva fatto un errore a tenersi la sua scoperta. Più avanti, in diverse occasioni, Dynas gli avrebbe salvato la vita. Pensò a quando aveva mostrato l’animale a Diamante e alla faccia che il suo amico aveva fatto:

    «Questo è il mio animale da compagnia, Dynas!» gli aveva detto mostrandogli la dynaquilia già cresciutella. E Diamante gli aveva risposto con gli occhi spalancati: «Dynas?»

    «Sì, è una dynaquilia; io ho dato il nome alla specie! È piena di energia e vola in alto come le aquile» gli aveva spiegato. Ridacchiò al ricordo dell’espressione spaventata di Diamante prima, e a quella di Diaspro poi.

    Diamante cominciò ad accelerare il passo e, contrariamente a quanto aveva affermato prima, iniziò ad usare le sue altamente sviluppate capacità fisiche e mentali per correre ad una velocità non comune al resto degli uomini. Passi veloci, salti incredibili, voli affascinanti. Diaspro già galoppava a grande velocità in groppa all’avkas invisibile.

    Da una parte l’urgenza dei tempi li spingeva a correre, a sbrigarsi, ma avevano anche il sincero desiderio di ritrovarsi dopo tanto tempo e, con l’occasione, riconfermare con un abbraccio la profonda amicizia che li legava.

    Con la velocità del lampo la dynaquilia era arrivata. La si poteva avvistare facilmente - vista la sua mole - alzando lo sguardo al cielo, come si poteva notarne l’ombra che a tratti veniva proiettata sulla foresta nei pochi spazi poveri di vegetazione.

    La gigante, come a volte la chiamava Ametista, volava girando in cerchio sulle teste dei tre amici oramai prossimi a rivedersi. Più questi si avvicinavano al luogo concordato per l’incontro più il cerchio descritto dalla dynaquilia si stringeva, fino a diventare un punto preciso sopra una valle stretta e profonda, con alte pareti verticali ricoperte da una rigogliosa vegetazione. Quello era un luogo segreto, nascosto. Dall’alto era quasi impossibile localizzarlo proprio a causa della foresta fitta ed ingarbugliata, invigorita dalla presenza di alcuni fiumi che la attraversavano. Arrivarci da terra era difficile e pericoloso. La foresta nascondeva numerose insidie: piante velenose e carnivore, animali ed insetti pericolosi di ogni genere. Nessuna persona normale avrebbe mai avuto il coraggio di addentrarsi all’interno di quel luogo sperduto. Il Cuore di Cronhos, questo era il suo nome; e solo pochi lo conoscevano.

    C’era una radura. Al centro di essa c’era una grossa roccia sulla quale erano state ricavate tre sedie, una rivolta a sud, una a nord, un’altra ad est, i punti dai quali gli ospiti stavano provenendo. Un’altra sedia, diversa dalle altre, era posta al centro delle tre, ma nessuno, almeno per il momento, vi si sarebbe seduto sopra.

    Diaspro arrivò per primo, da est, in modo assolutamente impercettibile: comparve sulla scena con il gomito appoggiato su una roccia con accanto l’avkas, l’animale con il quale aveva viaggiato, che solo adesso stava cominciando a rendersi visibile man mano che acquistava confidenza con il posto.

    Arrivò anche Ametista, da sud ovest, tanto velocemente che le foglie degli arbusti si mossero come sfiorate da una vigorosa raffica di vento, e lasciandosi dietro una nuvola di polvere.

    Diamante, da nord, arrivò per ultimo, silenziosamente, sorprendendo i suoi amici che non si erano nemmeno accorti della sua presenza.

    «Non vi avevo detto di essere prudenti?» li rimproverò arrabbiato.

    Ametista e Diaspro si girarono nella direzione da cui proveniva la voce.

    «Dovete essere pronti a tutto! Non dovete provare a nessuno le vostre capacità. E se non fossi stato io a sorprendervi, ma qualcun altro?»

    Diamante li guardò con sguardo severo. Li voleva redarguire invitandoli alla prudenza. Continuò: «Voglio che manteniate in costante allenamento le vostre facoltà di percezione e che teniate svegli i vostri sensi.

    Ascoltate anche quando non c’è rumore, guardate attentamente anche quando non c’è nulla da vedere. Fino a poco fa desideravate conoscere ogni particolare di ciò che avevo da dire. Volete forse che vi racconti una storiella, ora?»

    Ametista e Diaspro abbassarono le facce al monito. L’uomo più vecchio continuò ad impartire la lezione: «Siete chiamati saggi, mostratevi tali!»

    Il rimprovero mosso da Diamante ai suoi amici non era affatto un’esagerazione. In altre occasioni distrazioni del genere sarebbero potute essere fatali. Ad ogni modo Diamante lasciò intendere che il suo era un richiamo leggero, ma necessario. Così per rompere il ghiaccio tese le braccia verso i due compagni, dicendo: «Lasciatevi abbracciare, amici miei: sono anni che non ci vediamo!»

    Il sorriso di Diamante era contagioso e si manifestò sulle facce degli altri due. La tensione era calata. Diamante li abbracciò e li osservò con affetto. Pensò che Ametista fosse leggermente ingrassato. Lo guardò meglio e si ricredette. Quel vecchio dal muso duro era sempre lo stesso: alto e slanciato, con le spalle larghe e gli occhi blu scuri, profondi, e con l’incontrollabile abitudine di tirarsi giù le maniche della tuta che indossava. Stava sempre in piedi, raramente si sedeva, perfettamente dritto e con le braccia incrociate. Avvolto nel suo mantello scuro, dello stesso colore dei suoi occhi, aveva un comportamento quasi regale; e Dio sa se veramente non sarebbe potuto essere tale. Aveva un’espressione sempre severa ed imbronciata, ma piacevole. Non era un tipo antipatico, anzi, quando rideva risultava essere una persona davvero gradevole. E il piccolo sacchetto che portava legato alla cintura? C’era sempre! Come anche il suo bastone pieno di pietruzze di quel minerale da cui aveva preso il nome, infilato in un fodero attaccato ad un passante della cintura.

    Passò a squadrare Diaspro, dalla testa ai piedi. Lui invece sembrava un pochino più magro del solito, ma probabilmente stava sbagliando anche questo giudizio. Del resto erano quasi due anni che non lo vedeva. I molti capelli bianchi erano tirati all’indietro, come sempre. Diamante giurò che neanche uno ne fosse caduto. E la barba! Ordinata, corta, bianca e grigia, dello stesso colore dei capelli. Lo sguardo sicuro e scrutatore faceva parte della sua personalità, tranquilla e riflessiva.

    Sapeva guardare aldilà delle apparenze, più in là di quello che gli altri riuscivano con fatica anche solo ad intravedere. I suoi giudizi erano puntuali e precisi.

    «Fatti vedere» disse Ametista, appoggiando le mani sulle spalle di Diamante. «Non sei cambiato affatto» commentò. Volle guardare il suo vecchio amico con attenzione. Mosse il capo con approvazione ritrovandolo in buona forma. Glielo disse: «Ti trovo in forma, Diamante.» Poi scherzando aggiunse: «Sarà merito della mia biotuta!»

    Diamante inarcò un sopracciglio.

    La biotuta era una sorta di indumento che apparteneva ai saggi, che aderiva strettamente al corpo ed aveva la straordinaria capacità di migliorare le funzioni fisiche di chi la indossava. Era fatta con materiali sconosciuti che nessuno, a parte i saggi, conosceva. Essa cambiava colore in base alle condizioni ambientali e del tempo, in base alle caratteristiche fisiche di chi la indossava, e forse, anche in base al suo stato d’animo. Qualcuno affermava che nel tessuto delle incredibili biotute fossero presenti straordinari micro organismi che vivevano in simbiosi con il corpo cui venivano in contatto. Ametista, che le aveva create, ne andava fiero.

    «Già!» disse Diamante guardandosi. «Senz’altro è anche merito della biotuta.»

    Il più grande dei saggi, tale era considerato, sorrise. Gli occhi azzurro chiaro facevano sembrare più luminoso il suo viso. La barba lunga, ma curata, gli donava quell’espressione di saggezza che perfettamente gli si addiceva. Nello sguardo quelli che lo conoscevano percepivano una sempre presente nostalgia ed un pizzico di malinconia. Non per questo, comunque, il vecchio non guardava speranzoso al futuro. Chissà, pensò Ametista. Chissà se continua ancora a schiarirsi la voce prima di dire qualcosa di importante. Sono sicuro che continua a farlo.

    All’improvviso si udì un sibilo acuto, seguito da un forte vento che sollevò in aria i pregiati mantelli dei saggi. La terrà tremò nel momento in cui due zampe poderose si poggiarono in mezzo ai tre personaggi: la dynaquilia era arrivata con un tempismo perfetto. Diamante le lanciò un’occhiata e si rese conto che ancora si affascinava, o meglio, s’impressionava alla vista di quell’essere straordinario. Con stupore, di nuovo, ne ammirò la corporatura: era grande quanto una casa! Aveva il collo lungo e le gambe possenti come due grossi tronchi. Le zampe erano dotate di lunghi artigli affilati, come lo era il becco, un poco ricurvo. Aveva una folta peluria bianca con sfumature azzurre sulla testa e sul collo, sulle ali, nella parte finale delle gambe e nelle due lunghe code finali, ma il resto del corpo era glabro di un marrone scuro. Era immensa ma volava con grazia. Diamante la guardò con accesa curiosità negli occhi vispi dello stesso colore dei suoi, ma più accesi. Dynas alzò la testa verso il cielo e fece udire la propria voce stridente ed acuta, per dire: Ci sono anch’io!

    Ametista, che quasi dialogava con lei, le disse: «Anche tu vuoi essere abbracciata?»

    La dynaquilia allungò il collo arrivando vicino alla faccia di Diamante e gridò forte scompigliandogli i capelli.

    «Non vuole che la fissi così a lungo, Diamante» gli ricordò Ametista.

    «Mi stavo solo chiedendo che fine ha fatto la cabina passeggeri» disse Diamante.

    Il confortevole e piccolo alloggio di cui parlava il saggio era stato costruito da Ametista senza il permesso della gigante, che all’epoca non era completamente d’accordo a portare ospiti sulle spalle. Tuttavia, fidandosi completamente del suo padrone, si era abituata dopo poco alla sua nuova silhouette con la pretesa, però, di scegliere almeno i passeggeri che per ragioni di spazio non sarebbero potuti essere più di due.

    «Non ricordarglielo. Non è molto propensa a portare qualcuno sulle spalle. A parte me, ovviamente» puntualizzò fiero Ametista.

    «Non volevo in alcun modo offenderti, Dynas» disse subito Diamante in tono conciliante.

    La dynaquilia fece ora un verso meno pauroso a Diamante, quasi delle fusa, sempre guardandolo da vicino.

    «Credo che ti voglia bene lo stesso» giudicò Ametista tirandosi giù le maniche.

    «Se lo dici tu» sussurrò incredulo Diamante.

    «E di me cosa pensa?» provò a dire Diaspro che si vide immediatamente arrivare gli occhi di Dyna di fronte ai suoi. «Non importa» si affrettò a dire, «me lo dirai un’altra volta.»

    Ametista scoppiò in un’allegra risata che coinvolse anche gli altri.

    L’avkas, nel frattempo, impauritosi alla vista del volatile più grande che avesse mai visto, era diventato parte integrante del paesaggio: indistinguibile dalla rocce.

    I tre continuarono a guardarsi con familiarità e commozione per un poco dopodiché, Diamante, con aria seria, estrasse dalla maglia della sua biotuta un medaglione e lo fissò intensamente. Diaspro ed Ametista fecero lo stresso. Ogni saggio ne aveva uno: era il simbolo della loro saggezza ma anche della loro grande responsabilità. Poi si diressero verso le sedie, ognuno alla propria.

    Queste erano perfette, anatomicamente adatte ad ognuno dei propri ospiti, e su ognuna di esse c’erano incisi i rispettivi nomi in una lingua antica. Appena vi si sedettero, queste si accesero iniziando a brillare di luce propria; una con i riflessi del diamante, una con i riflessi viola dell’ametista e l’altra con i colori vivaci del diaspro. Ma la quarta, quella al centro delle tre, rimase scura come priva di vita.

    Passarono alcuni minuti di silenzio, senza che nessuno dicesse una parola. L’emozione era forte, ed i visi erano gioiosi. Se qualcuno li avesse visti non avrebbe creduto di essere di fronte ai saggi che, agli occhi di tutti, erano sempre apparsi come delle persone forti, tutte d’un pezzo, seriosi e senza alcuna debolezza. Ma le emozioni e i sentimenti che provavano non erano affatto segni di debolezza, piuttosto di forza.

    Questo loro lato nascosto li rendeva orgogliosi. In momenti come questi, che erano rari, potevano sentirsi come qualsiasi altro su Cronhos: come esseri umani. Ritrovavano una parte della propria natura, della propria identità.

    L’aria col calar della sera era diventata fresca. Il cielo di Cronhos era luminoso come sempre a causa delle due lune solo un poco coperte da qualche nuvola di passaggio. La loro luce filtrava appena nella radura, ma la illuminava a sufficienza. Con l’approssimarsi dell’oscurità, le creature che abitavano la notte più che la foresta, emettevano ognuna il proprio verso, guidate dai loro istinti e dal loro cuore selvaggio, dando al luogo un leggero ma pur sempre pauroso tocco sinistro. I saggi, tuttavia, non avevano nulla di cui preoccuparsi, perché la foresta li rispettava; i suoi abitanti li temevano.

    «Quanti anni sono passati? Qualcuno lo ricorda con precisione?» iniziò Diamante. Passarono alcuni momenti di silenzio mentre tutti riportarono i loro pensieri indietro nel tempo.

    «Ottocentocinquantacinque anni in questi giorni» calcolò approssimativamente Ametista. «Ovviamente, tenendo conto delle fasi lunari e della lunghezza dei giorni, nonché dell’alternarsi delle stagioni qui su Cronhos.»

    «Ottocentocinquantacinque anni del nostro antico tempo, dunque» precisò Diaspro, mentre i suoi occhi guardavano lontano. Parve calcolare nei pensieri se il numero degli anni fosse esatto. Decise di sì.

    Su Cronhos il tempo seguiva il suo corso in una maniera che i saggi avevano imparato a conoscere non senza difficoltà. Due soli illuminavano il giorno del pianeta: Sorub, il sole più grande e rosso, e Soabsum, il sole lontano. La notte era il regno delle due lune: la prima, la luminosa Azureas, era grande e di un colore azzurro; mentre Argentea, che sembrava starsene a distanza dalla sua sorella maggiore, splendeva timida nella sua parte di cielo. Insieme affascinavano le notti di Cronhos. Un anno era formato da quattrocentoquarantotto giorni divisi in quattordici mesi di trentadue giorni ciascuno. C’erano sei stagioni: la primavera, fresca e piacevole; la calda estate, cocente e luminosa per l’effetto dei due soli del sistema solare; l’interludio autunnale, chiamato anche stagione delle brezze, che precedeva l’autunno vero e proprio; l’autunno, carico di venti e portatore di piogge; il freddo ed intenso inverno; ed infine, l’interludio dei soli, chiamato pure la stagione dei tre soli a causa di una luminosa stella lontana che appariva nel cielo solo durante quel periodo.

    Diamante si schiarì la voce: è segno che sta per dire qualcosa di importante, pensò Ametista. Lo fa ogni qualvolta inizia una discussione seria.

    «Ascoltate!» iniziò infatti Diamante. «È giunto per noi il momento di risvegliare la verità, di slegare la storia, ritrovare le nostre identità. Noi, gli ultimi saggi di Cronhos, abbiamo il privilegio, ma anche la grande responsabilità, di portare a termine la nostra missione: sacra, vitale per la nostra razza!» Il suo sguardo divenne più intenso. Fece una pausa e si schiarì ulteriormente la voce. Ametista e Diaspro si adagiarono con le spalle allo schienale delle sedie.

    «Mai come ora dobbiamo essere desti, pronti a cogliere ogni segnale di pericolo, essere saggi, uomini, padri, figli, fratelli, tutto allo stesso tempo. Sin da quando ci è stato affidato questo compito difficile, siamo divenuti come martiri, pronti anche a morire per questa causa. Siete pronti se questo dovesse essere necessario?» si volle accertare Diamante.

    «Tu sai da sempre che è così, Diamante» affermò prontamente Diaspro. «La nostra vita sarà sacrificata, se necessario. Ma sento che vuoi dirci dell’altro» continuò il vecchio lungimirante.

    «Sento la stessa cosa anch’io» aggiunse Ametista.

    Lo incoraggiò: «Continua, dunque, parla: sento fiumi di pensieri fluire nella tua mente.»

    Con l’espressione cupa che non nascondeva una seria preoccupazione, Diamante raccontò del periodo di tempo che aveva trascorso nel regno del nord, alla corte del reggente.

    «Qualcosa di strano sta accadendo in questi ultimi mesi, nel nord. Il reggente, CronhoMar, mi è parso decisamente strano. Voi lo conoscete e sapete di quale tempra è fatto; la sua personalità, decisa e sicura. La fama di uomo coraggioso che si guadagnò da giovane sfidando le pericolose paludi di Akirol e sopravvivendo ad esse, l’addestramento ricevuto da noi saggi…»

    «Dove vuoi arrivare?» chiese Diaspro, manifestando le prime preoccupazioni.

    «Ecco…» continuò Diamante sospirando con le spalle rivolte ai due amici «…il reggente è… diverso» disse vago.

    «Diverso?» domandò Diaspro.

    «Si, diverso fino al punto che quasi a volte non riesco a riconoscerlo.

    È distratto; mostra poco interesse ai bisogni del popolo – cosa che gli stava a cuore fino a poco tempo fa – alternando momenti di acuta saggezza a momenti di insicurezza e confusione. La stessa cosa succede ad alcuni uomini al suo seguito. Diversi di questi non li ho più visti da mesi. Nessuno sa dove siano finiti. La cosa più grave e che mi ha lasciato del tutto perplesso è di non essere stato in grado… di non aver potuto sfiorare neanche lontanamente i loro pensieri. Sapete bene quanto consideri discutibile questa pratica, ma ho ritenuto necessario farlo. Niente, neanche un solo pensiero.»

    «Questo è impossibile!» esclamò scettico Ametista. «Possiamo leggere le menti di chiunque, persino di alcune bestiole che abitano questo pianeta. A meno che…»

    Ametista si sollevò leggermente dalla sedia guardandosi attorno sospettoso. «... a meno che…» disse di nuovo con la voce insicura ed allarmata, «…non ci siano altre persone sul pianeta uguali a noi» continuò Diaspro.

    «Ma tutti i rivoluzionari, tutti i seguaci di… Krun» Ametista fece una pausa e sospirò. «Quelli che conoscevano i nostri segreti morirono nella battaglia dei tre regni, circa ottocento anni fa» riprese allontanando quella possibilità. Il vecchio divenne subito nervoso.

    «E se Krun o qualcuno di loro fosse sopravvissuto?» ipotizzò Diaspro. «È probabile!» continuò rispondendosi da solo. Raccontò: «Io e Diamante vedemmo con i nostri stessi occhi gli ultimi uomini di Krun soccombere nella regione vulcanica di Monfcus. Lo vedemmo cadere nella bocca del vulcano e lo udimmo maledirci, ma poco dopo vedemmo una decina di navette levarsi in volo. Non riuscimmo a trovare il corpo di Krun, del resto non sarebbe stato logico cercarlo nella lava incandescente. Ricordi anche tu, vero Diamante?»

    Diamante non rispose subito, ed Ametista percepì la sua reticenza solo come una debole conferma. Ma fece cenno di sì con la testa e disse a voce: «Ricordo tuttora quei momenti terribili, la battaglia aspra e violenta che ci vide a stento vincitori; e Krun, il nostro avversario, cadere nella bocca del vulcano. Vidi anch’io, però, alcune navette levarsi in volo tra le nuvole di fumo.

    Ametista si alzò e disse nervoso: «Lo sapete che non mi piace tornare sull’argomento: ho odiato Krun con tutte le mie forze, ma se è necessario… continuate pure.» Si alzò e cominciò a camminare agitato.

    Diaspro si mise a riflettere su qualcosa. Guardando Ametista disse esitante: «E se Krun ci avesse ingannato? Cioè, se avesse finto di morire con l’intento di scappare?» si interrogò.

    Ametista si girò di scatto agitando il suo mantello.

    «Scappare dove?» disse alterato.

    «Cronhos è un pianeta grandissimo. Alcuni suoi luoghi sono praticamente inaccessibili, altri del tutto inesplorati» ricordò Diaspro.

    «Krun aveva tutte le conoscenze e le capacità per scappare su una delle lune vicine. Non siamo mai riusciti a sapere chi si allontanò velocemente all’interno di quelle navette né sappiamo dove queste scomparirono.»

    «No!» disse a voce alta Ametista, respingendo quell’idea.

    Continuò dicendo quello che pensava o, più probabilmente, sperava: «Krun è sicuramente morto! Altrimenti ce ne saremmo accorti o, perlomeno…» disse pensieroso, «…ce ne saremmo dovuti accorgere.»

    Si abbassò sulla sedia di Diamante e lo guardò in faccia intensamente.

    «Ricordi?» gli disse. «Passammo circa quattro anni setacciando il pianeta, senza trovare nessuna traccia di Krun né di alcuno dei suoi seguaci.»

    Andò verso Diaspro e lo guardò allo stesso modo. Gli chiese: «Se fosse ancora vivo, perché aspettare tutto questo tempo per tornare sulla scena?»

    Diamante scrollò le spalle e commentò: «L’ansia e l’impazienza potrebbero spingere chiunque a fare mosse avventate…»

    Ametista attese impaziente che Diamante finisse.

    Questi concluse: «…ma per un pazzo, uno come Krun, aspettare il momento giusto, anche se dovesse significare aspettare mille anni, potrebbe rivelarsi un’arma vincente.»

    Ametista incassò la risposta. Rimase zitto e si girò a guardare verso le stelle. Era agitato. Si adirava ogni qualvolta parlavano di colui che considerava come il suo arcinemico. Diamante sapeva che in passato i due erano stati grandi amici. Pensò che il saggio odiasse ricordare non tanto il nemico, ma il fatto di avere perduto un amico prezioso per poi ritrovarselo come acerrimo avversario. I suoi sentimenti erano perfettamente leciti, poteva capirlo, anche se non completamente.

    Ametista riprese a parlare, ma a voce bassa, quasi come se qualcuno ora potesse sentirlo.

    Riconsiderando la possibilità che il suo nemico non fosse effettivamente morto, disse: «Pensi che Krun sia a conoscenza del momento stabilito per l’incontro finale?»

    «No!» rispose Diamante con convinzione. Aggiunse: «Nessuno di noi conosce esattamente quando questo accadrà, anche se sappiamo che il tempo è ormai prossimo.»

    «Forse, amici miei» intervenne Diaspro «ci stiamo sbagliando.» Perplesso e poco convinto, disse a Diamante: «Ti stimo molto, e riconosco la tua saggezza, capo dei saggi. È possibile che le tue siano solo delle impressioni... sbagliate?»

    Diamante sospirò e si levò dalla sedia.

    «Vorrei davvero sbagliarmi, credetemi. La mia lunga permanenza nel regno bianco, il regno del nord, mi ha davvero convinto che c’è qualcosa di strano, qualcosa di sfuggente alla nostra percezione. Diamante camminò vicino ad Ametista e guardò pensieroso nella stessa direzione in cui guardava l’amico. Corrugò la fronte e continuò a dire: «Ho chiesto aiuto ad un gruppo di scienziati fidati. Insieme abbiamo constatato un cambiamento anche in altre cose…»

    Allora c’è dell’altro, pensò Diaspro, e si alzò dalla sedia. Ametista si girò di scatto verso Diamante. «Quali altre cose?» gli domandò turbato.

    «Nella fauna e nella flora, per esempio. Sono apparse nuove specie di animali e di piante di cui non sospettavamo nemmeno l’esistenza, evidentemente. Sono apparse all’improvviso!»

    «Qualcuno forse sta conducendo degli esperimenti a nostra insaputa? Voglio dire: qualcuno nella valle degli angeli sta portando avanti qualche programma a noi sconosciuto?» ipotizzò Diaspro.

    «È impossibile! Gli abitanti della valle aspettano come noi il ricongiungimento finale e non farebbero nulla che potrebbe anche solo rimandare l’appuntamento» affermò con sicurezza Ametista.

    Diaspro si ricredette subito. Quanto aveva detto era impensabile.

    «Ad ogni modo Loogan, il capo degli scienziati, farà tra poco un rapporto sulle indagini svolte nel regno di CronhoMar. Tutti i ricercatori hanno lavorato con premura per scoprire quante più cose potessero» informò il capo dei saggi.

    Diamante vide che Ametista era nervoso. Lo stesso si poteva dire di Diaspro. Forse anche loro avevano qualcosa da dire o forse no. Pensò di chiederglielo: «Qualcuno di voi ha notato cose simili negli altri regni?» domandò il vecchio barbuto con la speranza di ottenere una risposta negativa.

    Ci fu un attimo di silenzio, mentre Ametista e Diaspro guardarono nelle loro menti scrutando attentamente il tempo passato ed assicurandosi che niente fosse sfuggito loro. Ora le loro espressioni più serene parlavano da sole. Negli altri regni, perlomeno, nulla era apparentemente cambiato.

    Ametista si tirò giù le maniche della biotuta, anche se queste non si mossero. Disse per primo: «Personalmente non ho notato cambiamenti nel regno del sud. I reggenti, il principe Terra e i funzionari di corte sembrano gli stessi di sempre.

    Terra si impegna con tutte le sue forze per portare pace e prosperità a tutti i popoli del pianeta, come gli abbiamo insegnato. La popolazione vive felice e serena.»

    «Anche gli altri regni» fu la volta di Diaspro «vivono pacificamente ed in prosperità. I reggenti del regno dell’est, come pure i reggenti del regno dell’ovest, mostrano gli stessi sentimenti pacifici che albergano nel cuore del principe Terra.

    La sua attività diplomatica in quelle terre è stata fervente. Gli abitanti di tutto Cronhos hanno imparato a proprie spese quanto dolore e sofferenza possono portare l’odio, la rabbia, la guerra. I loro antenati sperimentarono direttamente tale amarezza, la storia di Cronhos lo attesta; ma da buoni genitori trasmisero saggiamente alle generazioni future l’inutilità di questi orrori. Per di più il carisma del principe e la sua personalità forte lo hanno reso simbolicamente il principe del pianeta, non il principe del solo regno del sud. Ha trascinato la volontà dei grandi regni a seguirlo per il raggiungimento della pace. Il consiglio lo adora!»

    Il consiglio era un organo planetario nato dalla volontà dei saggi di creare una struttura governativa forte, che avesse il pieno controllo degli affari del pianeta. Il consiglio aveva la facoltà di approvare le leggi dei vari regni o di abrogarle. Era composto da dieci vecchi uomini di provata fiducia, scelti dai saggi di Cronhos. Essi avevano autorità sulle forze militari dei regni e sulle forze di intervento del pianeta. Ognuno di essi aveva gli stessi poteri di un reggente. La sede permanente del consiglio si trovava dentro Arx-Flora [3] : la più grande città del regno dell’ovest nel golfo di Marehnus. I membri del consiglio non subivano l’influenza di governanti, ma esercitavano autorità su di essi. Portavano un medaglione al collo, simile a quello dei saggi ed indossavano un manto bianco che ricordava quello di molti religiosi.

    «Sì, il consiglio ha grande stima del principe Terra» confermò Ametista.

    «Sono felice di quanto sto sentendo riguardo a lui» disse fiero Diamante. «Il principe è la nostra speranza, colui che ci aiuterà a farci ritrovare la nostra via, la nostra identità. I geni che porta dentro di sé sono una preziosa eredità per tutti noi e per tutti quelli che aspettano l’incontro finale.»

    I tre erano concordi riguardo al loro protetto, il principe Terra. I loro volti sorridenti non nascondevano l’orgoglio di essere stati per lui, sin dalla sua tenera età, i suoi tutori fisici e spirituali. Come aveva detto Diamante, il principe Terra era l’elemento chiave della loro missione, la ragione della loro speranza. Mentre ragionavano ancora su queste cose, una luce verde fuoriuscì dalla roccia, iniziando a pulsare in mezzo ai tre.

    «Un messaggio!» avvertì Ametista.

    «Sì, è Loogan» disse Diamante. «Aspettavo di essere contattato per conoscere il risultato delle indagini di cui vi ho parlato. Ascoltiamolo con attenzione, anche se quello che ci comunicherà potrebbe non piacerci.»

    La luce verde cominciò lentamente a crescere fino a diventare una cupola, simile ad un uovo, capace di contenere una persona. Al suo interno comparve, scintillante, la figura di un esile uomo di mezza età dall’aria vispa; era un po’ ricurvo sulle spalle e pochi capelli bianchi gli coprivano solo i lati della testa, sopra le orecchie. Indossava un camice bianco che lo identificava come uno scienziato. La cupola di luce si allargò sino a diventare un grande schermo in aria.

    «Buona sera, vecchietti» salutò l’uomo con aria familiare.

    Era Loogan, uno dei più brillanti scienziati di Cronhos, se non il più grande. Era il capo e la guida di tutta la comunità scientifica del pianeta per volontà dei tre saggi. Era il loro amico più fidato con i quali condivideva numerosi segreti, nonchè le speranze per il futuro. Tutta la sua vita era stata dedicata a quello che più gli stava a cuore, a lui come anche ai saggi: il futuro della razza umana.

    Loogan esordì, dicendo: «Era da tempo che non vi vedevo radunati tutti e tre insieme. Spero che non sia per concludere quella vecchia partita a quel ridicolo gioco che vi piace tanto, perché non sono preparato e, cosa più importante, non sono fisicamente presente.»

    L’apparizione dello scienziato fece tornare a sorridere i saggi, anche se per poco. L’uomo di scienza continuò: «Ma torniamo a noi. Sono davvero felice di vedervi, anche se so che quello che sto per dirvi non vi piacerà affatto» disse con voce più seria.

    L’aria cominciava a diventare fresca e i tre rabbrividirono non per il freddo, ma perché realizzarono - prima ancora di ascoltare i commenti di Loogan - che dietro a qualcuna delle loro supposizioni, probabilmente, si nascondeva qualcosa di vero. I saggi sapevano che quello era un periodo cruciale per tutto Cronhos. Il tempo che da sempre aspettavano era davvero all’orizzonte? Se lo era, questa sarebbe stata la parte più intensa ed emozionante della loro vita. Era urgente, quindi, accertarsi che niente potesse minacciare le loro speranze. Era giunto il momento di passare all’azione. Era pure il momento di rivelare la verità a chi ancora, pur avendone il diritto, non la conosceva affatto.

    Lasciando da parte perplessità e paure, Diamante prese la parola e disse: «Siamo pronti ad ascoltare tutto quello che hai da dire, Loogan.»

    «Bene» riprese lo scienziato incrociando le braccia.

    «Cominciamo con l’allineamento dei pianeti. Come previsto, potrebbero verificarsi serie interferenze su Cronhos, forse più forti di quanto pensavamo secondo gli ultimi dati che abbiamo a disposizione.»

    «Che tipo di interferenze?» domandò immediatamente Diaspro.

    Impensierito lo scienziato aggrottò la fronte e sollevando il muso disse: «Oltre alle interferenze di tipo magnetico che interesseranno la maggior parte dei sistemi di comunicazione sul pianeta, e di svariati fenomeni ionosferici, è quasi certo che si verificheranno avvenimenti più disastrosi come terremoti, forse di grave intensità, nonché violente eruzioni vulcaniche. Ci saranno alte maree ed onde anomale durante il climax dell’allineamento. A questo riguardo il progetto Destino si rivelerà di vitale importanza. Vi fornirò maggiori dettagli in seguito.»

    I saggi ragionarono preoccupati nelle loro menti i possibili scenari di panico che si sarebbero potuti verificare sul pianeta.

    «Non meno importante» continuò il fidato scienziato «gli effetti dell’allineamento si faranno sentire anche su di una persona che noi tutti conosciamo bene.»

    I tre si guardarono poco stupiti. Sapevano che gli effetti del fenomeno che si sarebbe verificato di lì a poco, avrebbero dato non poco fastidio al principe Terra, detentore di una eredità genetica diversa dalla totalità degli abitanti del pianeta. Ma questo, secondo i loro calcoli, sarebbe durato poco. Terra avrebbe facilmente superato le difficoltà fisiche a cui andava incontro con il loro aiuto, almeno questo speravano i saggi.

    Loogan continuò con un altro punto.

    «Il principe è stato messo al corrente del ritrovamento di alcuni manufatti legati al nostro passato. Domani si recherà presso la sezione archeologica del centro. Spero che non venga a capo di nulla, almeno per il momento» si augurò lo scienziato. Suggerì: «Decidete voi la porzione di verità che il principe dovrà assaporare.»

    «Cosa è stato ritrovato, questa volta?» domandò incuriosito Diaspro.

    «Ho fatto non poca fatica a tradurlo» ammise Loogan. «È un pezzo di roccia sul quale sono scolpite delle frasi: Dove c’è il vuoto, è nascosta la via. Non guardare con gli occhi, ma ascolta nel silenzio.; La saggezza… sarà la chiave del passato; e l’ultima: La tua es.e..za. …… la via."» Le ultime parole sono incomplete e non si riescono a leggere.»

    «La tua essenza aprirà la via.» continuò Ametista completando la frase. «Sono le indicazioni per trovare la strada…» ricordò Ametista con una certa emozione.

    «Questo l’ho capito» disse Loogan. «Chissà perché non sono sorpreso del fatto che voi ne siate a conoscenza.»

    L’insigne scienziato si portò la mano al mento ed iniziò a ponderare qualcosa. Disse: «Completerò la frase se a voi non dispiace; tanto il principe non riuscirà comunque a tradurla...»

    «Avanti, continua» lo pregò Diaspro.

    «A meno che voi non decidiate di rivelargli il segreto di quelle scritte» concluse.

    «Rifletteremo anche su questo» rispose Diamante guardando nella direzione di Ametista, come per suggerirgli: te ne occuperai tu.

    «Quanto vi dirò ora è della massima importanza. Prestate attenzione!» disse infine Loogan, e fece un sospiro.

    «Avanti Loogan, ti ascoltiamo» parlò per tutti Diaspro.

    «Durante gli ultimi mesi abbiamo condotto numerose analisi ed indagini di cui probabilmente siete già a conoscenza. Le anomalie che Diamante aveva portato alla nostra attenzione sono state oggetto di intensi studi che hanno tenuto impegnati la quasi totalità del nostro gruppo scientifico, a parte la squadra che si occupa di Destino. I campioni di sangue e pelle che siamo riusciti a prelevare nel regno del nord - appartenenti ad alcune persone che vivono attorno al reggente e ai funzionari di corte - hanno permesso di appurare qualcosa di importante: in queste persone è in atto un cambiamento di tipo genetico, una mutazione!» La cosa divenne subito preoccupante per i saggi che furono assaliti da pensieri allarmanti.

    «Questa che vedete è una normale sequenza di DNA appartenente ad un abitante delle terre del nord.» Loogan la indicò facendo illuminare uno schermo alla sua sinistra. «La seconda traccia di DNA che ora vedrete appartiene alla stessa persona.» Per essere più chiaro aggiunse: «Anche se potrebbe sembrare simile alla prima, posso garantirvi che ci sono evidenti anomalie. Si, ci sono dei cambiamenti! Non sappiamo cosa vi abbia dato origine né sappiamo a cosa porteranno» disse accigliato lo scienziato.

    «Presumo che abbiate già osservato mutazioni del genere, durante le vostre ricerche. È qualche cosa legata alla nostra eredità?» chiese Diaspro con apprensione.

    «No!» rassicurò lo scienziato. «Abbiamo già osservato alcuni tipi di mutazione, è vero, ma quelle che abbiamo scoperto negli ultimi mesi si sono verificate con una velocità di gran lunga superiore, direi impressionante, rispetto a tutte quelle da noi accertate.»

    Le preoccupazioni dei saggi divennero pesanti sotto il carico del resoconto di Loogan. Continuarono ad ascoltare, sperando di non dovere udire altre cattive notizie.

    «Siamo perplessi, inoltre, riguardo a queste specie di piante.» Loogan indicò un altro riquadro che pian piano si ingrandì fino a coprire una parte considerevole dello schermo.

    «Cosa c’è che non va in queste piante?» chiese ancora Diaspro non riuscendo a notare nulla di anomalo nelle immagini e non riuscendo ad interpretare i dati tecnici che le accompagnavano.

    «Quello che non va è tanto semplice quanto strano» rispose Loogan.

    Fece una lunga pausa, durante la quale gli interrogativi dei tre spettatori crebbero pressanti dentro di loro.

    «Queste piante» disse Loogan con sicura cognizione, «non sono mai esistite su Cronhos. Sono nate e cresciute nel giro di pochi mesi.»

    «Sono state piantate da qualcuno? Il risultato di qualche innesto?» domandò Ametista.

    «No» rispose con sicurezza Loogan. «Non normali innesti. Crediamo piuttosto che siano il risultato di complessi esperimenti genetici. La tecnica con cui questi innesti sono stati realizzati è sorprendente, da veri esperti. «Osservate ancora queste razze di animali. Vi sono familiari?»

    Loogan fece in modo di far comparire sullo schermo alcune immagini di animali bipedi, dalla forma umanoide, di bassa statura e non proprio belli a guardare. Avevano corpi pelosi, una bocca con due grosse zanne ed erano muniti di lunghi artigli negli arti superiori ed inferiori.

    I saggi ascoltavano in silenzio. In effetti non avevano mai visto niente di simile su Cronhos.

    «Abbiamo catturato qualche esemplare di queste nuove razze e siamo rimasti stupefatti dal loro grado di intelligenza, ma ancora di più dalla loro aggressività. Sì, la loro intelligenza non è comune. Dopo poche ore passate in loro compagnia abbiamo notato la loro spiccata propensione ad imparare. Test più approfonditi ci hanno permesso di capire che la loro aggressività non è scatenata da qualche cosa in particolare. È come se questi esseri fossero stati programmati per scatenarsi in un momento prestabilito. L’aggressività che mostrano mi ricorda i giochi di preparazione alla lotta dei cuccioli; sembrano dei veri e propri allenamenti preparatori.»

    Loogan fece sparire le immagini e i dati visualizzati sullo schermo per farne comparire altre.

    «Dopo questo» continuò lo scienziato scrollando le spalle ed allargando le braccia, «la sorpresa.» Mostrò gli esseri accasciati senza vita nelle loro gabbie.

    «Sono morti?» intuì facilmente Diaspro.

    «Proprio così: uno dopo l’altro!»

    «Un esperimento non riuscito? Un esperimento in corso?» provò ad indovinare Ametista.

    «Temo che la seconda ipotesi sia quella più veritiera» convenne lo scienziato.

    Di nuovo i saggi si scambiarono impressioni con una preoccupazione che continuava ad aumentare nei loro animi.

    «L’ultima cosa osservata degna di seria considerazione riguarda il reggente del nord e dei funzionari che lo circondano. Sospettiamo che in loro qualche cosa sia stata alterata, anche fisicamente, intendo. Abbiamo bisogno di ulteriori analisi per capire fino a che punto.»

    I saggi cominciarono ora ad intravedere nelle spiegazioni fatte dallo scienziato una trama complessa, articolata. Stava per accadere qualcosa di terribile, qualcosa a cui non erano preparati. Forse, però, erano riusciti ad accorgersene in tempo. In tempo per sciogliere questa trama che appariva da subito misteriosa e complicata, e poteva essere solo l’abile lavoro di un tessitore straordinariamente intelligente, che aveva un piano, un piano ben preciso. Toccava a loro scoprire quale fosse, portarlo alla luce il più velocemente possibile. Dovevano eliminare ogni eventuale pericolo che potesse minacciare anche lontanamente la missione vitale che riguardava non solo il loro destino, ma quello di tutti.

    I saggi rimasero taciturni, ma scambiandosi pensieri chiassosi di considerazioni e congetture più o meno vicine alla verità. Ametista non sembrava più considerare lontana l’ipotesi di un complotto ordito da una mente superiore simile alla loro. Diaspro, dal canto suo, continuava a sperare che quelle prove schiaccianti non lo fossero affatto, ma il suo istinto proverbiale gli impediva di guardare al futuro con serenità.

    Dopo pochi momenti passati a raccogliere le idee, e con i pensieri in continua fermentazione, Diamante disse: «Grazie, Loogan. Continuate nelle vostre ricerche e siate prudenti. Ci rivedremo presto nella valle.»

    «A presto, Dio sia con voi» salutò Loogan mentre lo schermo luminoso andava spegnendosi.

    Diamante tornò a parlare: «I sospetti che avevo non erano infondati; i dubbi sulla sorte di Krun sono ora divenuti più forti. Organizzatevi e partite, ognuno verso la destinazione che sa. È arrivato il tempo che il quinto saggio sia rivelato. Cronhos deve conoscerlo. Sarà dalla nostra parte nel corso finale della nostra vitale missione, fino al ricongiungimento. Ametista: dà forza e coraggio al quinto saggio; rendilo potente! Insegnagli tutto ciò che sai. Quando avrai finito, se Dio lo vorrà, ci incontreremo nella valle che tu sai.»

    «Lo farò, Diamante» gli assicurò Ametista.

    «Ora vai, amico mio» lo incoraggiò il capo dei saggi.

    Ametista camminò verso Dyna, seguito dagli occhi dei suoi amici.

    Subito dopo la dynaquilia fece sentire la sua tremenda voce e, battendo con forza le ali, spiccò il volo sollevando un forte vento e smuovendo foglie e polvere tutt’intorno. Quando la polvere si posò nuovamente insieme alle foglie leggere e colorate, Ametista era già in viaggio per la sua missione.

    Diamante si rivolse all’altro saggio: «E tu, Diaspro, vigila con i tuoi propri occhi sul progetto Destino. Assicurati di ogni cosa e non tralasciare nessun piccolo particolare: la vita di milioni potrebbe dipendere dalla riuscita di questa missione! Vai con coraggio, Diaspro» augurò speranzoso il capo dei saggi.

    «Donerò me stesso per la nostra missione» lo rassicurò Diaspro. Prima di andare, gli chiese: «Tu che farai?»

    Diamante alzò gli occhi in alto scrutando una piccola parte di cielo puntellato di stelle brillanti. Fermò il suo sguardo sulle due lune luminose, nella posizione in cui si potevano vedere tutte e due: rubavano l’intera scena. Sembrò, per un attimo, guardare oltre ciò che poteva vedere con i soli occhi. Sospirò pensieroso, poi rispose: «Se Krun è vivo ed è l’artefice di tutto questo… lo troverò!»

    Diaspro annuì e poi si diresse verso una roccia. Saltò nel vuoto e si ritrovò in groppa all’elegante avkas. Il suo corpo assunse le stesse capacità mimetiche dell’animale. Andò tra gli alberi e sparì confondendosi con la foresta.

    Diamante rimase per un poco da solo a pensare. Poi stese le mani in alto e si alzò un forte vento, come un turbine, che lo circondò. Subito dopo il turbine ed il vento cessarono e là dove c’era il saggio rimasero solo polvere e foglie cadenti.

    Le luci delle sedie si spensero piano, quando anche l’ultimo dei saggi andò via. Dopo poco intorno al luogo del raduno la foresta riprese a vivere la notte ormai inoltrata, e le creature del luogo, padrone di quella buia scena, ripresero possesso della loro casa.

    [1] Unità di misura comparabile al chilometro.

    [2] Animale invisibile.

    [3] Città dei fiori.

    Capitolo secondo - Luce e Cristalli, Le colonne di Cronhos

    Era appena spuntata l’alba nel sud di Cronhos. I soli, ancora deboli, si confondevano con le due lune del pianeta che cedevano la loro gloria agli astri nascenti, dando vita ad una magia di luci e colori che riempiva il cielo d’incanto. I tiepidi raggi del sole rosso e del suo compagno più lontano, iniziavano a riscaldare la costa e, via via salendo più a nord, incontravano colline ondeggianti sempre verdi, vallate irrigue piene di vita, fiumi impetuosi e laghi che specchiavano il cielo. Scintillanti s’infiltravano infine tra i frondosi alberi delle foreste rese forti e rigogliose dal clima umido e temperato che persisteva nel regno.

    Il sud di Cronhos: idealmente a sud rispetto ad un punto imprecisato del pianeta, aveva ricevuto questo nome dai saggi, così come lo avevano ricevuto tutti gli altri regni di quel mondo. Retto da CronhoDan, il reggente, e dalla sua consorte CronhAnge, il sud era un regno prospero e progredito, avanzato dal punto di vista scientifico e tecnologico, nonché militarmente forte. La sua potenza, però, non poteva vantare nessuna conquista se non quella nobile della pace.

    Con forza ed assoluta dedizione, la pace era perseguita dai reggenti che avevano avuto il merito di instillare gli stessi sentimenti pacifici nel cuore del loro unico figlio: il principe Terra. Il giovane, addestrato direttamente dai saggi, aveva dedicato tutto se stesso per il bene e la prosperità non solo del regno del sud, ma di tutti gli altri regni e popolazioni minori del pianeta, e questo sin dalla sua adolescenza.

    Quattrocento anni prima che Terra nascesse, Cronhos era stato un pianeta lacerato da guerre, lotte intestine e rivoluzioni. Gli strascichi e le conseguenze di quei secoli sanguinosi perduravano sino al presente.

    Allora le guerre si placarono con l’aiuto dei saggi che intervennero con tutte le loro straordinarie forze perché la pace regnasse sovrana, al di sopra di tutti i regni e di tutti i reggenti del pianeta e, prima di ogni cosa, al di sopra di ogni ideologia, razza e forma culturale presente sul meraviglioso pianeta. Questo era uno dei motivi che spingeva Terra a tenere in alta stima i saggi: gli era profondamente riconoscente per quanto avevano fatto. I saggi, oltretutto, erano stati suoi tutori sin dalla sua nascita o, come avrebbe scoperto in seguito, in un certo senso anche da prima che lui nascesse.

    Il principe, inoltre, amava la scienza e la conoscenza. Coltivava sin dalla tenera età una passione tutta sua: l’archeologia. Sognava di scoprire quanto fosse accaduto circa novecento anni prima. La storia del pianeta non lo documentava e, per tale ragione, nessuno poteva saperlo.

    Il passato era per la quasi totalità degli abitanti di Cronhos un mistero assoluto. Con l’aiuto dell’Istituto delle Scienze Antiche – un centro di ricerca a nord del suo regno - Terra aveva studiato numerosi manufatti e reperti archeologici di vario genere. Rinvenuti qua e là per il pianeta raccontavano - in maniera frammentaria ed incompleta - brandelli di vita, vissuta a volte con gioia a volte con tristezza da poeti, artisti e scrittori, anch’essi perduti nel vuoto della propria identità, alla continua ricerca di verità ormai sepolte nel tempo.

    Ogni volta che un manufatto antico veniva ritrovato, a Terra batteva forte il cuore e desiderava essere il primo ad esaminarlo. Ma ogni volta, puntualmente, nessuna verità, seppur minima, veniva svelata aldilà dei bui giorni di novecento anni prima. Nonostante i ripetuti insuccessi, Terra era sicuro che prima o poi la verità sarebbe venuta alla luce.

    Quella mattina, nelle sue stanza private, il principe era assorto in alcuni studi scientifici, quando un visore [1] avvertì dell’inizio di una comunicazione emettendo un breve suono.

    Terra parlò guardando in direzione del visore: «Attiva comunicazione.»

    Lo schermo si illuminò mostrando alcune scritte nella lingua di Cronhos:

    Sorgente comunicazione:

    Istituto di scienze antiche.

    Sezione scientifica di Cronhos Sud.

    Divisione: Sezione Archeologica.

    Contatto: Vice Direttore Sezione Archeologica, Dottor Emron.

    Il viso di Terra si illuminò non appena ebbe letto la provenienza del messaggio.

    «Dottor Emron, è un piacere rivederla» lo salutò con entusiasmo.

    Il longilineo studioso con le spalle un poco ricurve chinò leggermente il capo e ricambiò il saluto: «Buongiorno, principe Terra.»

    «Ha qualche buona notizia per me? Avete scoperto qualche altra cosa sul nuovo reperto?» domandò ansioso.

    La faccia di Emron venne inquadrata in primo piano. I capelli grigi e gli occhi chiari accompagnati da un sorriso esprimevano simpatia, ma non erano un’indicazione di buone nuove per Terra.

    «Nulla di nuovo, principe» rispose infatti lo studioso. Premette un bottone su una sorta di telecomando ed uno schermo di luce si ingrandì alla sua destra, presentando un laboratorio con alcuni studiosi indaffarati che si muovevano avanti ed indietro per la sala. Due di loro erano chinati su un antico reperto rinvenuto pochi giorni prima: un pezzo di pietra della lunghezza di circa due mtron [2] , sul quale erano state scolpite una serie di scritte. Il reperto era incredibilmente in buono stato.

    «Possiamo ipotizzare che si tratti di caratteri alfanumerici, anzi, ne siamo sicuri. È il secondo reperto che rinveniamo a breve distanza di tempo contenente iscrizioni in una delle lingue [3]

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