Finestre sull'Anima
Di Jaleta Clegg
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Info su questo ebook
Dieci divertenti storie fantasy e di fantascienza con mistero, romanticismo, viaggi spaziali e magia che vi faranno riflettere e sorridere. Un assaggio di mondi e personaggi diversi. Questa raccolta contiene anche tre esclusive storie mai pubblicate prima.
Jaleta Clegg
I love telling stories ranging from epic space opera to silly horror to anything in between. I've had numerous stories published in anthologies and magazines. Find all the details of my space opera series at http://www.altairanempire.comFor the latest updates on my stories, check out my webpage at http://www.jaletac.comMy current day job involves teaching kids to play the piano. I also love piecing quilts together, crocheting tiny animals, and watching lots of bad 80s movies.
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Anteprima del libro
Finestre sull'Anima - Jaleta Clegg
Soul Windows (Finestre sull’Anima)
Cosa vedresti nell'anima di una persona se la potessi guardare?
Gli occhi sono come finestre sull’anima.
Le labbra di Blake si contrassero in un sorriso ironico.
Il nostro filosofo.
Talbot sollevò la sua tazzina di caffè turco in aria.
E con ciò cosa vorresti dire?
Chiese Jim, ignorando Talbot per sporgersi ulteriormente sul tavolino.
Blake spostò lo sguardo verso Jim come un vecchio uomo che studia l’impulsività giovanile.
Jim lo sfidò con il suo sguardo, sollecitandolo a rispondere, pretendendo un trattamento da pari.
Solo qualcosa che ho sentito oggi nel bazar.
Blake rivolse il suo blando sguardo blu alla ballerina che intesseva magia nella notte afosa.
Blake sente ogni strano pettegolezzo che circola tra gli autoctoni,
disse Talbot. Il suo vero problema è che crede a quello che dicono. Sei stato qui troppo a lungo, vecchio mio.
Disse indicando Blake, che lo ignorò.
Blake lanciò a Talbot uno sguardo seccato, poi si rivolse nuovamente a Jim. E se potessi davvero vedere dentro l’anima di qualcuno, lo faresti?
Rilassati Jimmy.
Talbot diede una gomitata al giovanotto. Beviti qualcosa.
Versò ancora del denso caffè nella tazza di Jim. Miscredenti. Niente alcool
, borbottò sospirando.
Blake ignorò Talbot mentre scrutava la faccia da ragazzo di Jim. Vorresti vedere l’oscurità che si cela nella tua stessa anima, o mostrarla a qualcun altro?
Non c’è niente nel mio cuore di cui possa vergognarmi.
Jim si batté il petto con il pugno.
Ne sei sicuro?
Jim annuì, anche se una punta di disagio gli attraversava il collo. Era come se Blake potesse quasi leggergli la mente, vedergli l’anima nella calda e intensamente profumata oscurità.
Roba da damerini secondo me, cosa che voi non siete.
Talbot finì il suo caffè e balzò in piedi, le sue ginocchia scricchiolarono. Stare seduti per terra a bere questa porcheria è da donnette. Io vado a letto-ciao.
Blake e Jim notarono distrattamente il congedo di Talbot. La musica pulsava intorno a loro, creando un incantesimo seducente, rendendo possibile la magia in quella profonda notte color viola. L’odore permeante di fiori tropicali aleggiava sopra il caffè. La danzatrice si destreggiava in mezzo ai tavoli, delicati nastri ondeggiavano attorno a lei come le falene brulicavano attorno alle candele gocciolanti.
Non tutti nascondono il male, Blake. Esistono innocenti in questo mondo.
Esistono?
Il sorriso ironico era tornato, gli occhi blu di Blake illeggibili.
Che mi dici dei bambini?
Domandò Jim, ora sulla difensiva per ragioni che non desiderava esplorare. Oppure di lei?
Indicò la danzatrice. Il suo viso appariva giovane attraverso il velo sottile, gli occhi grandi e innocenti come quelli di un daino. Non può essere molto più grande di mia sorella. Quale oscuro segreto si cela nella sua anima? Io dico nessuno.
Jim si appoggiò allo schienale, mento in avanti in atteggiamento di sfida.
Ne rimarresti sorpreso, penso.
Disse Blake. Se potessi guardare nella sua anima, ne approfitteresti?
E’ comunque tutto ipotetico. Non esiste modo di guardare dentro l’anima di qualcuno. Gli occhi sono finestre. Fesserie.
Blake si limitò a sorridere. Infilò una mano dentro una tasca e tirò fuori un amuleto curiosamente lavorato. Brillava alla fiamma della candela. Blake lo posò sul tavolo tra di loro. Un oggetto incantato da uno dei maghi del bazar. Dovrebbe aprire le finestre degli occhi così da poter vedere nell’anima.
Cavolate. I maghi sono tutti farlocchi.
La voce di Jim tremò, tradendo i suoi dubbi.
Allora tentar non nuoce.
Jim allungò la mano e poi esitò. La musica pulsava attraverso di lui, gorgheggi e tamburi battenti. Come un cuore che batte misteriosamente nell’oscurità, pensò. Erano successe cose strane da quando aveva abbandonato la noiosa sicurezza della vita a casa per il fascino di avventure esotiche. Blake era qui da molto più tempo. Blake credeva nel fantastico. Nelle caserme spesso lo prendevano in giro per questo. Ma ora, qui, sotto l’incantesimo della musica e dei fiori profumati, alla luce tremolante delle candele, sembrava improvvisamente possibile e per nulla rassicurante. La mano di Jim andò a posarsi sul ciondolo.
Hai paura?
Lo punzecchiò gentilmente Blake. Forse l'innocenza è molto più effimera di quanto pensi.
Jim afferrò l’amuleto, stringendo forte la mano per scacciar via i dubbi. Ci sono più innocenti di quello che credi, Blake.
Forse, o forse no.
Blake scosse la testa come se non importasse. Un avvertimento. Una volta che hai usato l’amuleto, non potrai più tornare quello di prima.
Cosa vuol dire?
Blake scrollo le spalle. Il mago che mi ha venduto il ciondolo è stato piuttosto enigmatico.
Jim rigirò il pendaglio in mano. Era economico, fatto d’alluminio e adornato con pietre di fiume mal lucidate, niente più che un orpello pacchiano somigliante a un occhio. Scritte inanellate si attorcigliavano attorno al bordo esterno. Le lettere si deformavano alla luce tremolante.
L’hai usato?
Domandò Jim. Voleva lasciarlo cadere sul tavolo, dimenticare l’intera conversazione, ma il pensiero di essere deriso come un codardo, impaurito dalla magia di un ciarlatano, glielo fece stringere ancora più forte.
Ho già visto abbastanza anime.
Rispose Blake.
E’ una sciocchezza, una totale assurdità, ovviamente.
Disse Jim, cercando di sembrare coraggioso.
Certamente,
mormorò Blake.
Jim sollevò lo sguardo dall’amuleto e trovò davanti a sé la danzatrice graziosamente inginocchiata al loro tavolo. La musica prese un ritmo più serrato, un nuovo artista intonava acuti penetranti nell’aria notturna.
Ti proverò che non funziona.
La sua mano tremò leggermente mentre teneva l’amuleto sopra la candela che era sul tavolo.
Se non credi che funzionerà, perché hai paura?
Un’oscurità più profonda si diffuse sul volto di Blake mentre incontrava l’ombra della notte. Le sue parole assunsero un significato inquietante mentre si mescolavano ai gemiti pulsanti della musica. Il profumo dei fiori si fece più pesante, soffocando l'aria calda della notte.
Esistono innocenti, Blake
Rispose ostinatamente Jim.
Blake non replicò.
Jim brandì l’amuleto, sfidandolo silenziosamente a funzionare, ad aprire gli occhi della danzatrice, come finestre sulla sua anima.
La ragazza alzò lo sguardo. I contorni di Kohl enfatizzavano i suoi profondi occhi scuri.
Jim strinse forte il ciondolo fissando lo sguardo languido della ragazza. Sorrise mestamente.
Non funziona, Blake.
La musica pulsante si trasformò in un canto che sciamava nelle sue orecchie come tante api. L’amuleto che aveva in mano si agitava rabbiosamente contro la sua pelle. La danzatrice inginocchiata, immobile, occhi spalancati che lo risucchiavano al loro interno, inghiottendogli l’anima. Dandogli in cambio la sua.
Scivolò nella sua mente, nei suoi ricordi.
Si accovacciò in un vicolo, paura martellante nel petto, con un nodo alla gola. Era una bambina, appena oltre l’infanzia.
Si strinse lo scialle, ricordando gli occhi degli uomini, possessivi e avidi. Era andata al mercato solo a prendere il pane per la cena. La mamma l'aveva avvertita di non andare da sola o dopo il tramonto, ma era andata solo per il pane. Gli uomini attendevano nel bazar, spogliandola con i loro occhi inflessibili. Si sentì sporca. Le lacrime colavano lungo le guance. Non aveva fatto niente, ma sarebbe stata colpevolizzata. Sperava solo che gli uomini non la seguissero a casa. Si portò lo scialle sopra la testa, ricordando troppo tardi il codice di sobrietà che la moda dettava. Attraversò le strade buie, pane stretto al petto come uno scudo.
Si sedette in silenzio, smarrita. Suo padre le aveva scelto un marito. Avrebbe voluto protestare dicendo di essere troppo giovane, di amare un altro, ma sarebbe stata una menzogna. Era una donna ormai da otto stagioni, aveva quattordici anni ed era abbastanza grande da sposare l’anziano amico di suo padre. Era grasso, puzzava di sudore stantio, niente a che vedere con l’idea di un bel marito giovane. Si morse le labbra, sapendo che le proteste avrebbero solo portato a percosse e accuse di disobbedienza. Chinò il capo, accettando la volontà di suo padre. Non aveva altra scelta.
Si rannicchiò nell’angolo, singhiozzando sommessamente. Suo marito era andato a bere con gli amici.
Era al sicuro per qualche ora. Si mosse lentamente, con le ossa ancora doloranti dall’ultimo pestaggio. Non aveva fatto nulla per meritarsi la sua rabbia. Non importava. La picchiava ogni volta che gli andava. S’infilava nel suo letto quando gli pareva. Lei era una sua proprietà, niente di più. Sbatté le palpebre mentre la stoffa sfiorava i lividi grossolani. Nuove lacrime di sofferenza le scorsero lungo le guance.
Gridò mentre un’ondata di dolore pervadeva la sua pancia gonfia. La nuova vita lottò per liberarsi. Singhiozzò impaurita mentre i crampi si attenuavano. Si trascinò in mezzo al pagliaio della stalla, cercando sollievo senza trovarlo. L’asino solitario sbatteva assonnatamente le palpebre mentre masticava la sua biada. Si arrampicò sul muretto che separava l’asino dal fieno. Le sue dita si aggrapparono al legno mentre tornavano nuovamente gli spasmi, sempre più forti. Urlò, sola e spaventata. Non c’era nessuno ad aiutarla, nessuno che potesse lenire il dolore che la squarciava. Un’ondata di liquido sanguinolento esplose tra le sue gambe, macchiandole la gonna. Pianse per l’umiliazione mentre il dolore diminuiva. Si appoggiò alla balaustra, togliendosi i capelli sudati e umidi dagli occhi. Il dolore picchiò ancora, più forte e più profondo. Strillò mentre la faceva a pezzi, ancora e ancora, finché un bambino inerte non si stese sulla paglia, tra i suoi piedi. Si chinò, asciugando teneramente il sangue dalla minuscola faccia. Il bambino, un maschio, giaceva immobile, troppo. Nessun respiro muoveva i suoi polmoni. Cullava il suo corpicino e piangeva mentre il sangue si ammassava attorno ai suoi piedi.
Danzava nella notte, componendo fantasie per gli uomini che l’avevano usata e scartata per attendere, dimenticata, un’altra notte un’altra danza un altro uomo. Tratteneva il suo dolore dentro, senza lasciarlo mai uscire. Mostrava la sua forza, sinuosa e flessibile, incessantemente in ogni danza, in ogni caso di abuso o di abbandono. Ballava per il futuro di figlie non ancora nate, evitando loro di vivere nella vergogna e nella paura, di modo che le loro figlie potessero ridere alla luce del sole e conoscessero la felicità.
L’incantesimo si ruppe. Blake passò una moneta alla danzatrice.
Lei allungò il velo a coprire i suoi occhi, dileguandosi nella notte.
Le lacrime scorrevano sul viso di Jim, gocciolando trascurate dal suo mento. L’amuleto cadde dalla sua mano inerte. La luce della candela risplendeva sulle rune magiche.
Un’anima innocente di meno
Disse Blake chiudendo la mano attorno al ciondolo.
Seconde Chances (Second Chances)
Tayvis e Paltronis sono personaggi della mia serie L’Impero Altairan. E’ la prima volta che questa storia appare in stampa.
Paltronis passeggiava nella ristretta cella. Le sbarre vecchio stile sembravano deriderla, precludendole i suoi sogni. La rissa era stata uno sbaglio, poteva ammetterlo, ma la soddisfazione di cancellare il ghigno dal volto di Jevis e dei suoi amici ne era quasi valsa la pena. Quasi, se il comandante Haywarth non l’avesse cacciata dall’Accademia. Si lisciò le maniche della sua divisa da cadetto. Il litigio con Jevis era il quinto negli ultimi due mesi, abbastanza da farla mettere dietro le sbarre. O forse era il numero di ossa rotte che questa volta si era lasciata dietro.
Paltronis diede un calcio alle sbarre per la frustrazione. Il dolore che ne derivò non fece altro che amareggiare ulteriormente il suo umore.
La porta esterna si spalancò. Il secondino entrò, lanciandole una fredda occhiata. Hai visite. Comportati civilmente se hai un minimo di buon senso.
Si spostò di lato, lasciando passare il visitatore. Ultimo avvertimento,
disse lui mentre lasciava il padiglione delle celle.
L’uomo si fermò appena davanti alle sbarre della sua cella, studiandola con i suoi occhi scuri. La sua faccia era una maschera, non lasciava intendere nulla.
Lei piantò i piedi, incrociando le braccia al petto. Non riusciva a nascondere l’atteggiamento belligerante del suo mento. L’uniforme nera e le decorazioni dell’uomo la intimorivano. Un ufficiale degli Esecutori significava che stava rapidamente scivolando verso un territorio pericoloso che comportava incriminazioni penali, non soltanto l’espulsione.
Lui rimase immobile, fissandola e basta.
Paltronis si agitò, aspettando che parlasse. Contrazioni nervose le strisciavano lungo la pelle. L'uomo era alto, sovrastava la sua corta, tozza figura senza nemmeno provarci. Lei distolse lo sguardo, incapace di sostenerlo.
L’hanno mandata a incriminarmi o solo a spaventarmi?
Il suo viso avrebbe sarebbe stato perfetto per i poster di reclutamento, a parte il fatto