In nome della famiglia: Harmony Destiny
Di Jan Colley
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Il petrolio è la loro linfa e il privilegio un diritto di nascita. In un mondo in cui il potere e il denaro sono al centro di tutto, i Fortune scopriranno che l'amore è l'unica ricchezza in grado di salvarli.
Quella sera Skylar Fortune ha sorpreso tutti con il suo look sexy e mozzafiato. E più di tutti ha sorpreso me, che non ho saputo resisterle. Pensavo si trattasse di semplice attrazione fisica, ma adesso so con certezza che c'era qualcos'altro, qualcosa che poi ha cambiato il nostro destino. Ora ho intenzione di chiederle di sposarmi, anche se sono sicuro che lei è troppo testarda e orgogliosa per accettare. Ma non ho intenzione di arrendermi senza combattere e sono disposto a tutto, anche a imbrogliare, per ottenere quello che voglio.
Jan Colley
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
In nome della famiglia - Jan Colley
successivo.
1
Skylar premette Invio e attese che l'orologio internazionale si attivasse.
Sioux Falls, Sud Dakota, USA, lesse sullo schermo. Venerdì, 21.06. Christchurch, Nuova Zelanda. Sabato, 16.06.
Che lui stesse lavorando?
Graffiandosi con le unghie i palmi umidi, trasse un respiro tremulo e al tempo stesso cercò di farsi coraggio. Era passato molto tempo, quasi tre mesi di troppo, e non poteva più tenerlo nascosto.
Telefono, rubrica... le sue dita corsero veloci sulla scrivania, spostando il barattolo delle penne, raddrizzando un fascio di fogli. Doveva prepararsi un drink oppure fare prima un salto in bagno? Se vuoi che un lavoro facile sembri di una difficoltà insormontabile, non devi fare altro che continuare a rimandarlo. Chi lo aveva detto?, si chiese, e in quel momento un colpo alla porta rimise in moto il suo cuore. Un gradito diversivo? Esecuzione rinviata? Ma non sparì il senso di vuoto allo stomaco mentre si alzava, tirandosi la lunga camicia sui pantaloni della tuta.
Era facile evitare la gente, vivendo nel cottage accanto alle stalle, lontano dagli sguardi curiosi degli inquilini della villa padronale. Nessuno si era accorto di niente. D'altronde, non c'era da stupirsi, si disse. Chi mai si accorgeva dell'esistenza di Skylar? Tuttavia, in quel momento, le tornò alla mente l'espressione preoccupata nello sguardo del fratello in una delle rare occasioni in cui lasciava Deadwood per una rapida visita.
«Arrivo» disse. Skylar spalancò la porta e rischiò di svenire.
Zack Manning aprì la bocca, quindi la richiuse con uno scatto secco e rimase a fissarla, mentre un principio di sorriso svaniva in fretta dalla sua bocca.
Il peggiore dei suoi incubi. L'adrenalina le invase l'organismo e Skylar non riuscì a distogliere lo sguardo. Sentì le labbra che si muovevano in una preghiera silenziosa, avvertì la tensione nelle dita, serrate a pugno lungo i fianchi.
Dopo un'eternità, lui abbassò lo sguardo e lo puntò dritto sul suo diaframma. Lasciata libera per il momento, Skylar si accasciò contro lo stipite della porta, ma il suo sollievo fu di breve durata. Increduli occhi grigi tornarono a fissarla in volto, inchiodandola di nuovo, e lei lo osservò mentre impallidiva sotto l'abbronzatura.
Deglutì. «Zack» disse, con una voce che era poco più di un bisbiglio. Nega tutto. Lui non poteva vedere ciò che lei aveva nascosto sotto la lunga camicia di flanella.
«Quando pensavi di informarmi?»
Skylar abbassò la testa e si fissò i piedi. «Ero appena... ero appena uscita da Internet. L'ora internazionale...» Le si spense la voce. Si aspettava che lui le credesse, considerando che era arrivata al quarto mese di gravidanza senza mai prendersi il disturbo di informarlo?
La sommità della sua testa bassa fremette sotto lo sguardo minaccioso di lui. Sospirando, Skylar si fece da parte per permettergli di entrare. Quindi richiuse la porta mentre lui le passava accanto, ma non si voltò subito. Invece, si appoggiò con la fronte contro la superficie di legno, tentando di far ordine nella confusione che le regnava nel cervello. La verità era che non aveva idea di che cosa dire.
Si voltò lentamente. Zack stava misurando a lunghi passi l'anticamera del suo piccolo e accogliente cottage, e sembrava furioso. Si controllava, ma era furioso. La sua figura, alta e slanciata, fremeva per la tensione, e la bocca era serrata in una linea dura.
Lei indugiò presso la porta, augurandosi di non apparire così disperata come si sentiva.
Zack si arrestò di colpo e, chinandosi, si puntellò con le grandi mani sulla pelle consunta del suo vecchio divano. «Ci eravamo protetti... avevamo usato...» La sua voce era atona.
La prima reazione di Skylar fu di sorpresa, perché lui non metteva in dubbio la paternità del bambino e dava per scontato che fosse figlio suo. Subito dopo, si morse il labbro per nascondere un sorriso ironico. Certo, chi poteva desiderarla? Dopotutto, non era ancora vergine quella sera all'inizio di febbraio?
«Il... si è rotto, suppongo.» Tenne il volto basso, incapace perfino di pronunciare quella parola. Sentiva di essere rossa come un peperone. Che angoscia doverne discutere con lui. «Pensavo...» Si interruppe per prendere fiato. «... dev'essere successo quando è arrivata Maya.»
La sua migliore amica aveva fatto irruzione nel cottage, mai chiuso a chiave, nel momento conclusivo. Skylar si era lasciata prendere dal panico ed era schizzata giù dal letto, respingendo Zack mentre si infilava una vestaglia. Maya aveva l'abitudine di salire ed entrare nella sua camera da letto.
«Credo che me ne sarei accorto!» La voce di Zack era bassa, con un sottofondo gelido.
Skylar sussultò, ricordando i bisbigli frenetici mentre lo spingeva nella stanza da bagno e ne chiudeva in fretta la porta. Aveva avuto a malapena il tempo di ficcare i suoi vestiti sotto il letto e di sistemare le coperte prima che una Maya in lacrime entrasse nella stanza.
A parte il sesso fantastico, era stata una ben squallida conclusione per la sua prima volta.
«Me ne sarei accorto!» insistette Zack.
«La luce era spenta» bisbigliò Skylar. La scena di quando lo aveva spinto nel bagno riviveva nella sua mente come un filmato. Lui che allungava la mano verso l'interruttore e lei che gliela allontanava con uno schiaffo. «È probabile che tu non fossi in grado di vedere.»
«E, scusa, non ti è passato per la mente di parlarmene allora?»
«Non ero sicura.» Skylar si strofinò la fronte con un sospiro stanco. Era la sua prima volta, come avrebbe potuto? E anche se avesse avuto dei dubbi, per niente al mondo avrebbe affrontato un argomento così intimo. Non con lui, almeno. «Non... non pensavo di conoscerti abbastanza bene.»
«Non mi conoscevi abbastanza bene?» Il suono aspro che gli sfuggì dalla gola avrebbe potuto essere una risata.
«Non era come se tra noi due ci fosse una relazione» borbottò lei. «Era troppo imbarazzante, parlare di... di cose simili.»
Gli lanciò un'occhiata nervosa e un raggio di speranza la tranquillizzò un po'. La sua bocca era più rilassata. Anche se la collera gli arrossava ancora le guance, la fronte aggrottata denotava più che altro confusione. Forse le credeva.
«Non vedevo niente» disse Zack, come parlando tra sé. «Mi sono limitato a gettarlo via e ho aspettato che tu ti liberassi di Maya.» La fissò con uno sguardo penetrante. «A quel punto, eri molto ansiosa di sbarazzarti anche di me.»
Skylar si avvicinò al tavolo da pranzo e si sedette. «Pensavo che sarei stata risparmiata...» Congiunse le mani come in una preghiera. «... dal momento che era la mia prima volta.»
Quando parlò, il tono di Zack era incredulo. «Skylar, tu allevi cavalli. Vergine o no, capisci senz'altro i rischi del sesso non protetto.»
Contorcendosi le mani, lei annuì con aria demoralizzata.
Chino sul divano, Zack la fissò negli occhi. Era fatta. Il peggio era passato. Skylar gli lanciò diverse occhiate furtive, e i suoi lineamenti, che ricordava così bene, cominciarono ad avere effetto sui suoi sensi già ipersensibili. Zack aveva un tipo di pelle che amava il sole e lei, con la sua carnagione chiara e pallida, aveva un aspetto scialbo, se paragonata alla sua sana abbronzatura. In Nuova Zelanda era estate, mentre il Sud Dakota era appena uscito da un lungo e freddo inverno. Lui portava ancora i capelli biondi corti sulla nuca, ma più lunghi di quanto ricordava ai lati e sulla fronte. In quel momento non erano visibili le fossette che gli si formavano ai lati della bocca. Quelle fossette delle quali lei si era innamorata quasi al primo sguardo.
«Qualcun altro ne è al corrente?»
Skylar scosse la testa. Evitare la famiglia e le sue uscite mensili con Maya non era difficile, essendo quello il periodo più impegnativo dell'anno per l'Allevamento Equino Fortune.
«Quando ti proponevi di dirmelo? Dopo la nascita, o...»
Il sarcasmo di Zack accrebbe il suo senso di colpa. «Mi dispiace.»
«Ti dispiace.» Zack riprese a camminare avanti e indietro per la stanza, come se stesse girando intorno alla sua preda.
«Non ti... ti ritengo responsabile di niente.»
«Come?» La tensione che si avvertiva nella sua voce le fece l'effetto di carta vetrata sui nervi.
«Voglio dire, da un punto di vista finanziario...»
Seguì un silenzio lungo e penoso.
Skylar sospirò, sempre evitando di guardarlo. «Voglio dire, tutto questo non deve pesare su...»
Zack si sedette di colpo, come se tutta l'aria lo avesse abbandonato. «No» disse, come stordito. «Io sono soltanto il padre.»
Era cinereo in volto. Skylar si alzò, con la gola stretta dal senso di colpa. «Vuoi qualcosa da bere?»
«Frequenti qualcuno?» le chiese lui a bruciapelo, sbirciandola da sotto insù.
Skylar si strinse nelle spalle con un sorriso incredulo, come se trovasse ridicola la sua domanda. «No» rispose, torcendosi le mani. «Chi?»
L'espressione sospettosa di Zack era ingiustificata.
«Comunque, che ci fai tu qui? Credevo che non saresti tornato fino all'autunno prossimo.»
«Blake mi ha chiamato» borbottò lui. «Era preoccupato per te, diceva che non eri più te stessa.»
«Non avrebbe dovuto farlo.»
«Fare cosa?»
«Coinvolgerti.»
Zack mostrò i denti in un sorriso privo di allegria. «Dal momento che sono soltanto il padre.»
«Lui non sa niente.»
«Così siamo in due!» ruggì Zack, e Skylar sussultò. Dentro di sé avvertì un guizzo imprecisato, come le era successo soltanto un paio di volte prima di allora, e la sua mano corse d'istinto all'addome.
«Che c'è?» Zack scattò in piedi. «Qualcosa non va?»
Alzando la testa, lei trasalì notando il suo sguardo preoccupato. «No, niente.»
«Perché ti tieni lo stomaco?»
«Il bambino si è mosso.»
La sua espressione la scioccò, come anche il gesto nervoso delle grandi mani mentre se le passava nei capelli.
«Non riesco a crederci. Tu sei... cosa? Al quarto mese di gravidanza, il bambino si muove e io ho soltanto... e io non ne sapevo niente.»
Skylar era sicura che il dolore gli aveva incupito lo sguardo.
«E io non devo averne parte alcuna?» aggiunse Zack, scandendo le parole. «Vuoi escludermi da tutto?»
«Non è così.» Skylar si torse le mani e stropicciò i piedi, non sapendo che cosa fare o dire.
«Credo che accetterò quel drink» sbottò lui dopo un lungo silenzio.
Perché glielo aveva offerto? L'unica bevanda alcolica che avesse mai tenuto in casa era la saltuaria bottiglia di vino se si aspettava una visita di Maya. Il giorno in cui aveva avuto la conferma della gravidanza, si era sbarazzata della bottiglia semivuota che teneva nel frigo.
Scrutò la bottiglia polverosa di un liquore alle albicocche che doveva trovarsi nella sua credenza da tre o quattro anni, e riempì invece un bicchiere d'acqua.
Appena glielo ebbe consegnato, si ritrasse, per sottrarsi alle ondate di collera che sentiva emanare da lui.
Che pasticcio. Le parole mi dispiace le vorticavano nella testa, insieme con priva di tatto, maldestra, stupida. Alla fine, fu lei a rompere il silenzio che era calato tra loro due. «In quale albergo alloggi?»
Zack fece il nome dell'albergo più lussuoso di Sioux Falls, il Seven Hotel, uno dei tanti di proprietà dei suoi fratelli.
Andare a letto con lui era stata la sciocchezza più grossa che avesse mai fatto, anche se, al momento, aveva superato ogni sua fantasia. Avrebbe dovuto limitarsi alla compagnia dei cavalli. Loro non la giudicavano, né la riducevano a una massa tremolante di nervi per la sua goffaggine in società.
«Mi occuperò io di tutto» sbottò alla fine, non sopportando più il silenzio.
Lo udì deglutire a fatica. «È fantastico. Davvero fantastico, Skylar.»
Lei si girò di scatto, punta dall'amarezza della sua voce. La durezza del suo sguardo le fece capire che lo riteneva tutt'altro che fantastico.
«Al bambino non mancherà mai niente» proseguì, sulla difensiva. Era impossibile che lui non lo sapesse. La sua attività le rendeva bene, senza contare la sua parte