Risvegli (eLit): eLit
Di Debra Webb
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Info su questo ebook
L'ex agente dell'FBI Mel Jackson non si rassegna all'idea di aver perso la figlia. Dopo l'incidente stradale, risalente a otto giorni prima, erano finite in ospedale e, nonostante la bambina non fosse apparsa grave, era morta poco dopo il ricovero. Mel vuole approfondire la questione e chiede aiuto alla sua ex fiamma Ryan Braxton, ora impiegato presso la Colby Agency. In passato loro due erano stati più che amici e probabilmente il loro rapporto risente di sentimenti mai sopiti, ma ora la priorità è fare chiarezza su cosa sia successo alla piccola Katlin.
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Anteprima del libro
Risvegli (eLit) - Debra Webb
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Keeping Baby Safe
Harlequin Intrigue
© 2003 Debra Webb
Traduzione di Letizia Montanari
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-007-0
Prologo
Sognò di nuovo il cimitero.
Nella buia notte di ottobre cadeva una fredda pioggerella. Attraverso le grigie nuvole faceva capolino la luna piena, che inondava di un bagliore surreale il camposanto deserto. Una distesa di pietre tombali spuntavano dalla folta erba verde come orrende decorazioni da giardino.
Disposte intorno alla più recente delle tombe c’erano una decina di corone, che formavano una specie di barriera temporanea a difesa dalla cruda realtà. I garofani di una di esse, a forma di cuore, si piegavano sotto il peso della pioggia e dei sette giorni trascorsi da quando erano stati recisi.
Melany si fece largo tra le corone e cadde in ginocchio davanti alla terra smossa di recente. Le sue dita gelide erano strette intorno al manico di legno di una vanga. Gocce di una pioggia fredda e fuori stagione le rigavano le guance. Aveva i vestiti fradici, ma non vi faceva più caso.
Non le importava più di niente.
Serrò gli occhi e tentò di far tacere le grida dentro la sua testa. Esitò, in preda all’incertezza. Il pianto della sua bambina riecheggiava nei recessi più reconditi della sua anima. Melany aprì di colpo gli occhi ed ebbe un sussulto di rinnovata determinazione.
«Sto arrivando, piccola» mormorò, con il cuore che le martellava in petto. «La mamma sta arrivando.»
Affondò la vanga nel suolo molle e umido. Il rumore del metallo che scivolava nella terra la fece trasalire. Stringendo i denti, lanciò di lato una palata di terra, quindi affondò di nuovo la vanga nel suolo, implorando il perdono di Dio mentre proseguiva nella sua opera.
Doveva farlo.
Doveva sapere.
La vanga urtò qualcosa di solido. Melany si sedette sui talloni, tra le pareti fangose della tomba. Una ruga le solcò la fronte. Quello che stava facendo non era giusto. Come poteva esserlo?
Gettò via la vanga e lacrime cocenti le offuscarono la vista mentre tentava di ritrovare la determinazione. Ciononostante, una decina di interrogativi le passarono per la mente. Perché la tomba era così poco profonda? Perché non c’era una sorta di cripta?
Melany fu quasi sul punto di ridere per l’assurdità. Era soltanto un sogno, rammentò a se stessa. Da un momento all’altro, si sarebbe svegliata e di nuovo l’avrebbe afferrata l’angoscia del dubbio.
«No» disse a voce alta. «Tutto questo deve essere reale.» Per un breve istante offrì il viso alla pioggia e si rese conto di non potersi interrompere, anche se si trattava soltanto di un sogno.
Doveva sapere.
Melany scavò freneticamente con le mani, spingendo da parte l’ultimo strato di terra. Le mancò il respiro. La piccola bara bianca era liscia sotto le sue palme. Tutti i dubbi si volatilizzarono dalla sua mente. Restava soltanto il fatto concreto che presto avrebbe saputo. Un gemito angosciato le salì dalla gola mentre si chinava a premere la guancia sulla superficie fredda e levigata. Per un lungo momento, fu sommersa da u-n’ondata di dolore così opprimente da non riuscire a respirare.
«Oh, piccola, piccola, per favore, perdona la tua mamma» mormorò tra i singhiozzi. Le grida ossessionanti divennero ancor più forti nella sua testa, incitandola a non fermarsi. Si alzò in piedi e si strofinò il volto con la manica bagnata e infangata della felpa. Adesso, si ripeté. Doveva sapere, adesso.
Scansò altro fango. Con mani tremanti, fece scattare i ganci e sollevò senza difficoltà il piccolo sportello. Pioggia e fango schizzarono sull’interno di satin rosa e pizzo durante i cinque o sei secondi che il cervello di Melany impiegò per assimilare quello che il suo cuore sapeva già.
La bara di sua figlia era vuota.
Melany si rizzò a sedere di scatto sul letto e si riempì di aria i polmoni. «No!» gridò, quindi nascose il viso tra le mani e scacciò i brandelli rimanenti di quel sogno raccapricciante.
Aveva i capelli bagnati di sudore... oppure era pioggia? Era un sogno... soltanto un sogno. La sua bambina non c’era più. Un singhiozzo le salì dalla gola e le sfuggì dalle labbra.
Non era possibile che la sua bambina fosse morta. Doveva esserci un errore. I sogni... le voci... non poteva essere.
Si passò lentamente le dita nei capelli umidi di sudore. Aveva perso la sua bambina e ora stava smarrendo la ragione.
E se, invece, avesse avuto ragione? Aveva tentato di dir loro che la sua piccola non poteva essere morta. Non era possibile... lei se lo sentiva.
Melany batté le palpebre nell’oscurità della sua stanza. Dentro di lei, tutto si immobilizzò.
E se avesse avuto ragione?
Melany si liberò dal groviglio di lenzuola e annaspò alla ricerca dei vestiti che si era tolta poche ore prima. Le bastavano una torcia e una vanga per porre fine a quel supplizio.
Cinque minuti più tardi, armata degli attrezzi necessari, Melany uscì nella fredda aria notturna e offrì il volto alla leggera pioggia. Proprio come nel sogno, pensò. Ma quella era reale. Trasse un respiro profondo e si diresse all’auto.
«Sto arrivando, piccola» mormorò. «La tua mamma sta arrivando.»
1
«Non abbiamo ancora trovato il corpo.» L’agente speciale di sorveglianza si schiarì la gola. «Ma, da un punto di vista legale, la bambina è morta.»
Ryan Braxton assorbì l’impatto di quelle parole mentre studiava la donna seduta al tavolo sul lato opposto del doppio specchio. Un detective della polizia di Memphis entrò nella saletta degli interrogatori e le offrì una tazza di caffè. Lei la rifiutò.
«Ma lei non ci crede» suggerì Ryan senza guardare l’uomo al suo fianco.
«No» sospirò Bill. «Non crede che sua figlia sia morta o che il suo corpo sia scomparso.»
«Mi occorre un maggior numero di fatti.» Ryan lanciò un’occhiata al suo vecchio amico. Bill se ne stava con le spalle curve, sconfitto. Il vestito era sgualcito per il viaggio e dimostrava di più dei suoi cinquant’anni. Quel caso l’aveva già turbato. Ryan era convinto che niente avrebbe mai più potuto scioccarlo ma, considerando la donna che vi era coinvolta, anche lui provava un certo nervosismo. Era quello il motivo per cui aveva lasciato l’FBI ed era andato a lavorare per la Colby Agency. Non voleva più occuparsi di quel genere di casi.
«L’incidente risale a otto giorni fa» iniziò Bill. «Melany è rimasta in coma per quarantott’ore.» Si strinse nelle spalle, rassegnato. «C’è stata un po’ di confusione con la sua TAC. Le avevano diagnosticato una lesione al cervello, inoperabile. La morte era considerata imminente.»
Ryan strinse i denti per trattenersi dal reagire. Era un professionista e da lui ci si aspettava che non mostrasse sentimenti personali. Diamine, ci si aspettava che non avesse nemmeno sentimenti personali. Badò a mantenere lo sguardo concentrato sulla scena al di là del doppio specchio mentre Bill proseguiva.
«Mentre Mel era in coma, sua figlia è morta. Un’amica...» Bill estrasse dalla tasca della giacca un piccolo taccuino e prese a sfogliarne le pagine finché trovò quella che cercava. «Una certa Rita Grider si è occupata di far seppellire la bambina in un cimitero del posto, non essendoci motivo di aspettare che Mel si riprendesse. Diamine, ha perfino dato disposizioni perché Mel venisse seppellita accanto alla figlia. Poi, la mattina seguente, con grande sorpresa di tutti, Melany si è svegliata.» Bill guardò attraverso il vetro la donna seduta dall’altra parte. «Puoi immaginare la sua disperazione.»
«Hai una copia del certificato di morte?» chiese Ryan, controllando con cura la voce.
Bill infilò di nuovo la mano in tasca e ne estrasse un documento piegato. Ryan lo prese, lo aprì e lesse le informazioni che gli interessavano. Causa diretta con conseguente decesso: Arresto cardiaco attribuito a emorragia interna. Ripiegò il documento e lo infilò nella tasca della giacca. Non guardò l’età della bambina né il nome del padre. Non voleva sapere quanto tempo dopo averlo lasciato Melany aveva trovato un altro uomo. E di sicuro non voleva conoscere il nome di quell’uomo.
«Qualche informazione sul tizio che ha provveduto alla sepoltura?» Si concentrò sul caso piuttosto che sulla donna che, due anni prima, gli aveva spezzato il cuore. Guardandola ora, gli sembrava tutto surreale.
Bill sfogliò qualche altra pagina del suo fedele taccuino. «Stando alle parole del responsabile dell’impresa delle pompe funebri» disse, rileggendo i suoi appunti, «Garland Hanes gode fama di forte bevitore e spesso non si presenta al lavoro. A quanto pare, è scomparso subito dopo aver interrato quella bara vuota.» Bill sospirò. «Diamine, nessuno se ne sarebbe accorto se Melany non l’avesse dissotterrata.»
L’immagine che la mente di Ryan evocò di Melany mentre scavava nella terra l’avrebbe tormentato per il resto della sua vita. Benché non avesse assistito di persona alla scena, aveva visto troppe volte il genere di dolore e di disperazione che ci voleva per spingere una persona a gesti così estremi. Soltanto un altro quadro angosciante da aggiungere alla sua già nutrita collezione, acquisita a duro prezzo. Quel caso, però, era diverso. Conosceva quella donna. La conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso. Aveva fatto l’amore con lei. Le aveva confidato i suoi segreti più intimi... l’aveva amata.
Stava facendo un errore. Non avrebbe dovuto trovarsi lì. Lui, più di chiunque altro, sapeva che non era saggio lasciarsi coinvolgere in un caso in cui aveva un interesse personale. Bill non avrebbe mai dovuto interpellarlo per una questione che lo riguardava così da vicino.
Non era l’uomo giusto. «Non sono sicuro di dover...»
«Ascolta» lo interruppe Bill. «So che non avrei dovuto chiederti di venire qui, ma lei è una delle nostre...»
«Era una delle vostre. Devo ricordarti che nessuno dei due fa ancora parte dell’FBI?» lo corresse Ryan mentre riportava l’attenzione sulla donna. Contrasse la mascella, trattenendo l’antica collera che trapelava tuttora dal suo tono. Melany Johnson aveva rinunciato alla sua carriera nell’FBI il giorno stesso in cui l’aveva lasciato. E da allora, non si era mai voltata a guardarsi indietro. A quanto pareva, era stata troppo impegnata.
«Braxton, sei un bastardo dal cuore di pietra, lo sai, vero?»
Ryan spostò di nuovo l’attenzione dalla saletta degli interrogatori al suo vecchio amico. «È quello che mi dicono. Ma, ai tempi dell’FBI, quando mi chiamavano per un caso in genere si trattava di trovare un bambino scomparso, non uno che è già stato dichiarato morto e quindi seppellito.»
Un lampo d’ira si accese negli occhi di Bill. «Non possiamo essere sicuri che la bambina sia morta.»
Ryan si rimangiò la prima risposta che gli salì alle labbra. La sua storia con Bill era complicata quasi quanto quella con Melany. Represse le emozioni che gli serrarono all’istante il torace in una morsa al pensiero di lei. Dannazione. Che fine aveva fatto il suo autocontrollo? Un muscolo gli guizzò nella mascella contratta. Non avrebbe permesso che sentimenti personali interferissero nell’analisi della situazione. E, dal momento che si trovava lì, tanto valeva esprimere la propria opinione.
«C’è un certificato di morte firmato dal medico di turno» disse in tono pacato, sapendo che, al momento, Bill si rifiutava di ragionare. Ryan non era l’unico a dover combattere con sentimenti personali. «Direi che è una prova sufficiente.»
Bill raddrizzò le spalle con un’espressione ostinata che Ryan conosceva bene per aver lavorato molti anni con lui nella stessa squadra. «Dannazione, vecchio mio» sbottò Bill, «abbi un po’ di fiducia in Mel. Ci siamo occupati di un numero sufficiente di vicende simili per sapere che, in casi eccezionali, il legame tra madre e figlio è così forte che ognuno dei due avverte se l’altro è in una situazione critica. Mel potrebbe aver ragione.»
Era vero, fino a un certo punto, ma il più delle volte era soltanto un’illusione. Ryan distolse lo sguardo. Non voleva vedere l’ansiosa determinazione negli occhi del suo vecchio amico, e di sicuro non voleva vedere l’angoscia di Melany. Aveva notato quell’espressione troppe volte e su troppi visi. La perdita di un figlio era un’esperienza devastante, dopo la quale non si ritornava più a essere quello di un tempo. Ryan scacciò l’interminabile sequenza di ricordi che in ogni occasione possibile tentavano di ossessionarlo. Non avrebbe dovuto essere lì. Ma cosa poteva fare? Si trattava di Mel. Aveva bisogno di lui. Poteva voltarle le spalle e andarsene?
«D’accordo» ammise, sapendo che avrebbe dovuto parlare con Victoria Colby per chiedere un permesso. Non essendo impegnato in un caso, era certo che non sarebbe stato un problema.
Stava commettendo un errore. Lo sapeva. Lo sapeva anche Bill. Lo sguardo di Ryan si spostò di nuovo su Melany. Ma non poteva lavarsene le mani. Glielo doveva, almeno questo. Per tre anni aveva preso tutto quello che lei aveva da dargli, con la consapevolezza che non le avrebbe mai dato l’unica cosa che lei desiderava con tutto il cuore. Si sforzò di scacciare quei pensieri dalla mente. In ogni caso era ovvio che lei l’aveva dimenticato ed era andata avanti con la propria vita.
L’idea di Melany con un altro uomo era come una pietra che gli pesava sullo stomaco. Ma non poteva ignorare i fatti. Dall’ultima volta che l’aveva vista, lei aveva avuto una figlia con qualcuno.
«Tutto quello che abbiamo al momento» ragionò Bill a voce alta con tutta l’obiettività di cui fu capace, «è la parola di Mel contro quella di chiunque altro che sua figlia è viva.»
Bill chiuse il taccuino e lo rimise in tasca. Quella volta, invece di guardare Ryan, fissò la donna alla quale erano entrambi molto affezionati. «Questo è tutto» concluse, rassegnato.
«Bene, allora cominciamo da quello che abbiamo» replicò Ryan, allentandosi la cravatta.
Osservò Melany per qualche secondo ancora prima di uscire dalla stanza. L’unica cosa che rendeva la situazione del tutto diversa era Melany. Era una madre che stava vivendo il genere di angoscia che tutte le madri pregano di non dover mai conoscere. Ma Melany Johnson non era come le altre madri. Aveva ricevuto lo stesso addestramento di Ryan. Come lui, si era occupata dello stesso genere di casi e aveva assistito allo stesso tipo di angoscia. In cuor suo Ryan sapeva che, per quanto spinta oltre ogni limite dalle circostanze, a un certo punto quell’istinto connaturato entrava in azione.
Se Melany era convinta che la figlia fosse viva, lui avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per aiutarla a scoprire la verità.
Indipendentemente dalla natura di quella verità.
Melany se ne stava seduta come una statua, con tutta l’attenzione concentrata a tenere a distanza i pensieri e le immagini degli ultimi due giorni. Malgrado i suoi sforzi, continuavano a riecheggiarle nella testa brandelli dei nervosi colloqui con Bill. Rumori del reparto di psichiatria del Memphis General. Il mormorio di voci e il costante andirivieni nei corridoi... porte che sbattevano. Gli scatti netti di serrature che giravano... pazienti che si lamentavano. E l’odore. Dio, l’odore. Deglutì a fatica. Di