Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Nobili equivoci
Nobili equivoci
Nobili equivoci
E-book250 pagine3 ore

Nobili equivoci

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Londra, 1818.
Il Duca di Westmoor sopporta stoicamente il peso di un titolo che non gli appartiene ma che ha ereditato alla morte del padre e del fratello, in seguito a un tragico incidente in carrozza di cui le malelingue lo accusano di essere il mandante. Il senso di colpa accompagna le sue giornate, tanto che ormai evita ogni occasione mondana.
L'unico luogo in cui riesce a regalarsi qualche ora di svago è il club che gestisce con gli amici di gioventù, ed è proprio qui che una sera si ritrova a danzare con una misteriosa lady mascherata che diventa da subito il centro dei suoi pensieri. Quello che non può immaginare è che la donna di cui si è infatuato non è una delle nobili che frequentano abitualmente il locale all'insaputa dei mariti, ma una delle sue dipendenti, una domestica a cui non ha mai dedicato più di uno sguardo.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ago 2018
ISBN9788858986226
Nobili equivoci
Autore

Ann Lethbridge

Ann Lethbridge majored in history and business. She always loved the glamorous, if rather risky, Georgians and in particular the Regency era as drawn by Georgette Heyer. It was that love that prompted her to write her first Regency novel in 2000. She found she enjoyed it so much she just couldn’t stop! Ann gave up a career in university administration to focus on her first love, writing novels and lives in Canada with her family. Visit her website at: www.annlethbridge.com

Correlato a Nobili equivoci

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Nobili equivoci

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Nobili equivoci - Ann Lethbridge

    successivo.

    1

    Entrando negli alloggi privati dei proprietari del club per gentiluomini Vitium et Virtus, Jake, Duca di Westmoor, soffocò un gemito alla vista degli altri due membri fondatori, sprofondati nelle massicce poltrone di pelle intorno a un tavolino basso. Una delle due rimaste libere era la sua. Sulla quarta era posata una piccola scatola dorata.

    «È per questo che mi avete fatto chiamare?»

    Anche da seduto, Frederick Challenger aveva un'aria militare. Alle parole di Jake, lo fissò con gli intensi occhi castani. «Forse a Vostra Grazia è sfuggito che oggi è il sesto anniversario della scomparsa di Nicholas.»

    Jake si irrigidì all'uso del suo titolo. In effetti si era dimenticato della ricorrenza, preso com'era dagli affari del ducato, ma non l'avrebbe ammesso. «Pensavo avessimo superato la cosa.» Aveva abbastanza perdite da lamentare, a casa, senza aggiungerne altre nell'unico luogo che considerava un rifugio.

    «Siedi, Westmoor» lo invitò Oliver, l'altro membro del gruppo, gli occhi verdi che mandavano scintille sul volto dalla pelle scura.

    Jake sospirò, ma fece come richiesto. Non desiderava alienarsi quegli uomini, i suoi amici di più lunga data. Senza di loro non sarebbe sopravvissuto alla perdita del padre e del fratello. Guardò la teca dorata sull'altra poltrona. Conteneva l'anello di Nicholas, l'ultimo ricordo del socio fondatore scomparso. Sembrava quasi impossibile che fossero già passati sei anni. A quei tempi, avevano appena superato la maggiore età, e adesso tre di loro avevano passato la trentina. Gli anni erano volati in un baleno.

    Eppure il ricordo delle tracce di sangue che avevano trovato nel vicolo dietro il Vitium et Virtus e l'anello con il sigillo di Nicholas gettato nel fango non era meno violento.

    Oliver si protese in avanti e posò il palmo al centro del tavolo. Seppur controvoglia, Jake posò la mano sopra quella di Oliver, e Frederick aggiunse la sua alla pila.

    «In Vitium et Virtus» recitarono, come il gruppo di studenti che erano stati quando avevano dato inizio a quella stupida impresa. Nel vizio e nella virtù. Anche dopo tutto quel tempo, il motto suonava stranamente mutilato senza la voce di Nicholas.

    Ritirando la mano, Jake prese il bicchiere di brandy e lo sollevò in un brindisi verso la poltrona vuota. «Agli amici assenti.»

    Gli altri lo imitarono.

    «In paradiso o all'inferno...» continuò Oliver, ripetendo le parole che pronunciavano ogni anno da sei anni.

    «... o da qualche parte nel mezzo...» intonò Frederick.

    «... sappi che ti auguriamo ogni bene» conclusero insieme. Come se qualcosa di così insensato potesse riportare indietro l'amico.

    Vuotarono i bicchieri, fissando il posto vuoto.

    «Ero sicuro che rispuntasse fuori entro la fine dell'anno, dicendo che era uno scherzo» osservò Fred.

    «Se fosse stato così, sarebbe stato uno scherzo di pessimo gusto perfino per Nicholas» commentò Oliver, gli occhi offuscati dal dolore della perdita che provavano tutti. Una delle tante, nella vita di Jake, una peggiore dell'altra.

    «Sarebbe stato nel suo stile» commentò Jake mettendo a tacere l'impeto di collera che l'aveva colto di sorpresa. «Nicholas ha sempre amato gli scherzi stupidi. Come questo club, per esempio.»

    Turbato, si passò la mano sul mento e sentì la ricrescita della barba. Non si era rasato quel mattino? Sicuramente sì.

    «Ho sentito che suo zio ha fatto domanda alla Camera dei Lord perché dichiarino vacante il titolo.» Fred roteò il bicchiere vuoto tra i palmi. «Quel vile non vede l'ora di prendere il suo posto. Non mi sorprenderebbe se si fosse liberato di lui per poter mettere le mani sulla tenuta.»

    Jake trasalì, ma mantenne il volto impassibile.

    «Non dire idiozie, Fred» sbottò Oliver fulminandolo con lo sguardo.

    Evidentemente Jake non era riuscito a ingannare gli amici.

    Fred arrossì guardandolo in volto. «Andiamo» si scusò, «sai bene che non l'ho mai pensato davvero.»

    Jake liquidò la questione con un cenno della mano. «Certo che no.» Altri, però, avevano sussurrato la parola omicidio alle sue spalle. E lui stesso non si riteneva del tutto innocente.

    Il ricordo della notte in cui il padre e il fratello erano morti tornò ad assalirlo in tutto il suo orrore. La perdita. Il senso di colpa. Si appoggiò allo schienale per prendere le distanze dagli sguardi comprensivi degli amici.

    Non meritava la loro comprensione.

    Oliver lo guardò aggrottando la fronte. «Hai proprio un brutto aspetto, Jake. Quando è stata l'ultima volta che hai tagliato i capelli?»

    Non riusciva a ricordare. «Non sono affari tuoi.»

    Un suono di fischi e risate li raggiunse attraverso la pesante porta di rovere che separava gli alloggi dei proprietari dalle sale pubbliche del club.

    Grato della distrazione, Jake inarcò un sopracciglio. «Che cosa sta succedendo là fuori?»

    «È la serata della scelta del partner» gli spiegò Fred.

    Bell, l'ex maggiordomo dalla calvizie incipiente, ora direttore del Vitium et Virtus, aprì la porta e il rumore si fece assordante.

    «Vi prego, signori» li esortò con espressione preoccupata, «uno di voi dovrebbe intervenire e ristabilire l'ordine. Un gentiluomo insiste per avere cinque donne insieme, e nessuna è interessata. Ho spiegato le regole, ma non sente ragioni. Diversi gentiluomini hanno scommesso su di lui e insistono.» Ritirandosi, richiuse la porta senza far rumore.

    «Maledizione!» grugnì Jake. «È ora che chiudiamo questo posto una volta per tutte.» Certo non si addiceva alla sua nuova posizione. Lanciò un'occhiata al posto vacante. «Se non fosse l'unico luogo che potrebbe riportare indietro Nicholas, sarei per chiuderlo subito.» Il club era stato un'idea di Nicholas, che ne era stato anche il finanziatore principale.

    «Vado io.» Fred raccolse la maschera e il mantello, obbligatori per l'ingresso al club. Anche se gli ospiti potevano sospettare la loro identità, loro tre non avevano mai ammesso di essere i proprietari.

    Oltrepassando Jake, gli rivolse un'occhiata di scuse. «Acqua passata?» domandò in tono conciliante.

    «D'accordo» acconsentì lui con un sorriso forzato. «È un bene che Nicholas non fosse presente, altrimenti mi avrebbe tormentato per settimane.»

    Fred si affrettò a uscire, mentre il rumore al di là della porta non accennava a diminuire.

    Oliver si alzò. «Ti avrebbe tormentato anche per il tuo aspetto. Datti un'occhiata allo specchio, quando ti capita. Da White's non ti lascerebbero entrare.»

    Jake si passò una mano sul mento. «Per fortuna il Vitium et Virtus non è così esigente. Dove stai andando? A casa?»

    L'amico gli rivolse un'occhiata maliziosa. «Prima o poi. E tu?»

    Jake fece una smorfia, invidiando il sorriso spensierato dell'amico. Provava una morsa allo stomaco all'idea di tornare alla casa di famiglia, ma non aveva altra scelta. Il dovere, sempre il dovere. «Tra poco.»

    Doveva rientrare presto. Sua nonna aspettava che le desse la buonanotte. E poi lo guardava con una tale tristezza...

    Prese il decanter e si versò un altro bicchiere del brandy migliore.

    «Ti va di parlarne?» gli chiese Oliver, guardandolo con comprensione.

    «Non sono dell'umore giusto per la compagnia» rispose Jake. Lo era di rado, ormai.

    Solo quando udì la porta che si richiudeva, si rese conto che Oliver era uscito. Mandò giù il brandy in una sola sorsata, ne versò un altro e si diresse verso l'ufficio. Ultimamente, il lavoro e il brandy erano le uniche cose che lo aiutavano a dormire.

    Rose ripose l'ultima pila di piatti nella credenza, si tolse il grembiule e allungò le braccia per allentare i muscoli contratti della schiena.

    «Hai finito, Rose?» Mrs. Charity Parker, la governante del V&V, come lo chiamavano i domestici, esaminò con occhio critico la cucina.

    «Sì, Mrs. Parker.» Rose esitò, chiedendosi se ci fosse altro da fare.

    L'espressione severa della donna si addolcì un po'. «Vai pure a raggiungere le tue amiche nella sala verde, allora, ma non stare su tutta la notte a cucire per loro. E stai attenta, Rose. La festa non è ancora finita» aggiunse prima di allontanarsi.

    Rose sorrise alle sue spalle. Mrs. Parker abbaiava, ma mordeva di rado. Comunque aveva ragione. A quell'ora della notte i soci del club erano spesso alticci e potevano dare la caccia anche a una cameriera scialba come lei. Rose non voleva certamente rischiare di perdere il posto per aver infranto le regole.

    Mrs. Parker e Mr. Bell erano molto severi, ma anche protettivi nei confronti dei loro sottoposti.

    Era uno dei motivi per cui si riteneva fortunata ad aver trovato quella posizione. Il salario era il migliore che avesse mai ricevuto e, soprattutto, non era costretta a vivere lì, come faceva quando lavorava come cameriera in casa di un gentiluomo. Le cameriere non erano mai al sicuro dalle attenzioni di uomini incapaci di tenere le mani a posto, e Rose aveva lasciato le ultime tre posizioni per quel motivo.

    Adesso, se non altro, aveva un posto tutto suo, per quanto misero. Anche in casa delle famiglie più gentili e rispettose, si era sentita sempre un'intrusa, la spettatrice di una felicità che lei non aveva mai conosciuto. Era determinata ad avere una famiglia tutta sua, un giorno.

    Basta sognare, si ammonì. Meglio sbrigarsi, se voleva fare qualche rammendo, prima di andare a casa.

    Entrò nella sala verde inosservata. Naturalmente non era verde. L'ampia stanza nel seminterrato sul retro della casa, con gli specchi alle pareti bianche e azzurre, era il luogo in cui le donne che si esibivano al V&V indossavano i costumi di scena, provavano i numeri e si riposavano quando non erano richieste sul palco.

    Grazie al cielo, lì non c'erano i disegni e gli affreschi osceni che ricoprivano le pareti e il soffitto del club, né le statue. Con il tempo Rose si era abituata persino a spolverarle, ma all'inizio non sapeva dove guardare.

    La sala verde era tutt'altra cosa. Rose amava quella stanza piena di chiacchiere e risate, dove le giovani donne volteggiavano e canticchiavano nei loro costumi dai colori vivaci. Non era come le stanze anonime dell'orfanotrofio in cui era cresciuta, né come le cucine e i salotti della servitù dove aveva lavorato dopo che aveva lasciato l'istituto. In quei posti, tutti sembravano aver paura della loro ombra e parlavano sussurrando.

    Si lasciò cadere sul vecchio divano di crine e tirò fuori l'occorrente per cucire, poi frugò nel cesto degli indumenti da rammendare ed estrasse un paio di calze bucate. Le piaceva aiutare le ragazze, che ripagavano i suoi sforzi con qualche penny occasionale.

    Da lì osservava il loro andirivieni mentre riposava i piedi doloranti, prima di tornare a casa. Con un sospiro si slacciò gli stivaletti e massaggiò le piante prima di raccogliere i piedi sotto le gonne.

    Un attimo di pace, finalmente.

    «Speravo che saresti venuta.» Fleurette, il cui vero nome era Flo, si lasciò cadere accanto a Rose. I bei capelli dorati avevano ancora l'elaborata acconciatura che le aveva fatto Rose. Flo era stata la prima a domandarle di aiutarla con i capelli e, quando le altre ragazze avevano visto il risultato, erano andate anche loro a chiederle aiuto. Rose faceva quello che poteva, ma Mrs. Parker le lasciava solo pochi minuti liberi durante il turno di lavoro. Era stato in quelle pause che le era nata l'idea di diventare la cameriera personale di una gentildonna, o di fare la sarta.

    Flo fece uno sbadiglio, poi uscì in una risata. «Sono così stanca che potrei addormentarmi qui.»

    A Rose era piaciuta subito Flo, e la simpatia sembrava reciproca. Per la prima volta, Rose sentiva di avere una vera amica.

    Le amicizie non erano state incoraggiate all'orfanotrofio. Non erano lì per divertirsi, insistevano le suore, ma per imparare a rendersi utili, da adulte.

    «Avevi bisogno di qualcosa?» chiese all'amica.

    Flo fece una smorfia. «Ho indossato l'abito rosso nuovo per il primo numero, e il tacco mi si è impigliato nell'orlo. La vecchia strega mi multerà quando vedrà il danno.» Tutte le ragazze chiamavano la capo guardarobiera vecchia strega.

    «Dallo a me. Lo aggiusterò e lo accorcerò, in modo che non inciampi.»

    «Mi sento in colpa a chiedertelo. Sei qui da ore...»

    «E tu ne hai bisogno per domani. Lo faccio volentieri.»

    «Ti pagherò.»

    «No! A che cosa servono gli amici?»

    «Pagherei molto di più se la vecchia strega lo scoprisse.»

    «Non è giusto che vi multino per un incidente. Gli abiti non sono nuovi. Comunque non preoccuparti, lo rammenderò prima di andare a casa.»

    Flo si protese a darle un bacio sulla guancia. «Sei un angelo. Vado a prenderlo. E non fare più rammendi o acconciature gratis per nessuno.»

    «Lo faccio perché mi piace.» E perché le dava la speranza di poter essere qualcosa di più di una sguattera, un giorno. La speranza che la gente non la guardasse con disprezzo perché sfregava i pavimenti e lavava i piatti, e per di più era una figlia illegittima.

    Poco dopo Flo fu di ritorno con un abito rosso acceso, adorno di fiori di seta al collo e all'orlo.

    Rose prese fra le dita il tessuto sottile, facendo attenzione a non tirare un filo con la pelle screpolata e le unghie rovinate. «Lasciamelo, te lo faccio subito.»

    «Flo» chiamò una delle ragazze, «il tuo gentiluomo ti aspetta alla porta sul retro.»

    Rose vide un'ombra passare sul volto dell'amica, la quale subito dopo le rivolse un sorriso impertinente. «Sua Signoria mi porta fuori a cena, stasera» annunciò, affrettandosi a uscire.

    Le ragazze avevano il permesso di uscire con i membri del club, purché fossero discrete e non chiedessero né facessero nomi. Flo viveva nella speranza che Sua Signoria, come chiamava il suo amante, le chiedesse di sposarlo. Rose l'aveva messa in guardia, dopo aver scoperto un paio di lividi che l'amica aveva giustificato come conseguenze di una caduta.

    A sua volta Flo le aveva spiegato come evitare gravidanze non volute, per ogni evenienza.

    Rose infilò i guanti di cotone sottile che usava per non rovinare gli indumenti di seta e si mise al lavoro.

    A poco a poco i rumori che la circondavano svanirono, la candela nella nicchia alla parete rimase l'unica accesa e una pendola batté le ore.

    Le quattro del mattino! Di già? La riparazione aveva richiesto molto più tempo di quanto si fosse aspettata. Rose tagliò il filo e sollevò l'abito alla luce. Era molto femminile e di certo era all'altezza di quelli che indossavano le gentildonne che di tanto in tanto visitavano il club, anche se era un po' audace.

    Come sarebbe stato essere una di quelle signore e vivere una vita di agi e di lusso? Flo sosteneva che era la noia ad attirarle al V&V, per l'emozione di perdere centinaia di sterline ai tavoli da gioco o di un tête-à-tête con uno dei giovani membri.

    Si alzò, massaggiandosi la schiena dolorante. Era il momento di tornare a casa, se voleva avere qualche ora di sonno. Portò il vestito di Flo al cassettone pieno di costumi da scena. Sopra c'erano una maschera di lustrini rossi che copriva la metà superiore del volto, abbinata al vestito, e un paio di guanti. Mentre Rose spostava la maschera, colse la propria immagine allo specchio, stanca e scialba.

    Sorridendo, drappeggiò l'abito davanti a sé e sporse un piede, lasciando che il tessuto rosso le avvolgesse la caviglia. Quando si voltò per guardarsi di lato, l'immagine venne rovinata dalla vista del triste vestito marrone che indossava. Guardò l'abito rosso. Forse avrebbe potuto provarlo, prima di riporlo, solo per vedere come sarebbe stata con un abito così elegante.

    Si sfilò il vestito e indossò l'altro, infilandolo dalla testa. Nello specchio avvenne una magica trasformazione. Gli occhi sembravano riflettere la luce del tessuto e la figura sembrava più armoniosa. Se non fosse stato per il volto anonimo che la fissava, avrebbe potuto pensare di essere graziosa.

    Rimosse il fazzoletto che portava sul capo, ma, con i capelli raccolti in un severo chignon, faceva poca differenza. Sfilando le forcine, li lasciò ricadere sulle spalle, poi, con un sorriso malizioso, indossò la maschera.

    Si guardò allo specchio, girandosi da una parte e dall'altra. Meglio. Molto meglio. Sembrava quasi una delle ragazze che si esibivano e, con un po' di immaginazione, addirittura una gentildonna. La scollatura non era eccessiva come aveva temuto. Era profonda, ma niente affatto indecente. Mancavano solo i guanti, e Rose se li infilò.

    Socchiudendo gli occhi, girò su se stessa canticchiando uno dei brani che aveva sentito suonare nella sala da ballo, fingendo di danzare con un affascinante gentiluomo.

    I dolori ai piedi e alla schiena erano scomparsi.

    Dopo essere passato a salutare sua nonna, Jake superò una carrozza ferma davanti alla porta del Vitium et Virtus, di sicuro in attesa di qualche nottambulo. Di solito erano le signore a tenere a disposizione la carrozza, pensò mentre aggirava l'edificio, diretto all'ingresso riservato ai proprietari del club.

    Il portiere, Ben Snyder, fece un inchino. «Buonasera, Vostra Grazia.»

    Con un grugnito, Jake appese cappotto e cappello su uno dei quattro ganci a forma di fallo che avevano comprato in blocco per l'apertura del club. Snyder gli porse una maschera e si ritirò.

    Senza dubbio l'uomo aveva notato la sua irritazione e pensava che fosse diretta contro di lui. Doveva tenere sotto controllo le emozioni, ma era più forte di lui. Ogni volta che si sentiva chiamare Vostra Grazia, il primo istinto era quello di guardarsi intorno in cerca del padre. Detestava quel titolo, che era un costante richiamo alla morte del padre e del fratello.

    Era anche il motivo per cui si trovava lì, anziché nella residenza ducale. Sperava che il lavoro sui libri contabili e un paio di brandy lo spedissero tra le braccia di Morfeo.

    «C'è ancora qualcuno al piano di sopra?» chiese al portiere.

    «Poche persone, Vostra Grazia» rispose l'uomo. «Nella sala giochi e nelle stanze private al piano superiore. Volete che li mandi via?»

    «No. Non ci sono per nessuno. Non desidero essere disturbato, nemmeno se andasse a fuoco il palazzo. Intesi?»

    «Come volete, Vostra Grazia.»

    Il portiere aggiunse sottovoce: «Come sempre», ma Jake finse di non aver udito. Percorse a lunghi passi il corridoio deserto, con le sue statue erotiche e gli affreschi che sembravano guardarlo male, poi scese le scale di servizio, che l'avrebbero portato all'altra ala della casa e a un'altra rampa di scale che conduceva agli alloggi dei proprietari. In questo modo avrebbe evitato di incontrare qualcuno dei

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1