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La mia romantica vacanza da sogno
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La mia romantica vacanza da sogno
E-book406 pagine6 ore

La mia romantica vacanza da sogno

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Info su questo ebook

«Coinvolgente... Una storia ricca di magia!»

Dall’autrice del bestseller La promessa di Natale

Alexia Kennedy, vero talento nella decorazione d’interni, ha ricevuto un incarico molto speciale: creare per la piccola comunità di Middledip la caffetteria che tutti aspettano da anni. Dopo mesi di raccolta fondi, infatti, gli abitanti non vedono l’ora di veder iniziare finalmente i lavori. Ma i loro sogni vengono distrutti quando qualcuno ruba fino all’ultimo penny dei soldi raccolti. Alexia sta quasi per darsi per vinta, ma a volte l’aiuto più prezioso arriva in modo del tutto inaspettato. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare, infatti, che il tagliaboschi Ben Hardaker si sarebbe messo a disposizione della collettività, insieme al suo gufo Barney. Grazie a lui, Alexia trova la determinazione necessaria a non arrendersi: lei e Ben uniranno le forze per garantire agli abitanti di Middledip ilNatale che si meritano. Perché con la neve sta per arrivare il periodo più magico dell’anno e tutti sanno che, durante le feste, i miracoli possono accadere…

Un’autrice bestseller internazionale pluripremiata dallo stile inconfondibile

A Natale tutto può succedere!

«Adoro tutti i libri di Sue Moorcroft!»
Katie Fforde

«Coinvolgente... una storia ricca di magia!›
Heat
Sue Moorcroft
è l’autrice pluripremiata di nove romanzi rosa e svariate novelle. Ha uno stile inconfondibile: non la spaventa affrontare tematiche molto profonde nelle sue storie romantiche, ma riesce comunque a mantenere uno stile fresco. È nata in Germania, ma ha vissuto anche a Cipro, a Malta e nel Regno Unito. Prima di dedicarsi alla scrittura ha cambiato diversi lavori. Prima di La mia romantica vacanza da sogno, la Newton Compton ha pubblicato con grande successo La promessa di Natale.
LinguaItaliano
Data di uscita25 set 2018
ISBN9788822726858
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    Anteprima del libro

    La mia romantica vacanza da sogno - Sue Moorcroft

    Capitolo uno

    COMUNITÀ DI MIDDLEDIP

    FESTA PER Lo smantellamento DELL’ANGEL

    Aiutaci a smantellare l’Angel pub

    così potremo trasformarlo

    nell’ANGEL COMMUNITY CAFÉ

    e ti offriremo…

    BIRRA E BARBECUE

    Sabato 9 settembre

    QUESTA SERA!

    Nel corso della festa per lo smantellamento dell’Angel pub, gli entusiasti abitanti di Middledip avevano portato fuori dal locale, un tempo splendido, la spazzatura di decenni, depositandola nei cassonetti. La maggior parte delle eleganti finiture d’epoca dell’edificio vittoriano era stata smontata.

    In quello che era stato il Parlour, la sala più elegante dell’Angel, Alexia salì su una scala a libro per fare un annuncio sovrastando il baccano. «Dichiaro finito lo smantellamento! Adesso festeggiamo!». Saltando giù tra acclamazioni e grida di «Grazie, Alexia!», ignorò l’assalto alle casse di birra fredda, guardandosi invece attorno nella sala rimasta a lungo abbandonata. L’incantevole vecchia porta con il vetro inciso era stata messa al sicuro, insieme al bancone vittoriano un tempo tirato a lucido. E al posto delle luci di servizio allestite per i lavori, erano state accese decine di lumini tremolanti.

    Qualcuno aveva portato una docking station per l’iPod, e la musica cominciò a rimbombare tra i muri appena spogliati della carta da parati rossa vellutata e ripuliti dalle macchie di nicotina. Gente impolverata chiacchierava attorno ai moodboard rappresentanti la visione di Alexia di come il pub avrebbe dovuto trasformarsi nell’Angel Community Café.

    La sua migliore amica, Jodie, comparve dal nulla al suo fianco con i lunghi capelli scuri coperti da una ragnatela, mettendole in mano una lattina fredda. «Tieni. Ti meriti qualcosa da bere».

    Alexia tirò la linguetta con soddisfazione. «Ce lo meritiamo tutti. Adoro questo paese. Quaranta persone hanno rinunciato al loro sabato sera per aiutarci».

    «Vogliono un luogo di aggregazione e hanno un debole per la birra gratis!». Jodie alzò la voce, perché il rumore era in aumento. «Shane dice che ha messo gli specchi, le piastrelle e le lastre di vetro inciso di sopra, così, se anche qualcuno si lascia un po’ andare, non c’è niente da rompere. È andato a prendere gli hamburger e le salsicce nel tuo freezer. Cerchiamo qualcuno che ci dia una mano a sistemare i barbecue? Seb è qui in giro».

    «Non Seb», protestò Alexia. «Non ho bisogno del fiato del mio ex sul collo. Ci sarà pure qualcun altro abbastanza fesso da sottrarre tempo all’alcol per portare ancora un po’ di pesi». Lo sguardo di Alexia si spostò sull’unica persona nella sala che non conosceva, un uomo dai capelli arruffati color pannocchia. Lo aveva osservato mentre aiutava a portare e impilare le piastrelle bianche e nere da pulire nel cassone del camioncino di Shane. La maggior parte delle persone aveva scherzato e chiacchierato durante il lavoro, ma l’uomo biondo aveva solo risposto ai commenti che gli erano stati rivolti di tanto in tanto. Ora, con la maglietta e i jeans impolverati, se ne stava da solo, la schiena appoggiata al muro.

    «Lui», suggerì Alexia.

    Jodie seguì il suo sguardo. «Sei single da due minuti e hai già posato gli occhi sull’ombroso sconosciuto?».

    Alexia sorrise. «Sono passate quattro settimane. E a che serve essere single se non puoi dimostrare interesse per qualcuno? Andiamo». Si schiarì la voce arrochita dalla polvere con una sorsata di birra e si infilò tra la folla in direzione dell’uomo, che stava osservando senza troppo interesse un gruppetto di quattro donne che ridevano cercando di ballare sul pavimento grezzo su cui prima c’erano le piastrelle. Lo sconosciuto mise a fuoco Alexia solo quando gli fu davanti.

    Lei si presentò, regalandogli il suo sorriso migliore. «Sono la direttrice dei lavori di ristrutturazione dell’Angel. E questa è Jodie, che lo gestirà una volta aperto».

    «Sono Ben».

    Alexia sorvolò sulla laconicità della sua risposta. Doveva essere difficile essere l’unica persona della festa che non conosceva tutti quanti. «Grazie per l’aiuto. Non sei il nipote di Gabe Piercy?». Gabe era stato insolitamente reticente, riguardo ai motivi per cui suo nipote si era presentato a Middledip per poi starsene quasi sempre da solo.

    «Sono io». L’uomo annuì, e una ciocca di capelli gli scese davanti a un occhio.

    «Gabe ti avrà detto di aver comprato l’Angel perché il paese non può permettersi una caffetteria, a meno che non abbia una qualche valenza comunitaria…».

    Ben finì la frase per lei. «Così ha messo un affitto basso affinché il locale possa stare aperto, e il circolo del libro e tutti gli altri gruppi locali porteranno i clienti».

    Alexia fece un passo indietro. Ombroso e diretto: ai suoi occhi Ben era appena passato da un atteggiamento all’altro. «Mi dispiace se ti ho annoiato, ma questo è un edificio bellissimo e l’idea di vederlo riportato in vita mi elettrizza. Inoltre», aggiunse piccata, «nel caso tu tema che tuo zio venga fregato, per la ristrutturazione in paese abbiamo fatto una colletta. Gabe si ritroverà con il locale restaurato ad arte e un dividendo sui profitti della caffetteria molto superiore a ciò che avrebbe guadagnato se avesse tenuto i suoi soldi al sicuro in banca».

    Era pronta a girare i tacchi e trovare qualcuno di più bendisposto a cui far trascinare in giro i barbecue, ma Ben sollevò una mano con aria contrita. «No, perdonami. Come Gabe, anch’io sono un po’ eccentrico e, come se non bastasse, ho avuto una brutta giornata. Quando sei arrivata stavo pensando ad altro». Riuscì a fare un lieve sorriso. «Che ne dici di ricominciare daccapo? È un progetto grandioso, per la comunità, e impegnativo, e Gabe mi ha detto che non ti fai pagare per dirigere i lavori».

    Prima che Alexia potesse protestare per il fatto che Ben aveva definito Gabe un eccentrico o spiegare perché lavorasse gratis, Jodie intervenne reclamando per interposta persona una parte di lodi. «E Shane, il mio ragazzo, farà i lavori edilizi a un prezzo da amico, dato che io sono socia di Gabe nella gestione della caffetteria. A proposito, grazie per aver sfoltito la giungla qui davanti, così abbiamo potuto finalmente vedere l’Angel dalla strada per la prima volta da decenni».

    Ricordandosi di quel particolare, Alexia perdonò a Ben la scortesia di poco prima. Per ben due volte, visitando il cantiere, lo aveva piacevolmente osservato appeso a una imbracatura, chiedendosi come fosse senza il caschetto e la visiera. «Allora in pratica sei uno dei noiosi volontari di questa comunità, proprio come noi, quindi non mi sento più tanto in colpa ad adescarti per portare fuori i barbecue».

    Ben la fissò un istante in silenzio: «Adescarmi? Ti seguo».

    «Grandioso». Arrossendo, sicura che Ben avesse capito che la scelta del verbo non era stata del tutto casuale, Alexia gli fece strada tra i gruppetti di compaesani che chiacchieravano, fino a una porta che conduceva a quella che un tempo era stata la cucina, come dimostrava una coppia di lavabi bianchi, entrambi crepati. I barbecue prestati erano allineati nel mezzo della stanza, come se stessero aspettando di essere invitati alla festa. «Quello verde grande ha le ruote. Gli altri due vanno sollevati».

    «A voi le ruote, io porto gli altri». Ben abbracciò la sfera di un vecchio barbecue in acciaio, sollevandolo, mentre Alexia e Jodie cominciarono a trascinare quello verde nell’atrio e oltre i gradini della porta laterale. Nel tempo che impiegarono a superare le gobbe sollevate dalle erbacce nel vecchio asfalto, Ben era già andato a prendere l’ultimo barbecue.

    E mentre sceglievano il punto più liscio dove sistemarli, Shane arrivò con il cibo che Alexia e Jodie avevano acquistato il giorno prima.

    «Shane!», cinguettò Jodie, spalancando le braccia per assumere quella che in quei giorni era una posizione familiare: avvinghiata al suo ragazzo.

    Shane era bello, Alexia lo riconosceva. I capelli corti e la mascella squadrata si accompagnavano a un fisico che rifletteva il suo lavoro manuale. Non era, però, il genere di influenza stabile che Alexia avrebbe scelto per la sua amica di una vita.

    «Tim non c’è?», chiese Alexia.

    «Nah, doveva andare da qualche parte. Vieni qui, splendore!». Shane sollevò Jodie da terra, facendola girare e strappandole un gridolino.

    Alexia immaginò che l’imperturbabile Tim avesse preferito andarsene a casa che venire alla festa. Ma Shane chiacchierava abbastanza per entrambi.

    «Okay. Lui è il nipote di Gabe, Ben, che…».

    Shane diede a Ben una vigorosa stretta di mano, senza aspettare il resto della presentazione di Alexia. «Come va, amico?». Traboccante bonarietà, si unì a lui per collegare le bombole di gas ai barbecue e trascinare fuori da un cassonetto un tavolo malconcio su cui appoggiare i viveri.

    Vedendo Shane aprire a Jodie un’altra birra, nonostante lei protestasse ridacchiando che una era sufficiente, Alexia lanciò un’occhiata ai pacchi di cibo da cucinare e poi a Ben, che, al contrario di quanto lei aveva temuto, non si era dileguato alla prima occasione. «Ti va di stare a una delle griglie?».

    «Va bene».

    Venti minuti dopo, le griglie erano abbastanza calde e loro poterono prendere posizione, cominciando a rigirare hamburger. Ben presiedeva al barbecue alla sinistra di Alexia, mentre Jodie cucinava sull’altro lato, quando non ridacchiava con Shane. Sembrava già alticcia, quindi probabilmente non si era attenuta al proposito di bere una sola birra.

    Alexia aggrottò la fronte, preoccupata. «Vacci piano, Jodie». Cercò di avere un tono scherzoso, di non dare l’impressione di giudicare l’amica, ma lei stava già tentando di giocare a Jenga con le salsicce.

    Shane liquidò le preoccupazioni di Alexia agitando la lattina. «Sta bene. Vero, tesoro? Sta alla grande. È incantevole». Le mordicchiò il collo, scatenando un’esplosione di risatine.

    Jodie si spostò quel tanto che bastava per farsi sbaciucchiare al buio, e Alexia risistemò il Jenga di salsicce in modo che potessero cuocersi. Sospirò. «Se continua così, Jodie domattina avrà un bel mal di testa».

    Senza sollevare gli occhi dalla griglia, Ben commentò: «È la sua testa. La gente fa le proprie scelte riguardo all’alcol, e deve affrontarne le conseguenze».

    Alexia non avrebbe saputo dire se la leggera acredine nella sua voce fosse disapprovazione per l’ubriachezza di Jodie o per le sue lamentele. Ma, dato che stava rischiando di doversi sobbarcare anche il barbecue di Jodie, oltre al proprio, si sentì giustificata ad alzare la voce in una tiepida protesta. «Ehi, Jodie, credevo che fossi tu la cuoca, qui. Shane, non è che potresti cominciare a tagliare i panini? Tra poco siamo pronti».

    Con riluttanza, Jodie tornò barcollando alla sua postazione. Shane lanciò ad Alexia un’occhiataccia, ma si occupò del pane.

    Gabe uscì da sotto il portico. Dietro di lui la porta principale, un tempo maestosa e ora coperta di vernice scrostata, cigolò sui cardini. Gabe annusò l’aria. «Sento odore di salsicce e mi brontola lo stomaco». Noto per la coda di cavallo color argento e gli abbinamenti stravaganti, aveva l’espressione affamata e una camicia button-down infilata nei pantaloni di una tuta da jogging.

    Alexia sorrise. «Siamo giusto pronti con il primo giro».

    Gabe si voltò rapido. «Chiamo tutti fuori».

    Nel giro di pochi secondi, gli affamati abitanti di Middledip si riversarono all’esterno dell’Angel, afferrando piatti di carta da colmare di carboidrati e colesterolo. Il grasso sfrigolava e, quando la calca di corpi non lasciò più sfogo al fumo, gli occhi di Alexia cominciarono a lacrimare. «Ahi». Cercò di asciugarsi il volto con la manica.

    «Tieni». Ben le passò un foglio di carta da cucina, con un sorriso talmente fugace che lei quasi se lo perse.

    Scacciò le rughe dalla fronte di lui, però, e quasi fece dimenticare a lei la coda in attesa. «Grazie». Alexia gli sorrise a sua volta. Magari Ben aveva solo bisogno di un po’ di tempo, per rilassarsi e aprirsi con le persone. Magari…

    Ma poi una voce familiare richiamò la sua attenzione. «Alexia, stai benissimo».

    Alexia trasalì. Non aveva notato l’uomo alto fermo davanti al suo barbecue. «Seb! Ma se sembra che abbia vissuto in uno di quei cassonetti». Cercò di non sentirsi in colpa per aver riso del complimento del suo ex. «Un hamburger?»

    «Sì, grazie». Sebastian allungò il piatto. «Vuoi che ti accompagni a casa, più tardi?».

    Alexia si sentì sprofondare. Seb le ricordava un orso buono, con i suoi capelli castani e le spalle robuste, ma si comportava più come un cane da pastore. «Non ce n’è bisogno».

    «Quindi vai da qualche parte?»

    «Non lo so».

    «Mi rifaccio vivo più tardi, allora».

    Alexia trattenne l’impulso di sbottare. Non puoi comportarti da iperprotettivo, adesso che non sei più il mio ragazzo!, avrebbe voluto dire. Invece cercò di scaricarlo con dolcezza. «Grazie, ma lo sai che non c’è bisogno della scorta, qui in paese». Quindi sorrise alla persona in coda dietro di lui. Riluttante, Sebastian si spostò.

    Ben nel frattempo distribuiva salsicce, facendo schioccare la molla nei piatti che passavano su quel nastro trasportatore umano. «Espressione lamentosa lui, tensione colpevole tu. Un ex senza speranza?».

    Alexia controllò che Sebastian si fosse allontanato. «Indovinato. È un uomo stupendo e lo conosco da sempre, ma…». Scosse la testa, non sapendo come spiegare che era troppo gentile, troppo soffocante, troppo inquadrato, troppo noioso, in un modo che non la facesse sembrare Miss Senzacuore. «Io vorrei spiccare il volo, spero di lasciare Middledip per lavorare a dei nuovi progetti a Londra. Mentre Sebastian…».

    «Se non vuoi stare con qualcuno, non vuoi e basta. Non c’è bisogno di giustificazioni», disse Ben.

    Alexia restò un istante in silenzio, mentre apriva una nuova confezione di hamburger, cercando di interpretare la sua espressione d’un tratto impenetrabile. «È vero», rispose cauta. «Ma non del tutto. Almeno, non per questo particolare qualcuno, perché a quanto pare ogni volta che ci incontriamo devo tornare a convincerlo».

    «Sarà più semplice quando te ne sarai andata». Ben tornò a dispensare salsicce.

    Le persone con cui Alexia era cresciuta le sfilavano davanti, offrendo stralci di pettegolezzi o commenti scherzosi. E rispondendo bonaria a entrambi, lei continuava a far scorrere la fila. Fino a che una donnina non si piantò dritto davanti alla griglia, guardando Alexia minacciosa da sotto un biondo caschetto geometrico. «Niente pesce?».

    Alexia sorrise, sperando che non si trasformasse anche quello in un incontro imbarazzante. «Ciao, Carola. No, mi dispiace. Sei stata gentile a venire a darci una mano». In realtà, Alexia non le aveva visto dare alcun contributo. Durante la raccolta fondi, Carola era stata una spina nel fianco, e Alexia era sicura che fosse lì solo per storcere il naso.

    «Non mangio molta carne».

    «Un hamburger vegetariano?»

    «No. Prenderò due salsicce… se ne avete che non siano del tutto bruciate».

    Decidendo di evitare di farle presente che le salsicce non erano vegetariane, Alexia si limitò a sbattergliene due sul piatto e la fila avanzò. E continuò ad avanzare.

    «Ehilà, Alexia!», esclamò a un certo punto un uomo gioviale dal volto lungo e tetro.

    «Signor Carlysle. Salsicce?». Non erano in molti, in paese, a chiamare il proprietario della locale tenuta Carlysle per nome. Usavano sempre signore o il pomposo Christopher Carlysle. Era un’altra delle persone venute alla festa non per lavorare. Nel suo caso, la ragione era farsi vedere a un evento con il quale aveva vaghi legami.

    «Deliziose, deliziose. Una anche per la signora Carlysle, per favore. È qui in giro, da qualche parte». Le porse il piatto, quindi scambiò qualche parola con Ben e se ne andò.

    Alcuni tornarono per un secondo o terzo giro. Alexia si era abituata alla presenza di Ben al suo fianco. La gente del paese cercava di farlo parlare, ma, pur restando abbastanza affabile, in qualche modo lui riusciva a mantenere la conversazione a un livello superficiale.

    Alexia si occupava sia della propria griglia che di quella di Jodie, dato che l’amica sembrava più interessata a compiacere Shane che gli affamati compaesani. Quando la fila terminò, tutti e tre i barbecue erano di nuovo vuoti.

    Shane e Jodie, avvinghiati l’uno all’altra come i partecipanti a una corsa a tre gambe, tornarono barcollando. Shane era raggiante. «Porto questa bellissima donna a letto, Lexi. Scusa in anticipo. Sai che cosa intendo?». Le fece l’occhiolino, esageratamente lascivo, e si allontanò con Jodie lungo il vialetto.

    «Fin troppo bene, sfortunatamente», borbottò Alexia, guardandoli zigzagare verso Cross Street. Tornò al barbecue, mettendo sulla graticola incandescente i pochi hamburger e salsicce rimasti. «Ce n’è giusto abbastanza per noi».

    Ben spense le altre due griglie e si infilò le mani in tasca, guardandola sistemare le salsicce come raggi di sole attorno agli hamburger. «Non sembravi troppo entusiasta del commento di Shane».

    Lei gli lanciò un’occhiata. «Jodie vive a casa mia, al momento».

    «Ah». Negli occhi di Ben balenò una risata.

    Alexia avvampò. «Ma almeno significa che hanno lasciato qui il camioncino di Shane, invece di provare a guidare fino a casa sua».

    Dal volto di Ben scomparve ogni traccia di divertimento. «Guida e alcol sono una pessima combinazione. E così tu e Jodie condividete la casa?». Adesso che in giro era rimasta poca gente, sembrava disposto a chiacchierare.

    «Negli ultimi mesi, da quando è finito il matrimonio di Jodie. Siamo amiche da quasi tutta la vita». Fingendo di strappare un nuovo foglio di carta da cucina, Alexia si guardò attorno per assicurarsi che Sebastian non fosse una delle ombre attardatesi a finire gli hamburger in un angolo del prato, quindi aggiunse: «Seb stava parlando di vivere insieme, così invitarla a stare da me è stato vantaggioso per entrambe. Shane non era compreso nell’accordo, ma Jodie dice che la loro storia focosa e intensa è un buon modo per dimenticare il marito».

    Dietro i capelli ribelli, Ben strizzò gli occhi pensoso. «E funziona?».

    Alexia schiacciò un hamburger con la spatola, scuotendo la testa. «L’ha presa male quando Russ se n’è andato, e Shane sembra averla tirata su. Vorrei solo che non la incoraggiasse a bere tanto. Credo che abbia nascosto della birra qua fuori, perché non ho visto nessuno dei due andare dentro a prendere delle lattine».

    Non aggiunse che Jodie era soggetta a sbalzi d’umore e che, quando aveva spiegato a Shane che l’alcol rafforzava questa sua tendenza, lui le aveva risposto secco di non fare la rompicoglioni.

    Ben cominciò a tagliare i panini da mettere nei piatti. «Quella roba sembra buona. Sto morendo di fame». Prese due sedie sprovviste di schienale da un cassonetto, spolverandole con un immaginario fazzoletto prodotto con un gesto teatrale, quindi scomparve nel locale e tornò con due lattine di birra.

    Alexia si lasciò cadere su una delle sedie, rendendosi conto solo in quel momento di quanto le facessero male i piedi. Nonostante quasi tutti fossero andati dentro per sfuggire al freddo della sera, il calore residuo del barbecue rendeva piacevole cenare all’aperto. Sorseggiò la birra fresca. «Questa è l’ultima».

    Ben si fermò con un hot dog a mezz’aria. «Non pensare che stia cercando di farti ubriacare. C’è della limonata, dentro, se vuoi. Il tuo ex mi ha lanciato un’occhiataccia quando mi ha visto prendere due lattine».

    Alexia rise, poi si lasciò sfuggire un gemito. «Spero che non venga a controllarci! Ogni volta che lo vedo, mi rendo conto di quanto preferisca stare da sola».

    Ben la fissò serio per alcuni secondi. «Mi stai dando un sacco di cose su cui riflettere stanotte: gli aspetti positivi delle relazioni nate per dimenticare, e le gioie di essere liberi e senza legami».

    C’era un’espressione talmente strana sul suo volto, che Alexia si limitò a guardarlo senza sapere che cosa rispondere.

    Forse intuendo la sua confusione, Ben sorrise debolmente. «Mia moglie e io ci siamo separati un po’ di tempo fa. Imparare ad apprezzare la vita da single può rendere le cose più semplici».

    Capitolo due

    Alexia mise giù il suo hamburger. «Scusami, se ti sono sembrata compiaciuta o insensibile».

    Ben fece un sorriso tirato. «È stato istruttivo. È facile continuare a vedere le cose dalla solita vecchia prospettiva».

    «Ti sei tolto la fede».

    «La indossavo raramente. È un fattore di rischio, quando ti trovi in cima a un albero con una motosega».

    Rimasero in silenzio, masticando il cibo che sapeva di fumo e sorseggiando le birre. La gente cominciò a uscire dall’Angel per dare loro la buonanotte, i più attenti depositando la spazzatura in uno dei cassonetti, mentre passavano. Alexia salutava tutti, raccogliendo il ketchup dal piatto e leccandosi le dita. Per quanto fosse rimasta sorpresa di scoprire che erano le undici passate, non sentiva la necessità immediata di muoversi.

    Uscì anche Sebastian, e Alexia lo vide tentennare.

    «’Notte, Seb», disse allegra, non volendo ripetere la conversazione in cui lui le chiedeva di accompagnarla a casa.

    Con un breve «’Notte», Sebastian si dileguò lungo il vialetto buio. Alexia provò una stretta al cuore, nel vedere lo sconforto sulla sua schiena curva.

    Ben probabilmente aveva ragione, le cose sarebbero state più facili se lei fosse riuscita a realizzare il suo progetto di lasciare il paese.

    Spuntò Gabe, con una scatola di lattine vuote. «Porto queste all’oasi ecologica». Lanciò un’occhiata all’edificio. «Ha un’aria spaventosamente spoglia, all’interno. Rimetterai in sesto la mia proprietà, vero?».

    Alexia rise. «Dammi solo fino a Natale. È spoglia perché Shane e Tim sono stati tanto coscienziosi da mettere le finiture d’epoca al sicuro».

    Gabe la guardò con un’espressione finto minacciosa. «Il sabato prima di Natale. È il giorno della grande inaugurazione».

    «Il sabato prima», confermò lei con un sorriso. «Avremo riposato le piastrelle e restaurato i camini. Farò delle splendide composizioni vittoriane di agrifoglio e arance secche da mettere sulle mensole. I vittoriani adoravano anche le decorazioni natalizie di pizzo e perline… Sarà stupendo!».

    «Sapevo di poter contare su di te», riconobbe Gabe, battendole una mano sulla spalla. Si diedero la buonanotte, e l’uomo si avviò a piedi lungo il vialetto.

    Alexia lanciò un’occhiata a Ben. Il suo volto, illuminato solo dalle luci delle finestre di cucina, era pieno di ombre. «Puoi andare con lui, se vuoi. Finisco io, qui». Per dare a Shane e Jodie il tempo di addormentarsi, si sarebbe volentieri attardata a esplorare l’Angel appena svuotato, eccitata all’idea della prossima metamorfosi. L’indomani sarebbe venuta con la macchina fotografica a scattare immagini dell’avanzamento lavori per il suo book. Era un progetto importante per lei, e catturare nel modo giusto la fase in cui l’edificio era stato completamente smantellato era fondamentale.

    Ben si pulì le mani. «Non sto da Gabe. Vivo in un piccolo cottage alla tenuta Carlysle».

    Anche se lo sapeva già, Alexia assunse un’espressione interessata. A Middledip tutti sapevano tutto di tutti. «Un cottage all’interno della fattoria a uso privato?». La tenuta Carlysle dava lavoro a molti degli abitanti del paese e alcuni vivevano lì.

    «No, il Woodward Cottage, vicino al lago. Ho convinto Christopher Carlysle che si sposa bene con il mio lavoro. Woodward, guardaboschi, è il nome che si dava un tempo a chi si occupava delle foreste».

    «Non vado a Woodward Cottage da quando ero ragazzina. Era talmente diroccato che è difficile immaginarlo abitabile».

    «A quanto pare, il signor Carlysle è riuscito ad avere una sovvenzione per ristrutturarlo. La sua idea era che ci si trasferisse l’amministratore della tenuta, ma lui ha deciso di sposare una donna con due figli adolescenti e il cottage ha una sola camera da letto. Sto lì da circa sei mesi».

    «Sei mesi? È incredibile che Gabe non ci avesse ancora presentati. Non ti ho mai neanche visto qui in paese, a parte quando eri appeso agli alberi qua fuori».

    Ben si sfregò il naso. «Me ne sono rimasto perlopiù per conto mio».

    Alexia riusciva a capire come la solitudine gli si addicesse. Ben aveva l’aria di chi poteva stare con gli altri ma anche farne a meno. «Credo che parlassero di te, al pub, l’altro giorno. Hai un gufo come animale da compagnia? I ragazzi hanno deciso che sei un mago».

    Ben sorrise debolmente. «Barney è un barbagianni adottato. I barbagianni non sono animali da compagnia. Gabe l’ha trovato ai confini del bosco. Era caduto dal nido e si era rotto un’ala. Non può più volare né cacciare, così gli ho dato una casa. Quando non mi occupo di Barney, sono un arborista, curo gli alberi. Avevo una mia attività, ma l’ho venduta quando mi sono trasferito qui. I boschi da queste parti non sono stati gestiti al massimo delle loro potenzialità, così Gabe ha messo una buona parola per me con Christopher Carlysle e adesso lavoro alla tenuta. Cercavo un posto in cui poter essere lasciato in pace a fare le mie cose, e si dà il caso che questo sia proprio il tipo di dipendente che piace al signor Carlysle». Ben si alzò, riportando la sua sedia nel cassonetto.

    Interpretando la cosa come un punto fermo sull’argomento, Alexia si alzò a sua volta raccogliendo i piatti di carta, mentre Ben scollegava le bombole di gas dai barbecue.

    Si spostarono all’interno del locale, dove trovarono gli ultimi ritardatari pronti ad andarsene, sbadigliando, nella notte. Alexia accese le luci principali e fece il giro per spegnere i lumini tremolanti. «Dichiaro la festa per lo smantellamento dell’Angel un successo».

    Ben passò un dito su una grossa crepa nell’intonaco. «I lavori cominceranno presto?»

    «Elettricisti e idraulici arrivano lunedì, e intanto Shane e Tim procederanno con la pulizia delle piastrelle da riutilizzare. Fortunatamente, porte e finestre sono a posto, così come la maggior parte delle modanature in gesso». Si guardò attorno nel Parlour, che senza camino e bancone sembrava una bocca sdentata.

    Ben si avvicinò ai moodboard, ancora esposti a un’estremità della sala spoglia. «E così è come verrà?».

    Alexia lo raggiunse, lanciandogli un’occhiata veloce per assicurarsi che non lo avesse chiesto solo per cortesia… non che le sembrasse il tipo da preoccuparsi delle buone maniere. «Sì, questo è lo storyboard del progetto, a partire dalle fotografie di com’era il locale quando Gabe lo ha comprato, fino alla mia idea di come sarà una volta finito. I disegni in 3D si chiamano rendering, mentre quelli in 2D sono le piante dei piani. I campioni colore rendono il tutto più carino». Il suo cuore ebbe un breve sussulto di eccitazione all’idea che il progetto stesse finalmente per partire.

    «È un edificio vittoriano e doveva essere piuttosto imponente, per un paese piccolo. Quando negli anni Ottanta Middledip è stato tagliato fuori dal traffico locale dalla costruzione di strade migliori, non è più riuscito a mantenere due pub, e a sopravvivere è stato il più familiare, il Three Fishes. Dopo la chiusura dell’Angel, il proprietario è morto, mentre la moglie è vissuta qui da sola per più di vent’anni. Alla fine è deceduta anche lei, ma senza un testamento, e per l’eredità si sono dovuti rintracciare dei lontani cugini. È passato molto tempo prima che l’edificio potesse essere messo sul mercato e, a quel punto, nessuno è sembrato coglierne il potenziale».

    Alexia sollevò lo sguardo verso i bei rosoni in gesso del soffitto, dai quali pendevano grandi lampadari in vetro prima che Shane li togliesse per proteggerli. «Sono stupita che nessuno abbia acquistato il posto anche solo per mettere le mani sulle finiture d’epoca da vendere a un qualche mercatino antiquario. La sola decorazione in mattoni sulla facciata deve valere una fortuna. Magari l’erba attorno era cresciuta al punto che nessuno ricordava più che l’Angel fosse qui».

    «Fino a che zio Gabe non ha deciso che a suo nipote l’arborista sarebbe piaciuto un mondo togliere il verde in eccesso».

    «In effetti sembra che tu sia capitato a pennello», concordò Alexia, felice di veder tornare il lieve sorriso sul volto dell’uomo. La sua espressione standard era molto seria. «Per fortuna, Gabe non solo sapeva che lì c’era l’Angel, ma era disposto a investire nell’edificio per dare al paese la sua caffetteria, se si fossero raccolti altri fondi per restaurarlo. Altrimenti sarebbe probabilmente crollato per incuria».

    «Generoso da parte del paese contribuire».

    «La spinta l’ha data il fatto che la sala comunale ha dovuto essere chiusa perché il legno del tetto sta marcendo. Sostituirlo costerà una bella somma, molto più che sistemare l’Angel. Il comitato preposto dovrà lavorare sodo, tra presentare domande di sovvenzione e chiedere i soldi alla contea. Noi invece potevamo semplicemente passare all’azione».

    Lui la guardò ammiccante. «Tanto peggio per la sala comunale».

    «Mi sento un po’ sleale. Ci sono stata molto spesso, a feste e incontri vari. Ma fornire una sede ai gruppi che erano soliti incontrarsi lì ha permesso a Jodie e Gabe di registrare l’Angel come Community Café e cominciare a raccogliere fondi». Alexia gli fece strada in un’altra stanza. «Questo era il bar per i clienti meno ricchi. Sul vetro della porta… quando è al suo posto… c’è scritto Public». Nell’entrare diede un colpetto all’interruttore e la luce al neon prese vita. Vicino al soffitto era rimasta qualche strisciolina di carta da parati economica degli anni Settanta, a suggerire che il Public non era stato ritenuto all’altezza della carta rossa vellutata del Parlour. «È dove i clienti del pub giocavano a skittles e a freccette. Non è lussuoso come il Parlour, ma andrà benissimo per i gruppi».

    Ben si guardò attorno nella stanza vuota con il pavimento in legno segnato. «Sono sorpreso che chiunque fosse il responsabile della sala comunale non abbia sostenuto che i fondi raccolti dovrebbero andare a loro».

    «Temo sia proprio ciò che è accaduto», ammise Alexia mesta. «Il comitato della sala comunale è presieduto dalla formidabile Carola, quella che ha chiesto il pesce al barbecue. Carola si è opposta con forza al Community Café, e dice che non avremmo mai dovuto chiedere agli abitanti di Middledip di raccogliere fondi per un edificio e un’attività appartenenti a un privato. Ma noi non abbiamo torto il braccio a nessuno. La sala comunale e l’Angel Café sono due realtà separate, e Gabe, Jodie, io e il tuo capo, Christopher Carlysle, che abbiamo accettato di gestire i fondi del Community Café, non abbiamo alcuna intenzione di cedere il malloppo a Carola».

    Un brillio illuminò gli occhi di Ben. «Se non venissi anch’io da una piccola cittadina, sarei sbalordito dalle politiche di qua». Poi il suo telefono squillò e lui lo estrasse per zittirlo. «È tutto molto interessante, ma devo andare. Era il promemoria che mi ricordava che Barney deve cenare».

    «Devi dargli da mangiare». Alexia provò una punta di delusione all’idea di perdere la sua compagnia, per non parlare dell’opportunità di continuare a blaterare del suo amato progetto, ma si disse di non fare la stupida. «Resto qui ancora un po’, prima di chiudere».

    Ben esitò. «Da sola?».

    Alexia alzò gli occhi al cielo. «Non cominciare anche tu! Potrei correre per Middledip nel cuore della notte con le mani piene di soldi e non mi succederebbe niente di male. Davvero, tornerò a casa a piedi quando sarò pronta».

    «Vuoi dare ai tuoi amici il tempo di calmare i bollori?». Fece un mezzo sorriso, gli occhi che gli brillavano alla luce del neon appeso al soffitto.

    Alexia si sentì di nuovo avvampare. «Questo è il piano».

    «Non puoi semplicemente dire

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