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Reale Repubblica
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E-book422 pagine5 ore

Reale Repubblica

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Info su questo ebook

Napoli 1647: l'ambiziosa figlia di patrizi Mirella Scandore è fidanzata con un nipote del viceré spagnolo, quando il popolo di Napoli insorge contro la sua dominazione.
Napoli elegge il duca di Lorena, Enrico di Guisa, a suo nuovo doge. Mirella impara a stimarlo e si innamora di uno dei suoi ufficiali, Alexandre de Montmorency.
Suo fratello Dario invece vede la famiglia minacciata dallo stato di anarchia dopo la rivolta. In seguito a un attentato incendiario al magazzino di tessuti della famiglia, prende parte a una congiura contro la giovane repubblica.
Quando viene tradito e minacciato di pena capitale, Mirella lo copre a malincuore giurando il falso.
Ma poi lui progetta un attentato al doge in cui verrebbe inevitabilmente ucciso anche Alexandre...

Il romanzo comincia dopo la morte del pescatore e contrabbandiere Masaniello nel luglio 1647 e termina con la cattura di di Guisa nell'aprile 1648.
***adatto ai minori***

LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2022
ISBN9781005144098
Reale Repubblica
Autore

Annemarie Nikolaus

German free-lance journalist and author.Gebürtige Hessin, hat zwanzig Jahre in Norditalien gelebt. Seit 2010 wohnt sie mit ihrer Tochter in Frankreich.Sie schreibt Fiction und Non-Fiction, in der Regel in deutscher Sprache. Mittlerweile sind einige ihrer Werke in mehrere Sprachen übersetzt worden.Bleiben Sie auf dem Laufenden mit dem Newsletter: http://eepurl.com/TWEoTSie hat Psychologie, Publizistik, Politik und Geschichte studiert und war u.a. als Psychotherapeutin, Politikberaterin, Journalistin, Lektorin und Übersetzerin tätig.Ende 2000 hat sie mit dem literarischen Schreiben begonnen. Seit der Veröffentlichung der ersten Kurzgeschichten schreibt sie Romane, mit besonderer Vorliebe Fantasy und historische Romane. .

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    Anteprima del libro

    Reale Repubblica - Annemarie Nikolaus

    Napoli

    Giovedì, 18 luglio 1647

    «Si sarebbe dovuto lasciare il pescatore dove lo ha sepolto la plebe.» Il segretario del viceré spagnolo piegò verso il basso gli angoli della bocca con disprezzo. Lanciò un ultimo sguardo al corteo funebre che attraversava la piazza davanti al castello. Una dozzina di uomini con i berretti frigi guidava il cupo assembramento, come volessero ricordare a tutti che Masaniello era stato uno dei loro. Le grida della gente in Largo di Palazzo giungevano solo attutite – ma ancora abbastanza chiare: «Viva il Re di Spagna; mora il malgoverno.»

    «Finché sono fedeli al loro re, che gridino pure.» Rodrigo de Arcos, impassibile, rimise la penna nel calamaio e sparse sabbia sul documento che aveva appena firmato.

    Il segretario chiuse le pesanti tende e avvolse la stanza nella penombra. Una lampada a olio lasciò al duca de Arcos, viceré di Sua Maestà Cattolica a Napoli, la luce necessaria per scrivere. Invece il suo ospite, l’arcivescovo di Napoli, divenne un’ombra sul fondo dello studio.

    «Non condivido la Vostra opinione, don Rodrigo.» Ascanio Filomarino si alzò e fece scomparire il rosario tra le pieghe della sua tonaca cardinalizia. «Con Masaniello la rivolta ha certo perso il suo capo, ma non la sua mente.»

    «Di questo la responsabilità è Vostra, monsignore.» Filomarino aveva svolto il ruolo di intermediario tra gli insorti e il viceré; ora de Arcos poteva rinfacciargli l’esito. «Il corteo funebre ha dato loro l’occasione di attrupparsi.»

    «Avete giurato sui privilegi che il consiglio Vi ha presentato.» Filomarino si avvicinò alla facciata in vetro e riaprì una delle tende. Mezza Napoli si era radunata là fuori in contrizione per l’assassinio del suo capitano generale. Chiunque avesse preso il comando ora, non avrebbe portato la pace. «Tuttavia ora, poiché avete reintrodotto la gabella sulla frutta, il popolo si sente ingannato.»

    «Riusciremo a gestirlo. Non appena Sua Maestà manderà i rinforzi. Fino ad allora...» De Arcos alzò le spalle. «Il re mi ha dato un incarico e io lo eseguirò!»

    «Fate compromessi, don Rodrigo! Date alla gente l’impressione che capite i loro bisogni.»

    «Non facciamo attendere oltre gli ospiti.»

    Il segretario prese da un cassetto della libreria un pacchetto avvolto nella seta, prima di aprire la porta ai due uomini e poi seguirli. Lungo il corridoio luminoso che conduceva alla sala del trono, a ogni porta facevano la guardia due alabarderos del Tercio de Nápoles. I soldati si tolsero i cappelli piumati e salutarono; ma il viceré li liquidò con un cenno.

    A causa della calura estiva le finestre della galleria erano aperte e le voci dei napoletani risuonarono nuovamente fino a loro. Uno degli alabarderos aprì la porta della sala; della musica ora sovrastava il canto del corteo funebre e di certo doveva udirsi anche in strada.

    «Chiudete le finestre!»

    Il soldato obbedì, ma i primi si fermavano già sotto le finestre illuminate e guardavano in alto. Gli uomini alzarono i pugni; le donne piantarono sui fianchi le mani strette a pugno. «Viva il Re di Spagna; mora il malgoverno!»

    Con il volto contratto Filomarino guardò giù verso il Largo. «Avete parlato di rinforzi.»

    «Solo con i soldati della guarnigione non possiamo mettere fine all’insurrezione.»

    «Vi avevate già messo fine, don Rodrigo! Il popolo si era stancato degli eccessi.»

    Il maestro di corte accanto alla porta della sala bussò due volte con la mazza cerimoniale; la musica si interruppe. «Sua Eccellenza Rodrigo Ponce de León y Álvarez de Toledo, duca de Arcos, margravio de Zahara, conte de Casares, signore de Marchena, visconte de Bailén e signore de Villagarcia, viceré di Sua Maestà Cattolica re Filippo IV di Spagna.» Boccheggiò. «Monsignore Ascanio Filomarino Della Torre, arcivescovo di Napoli.»

    Il viceré passò in rassegna l’ala dei suoi ospiti e salutò alcuni con un rapido cenno del capo, altri con qualche parola. Nessuno del patriziato della città di Napoli aveva osato disertare quel ballo. Si erano presentati persino diversi baroni dalla provincia.

    Davanti a una fanciulla in abito di seta lilla de Arcos si fermò. «Diventate ogni giorno più affascinante, signorina.» Rivolse un cenno del capo ai due uomini che stavano dietro di lei. «Mi rallegro che abbiate accettato il mio invito, signor Scandore.»

    «Per noi è un onore», rispose il più anziano.

    «Sarete presto dei nostri.» De Arcos si rivolse di nuovo alla fanciulla. «Mio nipote ha fatto spedire qualcosa per Voi.»

    Il suo segretario, che lo aveva seguito a pochi passi di distanza, consegnò il pacchetto a Mirella Scandore.

    Un delicato rossore comparve sulle sue guance. «Sono... È così generoso.»

    De Arcos sventolò spazientito con la mano. «Macché; niente falsa modestia. Non Vi si addice.»

    Lei arrossì ancora di più.

    «Vi siete di certo messa in testa qualcosa, quando Vi siete fatta corteggiare da Felipe.»

    Dalle immediate vicinanze giunse un ridacchiare soffocato; una donna dai capelli scuri si mise velocemente il ventaglio davanti al viso.

    Mirella contrasse le dita attorno al pacchetto e sollevò il mento, mentre il viceré passava oltre.

    «Ma cosa si immagina?», sibilò il giovanotto dietro di lei.

    Enzo Scandore gli posò la mano sul braccio. «Controllati, Dario.» Chinò il viso verso di lui. «Abbiamo ancora bisogno di lui.»

    Per quanto avesse parlato piano, Mirella aveva sentito. Si voltò. «Non per molto ormai. Non appena sarò la duchessa de Toledo d’Altamira y León...»

    Il volto di Dario si incupì ancora di più. «Il primo pavone che capitava dovevi sceglierti.»

    «È quasi attraente quanto te.» Con un’occhiata civettuola Mirella si attaccò al suo braccio. «Balla con me. Sei l’unico giovane con cui posso ancora divertirmi senza dare scandalo.»

    «Vedi; vivi già in una gabbia dorata.» Tuttavia l’accompagnò nella sala da ballo, dopo che l’orchestra aveva ripreso la sua esecuzione.

    Dopo due graziose danze processionali, maestro Giovanni Trabaci con un cenno attirò vicino a sé i flauti e il tamburo. L’orchestra cominciò a suonare una tammurriata.

    Mirella si gettò tra le braccia di Dario con una giravolta spavalda: quella era la sua danza. Dopo appena un minuto le altre coppie indietreggiarono una dopo l’altra a margine della sala da ballo. Dario lasciò andare Mirella e cedette a lei sola la pista da ballo. Lei sollevò ancor più in alto la testa, raccolse le gonne fin sopra le caviglie e fece un segno al maestro di cappella. Maestro Trabaci annuì con un ampio ghigno e fece suonare un po’ più veloce.

    I primi riccioli scivolarono dall’acconciatura abilmente appuntata in alto di Mirella giù sulle sue spalle e uno spillone d’argento cadde tintinnando piano sul pavimento di marmo.

    Poi la danza finì. Mirella rise divertita e girò ancora una volta. Le guance le si erano accalorate, ma il suo respiro era regolare come prima.

    Il viceré le si avvicinò. «Signorina, lancerete una nuova moda alla corte di Sua Maestà Cattolica, quando il re Vi vedrà ballare.»

    Mirella rise. «Questo per me sarebbe decisamente preferibile all’essere bruciata come strega.» Tirò indietro i riccioli. «O si pensa di abolire finalmente l’autodafé?»

    «Temo che in questi tempi inquieti sia più che mai necessario.» Le porse il braccio per accompagnarla fuori dalla pista da ballo. Al suo cenno l’orchestra ricominciò a suonare.

    «Significa che volete riportare l’Inquisizione a Napoli?» Mirella deglutì. «Il popolo ora è già sufficientemente martoriato.»

    «Dunque siete dalla parte degli insorti?»

    «Eccellenza!», bisbigliò lei. Forse non avrebbe dovuto dirlo. «Io sono una fedele suddita della Corona.»

    «E dovete esserla. Altrimenti mettereste a repentaglio il Vostro fidanzamento.»

    Con quest’argomento Mirella navigava di nuovo in acque sicure. «L’amore per Vostro nipote per me viene prima di tutto.»

    A questo punto de Arcos strizzò l’occhio. «Davvero?»

    Mirella si passò la punta della lingua sulle labbra. «Vostra Eccellenza dubita della mia sincerità?» Sorrise civettuola per far apparire all’occorrenza le sue parole come una battuta.

    «Non della tua sincerità, figliola. Della tua esperienza.» Si congedò con un cenno del capo.

    Mirella si toccò i capelli con entrambe le mani per domarli di nuovo. «Ma che gli salta in mente?» Quell’uomo era insopportabilmente arrogante. «Esperienza!»

    «Perché imprechi così, sorellina?» Dario fu dietro di lei e appoggiò la fronte sulla sua spalla. «Ti ha fatto arrabbiare?»

    «Sì.» Avrebbe preferito dare sfogo alla sua rabbia e pestare i piedi; già le guizzavano i muscoli. «Sembra che lui creda... Dubita della mia esperienza.»

    Dario rise mestamente. «Se tu l’avessi, saresti inaccettabile come sposa di un grande di Spagna.»

    Lei gli prese la mano. «Facciamoci dare qualcosa da bere.»

    Mentre passavano accanto a una delle finestre, Mirella guardò fuori. Nel crepuscolo incipiente si accendevano le prime torce nel vicolo che conduceva alla Basilica del Carmine. «Ha parlato della rivolta. E dell’Inquisizione.»

    «Non dobbiamo temere l’Inquisizione. L’arcivescovo la tiene lontana da noi.»

    Lei guardava ancora fisso giù verso il Largo. «Se mi immagino...»

    «A Napoli non brucerà più nessun rogo. In ciò Filomarino concorda con la Santa Sede, credimi.» Distolse lo sguardo e si guardò intorno cercando. «Noi ammazziamo i nostri nemici.»

    «Ma non ne abbiamo.»

    «Sì invece.» Dario indicò verso l’esterno. «La plebe non conosce legge. E in una condizione senza legge perdiamo tutti.» Le prese la mano e la condusse oltre verso la sala successiva.

    Su lunghi tavoli era disposto il buffet – soprattutto pasticci e pollame e abbondanti quantità di pasticceria spagnola; insieme a vino liquoroso spagnolo, il frizzante Blanquette de Limoux diventato di moda e il rosso Aglianico della Basilicata che il viceré aveva eletto a suo vino della casa.

    «Ma non è affatto giusto. Vogliono soltanto pagare meno tasse e riavere i vecchi privilegi.»

    «E la carneficina degli ultimi giorni? Credimi, non è ancora finita.» Dario indicò indietro verso il trono del viceré in fondo all’altra sala. «Non li hai sentiti durante il corteo funebre? Temo che don Rodrigo abbia commesso un grosso errore.»

    Si fece porgere un bicchiere di Blanquette da uno dei servitori. Quando anche Mirella allungò la mano, lui la agguantò. «L’alcol non è per le bambine.»

    «Presto sarò sposata.»

    «Ma ancora nemmeno quindicenne.»

    Lei lo folgorò con lo sguardo e sollevò il petto per una replica rabbiosa.

    Dario rise divertito. «Ne dia mezzo bicchiere anche alla futura duchessa de Toledo d‘Altamira y León.»

    Il lacchè si affrettò a versare e Mirella brindò a Dario con un giro pieno di slancio. «Tra un anno berrò quanto voglio.»

    «Questo Felipe dovrebbe impedirlo. Già ora stai dando i numeri.»

    Mirella bevve tutto in due sorsi e restituì il bicchiere. «Balliamo. Se tu dovessi avere ragione, questo può essere l’ultimo ballo per molto tempo...»

    «Veramente...»

    «Ora vieni! Con Stefania potrai ancora ballare abbastanza spesso.»

    Sospirando la seguì, ma poi venne fermato da un uomo più anziano la cui giacca grigio-azzurra gli tirava sulla pancia al punto di scoppiare. «Scandore, posso parlare con Lei?»

    Dario spostò lo sguardo avanti e indietro tra Mirella e lui. «Meglio non ora.»

    L’uomo squadrò Mirella con gli occhi stretti. «Capisco.» Con un movimento della testa che poteva essere un saluto come un cenno per Dario, passò oltre.

    «Non è di qui. Chi era?»

    «Uno dei clienti di padre, chi altrimenti?»

    Mirella si voltò e lo osservò più attentamente in modo disinvolto. «Ha molti soldi.»

    Dario alzò le spalle. «Ama ostentare i gioielli di famiglia.»

    «Allora i dieci anelli alle sue dita probabilmente sono tutti quelli che possiede.» Ridacchiò.

    «Sei già ubriaca.»

    Invece di ballare ancora con lei, come si era aspettata, lui la riportò da Enzo. «Ho incontrato qualcuno...»

    Mirella mise il broncio. «Questa è una festa, non un ufficio commerciale.»

    «Le ho permesso di bere un goccio.» Tenne la testa inclinata. «Mi dispiace, padre.»

    Enzo gli batté sulla spalla. «Non puoi tenerla lontana da tutto in eterno.»

    «E non sarò in eterno la sorella minore.»

    Sogghignando Dario le tirò una delle ciocche sciolte. «Cosa allora? La maggiore?»

    Tutti e tre risero.

    «Allora vorresti una sorella maggiore?»

    Dario scosse la testa. «Mirella è già perfetta così com’è.» Se ne andò deciso; evidentemente sapeva dove lo aspettava l’uomo grigio-azzurro.

    «Va’ a ballare, figlia mia. Chissà quando ne avrai di nuovo l’occasione.»

    I foschi presagi di quei due cominciavano a guastarle l’umore festaiolo; Mirella arricciò il naso. «Ora ne parla anche Lei in questo modo. Rivolta... carneficina... Inquisizione...»

    «Chi parla di Inquisizione?» Enzo suonò allarmato.

    «Nessuno.» Sventolò nervosamente con il ventaglio. A dire il vero era stata lei a cominciare. «In ogni caso non a Napoli.»

    Enzo la scrutò in viso. «L’hai capito bene?»

    «Dario dice che l’arcivescovo non lo permetterà.»

    «Andiamo incontro a tempi inquieti. Chissà per quanto potrà imporsi.»

    «Ma il papa...»

    «... forse si schiererà dalla parte della Francia, poiché è stato sconfitto da Mazzarino nel suo conflitto.»

    «Cos’hanno a che fare le gabelle con la Francia?»

    «Molto, figlia mia.»

    Lo guardò con tanto d’occhi; intendeva la guerra nelle Fiandre? «Ma noi apparteniamo alla Spagna.»

    «Non è sempre stato così.»

    Mirella tese l’orecchio all’esterno per un attimo; ma nel Largo era calato il silenzio. La gente era in chiesa – o andata a casa. «Nessuno lo mette in discussione.»

    «Finora. – Non in pubblico.»

    «Dario dice che don Rodrigo ha commesso un errore. Intende dire quando si pone con ostinazione...?»

    Enzo le accarezzò il braccio. «Va’ a divertirti; questi non sono argomenti per una fanciulla.»

    Lo guardò allontanarsi mentre anche lui abbandonava la sala del trono. La piantava sempre lì quando lei cercava di capire qualcosa.

    Il suo sguardo incontrò quello di un giovane patrizio; c’era ammirazione nei suoi occhi. Ma quando gli sorrise, lui si voltò rapidamente altrove. Probabilmente un altro di quelli che dal suo fidanzamento non osavano più ballare con lei. Eppure dai giovani nobili spagnoli era considerata ancora una borghese. Solo gli anziani, loro volevano sfoggiarla come ornamento – e nel mentre le pestavano di continuo i piedi.

    Di malumore, si lasciò cadere in una poltrona; era stufa di non appartenere a nulla.

    Da lontano giunse un colpo – suonava quasi come un archibugio. Mirella voltò la testa. Poi ne seguì un altro. Questo era inequivocabilmente uno sparo. Forse Dario aveva ragione; la rivolta continuava. Curiosa, si alzò e scrutò fuori dalla finestra.

    Il Largo giaceva abbandonato nell’oscurità. Ma sopra Santa Lucia si era fatto più chiaro; là un incendio iniziava a diffondere la sua luce. Rapidamente si ingrandì.

    «Al fuoco!» La voce di Mirella aveva un tono isterico; inopportuno – era assai lontano. Ma lei rabbrividì.

    «Che succede?» Stefania d’Oliveto, la sua amica nobile della scuola conventuale, improvvisamente fu dietro di lei.

    Mirella indicò verso l’esterno. «Hanno di nuovo appiccato un fuoco.» Si girò.

    «Che stupidaggine. Nuocciono a loro stessi.» Stefania mise il braccio attorno alla vita di Mirella. «Perché la gente non concede pace?»

    «Sono poveri e ignoranti.»

    «Ignorante – purtroppo questo vale anche per il viceré. Non ha capito nulla di Napoli in questo anno e mezzo. Cabrera sapeva bene perché si faceva sostituire.»

    «Pensi anche tu che l’insurrezione non sia ancora finita?»

    «Lo vedi tu stessa.» Stefania indicò indietro verso la finestra. «Ne avevano abbastanza del pescatore pazzo; ma ancor più ne hanno abbastanza di essere sfruttati.»

    Mirella la guardò con ammirazione. «Sei saggia quanto Dario. Mio padre non parla mai con me di politica. Se non avessi Dario...»

    Stefania rise. «Tuo fratello è un uomo focoso. Peccato che non abbia nessun titolo nobiliare.»

    «Vuoi dire...» Mirella fissò l’amica. Gli occhi raggianti di Stefania non lasciavano dubbi. «Da quando...» Boccheggiò.

    Stefania le strinse la mano. «Aspettiamo solo che tu ti sposi. Dopodiché lui sarà pur sempre il cognato di un grande.»

    A Mirella venne caldo. Che la felicità della sua amica potesse dipendere dalle nozze con don Felipe de Toledo d’Altamira y León, non le sarebbe mai passato per la testa. Guardò il pavimento; che andasse tutto bene. «Come sarebbe bello se potessimo vivere senza presunzione di rango.» Allora tutti gli uomini avrebbero ballato con lei, ne era sicura.

    Stefania annuì. «Così come noi due. – Ma chi come noi è andato a scuola insieme.» Tirò Mirella verso lo specchio più vicino. «Ci assomigliamo persino: gli stessi riccioli scuri, gli stessi occhi verdi.» Si premette la punta del naso verso l’alto. «E lo stesso naso all’insù.»

    Risero insieme nello specchio.

    Una delle spagnole aprì la finestra più vicina e si sporse all’esterno. Poi si girò e gesticolò con le mani. «Fuego...» Le parole successive giunsero troppo precipitose per essere comprensibili. Diverse donne si affrettarono verso di lei e iniziarono ad agitarsi.

    Mirella captò un’ostile occhiata di traverso che le mandò un brivido lungo la schiena. Passò al napoletano. «Le spagnole sembrano concedere poca fiducia alle loro truppe. Hanno paura.»

    Stranamente Stefania non lo trovò divertente. «Non hanno abbastanza soldati. Se padre ha ragione...»

    Dario si avvicinò a loro; Stefania gli porse la mano. «Dove si è cacciato tutta la sera?»

    «Ho ballato con la mia bella sorella.» Ma non tutta la sera – perché non voleva dire nulla dello sconosciuto a Stefania? Mirella lo osservò con occhi vigili. Dario sorrise debolmente. «Mi concede l’onore?»

    Come fingeva bene. Nemmeno lei aveva sospettato qualcosa. Che Stefania si facesse baciare da Dario quando erano inosservati? Lo avrebbe chiesto a Stefania e non avrebbe voluto sentire ragioni. Improvvisamente ridacchiò: esperienza – qui perlomeno l’avrebbe ricevuta di seconda mano.

    «Se è disposto a sopportare i miei calci. Lo sa che non sono dotata nemmeno la metà di Mirella.» Stefania le fece l’occhiolino; poi porse il braccio a Dario.

    Lui chinò docilmente la testa. «Sarò valoroso.» I suoi occhi brillavano di desiderio.

    E così si tradì. Mirella rise trionfante dietro di loro.

    Domenica, 11 agosto 1647

    Dalla cucina venne incontro a Mirella l’odore penetrante di cavolo. Disgustata, arricciò il naso entrando in casa. Persino di domenica non c’era più nient’altro?

    Gina era al tavolo al centro della cucina e attingeva da una pentola alta del cavolo cappuccio per scolarlo con il colino. Lavorava concentrata come preparasse un piatto impegnativo.

    Con un miagolio lamentoso, il vecchio gatto oltrepassò quatto quatto Mirella e sgattaiolò in cortile prima che lei richiudesse la porta. A quanto pareva aveva perso la speranza di una coscia di pollo e ora si sarebbe andato a cercare un uccello vivo. Magari con il cibo aveva più fortuna di lei.

    In corridoio le venne incontro Dario; inarcò il labbro superiore e fiutò l’odore del cavolo, poi aprì la porta della sala da pranzo alzando le spalle. «Vai alla funzione oggi pomeriggio?»

    «Lo faccio ogni domenica.»

    «Bene.» Inclinò la testa. «Ti faccio scendere alla chiesa.»

    «Dove vuoi andare?»

    Con un’occhiata vigile ai genitori, Dario mise un dito sulla bocca. Come se questo fosse meno compromettente che risponderle.

    Mirella sorrise maliziosa; non doveva mica andare da Stefania da solo. Lei poteva fare da chaperon a quei due.

    Enzo era accanto a Rita e stava aprendo una bottiglia di Taurasi.

    Dario si fermò sorpreso. «C’è qualcosa da festeggiare, padre?»

    «Che è domenica.» La sua espressione seria però non diceva che voleva festeggiare qualcosa. «Speriamo che la predica di Filomarino abbia placato gli animi.» Versò un bicchiere semipieno e lo tenne in alto. Mentre lo agitava lentamente, la luce incantava il vino con riflessi granata.

    Mirella seguiva perplessa il suo fervore esagerato. «Non capisco. Ma cosa vuole ancora la gente?»

    «La licenza del giullare.» Enzo degustò il vino e fece schioccare la lingua con gusto. «I briganti usano i tumulti per i loro scopi.»

    «E quali sono?» Doveva forse limitarsi all’acqua? Decidendo in fretta, anche Mirella gli porse il suo bicchiere. «Posso? Un sorso, per scacciare il gusto del cavolo alla fine.»

    «Gina si è impegnata: è riuscita a comprare il pesce.» Rita strinse le labbra.

    Dario si legò il tovagliolo attorno al collo. «Dalla morte di Masaniello non c’è più nessuno che può guidare la gente. Genoino è diventato inaffidabile.»

    «Ha agito in modo sconsiderato; ma non ha pensato davvero a se stesso.»

    «Sì invece», obiettò Dario con veemenza. «Tutto questo è la vendetta di un uomo anziano che ha visto giunta la sua ora. Prima di sprofondare nella tomba doveva ancora farsi un nome in fretta.»

    «Quello ce l’ha ora, indiscutibilmente. Gli erigeranno un monumento sui ruderi della Reggia.»

    «Adesso basta.» Rita allungò la mano verso Enzo. «Niente politica a tavola. Per me è sufficiente che il pasto ci ricordi costantemente le situazioni in città.»

    Gina entrò nella sala da pranzo, tenendo in equilibrio il grande vassoio d’argento dell’eredità di famiglia di Rita. L’odore del cavolo si spandette. Posò il vassoio al centro del tavolo. Tra abbondanti quantità di verza e cavolo cappuccio, quattro piccoli sgombri erano adagiati su fette di pane sottilissime.

    «Bellissimo!» Enzo fece un cenno di approvazione col capo verso Gina. «Il tuo sforzo è valso la pena.»

    Gina fece la riverenza con occhi luccicanti e gli mise nel piatto uno degli sgombri. Poi servì a Rita un pesce e vi fece accanto dei mucchietti sia di verza sia di cavolo.

    Mirella tenne la mano sopra il proprio piatto quando Gina girò intorno al tavolo. «Solo un po’ di cavolo cappuccio, per favore.»

    «Niente pesce?» Dario suonò divertito.

    «In realtà solo pesce. Però con quello temo di non saziarmi.»

    «Mangia, Mirella», ordinò Rita. «Sii lieta che ci sia ancora così tanto.»

    «Abbiamo l’intera cantina piena di cavolo!» L’odore intenso le diede il voltastomaco. «A questo proposito non dobbiamo preoccuparci. Basterà fino all’inverno.»

    «Fino all’inverno. Appunto. Sai cosa succederà dopo?»

    Rita afferrò di nuovo la mano di Enzo. «Ma cosa dici?» Lo guardò visibilmente spaventata. «Temi che incendino i campi?»

    «Chi può sapere cosa succede fuori in campagna.» Dario girava la forchetta nella verza che nel frattempo Gina gli aveva messo nel piatto.

    Enzo alzò le sopracciglia. «Se non lo sai tu...»

    «Nessuno può dire per quanto andrà avanti così», insistette Dario. «Non c’è più nessuno che domina la plebe.»

    «Questo armaiolo che ha fatto sì che gli uomini tenessero le loro armi nonostante ora don Rodrigo abbia accettato i vecchi privilegi...»

    Dario sbuffò. «Annese è pericoloso. Sobilla contro gli spagnoli.»

    «Il re spinge Napoli alla rovina!» Enzo picchiò il pugno sul tavolo. «Un milione di ducati!»

    «Beh, costa mantenere un esercito e proteggere noi.»

    «Noi! Napoli non ha nemici.»

    Dario piegò la testa di lato. «Posso nominarGliene una bella manciata: Venezia, le truppe francesi in Toscana...»

    «Basta con la politica a tavola!» Rita parlò molto più piano di prima. Ora era seriamente in collera. «Vattene in biblioteca. Là puoi ragionare con tuo padre per il resto della giornata, non appena abbiamo finito di mangiare.»

    Dario ammutolì e strinse le labbra; la sua forchetta continuò a passare nella verza.

    Enzo si allungò al di sopra del tavolo e gliela prese. «Obbedisci!»

    Dario guardò Enzo scioccato; poi guardò verso Rita. «L’ha detto sul serio?», sussurrò.

    «Ho l’aria di scherzare?» No, non ce l’aveva proprio.

    Dario spostò ancora una volta lo sguardo da uno all’altro; poi si alzò e portò con sé il bicchiere.

    «Significa che adesso ha il divieto di uscire?» Mirella era scioccata quanto Dario. Che Rita persino adesso insistesse tanto ostinatamente sulla sua regola a tavola: non trovava dunque importante capire cosa ne sarebbe stato di Napoli?

    «Non è affar tuo, figliola.» Rita suonò di nuovo cordiale e affettuosa. «Volevi andare ancora via?»

    Lei annuì.

    «Ti accompagnerà Fabrizio.»

    Quando Mirella entrò in biblioteca, Dario sedeva sul davanzale imbottito e girava tra le dita il bicchiere. Era ancora pieno come prima.

    «Dirò a Stefania perché non vieni.»

    Alzò gli occhi; il suo sguardo era una domanda unica. «Come ti viene in mente Stefania?»

    Mirella sorrise scaltra e si sedette accanto a lui. «Non fingere! Mi ha detto di voi.»

    Una luce montò negli occhi di Dario e per un attimo lui apparve giovane e vulnerabile. Poi scosse la testa. «Stefania verrebbe relegata in un convento, se la marchesa venisse a sapere qualcosa.» Le diede un colpetto affettuoso sul naso. «Ragazza furba; ma non è come pensi tu. Non ci incontriamo di nascosto.»

    «Ma allora dove volevi andare?»

    Scosse ancora la testa; stava decisamente diventando una sua nuova abitudine. «Non te lo posso dire.»

    Si scostò da lui. «Non hai mai avuto segreti per me. E adesso già due.»

    Dario rise a crepapelle.

    «Cosa c’è di tanto divertente?»

    «Sorellina, credo che tu sia gelosa.»

    «Nient’affatto. – Chi ti aspetterà invano oggi pomeriggio? Posso quanto meno avvisare.»

    Dario sorrise del suo zelo. «Sarebbe certamente più cortese se mandassi le mie scuse.» Chinò la testa. C’era ancora qualcosa su cui riflettere? «No, non posso mandare te. Non laggiù. Anche se lo farei volentieri.»

    «Non ti fidi di me!»

    Si piegò verso di lei e la baciò sulla fronte. «Non dovrei fidarmi della mia propria sorella? Di chi allora, se non di te!»

    Enzo entrò, la bottiglia di vino in mano. «Sei qui anche tu?» Andò allo scrittoio e ne estrasse la sua pipa. Mentre la riempiva squadrò entrambi. «Vi ho interrotto?»

    Mirella esitò; aspettava la replica di Dario. Ma lui si limitò a girare il bicchiere tra le dita. «Dopo la funzione vorrei andare da Stefania e anche a trovare la vecchia Giuseppina.» Anche se Dario non voleva dirle cosa aveva in mente; forse poteva liberarlo dagli arresti domiciliari. «Non si conviene che mi accompagni solo Fabrizio. Cosa penserebbe la gente! Sembrerebbe che io vada a spasso con un cocchiere. O devo percorrere l’ultimo pezzo di strada senza accompagnamento?»

    «Non essere infantile.» Il tono di Enzo era insolitamente brusco. «Se non ti va bene, allora resta a casa.» Andò alla libreria ed estrasse alcuni in-folio rilegati in pelle. Infine ne porse uno a Dario. «Leggilo. Magari dopo diventerai un po’ più assennato.»

    Mirella sbirciò il dorso del libro. «Dante?»

    «L’ho letto più di una volta. Non mi dice nulla.»

    «Allora leggilo ancora una volta. E intanto rifletti.»

    Dario fece una smorfia, ma obbediente aprì il libro nel punto indicato da Enzo.

    «Leggicelo ad alta voce.»

    Dario bevve un sorso, posò il bicchiere e obbedì con un sospiro.

    «O insensata cura de’ mortali,

    Quanto son difettivi sillogismi

    Quei che ti fanno in basso batter l’ali!...»

    Dopo mezzora Enzo si alzò. «Basta per oggi.»

    Dopo che ebbe lasciato la biblioteca, Dario e Mirella si guardarono allibiti.

    «Cosa doveva essere?»

    «Una lezione.» Dario buttò fuori il fiato. «Ho pensato davvero che dopo mi lasciasse andare.» Si scolò il bicchiere, si alzò e prese la bottiglia che Enzo aveva lasciato. «A tempi migliori! Ne vuoi un sorso anche tu?»

    «Sei strano oggi! Cosa c’è?»

    «Va’ alla tua funzione. E da Giuseppina!» Prima di lasciare la biblioteca si girò ancora una volta verso di lei. «Di’ a Fabrizio di venire da me prima che partiate.»

    Enzo, passando davanti alla finestra, si recò nel roseto con una cesoia in mano. Là tagliò via i fiori appassiti; di tanto in tanto scostava un paio di rami piegandoli ed esaminava le foglie. Probabilmente le rose avevano di nuovo i pidocchi. Per i suoi fiori si dava più pensiero che per i suoi figli. Sebbene...

    Mirella prese l’in-folio e lesse ancora ciò che Dario aveva declamato. Lui pareva aver compreso quello che Enzo gli voleva dire con quello. Perché lei era troppo stupida per capirlo?

    Quando la ghiaia davanti alla finestra scricchiolò, Mirella alzò gli occhi. Enzo ritornava. Cosa avrebbe detto del fatto che prima non voleva andare via con Fabrizio e invece adesso sì?

    Aprì la finestra, il libro in mano. «Padre, perché Dario doveva leggere Dante?»

    Lui le porse la cesta con le rose. «Perché non si perdesse in cose inutili.»

    «Ma...»

    «Fa’ distribuire le rose nei vasi.»

    Mirella infilò il naso nella cesta. «Come profumano! Posso portarne qualcuna a Giuseppina?»

    «Così hai cambiato idea?»

    «Ma lo sanno tutti...» Poi la voglia di provocarlo vinse. «È il Suo nome che disonoro se vado in giro per i boschi del Vesuvio col nostro cocchiere.»

    «Portale dei fiori, quanti ne vuoi.» La guardò ghignando. «Non devi neppure trasportarli tu.» Fischiettando una canzone satirica, Enzo passò oltre. Lei non sapeva nemmeno che la conoscesse.

    Fabrizio era accanto ai cavalli e stava infilando un documento sigillato nella tasca della giacca, quando più tardi Mirella entrò nel cortile.

    «Per quanto rimarrà in chiesa, signorina?»

    «Non lo so ancora.» Mirella era ancora arrabbiata per il comportamento misterioso di Dario. «Lo saprai quando uscirò.»

    Un’ombra cadde sul volto di Fabrizio e per un attimo le sue labbra si mossero, come volesse ribattere qualcosa. Invece tirò le olivette del panciotto attraverso gli occhielli e srotolò le maniche della camicia. Poi aiutò Mirella a salire nella carrozza.

    Quando poi si fermarono davanti alla Basilica del Carmine, Mirella si diede della sfacciata: ora entrava in chiesa e allo stesso tempo era cattiva con un domestico.

    La Piazza del Mercato giaceva abbandonata nel sole splendente. E proprio questo era preoccupante. In una vera domenica dovevano esserci i commedianti in piazza e altri passatempi.

    «Perché volevi sapere per quanto rimango alla funzione? Hai qualcosa da sbrigare?»

    La mano di Fabrizio scivolò verso la tasca della giacca. «Gina...» Si bloccò come se gli fosse venuto in mente che lei avrebbe scoperto se lui le avesse dato a intendere qualcosa sugli ordini di Gina.

    Lo guardò esortante; con un sorriso che magari lo avrebbe incoraggiato a parlare.

    «Suo fratello mi ha chiesto di consegnare una lettera.»

    «Puoi fare una deviazione sulla strada del ritorno, se dovesse essere

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