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Le trasgressioni della carne: Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX
Le trasgressioni della carne: Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX
Le trasgressioni della carne: Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX
E-book342 pagine4 ore

Le trasgressioni della carne: Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX

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Info su questo ebook

Questo libro affronta, per la prima volta insieme, la lunga storia dei desideri e delle relazioni omoerotiche e omosessuali nel mondo islamico e cristiano dal medioevo alla prima metà del Novecento.
Attraverso sette saggi, scritti da alcuni tra i maggiori specialisti a livello internazionale, si rintracciano episodi di vita quotidiana e riflessi letterari degli amori tra persone dello stesso sesso nel passato, ricostruendo al contempo le evoluzioni del generale contesto di controllo e repressione in cui si realizzarono.
Al centro del volume non si trova tanto la proposta di una comparazione tra due ambiti storici avvertiti a lungo come in netta contrapposizione tra loro, quanto piuttosto l’ipotesi che proprio le trasgressioni della carne abbiano costituito un inatteso terreno d’incontro e d’interazione tra musulmani e cristiani. Dettero, infatti, corpo a pratiche di tolleranza rimosse e dimenticate, che hanno concorso, tuttavia, a dare forma al complesso mosaico della storia mediterranea.
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2015
ISBN9788867284405
Le trasgressioni della carne: Il desiderio omosessuale nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX
Autore

Umberto Grassi

Umberto Grassi si è addottorato in Storia moderna all’Università di Pisa e ha collaborato al progetto FIRB “Oltre la guerra santa” in qualità di assegnista di ricerca alla Scuola Normale Superiore. Si occupa di storia della sessualità, con particolare riguardo per l’omoerotismo e i suoi intrecci con gli scambi inter-culturali. È autore di vari saggi e articoli su rivista e della monografia L’offizio sopra l’onestà. Il controllo della sodomia nella Lucca del Cinquecento (2014). È inoltre di prossima uscita una sua opera di sintesi sulla storia delle relazioni omosessuali in Europa dall’alto medioevo alla fine dell’età moderna.

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    Le trasgressioni della carne - Umberto Grassi

    La storia. Temi

    46

    Le trasgressioni della carne

    Il desiderio omosessuale

    nel mondo islamico e cristiano, secc. XII-XX

    a cura di

    Umberto Grassi e Giuseppe Marcocci

    viella

    Copyright © 2015 - Viella s.r.l.

    Tutti i diritti riservati

    Prima edizione: febbraio 2015

    ISBN 978-88-6728-440-5 (epub)

    Prima edizione digitale: aprile 2015

    Questo volume è stato pubblicato con il contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca e della Scuola Normale Superiore.

    La traduzione dei saggi di Everett K. Rowson, Selim S. Kuru, Tomás A. Mantecón Movellán, Luiz Mott e Jean-Raphaël Bourge è di responsabilità dei due curatori del volume.

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    Umberto Grassi e Giuseppe Marcocci

    L’intreccio dei desideri, la tolleranza della carne: per una nuova storia delle relazioni tra musulmani e cristiani

    Per lunga consuetudine, siamo portati a considerare il mondo islamico e quello cristiano come due realtà contrapposte. Secoli di confronti, di dispute e di guerre hanno lasciato in eredità un’immagine di scontro e di chiusura, segnata da un’ostilità insanabile, le cui incrostazioni contemporanee si è teso a lungo a proiettare sul passato. Negli ultimi decenni, in parallelo a una ripresa di questi argomenti per legittimare nuovi conflitti, alimentati dall’artificiale retorica di un antagonismo intrinseco tra Oriente e Occidente, una ricca messe di studi ha fornito conoscenze e strumenti interpretativi per ricostruire un paesaggio più mosso delle interazioni tra musulmani e cristiani dal medioevo in poi. Questo ha permesso non solo di cogliere gli effetti distorti delle rappresentazioni incrociate contenute in scritture ufficiali, testi letterari e opere d’arte, spesso prodotti in un clima segnato da conflitti militari, ma anche di superare lo schema delle influenze reciproche e della trasmissione di saperi e tecniche, in qualche modo ancora debitore di una visione essenzialmente binaria delle relazioni fra terre a maggioranza islamica o cristiana. Si è così gradualmente superata la tendenza a ridurne la storia alla sola dimensione religiosa, per recuperare tutta la complessità di fenomeni culturali, sociali ed economici che spesso caratterizzavano, nel loro insieme, le regioni attraversate da quell’immaginaria frontiera transcontinentale che andava, con variazioni nel corso del tempo, dall’Asia sud-orientale all’Europa occidentale, passando per l’Africa del Nord.¹

    La storia del commercio tra medioevo e prima età moderna ha insegnato a osservare, al di là delle crociate e della guerra santa, una quotidianità fatta non solo di scambi, di circolazione di uomini e merci, ma anche di consolidate pratiche di negoziazione.² Al tempo stesso, recenti studi sui secoli dell’età moderna hanno posto l’accento tanto sugli intrecci fra i grandi imperi asiatici ed europei, quanto sulla porosità dei confini linguistici, giuridici e comunitari.³ Quest’ultima emerge frequentemente quando si sposta l’attenzione dalle grandi formazioni politiche sovra-regionali alla scala più ridotta delle vite di individui avvezzi a mediare tra mondi e culture, talvolta mutando nome e religione per attraversare quei mondi e quelle culture con molta più agevolezza di quanto gli storici siano portati a pensare.⁴ All’ombra di grandi religioni e potenze rivali, si è riscoperta così una storia brulicante di incontri e di rapporti in cui, a un senso delle distinzioni e delle differenze che non veniva mai meno nella vita di tutti i giorni, non corrispondevano però barriere invalicabili. Ne è derivato un cambio di paradigma che ha indotto alcuni storici persino a retrodatare gli inizi dell’età moderna, con tutto il suo complesso portato di significati e valori, all’età di Gengis Khan e del grande impero mongolo, o a ripensare la parabola storica del continente eurasiatico sotto il segno delle storie connesse.⁵

    La storia della sessualità non è rimasta immune a questi stimoli. Non sono mancati lavori sul superamento dei divieti delle unioni carnali con non musulmani o non cristiani, rispettivamente nel mondo islamico o in quello cristiano: le ricerche hanno preso in considerazione, fra l’altro, i problemi aperti nei diversi ambiti regionali dai matrimoni misti, quando autorizzati, o le dinamiche di genere nei processi di conversione da una religione all’altra.⁶ Come per altri ambiti, dal commercio al diritto, passando per il confronto culturale e teologico, la possibilità di arrivare a ricomporre pezzi di passato senza cadere in stereotipi ingenui o gravi fraintendimenti passa per un’attenta e paziente messa a fuoco di singoli aspetti in contesti storici determinati, che consentano di avere una valida base di partenza per procedere allo studio delle interazioni, indagandone la genesi, le forme e le ragioni profonde.

    Il presente volume si propone di percorrere qualche primo passo lungo questo sentiero, affrontando il tema dell’omoerotismo e del desiderio omosessuale nel mondo islamico e in quello cristiano sul lungo arco dei secoli che vanno dal XII secolo al primo Novecento. Si tratta di un esperimento che muove da un’ipotesi che richiederà ancora approfondimenti rispetto alle analisi proposte nelle pagine che seguono: in un regime di comune, ma certo non identico, divieto di rapporti carnali tra persone dello stesso sesso, è possibile che la pratica dell’omoerotismo abbia definito uno specifico terreno di scambio e interazione tra musulmani e cristiani, rivelando proprio in una dimensione clandestina e non priva di pericoli della vita sociale la capacità di superare le molte barriere elevate dalle rispettive religioni? Per sondare la validità di tale ipotesi è necessario, in via preliminare, disporre di più approfondite e condivise conoscenze sulle relazioni omosessuali tra musulmani e cristiani, attraverso studi che ne esplorino le occorrenze nelle fonti ufficiali e private, normative e giudiziarie, letterarie e artistiche. Un libro come quello che il lettore ha tra le mani, che propone sette saggi dove si discutono questi aspetti, indagati in precisi momenti e ambiti storici a cavallo tra il mondo islamico e quello cristiano, tenta di dare una prima risposta a questa esigenza.

    Concentrarsi sul problema specifico dell’omosessualità apre scenari d’indubbio interesse. Ci colloca, infatti, sul crinale che, in entrambe le tradizioni religiose, divide il lecito dall’illecito, il socialmente accettabile dall’abbietto, ciò che è considerato produttivo e funzionale al mantenimento dell’ordine sociale e ciò che solleva lo spettro della sovversione, della sterilità e della morte. Basti pensare quanto l’ombra dell’omosessualità fu presente nell’elaborazione dello stereotipo del nemico musulmano nella retorica cristiana tra medioevo ed età moderna, come lo è oggi nell’immaginario sull’Occidente decadente e infedele che agita i fantasmi dell’islam più conservatore. Storicizzare conduce al cuore di queste rappresentazioni, contribuendo a spiegarne le origini. Non soltanto: rivolgere lo sguardo indietro nel tempo consente di osservare, nel passato delle società islamiche e cristiane, margini di apertura nei confronti dei comportamenti omosessuali che oggi sorprendono.

    Lo studio dei rapporti omoerotici è ormai divenuto un affermato campo di ricerca nel mondo accademico occidentale, soprattutto anglo-americano, e quello della sessualità nel mondo islamico vi sta conquistando anch’esso uno spazio.⁷ Tuttavia, benché questa letteratura offra già numerosi spunti, gli studi interamente dedicati ad analizzare sotto tale aspetto le interazioni tra cristiani e musulmani sono ancora pochi.⁸ Anche per questo motivo, nel presente volume si è scelto di puntare sulla collaborazione tra studiosi di storia sociale e religiosa dell’Occidente europeo con specialisti di storia del mondo islamico, provvisti delle competenze linguistiche richieste per interpretare le fonti originali. Le due sezioni in cui si divide il libro riflettono la complessità del problema che si tenta di affrontare.

    Nella prima parte, intitolata Descrizione e proibizione, si delinea un percorso di analisi degli atteggiamenti culturali, sociali, giuridici e istituzionali verso l’omosessualità e l’omoerotismo nel mondo islamico e in quello cristiano nei secoli del basso medioevo e della prima età moderna. Il saggio d’apertura di Everett Rowson descrive la posizione dell’élite mamelucca rispetto alle relazioni omoerotiche in Egitto e in Siria. Fa da contraltare la fine analisi di Giacomo Todeschini, che offre una prospettiva del tutto originale da cui guardare al controllo della sodomia nell’Europa tardo-medievale. Rowson registra una relativa tolleranza per i sentimenti erotici nutriti dagli uomini verso altri uomini, pur in un quadro in cui gli atti omosessuali erano riprovati dalla religione e puniti dalla legge che a essa s’ispirava. Al contrario, benché celebrazioni poetiche e letterarie del sentimento omoerotico fossero presenti anche nell’Occidente cristiano medievale,⁹ il saggio di Todeschini riconduce in un contesto fortemente repressivo e condannatorio, nel quale non mancavano comunque notevoli elementi di dinamicità.

    Anche se racconta diversi casi in cui il comportamento omosessuale fu duramente punito, Rowson sottolinea la dimensione pubblica delle relazioni tra uomini, anche consumate, nel mondo dell’élite mamelucca. Tali relazioni davano scandalo solo se gli oggetti del desiderio di governanti e sultani non erano adeguati per rango o qualità morali al loro ruolo di favoriti, o quando l’amore nutrito per loro li accecava al punto da distrarli dai loro obblighi di comando. Questa relativa accettazione, nella sua difficile coesistenza con i divieti religiosi, non fu mai eguale nel tempo. Già gli storici dell’epoca si chiedevano, con toni più o meno preoccupati, perché con l’andare degli anni – a detta loro – la propensione ad amare i ragazzi si fosse diffusa. Le risposte date forniscono elementi interpretativi di grande interesse, che si concentrano sul legame tra l’estensione di questi costumi e l’organizzazione sociale dell’élite mamelucca. Si trattava, infatti, di un gruppo di schiavi e al contempo di una casta di governo rigidamente chiusa, la cui provenienza – ed è quello che qui più interessa – era diversa dal resto della popolazione, giacché erano uomini per lo più originari delle steppe eurasiatiche e della penisola anatolica, catturati giovanissimi e poi convertiti all’islam. Il comportamento omosessuale, dunque, era generalmente percepito, anche all’interno del mondo islamico, come qualcosa che aveva a che fare con l’alterità, che lo si deprecasse come un’infezione contratta dall’esterno o che fosse esaltato da quanti avevano cominciato a trascurare i «larghi occhi» delle donne arabe per cedere al fascino esotico dei «giovani turchi dagli occhi sottili».

    Calando la sua analisi nel contesto economico e sociale degli ultimi secoli del medioevo, Todeschini invita a ripensare paradigmi storiografici consolidati. Fino ad oggi, infatti, l’aumento di attenzione delle istituzioni per la sodomia e la sua repressione sempre più dura dal Duecento in avanti sono stati attribuiti al senso d’instabilità che in quel tornante di secoli scuoteva l’Occidente cristiano. Mentre la vocazione universalistica della Chiesa s’incarnava in un programma di riforme teocratico e accentratore, esplodeva il dissenso religioso interno. Al contempo, la forza dell’islam si faceva sempre più minacciosa, alimentando un clima di ansia e di rovina imminente. Al nemico interno ed esterno erano attribuiti caratteri demoniaci, il cui corollario era il sesso contro natura, considerato il compendio di ogni ribellione a Dio e all’ordine inscritto nel creato. A esorcizzare il timore suscitato dalla strisciante convinzione di meritare una punizione per l’incapacità di adeguarsi, come società e come individui, ai dettami morali imposti dalla religione cristiana, servì dunque l’identificazione di specifici capri espiatori, di volta in volta ebrei, eretici, streghe e sodomiti, i cui roghi purificatori avevano la funzione rituale di scaricare le tensioni sociali accumulate.¹⁰ Tale lettura, che pure mantiene una sua validità generale, si arricchisce di elementi endogeni di tutt’altra natura grazie al saggio di Todeschini.¹¹ Lo sviluppo dell’economia tardo-medievale portò con sé, oltre a una crescita materiale, il riconoscimento del valore sociale e politico dei ceti economicamente produttivi. Tale affermazione impose una ridefinizione delle gerarchie di valori, in cui l’elemento della sterilità e dell’improduttività divenne oggetto di nuove condanne simboliche. In questo quadro, furono messe sullo stesso piano la peccaminosità del sodomita e quella dell’usuraio, produttore di una ricchezza sterile, non legata al lavoro, illusoria come ogni manifestazione del peccato. La prospettiva suggerita da Todeschini apre nuove piste di ricerca assai proficue per indagare le radici storiche dell’omofobia nella cultura occidentale. Come evidenziano, infatti, le correnti più radicali delle teorie queer statunitensi, ancora oggi l’elemento della sterilità continua a essere centrale nell’elaborazione degli stereotipi anti-omosessuali e delle campagne che a essi s’ispirano.¹² Questi temi furono sviluppati in maniera provocatoria già nel 1987 da Leo Bersani in un saggio dal titolo Is the Rectum a Grave?, in cui il tema dell’AIDS era affrontato alla luce dell’esplosione omofobica nel discorso pubblico nei tempi immediatamente successivi alla diffusione epidemica della sindrome da HIV.¹³

    Agli affondi di Rowson e Todeschini seguono due saggi su temi e ambiti specifici della prima età moderna. Selim Kuru ricostruisce il tema dell’amore per i ragazzi nella letteratura turco-ottomana tra la metà del Quattrocento e il Seicento, mentre Vincenzo Lavenia esplora la genesi dello stereotipo del musulmano sodomita nella cultura cristiana europea grossomodo nello stesso tornante di secoli.

    Incentrato sull’ambiente culturale dell’impero ottomano dopo la conquista di Costantinopoli, il saggio di Kuru illustra il dibattito e i conflitti interni alle élites intellettuali turco-anatoliche sulla questione dell’amore per i ragazzi. L’originalità della proposta consiste nel legare l’affermazione di questo tema agli sviluppi originali di alcuni generi letterari, come la poesia lirica e il romanzo in versi, che proprio in concomitanza e in stretta relazione con l’apertura alla materia omoerotica conobbero mutamenti radicali di forma e contenuto, destinati a durare nel tempo e a dare alla letteratura turca un’impronta che sarebbe sopravvissuta anche all’epurazione di ogni riferimento all’omosessualità nel canone letterario otto-novecentesco. Indagare le ragioni di questo tardivo cambiamento di segno porta inevitabilmente Kuru ad affrontare anche il tema delle relazioni interculturali, nella misura in cui la scomparsa del topos dell’amore per i giovani dalla letteratura turca è da attribuirsi, prevalentemente, all’accoglienza di valori morali e modelli comportamentali mutuati dall’Occidente.

    Il saggio di Lavenia prepara il salto dalla dimensione comparativa allo studio delle interazioni, tracciando, attraverso un complesso gioco di rimandi intertestuali, la storia attraverso la quale, in età moderna, e in particolare nel mondo iberico, islamofobia e rifiuto dell’omosessualità si fusero nella costruzione dello stereotipo anti-islamico. Sebbene Lavenia per primo ricordi che i musulmani erano visti anche come un giusto flagello inviato da Dio a punire i peccati dei cristiani, e talvolta ammirati come nemici coraggiosi e temibili (dando vita a un osteggiato ma pur vivo filone maurofilo all’interno della cultura cristiano-occidentale), l’immagine negativa dominò gran parte del discorso pubblico sul mondo islamico nei secoli dell’età moderna.¹⁴ Nel saggio si riflette anche sulle dinamiche attraverso cui gli europei riadattarono le categorie usate per descrivere l’islam alle loro relazioni con i nativi americani e con i cinesi. Così come i musulmani, anche asiatici e amerindi furono dipinti come popolazioni prone al vizio e alla sodomia, giustificando, in particolare nel caso delle Americhe, l’impiego della violenza coloniale come atto di tutela della legge di natura.

    Lo speciale ruolo occupato dal mondo iberico e dalla dimensione coloniale si trova al centro anche della seconda parte. Intitolata Interazioni e immaginari, essa si apre con un saggio di Tomás Mantecón Movellán sulla Spagna del Cinque e Seicento, prosegue con Luiz Mott che esplora le relazioni omosessuali tra musulmani e cristiani nel mondo lusitano e in Africa del Nord, concentrandosi in particolare su mouriscos e rinnegati, e si chiude, infine, con la messa a punto di Jean-Raphaël Bourge che ripercorre il processo tramite cui, nell’ambito del colonialismo francese tra Otto e Novecento, gli stereotipi di cui Lavenia indaga la genesi e i primi sviluppi, conobbero una trasformazione, in larga misura debitrice degli effetti delle rappresentazioni non solo letterarie e artistiche, ma anche scientifiche, prodotte da un orientalismo ormai maturo.

    Sorprende rilevare come, anche in un passato in cui non avevano voce nel discorso pubblico occidentale, le espressioni del desiderio omosessuale abbiano trovato spazio e rappresentazione nei documenti storici. Il saggio di Mantecón Movellán sulla Spagna del Siglo de Oro non mostra solo la presenza di una sottocultura omosessuale molto viva nelle città spagnole, in particolare a Siviglia, ma anche come moriscos, mulatti e schiavi musulmani non convertiti rivestissero un ruolo centrale nell’economia del desiderio di questi circoli clandestini. Esponenti dei ceti più elevati compravano schiavi soppesandone gli attributi sessuali, mentre uomini di colore svolgevano il ruolo di intermediari e ruffiani tra i giovani della nobiltà, spesso visibilmente effeminati, e uomini delle classi popolari. Al contempo, il saggio rivela come, in un mondo segnato da una rigida divisione dei ruoli di genere, potessero trovare un loro riconoscimento sociale anche figure transgender e intersessuali, cui la doppia appartenenza a una minoranza religiosa e sessuale non impedì talora, pur a fronte di persecuzioni giudiziarie, il raggiungimento di una certa notorietà.

    Mott, a sua volta, analizza insieme le vicende di musulmani e mouriscos processati per sodomia dall’Inquisizione portoghese e quelle dei cristiani rinnegati che, dopo aver abbracciato, per forza o per scelta, l’islam, furono poi accusati di aver compiuto atti sodomitici in terra nordafricana. Nel primo caso, sembra che le barriere che dividevano socialmente i cristiani di antica origine dai neoconvertiti e i loro discendenti fossero più rigide nel mondo portoghese che in quello spagnolo, prevalendo qui una maggiore endogamia tra i moriscos processati per sodomia. Pur con tutta la cautela che questo tipo di documentazione richiede, è comunque degno di nota che, nelle deposizioni trascritte dagli inquisitori, emerga la cosciente rivendicazione degli accusati di una maggiore libertà nella morale sessuale, che avrebbe dichiaratamente affondato le sue radici nel contesto culturale e sociale di origine degli accusati. Altrettanto notevole il caso dei rinnegati catturati dai musulmani e vissuti come schiavi in Africa del Nord: se alcuni di essi subirono violenze sessuali legate alla loro condizione subordinata, altri invece approfittarono della libertà di costumi offerta dalla nuova vita per stringere molteplici relazioni, e vissero le loro avventure sessuali e sentimentali approfittando della complicità dei loro padroni e amanti.

    Con il saggio finale di Bourge l’analisi si sposta su epoche a noi più vicine, segnate in profondità dal cosiddetto predominio dell’Occidente. Alla metà dell’Ottocento, i rapporti fra le maggiori potenze europee e il resto del mondo erano ormai improntati a un’innegabile sproporzione nei rapporti di forza, cancellando, fra l’altro, quel timoroso rispetto che la potenza dell’impero ottomano aveva a lungo suscitato nel cuore degli osservatori europei. Partendo da esempi tratti dal caso francese, Bourge mostra come il fascino esotico per l’Oriente si tramutasse, allora, nelle visioni proiettive e cariche di sensualità di un mondo certo della propria superiorità civilizzatrice. Il pensiero scientifico costruiva le sue tassonomie: medici e antropologi occidentali, che in Europa sulla scorta della scienza della fisiognomica classificavano criminali e pervertiti in base alle loro caratteristiche fisiche, usavano le medesime categorie per condannare all’inferiorità le popolazioni colonizzate sulla base di presunte evidenze scientifiche. I segni della debolezza morale trovavano conferma nei corpi e giustificavano il rapporto predatorio degli europei con il resto del mondo alla luce di un’auto-proclamata missione educativa e moralizzatrice. In quest’operazione, la pornografia alimentò la fantasia e giocò un ruolo fondamentale nella costruzione di stereotipi orientalistici ancora oggi molto vivi: i giovani arabi, efebi ed effeminati; i magrebini adulti dal pene smisurato quanto i loro appetiti sessuali; le donne lascive e prone al piacere, ritratte tra i vapori dei bagni e i veli dell’harem. Tutte queste immagini reificavano l’altro, modellandolo sulla misura dei propri desideri e rappresentandolo come specchio distorto di chi, osservando, continuava inconsciamente a guardare se stesso e le proprie pulsioni.

    I saggi di questo volume offrono elementi per ripensare tanto la storia delle relazioni tra musulmani e cristiani quanto il dibattito sulla storia delle identità sessuali. Partiamo da quest’ultimo aspetto. Soprattutto negli Stati Uniti, la maggior parte degli storici della sessualità ha fatto proprio il paradigma interpretativo foucaultiano dell’elaborazione ottocentesca delle identità sessuali.¹⁵ Muovendo dalla constatazione che prima della seconda metà dell’Ottocento non esistevano parole come omosessuale e omosessualità, gli studiosi si sono a lungo interrogati sulla possibilità di impiegare tali vocaboli in rapporto al passato senza cadere in anacronismi: prima della costruzione dell’omosessualità (come categoria medico-scientifica) esisteva una coscienza identitaria condivisa per le persone che amavano e avevano rapporti con partner del loro stesso sesso, quale si attribuisce a chi si definisce oggi omosessuale o gay? Le risposte sono state diverse.¹⁶ Tuttavia, anche chi ha abbracciato la prospettiva costruzionista, pur senza negare valore alle discontinuità storiche, ha finito con il rivedere la cronologia proposta da Michel Focault ne La volontà di sapere (1976), cogliendo già nelle fonti criminali settecentesche elementi distintivi dell’identità omosessuale quale sarebbe stata in seguito concettualizzata da medici e psicologi. Tale cifra identitaria consisterebbe essenzialmente nell’allineamento tra l’orientamento sessuale (caratterizzato dalla preferenza per partner dello stesso sesso) e l’inversione di genere. Nel corso del Settecento si sarebbe così assistito all’emergere della figura dell’omosessuale effeminato e (più tardi) della lesbica mascolina, all’interno di specifiche sottoculture urbane nord-europee.¹⁷ Secondo i sostenitori di quest’ipotesi si trattò di una rottura rispetto a una precedente organizzazione sessuale, che prevedeva la possibilità della bisessualità del maschio adulto. Questo modello, diffuso in particolare nell’area mediterranea, aveva trovato la sua manifestazione storica più evidente e documentata nell’antichità classica greco-romana.¹⁸ Al suo interno vigeva il rispetto di precise gerarchie di potere: al maschio adulto era consentito il solo ruolo attivo, da praticare con donne, adolescenti o altri soggetti in posizione d’inferiorità sociale, come schiavi, dipendenti o prigionieri. Seppure represso dai divieti islamici e cristiani, tale modello sopravvisse, in forme diverse, anche durante il medioevo e l’età moderna.¹⁹

    Altri studi hanno rivelato tuttavia come nel mondo iberico, già tra Cinque e Seicento, fossero fiorite sottoculture omosessuali in cui l’inversione di genere era ben presente.²⁰ Il saggio di Mantecón Movellán in questo volume arricchisce il quadro di nuovi dettagli.²¹ Il caso di Francisco Galindo, che andava vestito «con tanti ornamenti da sembrare più una donna che un maschio», così come l’insistenza delle fonti sull’effeminatezza e l’eleganza dei caballeritos che cercavano, con la mediazione di ruffiani, la compagnia di giovani popolani spinge, infatti, a ripensare cronologie ormai consolidate in ambito storiografico.

    In quest’ottica, il confronto con il mondo islamico apre ulteriori prospettive. Sebbene qui il modello dominante fosse quello pederastico, il saggio di Rowson rivela che le gerarchie di potere non erano sempre rispettate, testimoniando anche forme di relazione più paritaria. Altri lavori dello stesso studioso avevano già sottolineato il ruolo importante del travestitismo e dell’effeminatezza nel mondo islamico medievale.²² Al contempo, un testo irriverente come il Libro che scaccia la tristezza e dissipa l’angoscia di Gazalî (ca. 1500), studiato da Kuru sempre in questo volume, descrive gli amanti dei bei ragazzi nel contesto turco alla luce di una specifica, seppur parodica, connotazione identitaria. Allineare questi molteplici spunti restituisce un quadro molto variegato dei discorsi relativi alle identità sessuali. Non s’intende certo trascurare il cambiamento epistemologico apportato dalla costituzione di una precisa categoria che accomuna tutte le donne e gli uomini che preferiscano partner del loro stesso sesso, quale che sia la loro posizione (attiva o passiva, femminile o mascolina, o collocabile nelle loro possibili interesezioni). Tuttavia quanto detto sopra porta a sfumare un’opposizione troppo rigida tra passato e presente. È difficile cristallizzare un paradigma pre-moderno che si opponga come un blocco omogeneo alle moderne epistemologie sessuali, laddove un lungo lavoro di decostruzione ha messo in crisi anche la coerenza di queste ultime.²³ Sembrerebbe che la tradizionale bisessualità mediterranea abbia convissuto per secoli con molte variabili, alcune delle quali prevedevano precise connotazioni identitarie, come ad esempio l’omosessualità passiva e l’effeminatezza,²⁴ poi confluite nella complessa identità omosessuale post-ottocentesca, rappresentandone di volta in volta aspetti fondamentali o significative sotto-categorie.²⁵ In tal senso, lo sviluppo di nuove ricerche sulle relazioni omoerotiche tra cristiani e musulmani potrebbe consentire di rivedere convinzioni consolidate anche nel più vasto ambito della storia dell’omosessualità.

    Le ricostruzioni fornite da Rowson e Kuru per il mondo islamico e da Todeschini e Lavenia per quello cristiano costituiscono un’imprescindibile base di partenza per studiare nel loro contesto le interazioni omosessuali tra musulmani e cristiani nei secoli a cavallo tra il basso medioevo e la prima età moderna. Per avanzare un’interpretazione d’insieme sul significato di queste ultime rispetto alla storia generale delle relazioni tra cristiani e musulmani, occorre tuttavia chiedersi quale rilevanza possano assumere i casi puntuali esaminati da Mantecón Movellán e Mott, interrogandosi su che valore attribuire alla sessualità in questo ambito di ricerca. Tale domanda comporta una riflessione più ampia sull’importanza simbolica attribuita al sesso, sul suo statuto ambiguo, sul suo collocarsi inevitabilmente tra il regno delle pulsioni e l’universo di valori ad esse socialmente attribuiti. In che misura i rapporti descritti in questi due saggi superavano le barriere costruite per dividere concettualmente e materialmente il mondo islamico e quello cristiano, e fino a che punto invece rafforzavano stereotipi e pregiudizi? Da questo punto di vista l’analisi orientalista della sessualità proposta da Bourge fornisce elementi essenziali per inquadrare la centralità del sesso nella costruzione otto-novecentesca delle relazioni

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