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Il destino dell'amore
Il destino dell'amore
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E-book147 pagine1 ora

Il destino dell'amore

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Info su questo ebook

Antonella è una giovane manager sarda che lavora a Milano nel settore vendite di una multinazionale. La sera del suo compleanno, dopo una cena per festeggiare Antonella decide di tornare a casa dei suoi genitori. Dopo alcuni mesi, rientra a Milano per riprendersi quello che ha perso: la vita e la carriera. Quando sembra esserci riuscita, nuovamente è costretta a tornare in ospedale, a causa di un dolore acuto e persistente alla gamba sinistra. I medici sono costretti ad amputarle l’arto. Quella che sembra l’ennesima sconfitta, in realtà, per Antonella si trasforma in un’opportunità per diventare in pieno padrona della propria vita.Antonella Gregorio nasce nel 1964., torna a casa e si risveglia in ospedale dopo quarantacinque giorni. Quando si risveglia non ha più i ricordi. Le uniche reminiscenze che le tornano alle memoria, sono quelle della tragica storia con Alessandro, il fidanzato morto in un incidente stradale dieci anni prima. Il recupero è difficile: non riconosce le amiche e i colleghi, non prova emozioni.

in copertina: opera realizzata da Antonella Gregorio prima del coma, Si trova vicino a Milano, presso l’abitazione privata di Roberta Lilliu.

nel retro: opera realizzata da Antonella Gregorio dopo il coma, Si trova vicino a Trieste, presso l’abitazione privata di Mascia Pinauda.

Antonella Gregorio nasce nel 1964. “Il destino dell’amore” è il suo esordio letterario, dove in una storia autobiografica sono stati creati alcuni personaggi e avvenimenti per esigenze narrative.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mar 2021
ISBN9791220281676
Il destino dell'amore

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    Anteprima del libro

    Il destino dell'amore - Antonella Gregorio

    Postfazione

    L’autrice

    Antonella Gregorio nasce nel 1964.

    Il destino dell’amore è il suo esordio letterario, dove in una storia autobiografica sono stati creati alcuni personaggi e avvenimenti per esigenze narrative.

    Capitolo 1

    Mi ricordo perfettamente la sera prima del coma.

    Era il mio compleanno e desideravo festeggiare con una cena insieme al mio fidanzato.

    Per tutti gli amici e i conoscenti però, ero single.

    Avevo una vita frenetica a Milano, lavoravo in una multinazionale dieci ore al giorno, uscivo dall’ufficio la sera per poi continuare con happy hour o cene, mostre o concerti, oppure con Lui.

    Era indispensabile avere un Lui che tingesse un po’ di rosa la mia vita, costruita soprattutto sul lavoro e riconoscimenti economici, ma che al suo interno possedeva una moltitudine di tinte fosche che non sapevo riconoscere. Ero come prigioniera di una vita non mia. Dall’esterno tutto era magnifico. Io ero bella. Riccia, bionda, sorriso un po’ malizioso, occhi blu intensi, piglio risoluto, molto deciso, quello che volevo lo prendevo, e quello che non potevo avere riuscivo sempre a ottenerlo col lavoro.

    Alla fine però, ero una donna tremendamente sola.

    Alle spalle solo convivenze con amori complicati e violenti, dove uscire di casa e lavorare fino allo sfinimento diventava l’unica salvezza. Alla fine, a malincuore, abbandonai l’idea di una vera storia d’amore. Dopo molti anni da sola, non potei fare altro che trovarmi un amante, un uomo che mi piacesse, ma che in realtà non mi creasse nessun tipo di problema.

    Lo trovai all’interno della mia azienda. Era un uomo affascinante, un dirigente. Qualche anno prima lavoravamo nella stessa divisione e ci vedevamo spesso. Stava cambiando posizione e ci saremmo visti di rado in ufficio. Forse fu quello che me lo fece scegliere. Mi trovavo per l’azienda a Cannes, per una riunione generale. La settimana successiva sarebbe passato a una divisione diversa. Venne a salutarci durante l’incontro.

    Dopo la cena di gala con la forza vendita, con altri colleghi decidemmo di andare a Montecarlo per farci un giro, in cinque in una macchina. Entrammo al casinò. Giocammo alla roulette fino a tarda notte, ma per Lui non fu una notte fortunata per il gioco. Al ritorno eravamo stanchissimi, e l’indomani dovevamo presiedere a una lunga riunione di lavoro. Tornammo in hotel, prendemmo tutti l’ascensore. Al primo piano, si aprirono le portine e scese il primo collega. Al secondo, salutarono gli altri due. Rimasi da sola con Lui, e capii che aveva la stanza al mio stesso piano.

    Si aprì la porta dell’ascensore. Lui andrà a destra e io a sinistra, pensai. Invece, anche lui aveva la stanza a sinistra. Percorremmo il corridoio insieme. Si fermerà ora, pensai. Non sapevo se sperare che la sua camera fosse lontano dalla mia, o meno. La sua stanza non arrivava mai. Ci fermammo nello stesso momento, le nostre porte erano una accanto all’altra.

    Che buffo, siamo proprio vicini, gli dissi.

    Lui mise la chiave nella serratura. Io ero ferma, non riuscivo a muovermi. Il grande desiderio che avevo per lui, da sempre, mi bloccava. La mia stanza era lì, ma non avevo nessuna voglia di entrarci. Notò la mia indecisione, mi guardò e disse:

    Vuoi bere qualcosa da me? Senz’altro avranno dei liquori mignon nel frigo bar.

    Volentieri, gli risposi.

    Entrai, e dopo ricordo solo noi due insieme, in una notte tra le più indimenticabili della mia vita.

    Tornai a Milano e cominciò così la nostra storia d’amore, meglio, più che d’amore di sesso. C’era grande attrazione tra noi, ma nulla di più. Ogni weekend, Lui prendeva l’aereo per tornare a casa dalla moglie, ma durante la settimana, quasi tutte le notti veniva a casa da me. Nel letto c’era passione e armonia, ma fuori non tanto. Avevamo valori e opinioni diverse su qualunque cosa. Non capii mai cosa ci legasse in modo così forte. Quando eravamo solo noi due, scattava come una sorta di magia che ci imprigionava e non potevamo che farci travolgere. Non uscivamo mai insieme dall’ufficio, e ci incontravamo di sera in piazza Frattini, vicino alla sede. Era un punto di snodo automobilistico, impossibile che in quella moltitudine di macchine e passanti ci potesse notare qualcuno che ci conoscesse. Lui saliva rapidamente sulla mia macchina dopo aver parcheggiato la sua, troppo conosciuta tra i colleghi, e poi a casa mia, nascosti da tutti, per lasciarmi sconvolgere impetuosamente.

    Sino a quella sera. Compivo trentasette anni e volevo festeggiarli con Lui. Per una volta avrei rinunciato ai nostri folli incontri notturni, e al loro posto, avrei avuto una serata romantica, come per indorare la mia vita personale, spenta e un po’ vuota. Desideravo fare come le altre coppie, magari una cena intima. Così sarei apparsa in pubblico una donna felice, che festeggiava gli anni con il suo uomo. Quella sera, Lui, stranamente, venne proprio a casa mia. Suonò, e quando gli aprii la porta, era nascosto da un fantastico mazzo di rose rosse dal gambo lungo: bellissime! Grazie, amore! dissi emozionata.

    Entrò, misi le rose sul grande vaso di Murano blu, in mezzo al tavolo. Mi abbracciò, i suoi baci erano lunghi e appassionati. Dal frigo tolsi il brut fresco che piaceva a entrambi, e brindammo. Poi, andammo al ristorante che avevo scelto per quella sera, dall’altra parte della città, sul Naviglio della Martesana. Lì, eravamo fuori dalla nostra cerchia di colleghi e amici, era improbabile incontrare qualcuno che ci conoscesse.

    Mi ricordo ancora il ristorante: carino, luce soffusa, musica bassa, grande vetrata sulle acque del Naviglio. In ogni tavolino c’era un piccolo vaso contenente dei fiori profumati e una candela che il cameriere accese quando ci portò al nostro tavolo.

    Lui prese delicatamente la sedia per farmi accomodare, con un sorriso, poi si sedette a fianco a me. Ero proprio di fronte alla vetrata, dove vedevo scorrere lenta l’acqua scura.

    Cosa dici tesoro, con quale vino festeggiamo il tuo compleanno? Scelgo io?

    Certo amore, scegli sempre il meglio tu, gli risposi continuando con la nostra farsa.

    E scelse un ottimo vino, che piaceva anche a me. Bianco, paglierino, di un bouquet delicato e fresco, dal gusto secco, elegante e armonico. Lui aveva l’espressione più tenera del mondo, sembrava un uomo innamorato e felice di stare con la sua donna. Era dolce, ma eccitante allo stesso tempo. Mi fissava, con lo sguardo intenso e un sorriso aperto. Si parlava del più e del meno, si scherzava, si rideva piano. Una serata gioiosa ma normale.

    Poi, il suo regalo. Ricordo ancora l’astuccio quadrato sul tavolo, bianco panna, con un fiocco rosa chiaro, di raso. Dentro, degli orecchini decisamente alla moda, molto belli, con dei particolari a cui non avrei mai pensato. Indossai gli orecchini e mi sorrise dolcemente. Quando mi vide alzarmi alla fine della cena, conoscendomi, mi disse:

    Dai Anto, non pagare il conto, sei la donna e un uomo non lascia mai pagare il conto ad una signora!

    Alzai le spalle e gli risposi:

    Ma è il mio compleanno, è giusto che paghi io!

    Il suo sguardo si arrese e mi lasciò fare.

    Questo è l’ultimo ricordo prima del coma.

    Capitolo 2

    Nell’ultimo periodo di lavoro ero molto stressata. Avevo deciso di lasciare l’azienda.

    La carriera, i soldi e il potere erano le uniche cose che mi guidavano. L’azienda non mi riconosceva la promozione. Probabilmente, l’avrei avuta qualche anno dopo, ma non volevo aspettare. Volevo anche più soldi. In una compagnia più piccola me li avrebbero dati. Dovevo solo barattare l’esperienza ottenuta in una grande multinazionale con tanto vile denaro. Non mi restava che cercare un altro lavoro.

    La mia amica Mascia, che era anche mia collega, mi segnalò una posizione che le avevano offerto, ma che lei non aveva considerato per la sua poca esperienza. Immediatamente contattai l’agenzia che decise di farmi parlare con l’impresa che stava cercando un Responsabile Commerciale. Piacqui molto sin dal primo colloquio. Alla fine, l’Amministratore Delegato decise di assumermi. Dieci giorni in tutto, non di più, e firmai il contratto.

    La velocità con la quale fui assunta per me era un segno del destino. Mi sentivo realizzata. Avevo avuto un aumento di livello e molti, molti soldi in più.

    Tra l’altro, la multinazionale dalla quale provenivo era un’azienda di prodotti alimentari di largo consumo. Qui, invece, trattavano cosmetici di alto livello. Nella sostanza ero un venditore sia nella vecchia azienda, sia in quella nuova, ma nella forma, tutto cambiava. Vendevo sensazioni, esperienze, non semplici prodotti. Mi assurgevo a grande manager di prodotti esclusivi. Non erano beni necessari, ma il desiderio li rendeva essenziali.

    A questo punto dovevo rivedere anche il mio guardaroba, perché una donna che vende un sogno, deve essere bella e seducente. Mi comprai abiti di marca, molto belli, eleganti, costosi. Avevo necessità di dipingermi come le donne nelle pubblicità dei profumi.

    Mi ricordo quando arrivai in ufficio il primo giorno. Vidi un collega che discuteva con un altro. Sembrava agitato. Chiesi a una persona perché lo fosse, mi rispose che lo stavano cacciando dall’azienda. Qualche giorno dopo firmò le sue dimissioni.

    Non riuscivo a capire, perché nella mia ottica, prima trovi una seconda azienda nella quale trasferirti, poi conferisci le dimissioni. Il ragazzo che diede le dimissioni non lo conoscevo. Pensai che fosse matto. In realtà, avrei capito tutto se avessi conosciuto anche l’altro collega che poi denominai come il Farabutto, perché solo così

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