Diciotto rosso
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Anteprima del libro
Diciotto rosso - Vincenzo Biasi
139.
Diciotto rosso
Nonostante sia ormai passato parecchio tempo, non riesco a dimenticare alcuni mesi di quel 19xx che, mio malgrado, hanno così profondamente mutato il mio modo di pensare alla vita, tanto che ho deciso, sia pure a distanza di anni, di trarne un breve racconto.
Per recuperare alcuni particolari della mia esperienza, sebbene i grotteschi eventi che caratterizzarono quel periodo siano stampati indelebilmente nella mia memoria, mi sono avvalso del mio fedele diario che, a quell’epoca, aggiornavo quotidianamente e se tu, Lettore, avrai la pazienza di sopportare la mia orribile prosa, sono convinto che non potrai fare a meno di trovare la mia esperienza affascinante, anche se terribile e grottesca, come io ebbi a trovarla a suo tempo.
Era primavera inoltrata, la giornata era limpida e io mi trovavo al solito tavolino del solito bar e sfogliavo il solito giornale, mentre stringevo fra il pollice e l’indice una tazzina marroncina contenente il solito, ottimo, caffè di Piero, il mio barista di fiducia.
L’aroma del caffè, misto al profumo del giornale fresco di stampa, mi inebria, regalandomi sensazioni indescrivibili; così, anche quel giorno, come sempre accadeva, le notizie che scorrevano sotto i miei occhi acquistavano un sapore particolare, sebbene non ci fosse nulla di nuovo: governo in crisi con possibilità di ribaltone; un sanguinario dittatore che anela alla bomba atomica; e, naturalmente, il caratteristico ed efferato omicidio nelle pagine di cronaca; nonché l’ennesima, devastante, alluvione. Proprio a questo proposito mi attirò l’articolo di fondo in cui l’autore sosteneva che presto sarebbe stato necessario trasferirsi in un altro pianeta, perché la terra era stufa degli uomini e presto li avrebbe sfrattati. Come dargli torto!
Ero assorto, dunque, nei miei pensieri e già immaginavo l’aspetto che avrebbe avuto la mia casa su Marte, quando, dietro le vetrate del bar, vidi passare il mio amico Sandro, uomo un po’ sui generis, ma almeno mai noioso e banale, come la maggior parte della gente che affolla questa fantastica valle di lacrime. Anche se a volte ci sentivamo per telefono non lo vedevo da parecchio. Abbandonati giornale e caffè sul tavolino, insieme alla mia idea di possedere una casa su Marte, corsi in strada per chiamare Sandro.
Da un primo sguardo mi sembrò piuttosto diverso dal solito, sembrava, infatti, dinamico, allegro e addirittura felice, cosa che non gli accadeva se non dopo una buona dose di whisky. Mi disse che ci saremmo potuti vedere il giorno successivo a pranzo.
All’una da Giorgio?
mi disse in modo sbrigativo, ma cortese e, vedendo la mia titubanza, che derivava, in realtà, più che dalla scelta del ristorante, dalla trasformazione che coglievo nel mio amico aggiunse: Ci vediamo lì, pago io naturalmente. Non bisogna rinunciare ai piaceri della vita, anzi, non bisogna rinunciare neppure al più piccolo dei piaceri,
e senza darmi il tempo di replicare, terminò: Domani all’una. Non dimenticarlo! Devo parlarti
.
Mi strinse frettolosamente la mano e andò via.
Rimasi piuttosto imbambolato e, mentre lo vedevo allontanarsi, pensavo che, in effetti, qualcosa di straordinario doveva essere successa nella sua vita, se proprio lui, distratto com’era, e capace di scordare, non un appuntamento, ma addirittura il nome di sua madre, mi ammoniva dicendo Non dimenticarlo!
Del resto mi aveva già lasciato perplesso il vederlo in giro così mattiniero. Il mio amico aveva infatti sempre sostenuto di sentirsi un animale notturno, una specie di vampiro, a cui il sole, con le sue forme nitide e chiare, così diverse dalle sfumate e miopi immagini notturne, avrebbe potuto soltanto nuocere. Tornai al bar e, dopo aver chiesto un altro caffè a Piero, mi andai a sedere fuori.
Naturalmente scelsi il mio solito tavolino e, mentre lo zucchero sprofondava lentamente e morbidamente nel caffè, ricordandomi le terribili sabbie mobili di un film che avevo visto la sera prima, ammiravo una giovane, anzi giovanissima coppia, che sedeva al tavolino accanto al mio. Sembrava non potessero fare a meno l’uno dell’altra e le loro labbra dovevano necessariamente toccarsi almeno ogni due minuti, come costrette da un incantesimo, e pensavo che, forse, se non lo avessero fatto, si sarebbero tramutati in due ranocchi, ma, invece, avrebbero continuato a farlo e si sarebbero trasformati in marito e moglie. Non sapevo quale delle due alternative fosse peggiore per loro, ma certo le rane non hanno bisogno di avvocati per separarsi. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, l’aria pregna di salsedine mi entrò vivace nei polmoni