Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Fiore di Rim
Il Fiore di Rim
Il Fiore di Rim
E-book414 pagine6 ore

Il Fiore di Rim

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Mi vedrai nel volto di ogni donna che incontrerai, perché sei mio.

(Rim - Tunisi, Sabato 28 Giugno 1980)

Nel mese di marzo del 2020, durante il lockdown in seguito all'epidemia, dovevo stare quasi tutto il giorno a casa. Per passare il tempo, avevo pensato di fare quelle cose che, in condizioni normali, non avrei mai fatto. Una di queste era mettere in ordine il contenuto del grande tiretto del mio comò dove, da anni, giace una marea di carte, documenti e quant'altro.

Così, un giorno, entrando in camera da letto, avevo deciso di mettere ordine in quel tiretto. Dopo averlo svuotato sul letto, mi ero messo con tutta calma a vedere il suo contenuto. C'erano cose da buttare, altre da conservare gelosamente, altre invece da tenere solo come ricordo. Ad un tratto, avevo notato una busta da lettera, leggermente ingiallita che, a prima vista, sembrava una vecchia lettera. Ma non lo era. Non ci potevo credere ai miei occhi. Dentro quella busta c'era la poesia che Rim mi scrisse nel giugno del 1980, quasi quarant'anni fa, e che s'intitolava "Perché sei mio".

Da quel momento, del contenuto di quel tiretto non mi interessava più niente. Così, avevo rimesso subito tutto dentro come capitava, poi mi ero seduto sul letto con la poesia in mano. Prima di iniziare a leggerla, istintivamente, l'ho poggiata per un attimo sul mio cuore e ho sentito un mix di tristezza, nostalgia ed altri sentimenti che non riuscissi a capire.

Il ritrovamento di quella poesia, secondo me, non era opera del caso, ma era un messaggio di Rim che mi chiedesse di scrivere la nostra travolgente storia d'amore che, ancora oggi, mi ricordo di ogni suo singolo episodio.

Quella storia, tuttora, la considero la cosa più bella, intensa ed emozionante che mi era successa nella vita. Poco importa poi come era andata a finire. Sono ancora convinto che, senza quella storia, la mia vita non avrebbe avuto nessun significato. E così io ve la racconto, partendo dal lontano settembre del 1979.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2021
ISBN9791220328364
Il Fiore di Rim

Leggi altro di Jilani Khaldi

Autori correlati

Correlato a Il Fiore di Rim

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il Fiore di Rim

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Fiore di Rim - Jilani Khaldi

    Table of Contents

    Dedica

    Prologo

    §1. Settembre 1979

    §2. Il colloquio al centro geofisico

    §3. Il mio nuovo lavoro

    §4. Vantaggi e svantaggi

    §5. Ottobre 1979

    §6. Il primo incontro

    §7. Le prime lezioni

    §8. La svolta

    §9. Dicembre 1979

    §10. Perché ti chiamano Brown?

    §11. Pantera

    §12. Eddy

    §13. Gennaio 1980

    §14. Post fidanzamento di Rim

    15. Febbraio 1980 (Parte Prima)

    §16. Febbraio 1980 (Parte Seconda)

    §17. Marzo 1980 (Parte Prima)

    §18. Marzo 1980 (Parte Seconda)

    §19. Marzo 1980 (Parte Terza)

    §20. Aprile 1980

    §21. Maggio 1980

    §22. Giugno 1980 (Parte Prima)

    §23. Giugno 1980 (Parte Seconda)

    §24. Giugno 1980 (Parte Terza)

    §25. Festa di addio

    §26. Luglio 1980

    §27. Agosto 1980

    §28. Settembre 1980 (Parte Prima)

    §29. Settembre 1980 (Parte Seconda)

    §30. Ottobre 1980

    §31. Marzo 1990

    §32. La fine di una speranza

    §33. Ultimo giorno a Tunisi

    §34. Post Rim

    Dedica

    Dedico questo romanzo a tutte le persone che hanno avuto una grande storia d'amore, ma che non hanno avuto l'opportunità di raccontarla.

    San Salvo (CH) - Italia

    3 Marzo 2021

    Jil Hammock

    Prologo

    Mi vedrai nel volto di ogni donna che incontrerai, perché sei mio. (Rim)

    Nella vita, ci rendiamo conto dell'importanza delle cose solo quando le abbiamo irrimediabilmente perse. (Brown)

    Nel mese di marzo del 2020, durante il lockdown in seguito all'epidemia, dovevo stare quasi tutto il giorno a casa. Per passare il tempo, avevo pensato di fare quelle cose che, in condizioni normali, non avrei mai fatto. Una di queste era mettere in ordine il contenuto del grande tiretto del mio comò dove, da anni, giace una marea di carte, documenti e quant'altro.

    Così, un giorno, entrando in camera da letto, avevo deciso di mettere ordine in quel tiretto. Dopo averlo svuotato sul letto, mi ero messo con tutta calma a vedere il suo contenuto. C'erano cose da buttare, altre da conservare gelosamente, altre invece da tenere solo come ricordo. Ad un tratto, avevo notato una busta da lettera, leggermente ingiallita che, a prima vista, sembrava una vecchia lettera. Ma non lo era. Non ci potevo credere ai miei occhi. Dentro quella busta c'era la poesia che Rim mi scrisse nel giugno del 1980, quasi quarant'anni fa, e che s'intitolava Perché sei mio.

    Da quel momento, del contenuto di quel tiretto non mi interessava più niente. Così, avevo rimesso subito tutto dentro come capitava, poi mi ero seduto sul letto con la poesia in mano. Prima di iniziare a leggerla, istintivamente, l'ho poggiata per un attimo sul mio cuore e ho sentito un mix di tristezza, nostalgia ed altri sentimenti che non riuscissi a capire.

    Il ritrovamento di quella poesia, secondo me, non era opera del caso, ma era un messaggio di Rim che mi chiedesse di scrivere la nostra travolgente storia d'amore che, ancora oggi, mi ricordo di ogni suo singolo episodio.

    Quella storia, tuttora, la considero la cosa più bella, intensa ed emozionante che mi era successa nella vita. Poco importa poi come era andata a finire. Sono ancora convinto che, senza quella storia, la mia vita non avrebbe avuto nessun significato. E così io ve la racconto, partendo dal lontano settembre del 1979.

    §1. Settembre 1979

    Da ragazzo, avevo sempre odiato settembre. L'avevo sempre vissuto come il mese delle preoccupazioni e delle angosce. Appena arrivava settembre, finivano le vacanze, finiva il divertimento, finiva l'allegria e tutta la spensieratezza dell'estate. Finivano gli amori e le amicizie stagionali. Poi iniziava il lavoro, la scuola, l'università e gli incubi degli esami.

    In quel giorno d'inizio settembre, ricevetti una lettera dal preside della scuola. In quella lettera mi comunicò la conferma dell'incarico di insegnante di matematica per il secondo anno e la data d'inizio dell'anno scolastico. Poi concluse che in caso di rifiuto dell'incarico, lo dovrei comunicare all'amministrazione almeno due giorni prima della data d'inizio delle lezioni.

    Quella lettera mi fece preoccupare e non poco. Per me fu un gran segnale d'allarme. Significava che avessi ancora meno di due settimane per trovare un nuovo lavoro, altrimenti dovrei passare un altro anno simile a quello precedente se non volessi rimanere disoccupato. Cioè, andare in quella scuola per cinque giorni la settimana. Poi almeno una volta al giorno, attraversare con il motorino tutta la città di Tunisi dalla periferia nord, dove abitavo, alla deprimente periferia sud dove lavoravo. Un traffico intenso e caotico, soprattutto nei quartieri popolari della periferia sud durante le ore di punta, con il rischio di fare un incidente da un momento all'altro.

    Non parliamo poi d'inverno, quando le condizioni climatiche erano avverse. Strade interrotte o allagate, schizzi d'acqua delle macchine che passavano, pioggia, freddo, raffiche di vento e disaggi da non finire. Poi, una volta in classe, le condizioni di lavoro erano sempre pessime. Aule piccole ed affollate, ghiacciate d'inverno. Non c'era nessun tipo di riscaldamento. Poi a partire dal mese di maggio, arrivava il caldo che, giorno dopo giorno, aumentava fino a diventare insopportabile. Aggiungiamo poi studenti svogliati e dispettosi, rendimento bassissimo e, per finire in bellezza, stipendio basso. Così, per arrivare a fine mese, dovevo per forza integrare con qualche ora di ripetizioni. Era una questione di pura lotta per la sopravvivenza. Ricordo che spesso finivo le mie giornate di lavoro senza voce, con tanta rabbia nel profondo dell'anima e la voglia di non tornare più a quella scuola. Mi chiedevo spesso: «ma non potevo trovare qualcosa di meglio per vivere?».

    Ero quasi convinto di non dovere più continuare ad insegnare. Almeno in quella scuola. L'esperienza dell'anno precedente bastava ed avanzava. Perciò, durante quei pochi giorni rimasti prima della riapertura della scuola, intensificai le mie ricerche per trovare un nuovo lavoro, sperando in un colpo di fortuna. Così, da quel giorno, portavo sempre con me, ovunque andassi, una piccola cartella con tre buste affrancate e tre fogli di protocollo. In quel modo, potevo rispondere immediatamente a qualsiasi annuncio che mi potesse interessare.

    Durante i giorni di fine agosto ed inizio settembre, passavo quasi tutte le mattinate nella caffetteria del parco del Belvedere che distava quasi tre chilometri da casa. Un lembo di terra ad una cinquantina di metri dallo zoo, circondato d'acqua di color verde intenso con coloratissimi pesci ed anatre. Un posto meraviglioso per rilassarmi, leggere libri e giornali, studiare e chiacchierare con gli amici al coperto oppure all'aria aperta immersi nella natura. Lo frequentavo con i compagni di scuola dai tempi del liceo per fare compiti e commedie.

    Era Garofano il gestore della caffetteria, faceva anche il cameriere per risparmiare sulle spese di servizio. Un mio ex compagno di scuola che, dopo il diploma di terza media, andò a lavorare per aiutare la famiglia dopo la morte del padre. Si sposò molto giovane. Aveva la mia età ed era già papà di due figli. Quando vedeva una bella ragazza, diceva sempre che la sua più grande sfortuna fu quella di sposarsi troppo giovane, altrimenti, si sarebbe sposato con quella che passava in quel momento.

    A proposito, sono stato io a dargli quel soprannome perché a scuola, di tanto in tanto, si presentava con un fiore di garofano sull'orecchio. Ma solo lui e pochi ex compagni di scuola si ricordavano di questo fatto. Garofano era magro, alto e con uno sguardo penetrante. A volte sembrava cattivo e sfidante, ma, in realtà, non lo era mai stato. Aveva il passo corto e veloce, perciò appariva sempre dinamico. Era un tipo particolare, molto simpatico, con la battuta sempre pronta e che spesso canticchiava canzoni d'amore mentre serviva i clienti. Gli piaceva molto sapere i fatti degli altri, ma non svelava mai i fatti suoi. Per chi lo incontrasse per la prima volta, lo poteva prendere subito in simpatia oppure in antipatia. Non c'era una via mezzo. Era il mio compagno di banco e non avevamo mai avuto un diverbio perché non lo prendevo mai sul serio. Tutti i suoi atteggiamenti mi facevano solo ridere. E fino all'ultima volta che lo vidi, il nostro rapporto era rimasto praticamente invariato.

    In quegli anni, in tutte le caffetterie di Tunisi, c'era una simpatica abitudini dei suoi frequentatori. Leggevano i giornali, poi li lasciavano sul tavolo. Così, altri frequentatori li potevano leggere e così via. Approfittando della generosità intellettuale dei lettori, chiesi a Garofano di conservarmi quei giornali con i maggiori annunci di offerte di lavoro. Così potevo risparmiare il prezzo di almeno tre giornali, visto che gli stessi annunci duravano di solito almeno un paio di giorni.

    Quei primi giorni di settembre, per me, furono molto tristi. E non solo per l'arrivo della lettera dal preside. La mia amata e bellissima Jamila tornò a Tripoli a fine agosto senza lasciare alcuna traccia e nemmeno salutarmi. La conobbi al festival di Cartagine durante un concerto di fine luglio e da quella sera ci incontravamo quasi tutti i giorni. Era in vacanza con la sua famiglia a Tunisi. Ci innamorammo subito e passammo le ultime due settimane di agosto da fidanzati con infinite gioie, dolcezze e tenerezze. Poi tutto finì all'improvviso. Jamila sparì lasciandomi un enorme vuoto ed infiniti punti interrogativi.

    Io e Jamila, spesso passavamo il pomeriggio al parco del Belvedere a passeggiare e chiacchierare, prima di sederci nella caffetteria dove Garofano ci riservava un posto molto discreto sotto un grande albero accanto all'acqua. Jamila piaceva molto a Garofano, come gli piacevano tutte le belle ragazze. Così, di tanto in tanto, veniva al nostro tavolo per cantarci un pezzo di qualche canzone d'amore. A volte si univa a noi offrendoci il meglio della sua caffetteria. Quando poi Jamila lo provocava, allora lui si scatenava con le sue irresistibili battute che ci facevano tanto ridere, soprattutto a Jamila. Io ridevo solo per accompagnarla perché le conoscevo ormai tutte da anni, anche se lui aggiornava di continuo il suo repertorio.

    Quel giorno, in quella caffetteria stavo da solo, ero preoccupato e di cattivo umore. Garofano sapeva della partenza di Jamila. Quando mi portò il caffè ed i giornali del giorno precedente, mi guardò con un'aria un po' da strafottente e mi cantò un pezzo di una nota canzone d'amore: e partì senza nemmeno salutarmi.... Allora io gli dissi:

    «Senti Garofano, per favore, non rompere di prima mattina. Lasciami stare, vattene.», e lui, senza prestare la minima attenzione alla mia richiesta di andarsene, si sedette accanto a me e mi disse:

    «No, non me ne vado, perché non posso vedere il mio miglior amico ed ex compagno di classe per anni, nonché il mio miglior cliente triste.».

    «Ma non vedi che ci sono dei clienti che ti aspettano?».

    «Non me ne frega niente di loro, ci sono gli altri camerieri a servire. E se hanno fretta, possono pure andarsene.».

    «Va bene. Ma che mi puoi fare?».

    «Facciamo colazione insieme e parliamo.».

    «Sbrigati allora, offrimi il meglio che hai, anche se Jamila non c'è.».

    «Ma non ti preoccupare Brown, vedrai che se ne va Jamila e ne arriverà un'altra ancora più bella.».

    Garofano era uno tra i pochi amici che mi chiamavano Brown al di fuori dei compagni del Campus. E così gli risposi:

    «Vedo che sei diventato anche poeta Garofano. Non smetterai mai di stupirmi.», e ci demmo il cinque.

    Quella frase di Garofano detta in arabo suonava molto poetica perché la parola jamila in arabo significa bella in italiano. Così, lui usò lo stesso termine sia come nome, sia come aggettivo. Cioè, la sua frase è traducibile in: ma non ti preoccupare Brown, vedrai che se ne va Bella ed arriverà un'altra ancora più bella.

    Devo ammettere che quella volta Garofano previde veramente il futuro per me. Passammo quasi un paio di ore a chiacchierare con brevi interruzioni, e così, il mio caro amico Garofano mi fece passare la tristezza ed il cattivo umore.

    Passai tutte le mattinate successive a leggere gli annunci di lavoro dei quotidiani dei giorni precedenti che Garofano mi conservasse, nonché a chiedere lumi ad amici e conoscenti. Ma non riuscii a trovare niente di interessante. I giorni passarono in fretta con le mie preoccupazioni che crescevano giorno dopo giorno. Avevo pensato anche di emigrare, ma ormai era troppo tardi per quell'anno. Ci dovevo pensare molto prima, almeno a fine primavera, come fecero due miei ex colleghi di scuola. Due fisici che migrarono in Canada. Io, invece, a fine anno scolastico, decisi di passare un'estate tranquilla e spensierata a Tunisi. E così rimasi fregato.

    Due giorni più tardi, sempre di mattina e nella stessa caffetteria, nella pagina dedicata alle offerte di lavoro, lessi questo annuncio: Importante ente pubblico cerca un giovane fisico per un importante posto di lavoro a tempo indeterminato. Ambiente stimolante, ottima remunerazione ed assicurata carriera di lavoro. Il candidato deve essere militesente e con padronanza della lingua inglese scritta e parlata. Scrivere all'ufficio di collocamento all'indirizzo..., offerta di lavoro numero....

    Lessi quel annuncio un paio di volte. Sembrava proprio che cercassero me. Così, in meno di due ore dalla lettura dell'annuncio, la mia lettera di risposta era stata già imbucata nella casella di posta rapida. In quel modo, poteva arrivare a destinazione al massimo la mattina del giorno seguente.

    Durante il resto della giornata, non avevo mai smesso di pensare a quel annuncio. Non vedevo l'ora di avere una risposta, almeno per capire chi l'avesse fatto. Comunque mi sentii leggermente sollevato, almeno sul piano psicologico. Per me, il sasso l'avevo già buttato ed ora dovevo solo aspettare il suo eco. Continuai lo stesso a cercare altri annunci, ma senza affanno.

    La mattina di tre giorni dopo, mi ero appena alzato quando sentii il campanello di casa suonare due volte. Aprì subito la porta e mi trovai davanti il postino con una lettera in mano. Alla mia vista mi disse:

    «Buongiorno! Una raccomandata da firmare.».

    «Una raccomandata? E da dove arriva?».

    «Vediamo un po'. Dal Centro Geofisico Nazionale. La accetti?».

    Risposi come se fossi in un sogno:

    «Centro Geofisico Nazionale! Certo che l'accetto. Dove devo firmare?».

    «Qui. Indicare data e ora.».

    Aprì la lettera con molta cura, in modo da non danneggiare lo stemma e l'intestazione della busta. La lessi prima in piedi, poi seduto, e di nuovo in piedi. Giravo dentro la mia piccola casa passando da una camera all'altra, con la lettera nella mano destra e la busta nella mano sinistra senza capire cosa dovevo fare. Poi, di tanto intanto davo un'occhiata alla busta per guardare lo stemma e l'intestazione che erano bellissimi: ``Ministero dell'Energia e delle Miniere - Centro Geofisico Nazionale''. Ero contento e stupito allo stesso momento. Non mi aspettavo una risposta del genere. Pensai subito che quella lettera potesse cambiare completamente la mia vita. In positivo, ovviamente.

    La lettera conteneva pochissime parole. Mi chiedevano di recarmi il giorno successivo al Centro Geofisico, alle nove di mattina, munito della lettera e di un documento di riconoscimento per sostenere un colloquio per quella offerta di lavoro. Quindi, non era un'assunzione. Ma io, comunque, ero contento e fiducioso.

    Telefonai a mio cugino Mounir e gli parlai di questa inaspettata notizia. Lui, oltre ad essere mio cugino, era stato sempre il mio miglior amico e confidente. Eravamo vissuti insieme per tanti anni. Mounir aveva pochi anni di più di me ed era una persona eccezionale, molto saggia e riflessiva. Mai ci fu un problema tra di noi. Ci volevamo molto bene. Faceva l'impiegato presso la Lega Araba a Tunisi, conosceva e frequentava gente di alto rango sociale. Lui si rivolgeva a me chiamandomi fratello ed io facevo lo stesso con lui. Mounir sapeva già della lettera che io avessi inviato all'ufficio di collocamento, ma non sapeva fino a quella mattina quale fosse l'ente dietro a quella offerta di lavoro. Così gli chiesi se conoscesse qualcuno che mi potesse dare una mano, ma lui rispose ridendo:

    «Conosco uno solo che sicuramente ti farà prendere quel posto.», mentre continuava a ridere. Allora io gli chiesi stupito:

    «E chi è?».

    Ma lui per pochi secondi rimase in silenzio, come se stesse cercando di ricordare il nome, poi mi rispose seriamente:

    «Guarda che quella persona sei proprio tu, fratello. Vai tranquillo domani, quel posto è tuo perché non troveranno meglio di te. Ne sono certo. Domani avrai la conferma.».

    A pensarci bene, Mounir disse il vero.

    Io e Mounir passammo tutto il pomeriggio a girare tra caffetterie e centri culturali. Volevo perdere tempo ed arrivare subito all'indomani. Ero un po' agitato ma comunque ottimista. Cenammo insieme al nostro abituale ristorante del centro, poi ognuno tornò a casa sua. Anche lui, come me, viveva da solo, ma al centro di Tunisi.

    Quella notte, dopo aver immaginato infiniti scenari del colloquio di domani fino a tarda notte, mi addormentai profondamente. Fu una delle poche volte che mi svegliai la mattina prima che suonasse la sveglia. Mi sentii abbastanza riposato e pronto per l'attesissimo colloquio. Non riuscii a mangiare niente quella mattina, sentivo lo stomaco chiuso. Forse per l'emozione. Mi feci la barba, mi vestii velocemente ed uscii di casa in fretta. Non vedevo l'ora di arrivare al Centro Geofisico. Ma dopo solo un centinaio di metri, mi venne il dubbio se avessi chiuso la porta di casa a chiave o meno. Così tornai indietro per controllare. Era chiusa a chiave. Non mi diedi nessuna colpa per l'accaduto perché l'emozione era forte quella mattina.

    §2. Il colloquio al centro geofisico

    Alle nove precise, mi presentai al Centro Geofisico con la lettera e la mia carta d'identità in mano. L'edificio era un palazzo signorile ottocentesco di quattro piani, con un giardino davanti molto curato, in un viale alberato del centro di Tunisi. Non me ne ero mai accorto della sua presenza prima di quel momento. Quel viale l'avrei attraversato chissà quante volte a piedi prima di allora. Appena misi piede nel grande hall, vidi un usciere dirigersi verso di me. Lo salutai, gli spiegai il motivo della mia presenza e gli diedi la lettera insieme alla mia carta d'identità. Mi chiese subito di seguirlo al terzo piano all'ufficio del direttore che mi stesse già aspettando. Lì, l'usciere mi chiese di aspettare, poi bussò alla porta ed entrò da solo. Dopo un attimo uscì e mi chiese di accomodarmi.

    L'ufficio del direttore era piccolo, ma molto ordinato, pieno di fotografie e piccoli quadri. Era poco luminoso, anche con la luce accesa, aveva una sola finestra di modeste dimensioni. Dietro la scrivania c'erano due armadi pieni di libri ed oggetti. Alcuni libri erano messi in ordine, altri invece erano accatastati alla rinfusa. Questi ultimi, molto probabilmente, erano quelli che il direttore consultava di frequente. Non si sentiva l'odore di fumo di sigarette in quel ufficio, tipico di tutti gli uffici in Tunisia, forse perché il direttore non fumava, oppure non fumava all'interno del suo ufficio. Così dedussi.

    Il direttore era sulla cinquantina, capelli brizzolati, basso e un pochino sovrappeso. Aveva i baffi e portava spessi occhiali da vista. Rispose al mio saluto con una voce molto bassa, poi mi fece un cenno con la mano di sedermi su una delle sedie di fronte alla sua scrivania. Mi diede l'impressione di una persona molto religiosa. Notai che davanti a lui, sulla sua scrivania, aveva una scheda con il mio nome e la lettera che avessi inviato. Questo voleva dire che fossimo più concorrenti a partecipare alla selezione e ci presentassimo uno alla volta per il colloquio.

    Il direttore iniziò a parlare molto piano e a bassa voce, mentre teneva la mia carta d'identità tra l'indice ed il medio girandola continuamente da una parte all'altra, dicendo:

    «Quindi, figlio di El Jerid?», cioè della regione del Sud Ovest della Tunisia.

    «Sì, sono nato lì, ma a nove anni la mia famiglia si trasferì a Tunisi. Scusi direttore, ma ci sono molti concorrenti?».

    «Finora lei è il numero nove. Noi prenderemo il più adatto alle esigenze del Centro. Saremo molto leali. Questo la preoccupa?».

    «No, affatto, mi sembra giusto.».

    Poi, guardandomi negli occhi, continuò a dire:

    «Vedo che lei ha fatto le medie ed il liceo scientifico a Collège Sakidi. Allora è bravo?».

    «Me la cavavo abbastanza bene. Grazie.».

    «Lo dicono i fatti. Tutti quelli che avevano studiato lì, chi più, chi meno, hanno raggiunto un certo successo nella vita.». Poi, guardando la mia lettera, aggiunse:

    «Ho notato che, oltre la calligrafia, la sua domanda si presenta diversamente da quelle degli altri concorrenti. In senso positivo, voglio dire.».

    «Grazie, l'ho scritta al volo in una caffetteria dopo aver letto l'annuncio.».

    In quel momento il direttore assunse un atteggiamento più serio e cominciò a parlare più velocemente:

    «Ora le devo fare una serie di domande e lei mi deve rispondere in modo molto breve. Anche con un semplice sì o no.».

    «Sono pronto.».

    «Qual è il colore del cancello del Centro Geofisico?».

    «Verde scuro.».

    «Sicuro?».

    «Sì.».

    «Quanto costa la rivista Time?».

    Ero molto contento di sentire questa domanda. Per me fu quella della fortuna, così risposi velocemente:

    «Prezzo di copertina 2,5 dinar.».

    «Ha un altro prezzo?».

    «Sì. Per gli studenti ha un prezzo molto più basso. Mi abbonai a Time appena mi iscrissi all'università. L'anno scorso ho rinnovato l'abbonamento come insegnante e mi è costato un po' di più.».

    E lui commentò con un sorriso:

    «Il prossimo abbonamento le costerà ancora di più.».

    Capii al volo quello che intendesse dire e con un sorriso risposi al volo:

    «Me lo auguro direttore.».

    «Pratica qualche sport?».

    «Avevo praticato ginnastica artistica durante gli anni del liceo, poi arti marziali durante l'università. Attualmente vado in piscina, un paio di volte la settimana.».

    Avevo notato che mentre rispondevo alle sue domande, lui prendeva degli appunti sulla mia scheda.

    «Servizio militare?».

    «Ufficiale di riserva, genio militare. Congedato con il grado di tenente e con buona condotta. Settembre 1978.».

    «Dove?».

    «Biserta.».

    In quel momento il direttore alzò la testa e mi guardò con un sorriso e disse:

    «Anch'io ho fatto il militare come ufficiale di riserva, genio militare, ma a Sousse. Tanti anni fa.», facendo un segno con la mano per indicare molto tempo passato. Poi aggiunse:

    «Quindi lei conosce bene le tecniche di rilevamento topografico?».

    «Sì, abbastanza bene.».

    A sentire la mia risposta, il direttore si chinò all'indietro sulla sua sedia e fece un segno di approvazione con la testa dicendo:

    «Molto interessante.».

    Mi sentii sollevato. Poi continuò con le domande:

    «Patente?».

    «B.».

    E mi ero subito alzato per prenderla dalla tasca dei pantaloni, ma lui intervenne:

    «No, non è necessario che me la mostri.».

    «Occupazione attuale?».

    «Insegnante di matematica.», e gli indicai il nome del liceo.

    In quel momento il direttore dondolò per un attimo la testa e disse:

    «Insegnante di matematica. Si vede che la scuola non attiri più nessuno oggi.».

    Il direttore si mise a leggere in silenzio la scheda apportando qualche correzione, poi mi guardò negli occhi e disse:

    «Ora io le leggo questa scheda e lei mi deve solo confermare o meno il suo contenuto.».

    «Va bene direttore.».

    Dopo aver letto molto velocemente la scheda, mi chiese:

    «Tutto corretto?».

    «Sì, tutto corretto.».

    «Questa scheda per noi rappresenta il suo curriculum, secondo le procedure del Centro. La darò alla segretaria per metterla in bella copia, poi lei la dovrà firmare nel caso in cui lavorerà con noi.».

    «Va bene.».

    A quel punto il direttore si alzò e mi disse:

    «Abbiamo finito con le domande. Ora passiamo alla prova scritta. Mi segua.».

    Ci dirigemmo verso un altro ufficio, poco distante dal suo, ma nello stesso piano. L'ufficio era piccolo ma luminoso, aveva un ampia finestra. Era molto pulito. Sembrava una camera di un ospedale. C'era solo una sedia ed una scrivania sulla quale era poggiato un libro chiuso, due fogli di carta bianca ed una penna, la classica BIC blu. C'era anche un posacenere bianco di ceramica, pulito e posizionato nell'angolo destro della scrivania per chi si trovasse seduto sulla sedia. Mi avvicinai alla scrivania e lessi il titolo del libro al contrario: Applied Geophysics (Geofisica Applicata). Il ritmo del mio cuore accelerò all'improvviso. Oddio! Ancora un altro esame. Ma non bastavano tutti quelli che avevo già fatto all'università? Così mi chiesi.

    In quel preciso momento, mi apparse come se il direttore mi avesse letto nel pensiero. In effetti, si avvicinò a me e poggiò la sua mano sinistra sulla mia spalla destra e mi disse:

    «Io sono certo che lei conosca bene l'inglese, forse anche meglio di me, ma il protocollo prevede tassativamente che questa prova scritta sia fatta a tutti i concorrenti.».

    «Sì signor direttore, lo so benissimo.».

    «Allora, lei ha 30 minuti di tempo per tradurre questa pagina del libro al francese. Senza vocabolario ovviamente. Tutto qui.».

    Mentre diceva queste ultime parole, il direttore sfogliava il libro. Sembrava che cercasse una pagina particolare. Poi mi disse:

    «Eccola. Questa è la pagina da tradurre.».

    Avevo subito annotato il suo numero su uno dei fogli bianchi sulla scrivania. Poi lo sentii aggiungere:

    «Tornerò esattamente dopo trenta minuti. Va bene?».

    «Va benissimo.».

    Il direttore chiamò l'usciere e gli ordinò di portarmi da bere, poi tornò nel suo ufficio. Mi sedetti sulla sedia con il libro aperto tra le mani alla pagina da tradurre. Avevo i polsi poggiati sul bordo della scrivania in modo da avere la giusta inclinazione per la lettura. Ma non riuscii a leggere a causa di un leggero tremolio ai polsi che faceva sfarfallare le lettere. Ero troppo teso. Non mi era mai successa una cosa del genere prima di quel momento in un esame scritto, nemmeno in quelli più difficili e decisivi all'università. Così, poggiai il libro sulla scrivania e le mani sulle pagine perché il libro tendeva a chiudersi da solo. Il testo era molto facile, assolutamente alla mia portata, ma io continuavo lo stesso ad essere agitato. E non capivo il perché.

    In quel momento arrivò l'usciere con il caffè su un piattino con tre zollette di zucchero, una bottiglia d'acqua minerale ed un bicchiere. Alla vista della tazzina di caffè, accesi la mia prima sigaretta della giornata. Avevo deciso di non fumare più la mattina come primo passo di smettere, ma l'atmosfera del momento non mi consentì di mantenere la promessa. L'usciere, con un finto sorriso stampato sulle labbra, mi disse:

    «Ecco il suo caffè e l'acqua. Poi se le serve qualcos'altro mi chiama.».

    «Grazie, molto gentile.».

    Mentre lui sistemava le bevande sulla scrivania, presi qualche spicciolo dalla tasca ed aspettai che finisse, poi glielo diedi:

    «Ecco, questo per lei.».

    «Grazie.».

    «Di nulla.».

    «Chiudo la porta?».

    «Sì, grazie.».

    Erano già passati cinque preziosi minuti ed io non avevo nemmeno toccato la penna. Per quasi un minuto, tenni i gomiti puntati sulla scrivania con la faccia tra le mani e gli occhi chiusi per concentrarmi. Subito dopo, partii speditamente a tradurre la pagina. E dopo solo venti minuti, la mia battaglia di quella mattinata era già finita. Pensavo di averla vinta perché avevo tradotto tutta la pagina senza riscontrare la minima difficoltà e con il testo finale quasi senza cancellature. Subito dopo, aprì la porta e tornai a sedermi sulla sedia. Accesi la mia seconda sigaretta trasgredendo di nuovo il patto di non fumare di mattina mentre aspettavo il ritorno del direttore che fu puntualissimo. Appena mi rivide disse:

    «Allora, ha finito?».

    «Sì, cinque minuti fa.».

    «Vediamo un po'. Mi passi il foglio per favore?».

    «Eccolo.».

    Il direttore fece un passo all'indietro e cominciò a leggerlo silenziosamente mentre io cercavo di carpire ogni segno della sua faccia. Leggeva sorridendo. Sembrava contento. Sorridevo pure io. Ad un certo punto, si fermò di leggere e mi guardò negli occhi chiedendomi di alzarmi e di avvicinarmi a lui. Poi mi disse con un sorriso ed un tono rassicurante:

    «Senta, lei è proprio la persona che cercavamo.».

    In quel momento non trovai nessuno modo per ringraziarlo, mi venne quasi spontaneo di abbracciarlo. Sentii all'istante che la mia vita era cambiata e che non dovevo più tornare ad insegnare in quella scuola maledetta. Non mi sembrava vero che tutto potesse accadere dopo aver letto un brevissimo annuncio su un giornale. Poi mi vennero in mente le parole di Mounir del giorno precedente. Tutti questi fitti pensieri durarono solo pochissimi secondi. Ero molto emozionato, quasi incredulo. E quasi senza voce gli dissi:

    «Grazie signor direttore.».

    «Comunque, il posto è suo ma ad una sola condizione.», ed io mi sentii pronto ad accettare qualsiasi condizione.

    «Dica?».

    Dopo aver guardato il suo orologio, mi disse:

    «Ora sono quasi le undici, il Provveditorato è ancora aperto, lei deve andare subito a chiedere le dimissioni. Hanno i moduli già pronti. Deve solo specificare il motivo. Cioè, scrivere nella causale: Assunzione presso il Centro Geofisico Nazionale indicando la data odierna". Poi di tutto il resto ci occuperemo noi.».

    Ero quasi incredulo, perciò gli chiesi:

    «Ma devo fare solo questo?».

    «Sì, solo questo per il momento.».

    «Allora ci vado subito.».

    «No, aspetti. Ora scendiamo un attimo giù dal capo del personale per sistemare alcune cose prima. Mi segua.».

    Scendemmo al primo piano, ma il capo del personale non c'era in ufficio. Il direttore chiamò un usciere che arrivò di corsa.

    «Dove il signor ...? Ma sta sempre in giro?».

    «La porta del suo ufficio è aperta, quindi dovrebbe essere da qualche parte nel Centro. Ora lo vado a cercare.».

    Dopo pochi minuti, il capo del personale arrivò. Il direttore non gli diede nemmeno il tempo di sedersi e gli ordinò:

    «Senti ..., fai subito un'assunzione provvisoria al signor Khaled per quel concorso di geofisico. Dovrà iniziare domani mattina.».

    Poi il direttore si rivolse a me dicendo:

    «Se riesce a fare quello che le ho chiesto presso il Provveditorato entro oggi, allora domani sarà il suo primo giorno di lavoro con noi. Non la possiamo assumere senza le dimissioni dalla Pubblica Istruzione.».

    «Scusi direttore, ma lei ha parlato di assunzione provvisoria.».

    «Sì, così lo prevede il protocollo di assunzione. Sono solo tre mesi di prova, poi lei sarà automaticamente assunto a tempo indeterminato nel caso in cui lei deciderà di continuare a lavorare con noi. Poi invecchierà nel Centro come me.», e mi fece un sorriso.

    «Grazie direttore.», e gli contraccambiai il sorriso.

    Mentre il direttore mi stava volgendo le spalle per tornare nel suo ufficio, gli chiesi:

    «Scusi direttore. Ma che lei sappia, il Provveditorato accetterà immediatamente le mie dimissioni senza fare storie?».

    E lui rispose rassicurandomi:

    «Non potrà opporsi, perché anche noi siamo un ente pubblico, ma siamo classificati ente strategico, quindi, abbiamo la precedenza di assumere tecnici.», mi ero risollevato a sentire le parole del direttore.

    Subito dopo, il capo del personale mi diede un foglio con una lista dei documenti da consegnargli entro un mese ed un paio di fogli prestampati da riempire. Dovevo anche fare un visita medica completa presso l'Ospedale Militare per il certificato di idoneità fisica. E prima di lasciarmi andare, mi diede l'orario di lavoro ed il codice di comportamento, un libricino di una ventina di pagine.

    Alle undici e trenta, lasciai il Centro Geofisico in fretta scendendo le scale molto velocemente. Stavo per cadere in un paio di occasioni. Ero troppo eccitato per tutta quella sfilza di fatti ai quali non mi ero minimamente preparato. Balzai su Gazzella, il mio motorino, e cercai di guidarla quella volta con maggiore attenzione del solito. Non sia mai che mi succeda qualcosa proprio lungo questo tragitto. Così pensai mentre mi dirigevo verso il Provveditorato.

    Di solito, sulla strada, tranne in rarissime occasioni, non davo mai la precedenza a nessuno perché a Tunisi, come regola, nessuno rispettava il codice stradale. Passava prima il più forte, ma, in quei frangenti, io e Gazzella eravamo quasi imbattibili ovunque, soprattutto negli incroci in assenza di semaforo. Quel giorno, invece, avevo guidato in modo più tranquillo per non rischiare niente. Così, oltre a guidare rilassato, ma sempre attento, feci prendere agli utenti della strada qualche spavento in meno

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1