Medjugorje & C. L'allegra brigata
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Anteprima del libro
Medjugorje & C. L'allegra brigata - Gennaro Torchia
L’invenzione di una figura materna
La perdita di un genitore è la sciagura più tragica, che possa capitare a un adolescente, specie se la mancanza è quella della madre, l’essere con cui si ha per natura una unione più intima e che costituisce una fonte continua di amore, protezione e sicurezza.
Il dolore genera traumi più o meno permanenti e, comunque, aumenta la sensibilità dell’animo.
È capitato a Leonardo da Vinci (1452-1519), di nascita illegittima, separato dalla madre naturale quand’era bambino per restare nella famiglia del padre e della matrigna.
La sofferenza del distacco può avere raffinato le capacità percettive e creative dell’artista e scienziato, divenuto il genio noto in tutto il mondo.
La sua opera più famosa, il ritratto della Gioconda, sarebbe la rappresentazione figurativa dei pochi ricordi, che conservava, del volto dolce e rassicurante della madre, sublimato in un dipinto, che l’artista portava sempre con sé nei suoi spostamenti per lavoro.
Un viaggiatore del suo tempo, il cardinale italiano Luigi d’Aragona[1], racconta di aver incontrato nel 1517 in Francia Leonardo, che gli aveva mostrato, tra le opere che aveva al seguito, il quadro di una donna fiorentina. Il ritratto era il celebre ritratto della Gioconda, ordinatogli in Italia da Giuliano de’ Medici, ma rimasto nelle mani dell’artista in quanto, prima che lo completasse, era morto il committente. Leonardo terminò l’opera apportando vari pentimenti e ritocchi, non la cedette mai e la portò con sé quando si trasferì in Francia. Il suo attaccamento al quadro non poteva che dipendere che dal fatto che vi aveva raffigurato una persona importante della sua vita, quasi certamente la madre.[2]
Non è da tutti, per lenire il dolore della perdita, far rivivere l’immagine materna in un capolavoro artistico, e allora si cerca un succedaneo alla genitrice assente. La figura più logica, cui ci si rivolge, è la Vergine Maria, madre spirituale di tutti gli uomini e la cui ala protettiva è maggiormente percepita da chi non ha accanto la madre fisica.
Giovanni Paolo II, orfano della madre a 9 anni, aveva una predilezione particolare per la Madonna, cui aveva dedicato anche il proprio motto apostolico Totus tuus (Tutto tuo).
Papa Wojtyla, dopo aver subìto l’attentato del 13 maggio 1981, rimase cosciente durante il trasporto all’ospedale e, soffrendo, diceva soprattutto: "Maria madre mia! Maria madre mia!"[3].
È significativo che cercasse la Vergine, sua madre spirituale, sostitutiva di quella che gli era mancata. Non invocava "Madre nostra!", degli uomini e della Chiesa, bensì la sua personalissima, che lo proteggeva e lo confortava idealmente nei momenti di bisogno.
Quando guarì, non esitò a dichiarare che la sua salvezza era dovuta all’intervento mariano, alla mano materna
che aveva provocato la deviazione della traiettoria del colpo. In memoria dell’evento miracoloso il proiettile, toccato da mano santa, è stato incastonato, come una gemma preziosa, nella corona della Madonna di Fatima, la cui prima apparizione avvenne nel 1917, un 13 maggio come il giorno dell’attentato.
Quasi per ringraziamento, Giovanni Paolo II già il 7 giugno 1981 consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria, e compose lui stesso una preghiera per l’Atto di affidamento. La consacrazione fu rinnovata durante il suo primo pellegrinaggio a Fatima, il 13 maggio 1982.
Il bisogno di un orfano di percepire la nuova figura materna, può anche riflettersi nell’intravederne l’effigie davanti a sé, deformando visivamente l’immagine di oggetti comuni.
Ivanka Ivanković abitava a Mostar, città della Bosnia-Erzegovina nell’allora repubblica di Jugoslavia, ed aveva 14 anni quando morì la giovane madre Jagoda.
La perdita fu particolarmente dolorosa per Ivanka e i suoi fratelli in quanto la madre trentottenne, ricoverata in ospedale, è deceduta all’improvviso e da sola, ed i figli non hanno potuto vederla per un’ultima volta.
Il padre lavorava all’estero, e allora la ragazza con i fratelli ha dovuto trasferirsi in casa della nonna nel vicino villaggio di Bijakovići, facente parte della parrocchia di Medjugorje [pronuncia Megiugòrie]. Anche quest’ultima località è un modesto borgo, situato tra i monti Križevac e Crnica, alle cui pendici si trova una collinetta sassosa, detta Podbrdo, che sarà testimone di una vicenda, che avrà risonanza mondiale.
Il 21 giugno 1981, due mesi dopo, Ivanka compì 15 anni, e fu un giorno molto triste, senza neanche il padre, emigrato in Germania per un lavoro più remunerativo. Ma quello, che le mancava di più, era l’affetto materno, che ora ricercava nella Madonna, la Madre per eccellenza, la Gospa
(Donna) com’era chiamata nella lingua croata.
Negli ultimi due dolorosi mesi, nei momenti in cui la mente era priva di altri pensieri, l’immagine costante, che teneva banco nella sua psiche, era quella della madre, rafforzando il desiderio di rivederla concretamente.
[1] André Chastel, Luigi d’Aragona: un cardinale del Rinascimento in viaggio per l’Europa, Laterza, Roma-Bari 1987.
[2] L’argomento è ripreso in appendice.
[3] Giovanni Paolo II, «Non abbiate paura!»: André Frossard dialoga con Giovanni Paolo II, Rusconi, Milano 1993 (I edizione 1983), pag. 286.
Gli antefatti
La Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, sorta nel 1945 dalle ceneri del vecchio Regno di Jugoslavia, era un crogiolo di popoli differenti. Lo Stato, che si dichiarava ateo, non era riuscito a soffocare i sentimenti di spiritualità, esistenti nei credenti, e li tollerava per evitare disordini, purché il culto fosse svolto all’interno degli edifici sacri. Le religioni erano anch’esse diverse: la cattolica prevaleva in Croazia, l’ortodossa in Serbia e la musulmana in Bosnia, ed esisteva anche una piccola comunità ebraica sefardita. Anzi la rivalità tra i culti aveva dato luogo in passato a tensioni sociali, culminati a volte in fatti di sangue.
Nella Bosnia-Erzegovina, una delle sei repubbliche federali, persisteva una enclave di cristiani cattolici croati, concentrati in una quindicina di parrocchie appartenenti alla diocesi di Mostar, capoluogo della regione dell’Erzegovina. La loro storia è fatta risalire al periodo della dominazione ottomana sui Balcani dal 1482 al 1878. Alcuni francescani avevano mantenuto viva la fede durante l’occupazione, dopo continuarono ad amministrare le parrocchie nel territorio, e così anche col nuovo regime comunista, pur con degli eccessi esecrabili.
Durante il regno di Jugoslavia, dominato dall’etnia serba, si era sviluppato il movimento nazionalista croato cattolico di estrema destra, che si opponeva al governo.
Gli ustascia, all’inizio della seconda guerra mondiale, fondarono lo Stato Indipendente Croato e adottarono i famigerati metodi nazisti per la creazione di una nazione croata etnicamente pura.
Avevano l’appoggio dei francescani. Fra questi Miroslav Filipović-Majstorović, detto fra’ Satana e precedentemente sospeso a divinis, fu uno dei comandanti del campo di sterminio di Jasenovac (Croazia), attivo durante la seconda guerra mondiale. I condannati, oppositori politici e religiosi, venivano bruciati vivi nei forni. La valutazione dei morti nei campi di sterminio cattolici oscilla tra 100.000 e 700.000.
Il 14 maggio 1941 vennero trucidati i 700 abitanti di origine serba di Glina. L’eccidio fu organizzato dal ministro ustascia Mirko Puk, originario del villaggio, e dal frate francescano Ermenegildo, padre guardiano del monastero di Cuntic.
Il 6 marzo 1942 il cardinale francese Tisserant denunciò che i francescani, tra cui padre imić di Knin, volevano distruggere la chiesa ortodossa della Croazia, nella cui nazione erano stati eliminati 350.000 serbi[1].
I massacri furono compiuti da entrambe le parti. Tra l’altro, il 7 febbraio 1945 i serbi misero a morte 758 cattolici della parrocchia di iroki Brijeg, compreso i 30 frati presenti nel convento francescano, che non vollero rinnegare la propria fede.
Gli ustascia, al termine della guerra, praticamente scomparvero dalla scena politica. Sconfitti dai partigiani comunisti, furono decimati e i sopravvissuti si rifugiarono all’estero, anche qui molti vennero rintracciati e uccisi ad opera dei servizi segreti jugoslavi.
Nell’enclave cattolica della Bosnia-Erzegovina tornò, come nel resto della Jugoslavia, la pace. Ci fu tuttavia un conflitto interno tra il clero regolare e quello secolare per un provvedimento del 1967 del Vaticano, che imponeva ai frati di cedere cinque delle loro parrocchie alla Diocesi. Due parrocchie si sottomisero, anche se malvolentieri, alla disposizione, mentre le altre tre si opposero e respinsero i curati quando si presentarono per prenderne possesso. In tal modo i religiosi, appoggiati dalla popolazione, continuarono a mantenere la gestione delle chiese.
La controversia si trascinò per anni, e più di una volta alcuni padri francescani impartirono le cresime abusivamente. Alla fine ci fu un nuovo intervento della Santa Sede il 6 giugno 1975 col decreto Romanis Pontificibus della Congregazione de Propaganda Fide, approvato da Papa Paolo VI sub forma specifica[2]. Veniva confermato l’obbligo della cessione di alcune parrocchie da parte dei frati e si stabiliva la suddivisione in due della parrocchia di Mostar, con la parte contenente la cattedrale affidata al clero diocesano. Ma alcuni irriducibili dei ribelli, in modo particolare i francescani cappellani di Mostar, fra Ivan Prusina e fra Ivica Vego, continuarono ad opporsi e ostacolavano l’attività pastorale dei sacerdoti diocesani, sicché alla fine dovettero essere espulsi dall’Ordine.[3]
La vita dei fedeli, comunque, scorreva in modo ordinario, a parte le difficoltà economiche, che costrinsero molti capifamiglia a cercare lavoro nelle grandi città o all’estero.
Anche se separati geograficamente dal resto della nazione croata, i cattolici della Bosnia-Erzegovina erano consapevoli di appartenere ad un’etnia profondamente religiosa, con una devozione particolare per la Madonna, cui erano stati dedicati numerosi santuari.
Maria era venerata per molti miracoli e per alcune apparizioni sovrannaturali, come quelle del 1684 al parroco della città di Bistrica, e del 1866 a una cinquantina di fedeli nella borgata Ilača di Sirmio[4]. Più recentemente, la ventiquattrenne Julka aveva avuto numerosi visioni e messaggi mariani dal 1945 al 1978.
Restare isolati dal resto della comunità religiosa può portare ad una radicalizzazione della fede o ad altri eccessi, come ritenere una presenza costante della divinità, attiva e percepibile materialmente.
Per la gente rurale dell’Erzegovina i miracoli erano avvenimenti quasi ordinari e non era difficile avere visioni di Gesù e di Maria alle finestre o altrove. Si racconta che i comunisti, per allontanare i credenti dalla religione dopo la guerra, accendevano luci sulle montagne dicendo che era la Madonna. Poi, alla gente che arrivava, mostravano il trucco e incolpavano i preti dell’inganno[5].
Tra le varie voci che correvano, una vecchia contadina analfabeta, Mariciuscja, fu oggetto di un fenomeno soprannaturale negli anni ’50. La Vergine le apparve tra i rovi nel villaggio di Medjugorje, una delle parrocchie cattoliche della diocesi di Mostar, e le avrebbe rivelato avvenimenti apocalittici.
Medjugorje è il principale di cinque villaggi di etnia croata, confinanti fra loro, dei quali è stata costituita sede parrocchiale. Tra una delle frazioni, Bijakovići, e le altre esistevano forti rivalità, che provocarono anche tre morti a colpi di fucile sulla frontiera fra i borghi agli inizi degli anni 40. In tale luogo tragico, e non nel centro di Medjugorje, fu costruita la chiesa locale, dedicata a san Giacomo, affinché fosse la casa di tutti[6].
Nella seconda metà del secolo scorso viveva a Bijakovići il meccanico trentottenne Marinko Ivanković con moglie e tre figli. Componevano una famiglia molto assidua nella fede, e che conosceva bene la storia di Lourdes, avendone letto un libro sulle apparizioni. In quegli anni i testi inerenti alla religione erano considerati alla stregua di preziose reliquie per via della censura marxista, che ne vietava la stampa e la diffusione. I pochi volumi esistenti circolavano segretamente da una famiglia all’altra. Il libro su Lourdes era stato letto con attenzione dalla famiglia Ivanković, che rifletteva su come il piccolo borgo francese fosse diventato una delle capitali mondiali del turismo religioso grazie a poche visioni mariane di una ragazzina. Era logico fare un raffronto con Medjugorje, che restava un povero centro agricolo, nonostante le apparizioni che ogni tanto qualcuno asseriva di avere. Inoltre, nel 1975 era stato pubblicato il libro di un sacerdote croato, Josip Sukner, Veliki znak (Il Grande Segno), in cui erano descritte le apparizioni mariane in Spagna, a Garabandal, iniziate il 18 giugno 1961[7], ed è possibile che anche quest’opera fosse giunta nelle mani degli Ivanković, che erano appunto di origine croata.
Nella primavera del 1981, come si è detto, si era trasferita a casa della nonna a Bijakovići Ivanka Ivanković, rimasta orfana della madre a Mostar. Suo zio Marinko e la moglie Dragica probabilmente le fecero avere in prestito il prezioso libro su Bernadette di Lourdes nella speranza che le fosse di qualche aiuto spirituale.
Comunque la giovanetta aveva già qualche cognizione degli avvenimenti di Lourdes, anche perché durante alcune funzioni in chiesa si intonava la canzone di Lourdes
, il canto mariano che inizia con le parole In quella grotta Maria appare
(Sred te se pećine Marija javi).
In quelle settimane c’era stato un altro avvenimento che aveva portato alla ribalta internazionale le manifestazioni della Vergine sulla Terra: l’attentato a Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro del 13 maggio 1981. Il pontefice aveva accreditato la sua salvezza all’intervento miracoloso della Madonna di Fátima, in quanto quel giorno era l’anniversario della sua apparizione a tre pastorelli portoghesi.
In Ivanka si rafforzò la convinzione che la nostra Madre spirituale poteva presentarsi a chiunque e nel momento meno atteso, come era successo a Bernadette, una giovane quattordicenne come lei, e ai tre ragazzini di Fatima. Cominciò a fantasticare su come avrebbe reagito, se anche lei l’avesse vista nei sobborghi di Medjugorje, ove le apparizioni erano di casa.
Il desiderio di incontrare la Gospa
, una madre surrogatoria di quella deceduta, era intenso e, quando si recava nella chiesa parrocchiale di san Giacomo, poteva osservarla raffigurata in un quadro del pittore Vlado Falak. Era la raffigurazione della Madonna in cielo tra le nuvole, sopra i campi di Medjugorje.
[1] Cfr. Marco Corvaglia, Medjugorje: è tutto falso, Anteprima, Torino 2007, pagg. 50-51.
[2] Oltre alle versioni latina e croata, esiste una traduzione inglese del decreto alla pagina web https://en.wikipedia.org/wiki/Romanis_Pontificibus.
[3] Cfr. Ratko Perić, Gli attacchi della Apparsa
di Medjugorje al vescovo diocesano Pavao Žanić, 2 maggio 2017, sito web http://www.md-tm.ba/clanci/gli-attacchi-della-apparsa-di-medjugorje-al-vescovo-diocesano-pavao-zanic, URL consultato il 20 giugno 2019.
[4] Cfr. AA.VV., Croazia sacra: un popolo lotta per i suoi ideali sul confine tra l’Oriente e l’Occidente, Officium libri catholici, Roma 1943.
[5] Cfr. Saverio Gaeta, L’ultima profezia: la vera storia di Medjugorje, Rizzoli, Milano 2011, pag. 179.
[6] René Laurentin, Racconto e messaggio delle apparizioni di Medjugorje, Queriniana, Brescia 1987, pag. 20, in Saverio Gaeta, L’ultima profezia, cit., pag. 61.
[7] Marco Corvaglia, La verità su Medjugorje: Il grande inganno, Lindau, Torino 2018.
Il primo giorno
Mercoledì 24 giugno 1981 Ivanka Ivanković, tre giorni dopo il quindicesimo compleanno, si ritrova verso le ore 15 con l’amica Mirjana Dragičević per fare una passeggiata per i campi. Le due adolescenti hanno molti punti in comune, essendo coetanee e cresciute entrambe in città. Infatti, Mirjana abita a Sarajevo e si reca ogni anno per le vacanze estive a Bijakovići, dove è arrivata da pochi giorni. Anche lei ha ricevuto in prestito il raro volume su Lourdes, ed ha iniziato a leggerlo.
Ivanka e Mirjana si avviano per un sentiero e, isolate dagli altri ragazzi del luogo, si raccontano le loro esperienze adolescenziali, svelandosi qualche piccolo segreto. Infatti hanno cominciato a fumare ed hanno con sé un pacchetto di sigarette, comprato di nascosto: in quei territori, ove l’attività principale è raccogliere e infilare le foglie di tabacco, è forte la curiosità giovanile di provare il gusto del fumo.
Ciononostante, Ivanka non riesce a distrarsi completamente dal dolore che l’affligge. Sulla via del ritorno, intorno alle 17, solleva lo sguardo verso il cielo e ravvisa il profilo di una donna. Le molte nuvole presenti, che fanno presagire una pioggia imminente, nei continui spostamenti creano con i loro toni chiari e scuri dei disegni astratti, illuminati dai raggi solari, in cui si può immaginare di tutto.
In un resoconto del febbraio 1983 dirà che, guardando verso la collina, vide una forma di donna: era splendente
[1].
Il suo pensiero corre subito alla Madonna, la sua nuova madre immaginifica, così com’era apparsa a Bernadette e come l’ha vista nel quadro della chiesa.
«Mirjana, guarda, è la Gospa!», dice alla compagna.
Questa si volta, ma resta sconcertata poiché non vede alcuna figura femminile, e ribatte: «Ma quale Gospa, non può essere, dai, andiamo via!».
Le due giovani continuano a camminare, fumando una sigaretta, e in prossimità del paese incontrano un’amica, Milka. È una ragazza tredicenne, che si sta avviando verso il monte Crnica per riportare all’ovile una dozzina di pecore, lasciate al mattino al pascolo, e che chiede loro di accompagnarla.
Sono passate le 17.30 e le tre rifanno la strada attraverso i campi. Quando giungono al luogo della presunta apparizione, Ivanka, guardando in cielo, scorge fra le nuvole una nuova forma femminile, differente da prima perché le pare che ora tenga in braccio qualcosa
, non bene identificato: le nuvole in movimento cambiano sempre di aspetto. Nell’immaginario incline al miracolismo, anche la nuova sagoma è da lei identificata con la Madonna, e quel qualcosa
in più diventa il Bambino Gesù
.
La giovane illustra i dettagli della figura alle due amiche, che adesso riconoscono anche loro con un po’ di fantasia, in quel contrasto di luci ed ombre, i