Vittoria Nenni, n. 31635 di Auschwitz
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L'Autore ha consultato una grande quantità di fonti documentali, attingendo alle carte private di Pietro Nenni e agli archivi pubblici italiani e francesi. Il libro di Tedesco ci apre, dunque, ad una conoscenza approfondita ed in parte inedita della famiglia Nenni. Entra quasi nella loro intimità: una famiglia forte, unita che ha condiviso, come disse Pietro Nenni, «con nobile orgoglio, i rischi della vita di un militante». Una famiglia, perseguitata dal fascismo, che deve lasciare l’Italia per scegliere la dolorosa strada dell’esilio in Francia - dove i primi tempi sono durissimi - e che ha pagato un prezzo altissimo la propria avversione al fascismo, con la morte nel 1943 della terzogenita Vittoria.
Forse si parla poco di Vivà, forse per rispettare il grande ed intimo dolore del padre. Tuttavia, oggi appare necessario riscoprire la sua storia, per rendersi conto su quali valori e su quali basi morali, dalla Resistenza partì e si rafforzò l’idea di una Europa libera e dei popoli.
(dalla prefazione di Benedetto Attili)
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Anteprima del libro
Vittoria Nenni, n. 31635 di Auschwitz - Antonio Tedesco
Antonio Tedesco
Vittoria Nenni
N. 31635 di Auschwitz
Prefazione di Benedetto Attili
In collaborazione con Fondazione Pietro Nenni
Collana di studi storici e politici della Fondazione Pietro Nenni
© Arcadia edizioni
I edizione, giugno 2023
Isbn 9788832104806
È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale,
del materialese non a fronte di esplicita autorizzazione scritta
dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Tutti i diritti riservati.
In copertina:
In copertina: Vittoria Nenni agli inizi degli anni ’40.
Archivio fotografico Fondazione Pietro Nenni
Prefazione
di Benedetto Attili
Con uno stile narrativo appassionato e coinvolgente, il libro ricostruisce in modo rigoroso la vicenda umana e politica di Vittoria Nenni, chiamata affettuosamente Vivà
: la fuga dall’Italia fascista della famiglia, la partecipazione alla Resistenza francese, la prigionia nel tetro carcere di Romainville e la tragica deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz Birkenau, insieme ad altre 230 donne resistenti, di cui solo 49 si salveranno.
L’Autore ha consultato una grande quantità di fonti documentali, attingendo alle carte private di Pietro Nenni e agli archivi pubblici italiani e francesi. Il libro di Tedesco ci apre, dunque, ad una conoscenza approfondita ed in parte inedita della famiglia Nenni. Entra quasi nella loro intimità: una famiglia forte, unita che ha condiviso, come disse Pietro Nenni, «con nobile orgoglio, i rischi della vita di un militante». Una famiglia, perseguitata dal fascismo, che deve lasciare l’Italia per scegliere la dolorosa strada dell’esilio in Francia – dove i primi tempi sono durissimi – e che ha pagato un prezzo altissimo la propria avversione al fascismo, con la morte nel 1943 della terzogenita Vittoria – il cui nome augurale dirà amaramente Nenni «non le ha portato fortuna» – e di suo marito Henri. Una tragedia che segna profondamente la famiglia Nenni e che raccoglie il cordoglio di migliaia di italiani.
Impressiona il volume di lettere e telegrammi che giungono a casa Nenni e alla redazione dell’Avanti! quando alla fine di maggio del 1945 viene resa pubblica la notizia della morte della figlia del segretario del Psi, che non aveva ancora compiuto ventotto anni. Come emerge dall’Avanti!, nel Secondo dopoguerra la figura di Vittoria Nenni diventa un simbolo di pace, di lotta e di speranza per migliaia di lavoratori, socialisti e socialiste del nostro Paese: si inaugurano circoli, sezioni femminili, e vengono organizzate imponenti iniziative in suo onore. Anche alcune amministrazioni comunali, rette da socialisti, le dedicano asili, strade e quartieri, inaugurati spesso dal padre che talvolta non riesce a trattenere la commozione durante le celebrazioni.
Scrive il 16 ottobre 1964 sul diario: «Saragat è stato oggi ad Auschwitz. [...]. Non potendo dire il nome di tutti gli italiani morti nel campo di sterminio – si è limitato a ricordare ha detto, – quello di una donna che, dopo aver perduto il marito fucilato a Parigi, venne a morire qui per le sue idee: Vittoria Nenni
Alla mia Vittoria è andato così il pensiero di tutta la Polonia, di tutti gli italiani. Sono stato per tutto il giorno sconvolto dall’emozione».
Ma è soprattutto l’abbraccio del popolo ad emozionarlo. Si legge, sempre sul diario, «I compagni di Sant’Angelo Lodigiano hanno intitolato una località al nome di mia figlia Vittoria. Villaggio Vittoria Nenni
si chiama. Decine di bimbi ci sono venuti incontro con i loro sorrisi e i garofani rossi agitati in segno di benvenuto. Non mi è quasi riuscito di spiccicare due parole di ringraziamento» (2 giugno 1973).
Dopo la morte del leader socialista con il Psi di Craxi, assistiamo alla riscoperta della figura di Vittoria: il partito le dedica la tessera nel 1988, l’associazione Amici dell’Avanti! organizza viaggi ad Auschwitz, le donne socialiste giornate di mobilitazione al grido del suo nome.
Il libro si sofferma, con grande intensità, sugli ultimi giorni di vita di Vittoria nel campo di morte di Auschwitz Birkenau, provata pesantemente dalla febbre tifoidea. Sono pagine strazianti. L’Autore affida il racconto alle poche amiche sopravvissute, tra le quali l’intellettuale Charlotte Delbo che ha narrato e rievocato in diversi suoi scritti quella tragica esperienza.
Sono due i momenti di questa giovane ed eroica donna che colpiscono e che meritano una riflessione, fuori da ogni retorica: l’arresto e la sua fine. Poteva salvarsi rivendicando la nazionalità italiana, poteva evitare la deportazione: ma non volle lasciare le compagne di lotta. Poteva forse sopravvivere al campo di sterminio ma, come raccontato da alcune sopravvissute, non si risparmiò aiutando con tutte le sue energie le compagne più in difficoltà o ammalate. Oltre ad evidenziare il suo grande coraggio e lo spirito di solidarietà, sottolineano il suo patrimonio di valori – già propri di un patrimonio familiare – emersi luminosi nell’infuocato crogiolo della guerra – che cancellano i peculiari connotati nazionali, per diventare coscienza di lotta europea contro il nazi-fascismo.
Forse si parla poco di Vivà, forse per rispettare il grande ed intimo dolore del padre. Tuttavia, oggi appare necessario riscoprire la sua storia, per rendersi conto su quali valori e su quali basi morali, dalla Resistenza partì e si rafforzò l’idea di una Europa libera e dei popoli.
Traduzioni
I documenti dell’Archivio storico della Prefettura di Parigi (Aspp) e gran parte delle lettere degli anni 1935-1943, conservate nell’Archivio storico della Fondazione Pietro Nenni, sono in lingua francese e tradotti da Federica Perna.
Nota dell’autore
La presenza di refusi in alcune citazioni archivistiche è dovuta alla scelta dell’autore di pubblicare fedelmente il testo del documento.
«Non credete a quello che diciamo perché
se fosse vero ciò che diciamo
non saremo qui a dirlo.
Bisognerebbe spiegare l’inspiegabile
spiegare perché Vivà
che era così forte è morta e non io
perché Mounette che era ardente e fiera è morta e non io
perché Yvonne che era risoluta e non Lulù
perché Rosie che era innocente
e non sapeva ancora né perché vivere né perché morire
perché Rosie e non Lucie
perché Mariette e non Poupette sua sorella
che era più giovane ed esile
perché Madeleine e non Helene
che dormiva vicino a lei perché perché
perché tutto qui è inspiegabile»(1).
Principali abbreviazioni e sigle utilizzate
Acs: Archivio centrale dello Stato
Asfpn: Archivio storico Fondazione Pietro Nenni
Aspp: Archivio storico della Prefettura di Parigi,
Cpc: Casellario politico centrale
Dgps: Direzione generale di pubblica sicurezza
Gap: Gruppi di azione patriottica
Pcf: Partito comunista francese
Pol. pol.: polizia politica
Ppf: Partito popolare francese
Pri: Partito repubblicano
Ps: Pubblica sicurezza
Psi: Partito socialista italiano
Psiup: Partito socialista italiano di unità proletaria
Psu: Partito socialista unitario
Psuli: Partito socialista unitario dei lavoratori italiani
ss: milizia speciale tedesca destinata a compiti di polizia
Capitolo I
L’infanzia
(2)
Con il nome augurale e patriottico di Vittoria Gorizia
, il 31 ottobre 1915 alle ore 16.45 nasce ad Ancona, in via delle Fornaci 9, la terzogenita di Pietro Nenni(3) e Carmela (detta Carmen) Emiliani. Il parto è assistito dal medico Luigi Giansanti Splendori, di anni 56. Presenti alla nascita due vicini di casa: l’ottantatreenne Rodighini Eliseo e il quarantottenne Recanatini Franco, entrambi braccianti(4). Non è presente, invece, suo padre, Pietro Nenni, esponente di spicco del Pri, partito volontario al fronte, da convinto interventista, e impegnato nella terza Battaglia dell’Isonzo alla conquista della città di Gorizia(5). I giornali esaltano il suo coraggio: «Il noto pubblicista Pietro Nenni, organizzatore della famosa settimana rossa, partì volontario per il fronte. Esso è stato promosso caporale per merito di guerra in seguito all’eroismo dimostrato in varie operazioni»(6). Strano destino quello di Pietro Nenni che, a causa della sua vita turbolenta, e del suo animo da rivoltoso, formatosi nelle ingiustizie della vita e nelle privazioni dell’orfanotrofio, non ha mai avuto la possibilità di essere accanto alla moglie nel momento della nascita delle figlie: quando è nata Giuliana, a Forlì nel 1911, è in carcere a Bologna, quando è nata Eva, a Jesi nel 1913, è latitante a Cingoli, quando è nata Vittoria, come abbiamo visto, è al fronte(7). Pietro Nenni nel 1915 ha solo ventiquattro anni ed è un uomo profondamente legato agli affetti familiari: «Curioso destino il mio, che ha voluto che fossi sempre allo sbaraglio e che, da carcere a guerra, da guerra a esilio, da una lotta all’altra, non conoscessi mai requie e ha forgiato attorno ai miei polsi con le dolci catene della famiglia un legame sentimentale che mi fa soffrire fino allo spasimo, che non mi disarma davanti al nemico, ma, in una certa misura, mi disarma davanti a me stesso»(8). Carmen, una signora «molto bella ed elegante, di antico stampo romagnolo»(9), è un punto fermo nella sua vita. Pur non occupandosi di politica condivide le idee del marito, accettando il suo modo di vivere e affrontando coscientemente i suoi rischi. Il primo incontro tra i due coniugi faentini è raccontato dalla stessa Carmen(10), quando si concede nel Secondo dopoguerra uno strappo alla consueta riservatezza, per rilasciare una rara intervista: «Eravamo al circo equestre, a Faenza, il 29 giugno del 1908. Un somarello irrequieto e poco educato, a un certo momento, scalciando intorno alla pista, mi riempì gli occhi di segatura. Mentre mi riparavo il viso con le mani per difendermi da un nuovo attacco, sentii una voce alle mie spalle: Signorina, se vuole le cedo il mio posto
. Mi voltai, ci guardammo e trenta mesi dopo eravamo sposati»(11). I coniugi Nenni convolarono a nozze l’8 marzo del 1911: «Matrimonio sobrissimo, con rito civile, senza invitati, senza viaggio di nozze. Pietro Nenni si fece prestare da un amico un centinaio di lire, con le quali acquistò il letto matrimoniale e noleggiò la carrozzella che lo portò con la sposa da Faenza a Forlì»(12).
Dopo quattro mesi al fronte, il 1° gennaio del 1916 Pietro Nenni, con il treno delle ore undici e trenta, giunge ad Ancona ed abbraccia per la prima volta Vittoria. Dopo un po’ di riposo e qualche conferenza patriottica il 16 gennaio, terminata la licenza di due settimane, riparte per il fronte. Frequenta brillantemente il corso per diventare ufficiale ma, a causa delle informazioni sfavorevoli intorno ai suoi precedenti politici, non ottiene la nomina; la mancata promozione non è solo una delusione per il Nenni patriottico
ma soprattutto per il padre di famiglia: la moglie con «lo scarso pane dei sussidi governativi»(13) non riesce a pagare l’affitto e deve rientrare a Faenza, per andare ad abitare dalla sorella in Vicolo San Giovanni. Ma ben presto Carmen e sua madre, Angela Belardi, debbono essere ricoverate all’ospedale di pubblica carità. Qualche anno dopo, Pietro Nenni, ricorderà amaramente quel periodo: «M’attristava il pensiero della dura esistenza dei miei e di mia moglie che sapevo curvata sulla macchina da cucire dall’alba, al tardo tramonto per guadagnare il pane ed alla quale inviavo le poche lire della cinquina»(14). Poi in ospedale finisce anche lui per una delicata operazione all’occhio che lo costringe a quattro mesi di licenza. In questo periodo collabora con Il Popolo d’Italia, giornale che Benito Mussolini aveva fondato dopo l’espulsione dall’Avanti! e dal Psi, e accetta alla fine del 1916 la proposta di Giuseppe Pontremoli di assumere la direzione del Giornale del Mattino. Con la famiglia, dunque, si trasferisce a Bologna, dove Vittoria «con i suoi belli occhioni vivaci, accompagnata dall’intelligente Giuliana e con Eva, spensierata, va a comperare i cioccolatini da Mariani»(15), storica pasticceria bolognese. Con il nuovo incarico Pietro Nenni riesce a garantire alla famiglia un migliore tenore di vita. Ma ben presto torna al fronte e questa volta rischia la vita: vicino al suo osservatorio esplode un barile di polvere da sparo e viene trasportato all’ospedale di Udine «per gravi disturbi nervosi e per una gravissima otite, poi mandato in convalescenza, più volte prorogata»(16).
Conclusi gli eventi bellici e provato dalla lunga esperienza al fronte, che lo ha messo a tu per tu con l’orrore della guerra, con lo spettro della morte – indivisibile compagna di quei giorni – e con le ingiustizie della severa disciplina militare, Pietro Nenni matura un’opinione diversa e ammette di aver sbagliato sulla guerra: si accorge che la conferenza di Versailles è stata una spartizione del bottino tra potenze imperialiste e che la monarchia è più forte di prima. Riconosce che il suo giudizio è stato provinciale e sbagliato, che non si è trattato né di una guerra risorgimentale e neppur d’una guerra rivoluzionaria, ma dell’urto di imperialismi eguali e contrari. Giunge alla conclusione che la guerra è stata per lui «una tragica lezione di marxismo»(17) che lentamente lo porta, come vedremo, a prendere le distanze dal Pri. Tuttavia, nel clima esasperato di patriottismo aderisce al fascio di combattimento di Bologna, animato per lo più da repubblicani e socialisti – tanto che Mussolini non partecipa alla riunione inaugurale e L’Avvenire d’Italia lo definisce «a tinte socialistoide»(18) – ma dopo pochi giorni prende le distanze da quel movimento quando si rende conto che l’indirizzo impresso da Mussolini mira in ben altra direzione(19).
A settembre del 1919 si chiude la parentesi bolognese: il Giornale del Mattino cessa le pubblicazioni, Mussolini gli offre il posto di caporedattore al Popolo d’Italia ma Pietro Nenni rifiuta. Accetta, invece, l’incarico a un altro quotidiano milanese, Il Secolo, come corrispondente viaggiante con un salario di lire 800 mensili. Con la famiglia si trasferisce a Milano, in via Melzi. Con il nuovo incarico si reca in Francia, Belgio, Austria, Cecoslovacchia, Armenia e in Georgia, maturando uno sguardo nuovo sul mondo europeo e su quello sovietico. Tornato in Italia, lascia il giornale e si dimette dal Partito repubblicano. Quando lo scontro politico diventa pesante Pietro Nenni, che già da tempo si andava orientando verso la lotta di classe(20), rompe ogni equivoco, abbraccia il socialismo e viene chiamato all’Avanti! da Giacinto Menotti Serrati(21), come corrispondente da Parigi con un compenso di «1.800 franchi mensili, comprese le piccole spese di tram e posta»(22). Intanto il 1° dicembre del 1921 nasce la quarta figlia: Luciana(23).
Agli inizi di ottobre del 1922 Pietro viene richiamato da Serrati a Milano per svolgere le funzioni di redattore capo dell’Avanti! in sostituzione di Passigli. Intanto la famiglia Nenni si sistema in via Bronzetti 35, a quindici minuti a piedi da via San Damiano, sede della redazione del giornale.
L’11 ottobre del 1922 Vittoria comincia la scuola: frequenta l’istituto femminile Morosini, a 500 metri da casa. L’insegnante è la maestra Carla Ossola che deve tenere testa a quarantasette bambine della prima classe del corso C
. Le pagelle e registri di classe(24) certificano l’attaccamento di Vittoria alla scuola: fa pochissime assenze, è brava in condotta e primeggia in diverse materie, soprattutto matematica ed italiano. Intanto il padre rischia di morire. Durante l’ennesima aggressione squadrista alla sede dell’Avanti!, una pallottola lo sfiora e colpisce un tipografo che muore ai suoi piedi. Dirà amaramente Nenni qualche anno dopo: «La pallottola assai probabilmente mi era destinata»(25).
Il 31 ottobre del 1922 Vittoria festeggia il suo settimo compleanno. Lo stesso giorno a Roma si insedia il governo Mussolini. Fare attività politica diventa sempre più pericoloso per i socialisti. In questura chiedono a Pietro Nenni una vera e propria sottomissione al fascismo. Ovviamente rifiuta e scrive caustico sul giornale «all’Eccellenza Mussolini», ricordandogli che sono stati condannati insieme, «da uomini di sinistra, dal Tribunale di Forlì»(26). Un rapporto, quello tra Pietro Nenni e Benito Mussolini, entrambi romagnoli ed abili giornalisti, che per tanti anni si è protratto senza esclusione di colpi, in un lungo amore e odio(27).
Intanto i socialisti, la principale forza antifascista nel Paese, continuano a dividersi e si indeboliscono: dopo la scissione di Livorno del 1921, nell’ottobre 1922 la componente riformista, che fa capo a Turati, Treves, Modigliani e Matteotti viene espulsa dal partito. Pochi mesi dopo, nell’aprile del 1923, solo grazie all’impegno di Pietro Nenni si evita la dissoluzione del Psi, voluta dal Comintern(28). Per tale impegno il padre di Vittoria entra nella direzione del partito e viene nominato direttore dell’Avanti!. In molti rimangono impressionati dalla rapida carriera
che in un paio d’anni lo ha portato ai vertici della gerarchia del partito e alla direzione del giornale.
Per Vittoria l’infanzia scorre felice. L’anno scolastico si chiude positivamente e a giugno del 1924 viene promossa in terza elementare a pieni voti. Eccelle in lettura, spiegazione, riassunto e lavori donneschi.
Intanto a Roma il 10 giugno viene aggredito, rapito e ucciso Giacomo Matteotti. Il cadavere viene trovato solo due mesi dopo nella campagna di Riano. Passano pochi giorni dal ritrovamento del corpo e Pietro Nenni pubblica un libretto dal titolo molto evocativo: L’assassinio di Matteotti ed il processo al regime
(29) in cui indica l’obiettivo di perseguire nella lotta, di non fermarsi e di non farsi intimorire: «Prioritaria l’individuazione degli assassini e delle responsabilità, e il processo contro questi avrebbe dovuto trasformarsi in un processo politico al regime»(30). Naturalmente il libretto viene sequestrato e Pietro Nenni subisce un processo per aver istigato all’odio di classe offendendo il Primo ministro.
Nel 1924 un nuovo trasloco: la famiglia Nenni si trasferisce in Corso XXII Marzo al numero 29. A settembre Vittoria comincia la terza elementare e si trova ad affrontare le prime dure prove della vita: gli esami. L’anno scolastico per Vittoria è segnato da un lungo periodo di assenza, probabilmente per una brutta influenza. Tuttavia, Vittoria supera brillantemente gli esami e chiude l’anno con tutti lodevole e due buoni. È la più brava della classe anche in condotta ed educazione; eccelle in canto, lettura espressiva