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Deciditi una buona volta, Rossi!
Deciditi una buona volta, Rossi!
Deciditi una buona volta, Rossi!
E-book181 pagine2 ore

Deciditi una buona volta, Rossi!

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Info su questo ebook

Giovanni Battista Rossi ha vinto il concorso a vice commissario, dovrebbe esserne contento e ansioso di scegliere la sua nuova sede. A casa non ha più un attimo di pace da quando la sua ex fidanzata è venuta ad abitare con i suoi genitori in compagnia del piccolo Keymal. Sono lontani i bei tempi in cui la mamma gli preparava gustosi manicaretti e lo accudiva amorevolmente, ora ha occhi solo per il bambino. In compenso, il suo capo non ha perso l’abitudine di stargli costantemente alle costole e il suo mentore, affetto da emiplegia, di prenderlo bonariamente in giro.
Invece, è pieno di dubbi, sconforto, malumore.
Forse perché sta raggiungendo il traguardo della mezza età?
O forse perché improvvisamente riemerge dal suo passato una donna che non ha mai dimenticato?
Spinto a scegliere la sua nuova destinazione dal desiderio di mantenere i contatti con la donna, si trova a fare i conti con un mondo e una realtà che scuote le sue certezze di uomo d’ordine facendogli rimpiangere la tranquillità del suo commissariato genovese. Altri avvenimenti imprevisti però sconvolgeranno quel suo quieto vivere, nel quale si è sempre crogiolato senza esserne mai totalmente soddisfatto, aspirando a una vita avventurosa che tuttavia non è mai riuscito a raggiungere.
Troverà un giorno la scarpa adatta al suo piede, il vice commissario Rossi?
LinguaItaliano
Data di uscita1 mag 2020
ISBN9788832926934
Deciditi una buona volta, Rossi!

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    Anteprima del libro

    Deciditi una buona volta, Rossi! - Rosa Galli Pellegrini

    Epilogo

    1

    Se Dio vuole è finita anche questa domenica. Domani, al lavoro! si augurò l’ispettore Gianbattista Rossi, infilando la chiave nella toppa dell’uscio di casa. Anzi il vice commissario Rossi perché alla fine ce l’aveva fatta, aveva vinto il concorso.

    Aprì il portone di casa, fece passare Elena col bimbo, la mamma, il babbo e il passeggino. Richiuse, buttò berretto e chiavi sul cassettone dell’entrata e compattò il diabolico attrezzo che serviva per trasportare il pargolo riponendolo nell’angolo del corridoio dove sicuramente avrebbe fatto inciampare il primo malcapitato che di là passava. Tirò un sospiro di sollievo mentre il resto della famiglia si avviava verso le rispettive dimore private. Finalmente poteva ritirarsi nella beata solitudine della sua camera da letto.

    Non fece in tempo a sfilarsi il giaccone che sentì partire la sirena degli strilli del bambino seguiti dalla voce esausta di Elena e dai consigli immediatamente propinati da Mimma che si era materializzata all’istante sul luogo dell’evento.

    "Ma belìn, ’sto bimbo non quieta mai! esclamò l’ispettore ad alta voce, con tono che, suo malgrado, indicava l’alto livello di irritazione. Dalla stanza di Elena giunse subito la risposta della sostituta nonna, come ormai si era autonominata la mamma: Povero nan, sono i dentini, Gian devi avere pazienza!"

    Pazienza: ne aveva da un bel po’ il Rossi. Ne aveva avuta tanta, da più di un anno e mezzo, ormai. Costatava, se mai ce ne fosse stato bisogno, che anche questa domenica, da giorno di festa come avrebbe dovuto essere, era diventata una galera.

    Avevano festeggiato gli ottant’anni del professore e anche l’esito positivo degli esami dell’ispettore per un posto di vice commissario. La festa era stata organizzata in casa del vecchio amico. Tina si era data daffare, Mimma aveva preparato le sue famose lasagne al pesto, erano stati comprati regalini vari. I Rossi avevano optato per un trasferimento in tassì, visto che fra passeggeri, bimbo, teglie, borsoni e passeggino la vecchia Panda del babbo non sarebbe riuscita a contenere tutto l’ambaradan. La comitiva si era riunita nella vecchia casa giù nei vicoli sin da mezzogiorno. Pranzo interminabile, altri ospiti che erano venuti per il caffè e poi nel pomeriggio, pianto incessante del pargolo e cena finale con gli avanzi. Come Dio aveva voluto, disincastrando il benedetto passeggino lungo gli scalini della stretta scala del vecchio palazzo nei vicoli, in tarda serata erano risaliti per carrugi, ripreso un tassì ed erano tornati a casa. Si ricordò di colpo: " Belìn! Dove è il pacco del professore?"

    Perché, prima che andassero via, il vecchio amico gli aveva consegnato un pacco.

    Cos’è, prof.?

    È una cosa che ho scritto. Portatela via e leggila con calma, aveva digitato il vecchio.

    E ora dov’era il pacco? Uscì dalla stanza, infilò la testa in camera di Elena chiedendo notizie: lei non ne sapeva nulla. Il babbo, già semi assopito nella sua poltrona davanti alla tele, scosse la testa in segno di negazione.

    Mamma, dov’è il pacco?

    "Quale pacco, nan?"

    Quello che ti ho dato da tenere, quando siamo usciti dalla casa del professore.

    "Uh! Segnù de legnu! l’ho lasciato nel tassì!"

    Ecco qua!

    Ma porca miseria! La mamma si era rimbambita! Non aveva testa che per Elena e per il bambino. Gli altri non contavano più nulla. Pulire casa, cucinare pappine, sorvegliare ora per ora i progressi del pargolo; indovinare con incredibile intuizione i desiderata che il suddetto esprimeva con acuti ululati o con gorgoglii inframmezzati da occlusive, mentre ti sputazzava addosso saliva e latticini vari: questo era il colmo della goduria in cui guazzava la pseudo nonna! Rossi si rodeva.

    E adesso dove lo ripeschiamo? Mamma, ti avevo detto di tenerlo tu, il pacco.

    "Hai ragione, hai ragione nan, ma col piccolo in braccio... e piangeva, povero figetu, era stanco..."

    Era stanco il povero figetu, e lui, no, il Gian non era mai stanco, lui che si era sorbito per tutta la giornata visita, pranzo e cena, blablabla vari, congratulazioni entusiaste a ogni smorfia del pargolo, soccorso immediato e indaffarato per i numerosi disagi che questi esprimeva a gran voce ogni due per tre. No, lui, Gian non aveva diritto di essere stanco. Anzi, si domandava, se esisteva ancora in quella casa.

    Si ritirò immusonito nella sua stanza senza salutare nessuno: tanto non se ne sarebbero neanche accorti, si disse. Si mise a letto e provò ad addormentarsi. Una parola! Di là la manfrina serale dell’addormentamento del giovanotto non cessava. E per di più il babbo aveva acceso la televisione a tutto volume, forse anche lui per disperazione.

    Rossi riaccese la luce e prese in mano il romanzo di cui ogni notte provava a leggere qualche pagina. In due mesi era arrivato a pagina venti! Ma non riusciva a concentrarsi, aveva accumulato troppa adrenalina nella giornata e i pensieri che gli turbinavano in testa erano confusi. Neanche il successo del concorso gli dava soddisfazione. Ci aveva lavorato tanto che adesso se ne era quasi disinteressato; e poi chissà quando sarebbe stato chiamato al nuovo incarico, e chissà dove, e a fare cosa.

    Percepiva un senso di sradicamento, realizzava che non era più il numero uno nella sua famiglia. E non era soltanto per la meschina delusione di non trovare al suo ritorno a casa, nel piatto coperto che la sera la mamma gli lasciava sul tavolo di cucina, i manicaretti che un tempo gli preparava. Adesso era già buono se vi trovava della pasta riscaldata o una fettina rinsecchita con due verdure fredde. Ci rise su: in fondo quella dieta forzata era stata benefica e gli aveva fatto perdere quel paio di chili di troppo!

    Poi c’era la storia di Elena e del bambino. Da quando Elena era rimasta incinta e dopo la nascita del piccolo Kaymal Stefano, la Mimma, nonna surrogata, non aveva occhi che per il nipotino acquisito, non aveva cure che per il benessere della giovane mamma. Più che giusto, si disse Rossi: loro erano più bisognosi di lui, che ormai era adulto e indipendente. Già. Indipendente; cioè non dipendeva da nessuno e, specialmente, nessuno dipendeva da lui. Era forse questa la causa del suo star male?

    Nel turbinio dei pensieri confusi che a quell’ora della notte andavano dalla rivisitazione della sua quotidianità alle riflessioni sul suo malessere, Rossi si rigirava nel letto. Decise di alzarsi a bere un bicchiere d’acqua in cucina. Si infilò le pantofole e la giacca da camera. Sembrava che in casa il bailamme fosse finalmente cessato e tutti fossero andati a dormire. Una luce filtrava soltanto dalla camera di Elena. Spinto da un impulso che non riuscì a definire, o forse solamente desideroso di fare due chiacchiere in santa pace, bussò di nuovo alla porta della sua amica.

    Avanti.

    Entrò.

    Elena era seduta sulla poltroncina china sul lettino del bimbo, avvolta nella sua vestaglia azzurra, i folti capelli castani sciolti sulle spalle legati alti sulla fronte da un nastro rosso, il viso struccato e rilassato. Sembrava una ragazzina, il dipinto di una Madonna moderna. Sorrideva giocherellando con le manine del figlioletto. Stefano non dormiva ancora, ma borbottava alla sua mamma sillabe di benessere.

    Rossi si avvicinò e si chinò anche lui sul lettino: appena il piccolo lo vide, gli tese le braccine sorridendo. E Rossi sentì dentro di sé un groppo che si stava finalmente sciogliendo.

    Elena, è proprio un angioletto questo bimbo, Dio lo benedica. Buonanotte, piccoli tesori tutti e due!

    L’aveva detto con convinzione. Un’ondata di calore era venuta a cacciare indietro i cattivi pensieri.

    Tornò in camera sua. Ma, tant’è, il sonno era andato a farsi benedire. E se accendesse il suo laptop e controllasse la posta, visto che in giornata non aveva avuto il tempo? Trovò vari messaggi su Facebook. Gran perdita di tempo quel social là ma, tutto sommato, poteva esserci qualcosa d’importante. Fece scorrere il cursore.

    Una richiesta di amicizia attirò la sua attenzione: Mélanie. Mélanie, chi, Dumaine? Guardò meglio la foto. Una donna bionda sorridente, sulla trentina, quarantina? Mélanie? Quella di Bruxelles? Quella che forse era stata implicata in due precedenti casi che aveva seguito, in Anatolia e in Maremma? Non ci poteva credere! Aveva un bel coraggio, se era quella Mélanie là, a chiedere la sua amicizia.

    Rimase per un bel po’ imbambolato a guardare e riguardare la foto. Era proprio lei, così come l’aveva conosciuta, stesso taglio di capelli biondi, stesso viso misterioso e affascinante, quasi stesso vestito, sicuramente stessa collana di perle al collo. Un flusso di emozioni gli stava salendo su per lo stomaco. Il ricordo di quella sera a Bruxelles, quanto tempo fa, dieci, dodici anni? Si mise a fare il conto. Quei ricordi li aveva cancellati, cancellati definitivamente, ne era convinto! Le volte che riaffioravano li cacciava via dalla mente con violenza. Ricordi di una umiliazione, di una sconfitta giovanile, di quelle che lasciano un segno indelebile. Ricordo di una notte incredibile, stupenda, come non ne aveva più avute in tutta la sua vita.

    Si adoperò per rimandare indietro il rincorrersi delle emozioni. In genere, in casi simili, volgeva la mente ad altre cose. Questo gli avevano insegnato anche nei suoi corsi di aggiornamento: mai farsi coinvolgere dall’emotività. Cercò, nel suo passato, qualche spazio neutro in cui rifugiarsi: l’ometto!

    Ecco, l’immagine ridicola dell’ometto poteva essere un antidoto eccellente per eliminare la stretta che sentiva nello stomaco. Non fu però sufficientemente abile a scartare il ricordo del fatto che, alla fin fine, l’ometto era anche stato causa di tutto quanto era successo in seguito. E adesso, inevitabilmente la scena prese a svolgersi come allora.

    La cosa era iniziata così. Aveva, quanti anni, venticinque? stava per finire il corso di aggiornamento all’estero. Non era ancora ispettore, era l’agente Rossi, aveva vinto il concorso con il massimo dei voti, era stato inviato in Belgio per fare un tirocinio, imparare il francese, le tecniche internazionali di sicurezza, collaborare con le forze dell’ordine. Pochi giorni prima del suo rientro in Italia c’era stata a Bruxelles la storia clamorosa di quel coreano che era morto nel suo ufficio, un tizio famoso che era praticamente saltato in aria con il marchingegno bellico che aveva inventato e di cui non si era più saputo nulla. Rossi era ancora alle prime armi e quindi non aveva partecipato all’inchiesta, ma in quella occasione aveva conosciuto la segretaria del signor Yu, il coreano: Mélanie.

    Era stata il primo e sicuramente il solo grande amore della sua vita. Era sparita dopo il loro primo incontro, ed ecco che adesso riappariva!

    Rossi rimase a sedere a lungo davanti al suo laptop. Non era soltanto una rivisitazione della memoria quella che stava vivendo: di quell’unico giorno non aveva dimenticato neanche un minuto secondo. Era la stessa, forte, ma anche nuova emozione che lo stava scuotendo. Risentiva le parole che si erano dette al momento in cui si erano conosciuti, il profumo di lei, il suo corpo in quella notte magica in cui erano stati assieme.

    Stette seduto a lungo finché cominciò a sentire il freddo che gli saliva su per la schiena. Si rassegnò a entrare nel letto. Ma da lì a dormire...

    Si raggomitolò cercando di riscaldarsi, di trovare la solita sua posizione preferita per prendere sonno. Era inutile, la mente tornava a correre vorticosamente senza che lui riuscisse a controllarla. Quel giorno e poi quella notte, e poi il giorno dopo... Si sforzò di convogliare i ricordi sull’incontro con l’ometto. In quella storia di esaltazioni, di delusione e angoscia, per lo meno lui rappresentava una nota amena.

    Quella mattina i sottotitoli delle web news scorrevano impazzite sugli schermi dei televisori. I giornali di Bruxelles avevano già stampato una seconda edizione. I Tg speciali interrompevano ogni mezz’ora le trasmissioni e i quiz a premi per dare nuove informazioni, che poi erano le stesse della mezz’ora precedente. Le Borse europee e asiatiche andavano giù e su come montagne russe.

    Lei conosceva bene il signor Van der Wellet?

    "Ma certamente, certamente, io amministro lo stabile da quindici anni, conosco tutti qui dentro, tutti. Tutta gente bene, qui da noi, delle alte sfere. Della finanza, della moda, industriali. Chi poteva mai pensare… e in quell’appartamento poi, uno dei più eleganti, in che condizioni, tutta quella roba rotta per terra . Quel désastre, quelle cat…"

    Che lavoro faceva monsieur Van der Wellet? lo interruppe Rossi.

    "Oh, monsieur era... come si dice? un altissimo dirigente, la sua società era americana, lui era... aveva inventato... quelle cose... tecnologia, mi capisce, alta tecnologia."

    Me lo può dare per cortesia?

    Cosa?

    Il numero di telefono della segretaria.

    Oh, certamente, certamente.

    Yu Francis Van der Wellet, Presidente e Amministratore Delegato nonché socio di

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