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Amori di sogno e sogni
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E-book229 pagine2 ore

Amori di sogno e sogni

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Info su questo ebook

Un viaggio alla scoperta dei grandi amori della letteratura e della vita, storie talmente incantevoli e incantate che non possono essere solo frutto della fantasia: da Abelardo ed Eloisa, un amore travagliato, ostacolato, di cui sono rimaste lunghe e appassionate lettere; a Paolo e Francesca, che ancora, nell’oltretomba, non possono e non desiderano separarsi; a Ermengarda, che tutta la vita ha amato l’uomo che l’aveva ripudiata e dimenticata; a Leopardi e la sua brama di amore.  

Michele Ruggiano è stato docente di Lettere e Preside nei licei e negli istituti magistrali. Per un decennio circa ha insegnato letteratura italiana e didattica generale nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Benevento. È stato anche per vent’anni Presidente della sezione beneventana di Italia Nostra e, per dieci, Direttore del Centro Studi del Sannio.
Ha pubblicato i seguenti lavori storico letterari: L’infinito nella sensibilità romantica (Ricolo ed., Benevento, 1981, pp. 59); Leopardi, la pena di vivere (eDimedia, Benevento, 1998, pp. 202); Le radici cristiane nella letteratura moderna – Petrarca, Leopardi, Baudelaire (Ed. Auxiliatrix, Benevento, 2005, pp. 119); «IL fiore del deserto», vita e opere di Giacomo Leopardi (Il Chiostro, Benevento, I ed. 2007, pp. 238; II ed. 2010, pp. 288): Raccontare Leopardi (Franco Angeli editore, Milano, 2018, pp. 275).
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2022
ISBN9788830661608
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    Amori di sogno e sogni - Michele Ruggiano

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Ad Alessandro Barbero

    grande storico e grande amico

    INTRODUZIONE

    «Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando, benché tutto il resto del mondo fosse per me come morto.»¹

    Così scriveva un giovane innamorato del XIX secolo, mentre soffiava nel mondo, nel nostro mondo, il vento nuovo dello spirito romantico.

    Sono parole dolcissime, che suonano dolcissime nel cuore di ogni innamorato; forse anche di più, nel cuore di ogni innamorata.

    Di ogni tempo; perché quel vento nuovo, che si disse nuovo, era un vento antico, tanto antico; quanto il mondo, meglio quanto l’uomo – e la donna – nel mondo.

    Otto secoli prima, una giovane donna scrisse ad un uomo ancora giovane, ma non tanto: «come tutti sanno, io ti ho circondato sempre di un amore senza limiti, smoderato, (immoderatus, dice nel suo bel latino)».²

    Ed era tanto immoderato, tanto senza misura, che anche per lei, come per il giovane ottocentesco, tutto il resto del mondo era come morto.

    E non soltanto il resto di questo mondo, ma, come vedremo, anche tutto quello dell’altro, Dio compreso, che allora era più vivo che mai in ogni coscienza.

    Nella sua dichiarazione d’amore la fanciulla non esagerava.

    E non poteva esagerare.

    Era una cosa risaputa da tutti (ut omnibus patet dice più efficacemente l’intraducibile originale).

    Da tutti chi?

    Da tutti gli uomini e da tutte le donne; soprattutto, da tutti gli uomini e da tutte le donne della buona società parigina.

    E da quando, quest’amore?

    Da quando lei ed il suo uomo, Abelardo, si erano incontrati la prima volta.

    Lei allora aveva 15 anni e lui quasi quaranta.

    Fu amore davvero a prima vista o, ad essere più precisi, a primo tatto.

    Subito si amarono di un amore totale, anima e corpo.

    Lui, per la verità, con meno anima e più corpo.

    Ad un certo punto lui non potette più amarla neppure col solo corpo.

    Perché mai?

    La storia è lunga ed anche un poco oscura.

    Ma è bellissima.

    Ha incantato sempre grandi scrittori e semplici lettori.

    Ha scritto un eccellente conoscitore del Medioevo: «Abbandonate alla mercé delle penne maschili, le donne del Duecento non fanno sempre bella figura».³

    Nel Duecento, forse, è vero.

    Ma nel Millecento non lo era.

    Le donne di questo secolo fanno non bella, ma bellissima figura, perché esse si chiamano, fra l’altro, Isotta (Isolda) e Ginevra.

    E non tutte sono abbandonate «alle penne maschili».

    Non lo è, ad esempio, Eloisa.

    La sua storia, bellissima, in gran parte è stata scritta da lei.

    È una storia d’amore, d’amore totale o, come si dice più comunemente, e meglio, con un sintagma francese, d’un amour passion.

    Nessuna penna maschile nel Medioevo, e, forse, non solo, ha descritto questo tipo di amore, come la penna femminile di Eloisa, che parlava del suo amore, un amore stupendo, un amore intensamente vissuto.

    Le penne maschili hanno descritto al meglio l’altro tipo d’amore, quello che si suol chiamare «ideale» e che Leopardi chiamava «l’amorosa idea»,⁴ perché generalmente non è un amore vissuto, ma più spesso è un amore sognato.

    Qualche breve chiarimento forse merita la prima parte del titolo di questo lavoro, cioè il sintagma «Amori di sogno», anche perché si tratta di una tipologia amorosa di non diffusa esperienza esistenziale.

    E, difatti, gli amori di sogno sono amori eccezionali, straordinari e, indipendentemente dalla loro durata e dalla loro conclusione, che spesso è tragica, sono amori bellissimi ed esaltanti, come tutto ciò che noi definiamo di sogno: una creatura di sogno, una casa di sogno, un viaggio di sogno e così via. Per intenderci ancor meglio, sintetizzando, con Leopardi, possiamo dire che si tratta sempre di una cosa «bella qual sogno».⁵ Ma, poiché si tratta sempre anche di cose di questo mondo, sono sempre cose passeggere, come ci suggerisce un altro grande poeta, amato da Leopardi e, per quel che vale, anche da me, Francesco Petrarca, il quale afferma testualmente: «cosa bella mortal passa e non dura».⁶

    Ciò non vale soltanto per gli amori di sogno, i grandi amori di sogno, ma anche per i sogni d’amore. Anche questi, come si afferma in un recentissimo canto giovanile, «vengono lentamente e se ne vanno velocemente».⁷ Anche se non sempre velocemente, quasi sempre se ne vanno. Ma non è la suprema delle disgrazie esistenziali.

    È molto più triste quella vita, o quel tratto di vita, dove i sogni non vengono affatto (o non vengono più).

    Ciò premesso, veniamo alle nostre storie d’amore, iniziando dalla storia di Eloisa, forse la più interessante, anche perché non è una storia uscita dalla fantasia di un poeta, come, poniamo, quelle di Tristano e Isotta o di Lancillotto e Ginevra, storie quasi coeve, ma è una storia realmente vissuta ed interamente raccontata dai due personaggi che la vissero.

    Non è l’ultimo dei motivi che la rende così bella e accattivante. Spero che lo sia anche per i miei venticinque lettori, di manzoniana memoria.


    1 G. Leopardi, Zibaldone, p. 59.

    2 Abelardo ed Eloisa, Epistolario, a cura e traduzione di Ileana Pagani, utet, Torino, 2015, p. 242: «te semper – dice il teso originale, latino – ut omnibus patet immoderato amore complexa sum».

    3 Roberto S. Lopez, La nascita dell’Europa, Secoli V-XIV, Einaudi, Torino, 1966, pp. 382-383.

    4 G. Leopardi, Aspasia, v. 39.

    5 G. Leopardi, Il pensiero dominante, v. 141.

    6 F. Petrarca, Canzoniere, CCXLVIII, v. 8. Per la verità Petrarca va anche oltre, quando afferma: «Ahi, null’altro che il pianto al mondo dura» (Ivi, CCCXXIII, v. 72).

    7 «But dreams come slow, and they go so fast», cantano i Passenger nella canzone intitolata Let her go, La lasci andare.

    PARTE PRIMA

    UN AMORE DI SOGNO:

    ELOISA ED ABELARDO

    CAPITOLO PRIMO

    ELOISA, UNA MERAVIGLIA DEL MEDIOEVO

    «Lo stesso calore dell’età giovanile e l’esperienza di dolcissimi piaceri accendono in me enormemente gli stimoli della carne, queste spinte della libidine, e tanto più mi opprimono con il loro assalto, quanto più debole è la natura [di donna] che assalgono. La gente mi dice casta, perché non si accorge che sono ipocrita; attribuisce a virtù la castità della carne, quando invece la virtù non è del corpo ma dell’animo. E se anche godo di qualche stima tra gli uomini, non ho meriti presso Dio, che scruta il cuore e le reni e vede in ciò che è nascosto. Sono giudicata religiosa in questo tempo presente in cui ormai solo una piccola parte di religione non è ipocrisia, in cui è celebrato con grandissime lodi chi non offende il giudizio degli uomini.»

    Così scrive Eloisa ad Abelardo, nell’anno del Signore 1134 ca, in pieno Medioevo, Alto o Basso che sia poco importa.

    Eloisa è una suora, anzi una badessa, una badessa rigorosa, rispettata e venerata, per il suo inappuntabile comportamento esteriore; e scrive allo sposo, che ancora ama visceralmente, nonostante egli sia un uomo evirato ed un monaco pienamente convertito e consacrato alla vita religiosa e perfino alla vita missionaria verso i suoi confratelli e la sua renitente consorte.

    Questa consorte è una badessa inappuntabile negli adempimenti del suo ufficio, perché esteriormente è tutta di Dio; ma nel suo cuore è tutta, ed ancora, del suo sposo.

    La contraddizione è potuta accadere varie volte, nel corso dei millenni, e non solo cristiani, da Fedra ad Ermengarda, almeno in forma simile, se non del tutto eguale.

    La novità è che quella contraddizione è vista come ipocrisia non dall’introspezione di un poeta o narratore, esterno, ma dall’occhio stesso di chi la vive e la racconta. Dall’occhio, cioè, del soggetto narrante e narrato.

    Altra novità interessante è che quella ipocrisia è assegnata al mondo cristiano del cristianissimo Medioevo, dove, pertanto, è molto esaltato chi non offende l’opinione dominante o le opinioni dominanti, secondo una morale comportamentale che oggi è ancora, e, forse, più dominante, la morale del politically correct, assai spesso sinonimo di ipocrisia.

    Perché questo dominio dell’ipocrisia sia nel buio del retrogrado Medioevo che nella luce dell’età moderna e progressiva?

    Per almeno due motivi.

    Il primo, perché il Medioevo, specialmente il Medioevo di cui parliamo, il Basso Medioevo, non è affatto quell’età buia, quell’età del sonno o della cecità della ragione, da cui non sarebbero nate che mostruosità del pensiero umano e dell’umano agire, come si predicava anni fa e come hanno smentito i più recenti storiografi del Medioevo, da Marc Bloch a Jacques Le Goff e, soprattutto, ad Alessandro Barbero, le cui splendide lezioni sul Medioevo, ventata fresca e novella, incantano sterminati eserciti di tifosi di ogni età.

    Il secondo motivo è dato dall’elementare considerazione che la sede dell’amore non è un’epoca storica, ma il cuore dell’uomo, e della donna, ovviamente, quel cuore, che da quel babbeo credulone – e forse innamorato – di Adamo e dalla tentatrice, anch’essa credulona, Eva, batte ancora con immutata dose di gioia e tormento nel petto dell’uomo e della donna.

    Sotto questo aspetto, saccheggiando in parte Salomone, il più sapiente di tutti, potremmo dire: «Passa una generazione, ne succede un’altra, ed il cuore umano resta sempre lo stesso».¹⁰

    Sempre ama e sempre odia, sempre ride e sempre piange.

    Anche senza lagrime, a volte, ma è anche peggio.

    Ciò che cambia o può cambiare nei secoli, in base alla cultura, ondeggiante nelle voci dei secoli, è il mondo delle idee e dei comportamenti, che hanno sede altrove, ma non nel cuore.

    Nel variare delle stagioni della storia (mondo antico, mondo medievale, mondo moderno, mondo contemporaneo) sono cambiati i convincimenti, le opinioni, i comportamenti, cioè gli inquilini della testa, ma non i sentimenti, gli inquilini del cuore.

    Sono cambiati i convincimenti e le opinioni di natura sociale, civile, religiosa e perfino morale, ma i sentimenti dell’amore, dell’odio, dell’invidia, dell’avarizia o avidità ecc. non sono cambiati.

    Per restare nell’ambito dell’amore passionale che ci riguarda, non v’è alcun dubbio che il cuore delle creature amorose e innamorate batte sempre al ritmo della stessa musica, della stessa musica interiore, fatta di desiderio, di gelosia, di rimpianto o di tenerezza.

    E, perciò, la Nausica di Omero, la Saffo di Saffo, la Lesbia di Catullo, la Didone di Virgilio, la Giulietta di Shakespeare o la Silvia di Leopardi, per fare solo qualche nome delle tantissime innamorate famose, che sono così distanti nel tempo l’una dall’altra e tutte da noi, sono così vicine nei moti del cuore ai giovani, ed anche ai meno giovani, del nostro tempo. Altrimenti le loro storie non interesserebbero più.

    Ma interessano ancora, perché quei moti dell’anima e dei sensi cantano nel cuore umano in ogni epoca, anche quando si pensa o si dice che quel cuore non batte più, o batte poco, anche quando dalle cattedre si afferma che viviamo in un tempo in cui «intorno al giovane e alla ragazza cade presto la neve».¹¹ Anche quando il sognatore impenitente è considerato un idiota, anzi l’idiota, come il principe Myskin, il famoso personaggio di Dostoevskij.

    Questo vero non è; ma se lo fosse, non sarebbe certo il tempo, l’epoca storica a far cader la neve, se nella nostra epoca un re ha rinunciato al trono – e che trono! – per amore.

    Difatti anche in quest’epoca la neve non cade certo intorno a tutti i giovani e a tutte le ragazze di questo nostro tempo, un tempo che non conosce affatto una crisi, una contrazione di

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