Il Custode del Giardino: Racconto Paleoastronautico
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Recensioni su Il Custode del Giardino
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Anteprima del libro
Il Custode del Giardino - Giuseppe Cestone
Irpinia - 8 settembre 2016
Illustri Colleghi,
quest’anno non potrò presiedere il Convegno Pastorale per le ragioni che vi spiegherò qui di seguito: come già confidato ad alcuni di voi mi accingo a partire per un percorso che dividerà le nostre strade.
Sono ormai anni che lavoro insieme a voi nella Chiesa irpina e a essa con gioia ho donato il mio entusiasmo e la mia giovinezza.
Quest’oggi, compiuto un attento discernimento, vi invio questa lettera per comunicarvi che ho deciso di lasciare il sacerdozio ministeriale.
Per chi mi conosce meglio sa che le mie idee sono sempre state bizzarre e che spesso i miei metodi possono essere stati definiti borderline.
Al di là delle forme, la mia passione costante è stata la ricerca della Verità.
Purtroppo mi sono reso conto, con il passare degli anni, che la Verità in cui credo non è la stessa della Chiesa Cattolica. Non mi sono convertito a un’altra confessione o religione.
Dopo il mio viaggio in Nepal molti di voi hanno mormorato che mi fossi convertito al buddhismo; vi confermo che non è vero.
Non sono neppure diventato ateo, credo in Dio! Lo stesso di cui parla anche la Bibbia, ma penso che non possa essere rinchiuso in quelle pagine.
La mia idea di Dio è aperta alle fedi ma non alle religioni. Io credo nel Dio che abita nel cuore di ogni uomo o donna. Credo nella scintilla di vita che illumina le nostre coscienze.
Non credo nei moralismi e nelle leggi religiose in cui vengono relegati migliaia di fedeli.
Piuttosto credo nel potere dei simboli divini e nella potenza dei rituali. I riti cristiani purtroppo sono stati riempiti di orpelli, diventando vuoti e inefficaci.
Il superfluo ha annichilito l’essenziale.
Oggi mi ribello al ruolo che abbiamo accettato. Abbiamo smesso di essere profeti per diventare burocrati del sacro. Voglio cercare qualcosa di più autentico: la mia umanità
.
Sono certo che ritrovando la mia umanità riscoprirò anche la bellezza della vita. La gioia e la speranza facciano ancora eco nel vostro cuore di pastori!
Certo che seppur divisi nella fede resteremo sempre uniti dall’amicizia,
vi auguro un Felice Annuncio del Vangelo.
Con affetto, Vostro confratello Guglielmo
Roma - 21 settembre 2016
L’autunno a Roma è la mia stagione ideale. Villa Borghese e il Muro Torto si tingono di arancione e la città si ripopola di studenti e lavoratori con i visi ancora abbronzati dall’estate. Il caldo torrido di agosto che incollava le scarpe all’asfalto rovente sembra essere un ricordo lontano. L’aria è fresca e la temperatura dolce. La mia stagione preferita è oggi! Il suo inizio diventa il simbolo dell’arrivo dell’autunno nel mio cuore. Sì, nel mio cuore è autunno, sono cadute le foglie dai miei rami e quasi secco mi avvio verso il freddo della solitudine. All’inizio di questo autunno si conclude la principale stagione della mia vita: la vita da prete.
Ho rassegnato le dimissioni già da qualche settimana. Il vescovo ne è rimasto amareggiato e con lui i miei colleghi, la mia famiglia, i miei amici e i parrocchiani. Nessuno di loro si fa capace della mia scelta. Ad alcuni ho cercato di spiegare, ad altri non ho detto nulla, dentro di me c’è ancora confusione e ho bisogno di chiarezza.
Ero abbastanza bravo a fare il prete e i fedeli amavano le mie omelie. Il vescovo mi ha affidato tra i più importanti incarichi della diocesi, una rete molto grande di collaboratori e persone che si fidava di me. È proprio a causa di ciò che la mia scelta appare loro sconcertante. Come può un giovane e brillante prete abbandonare la sua carriera e ogni sua opera gettandosi tutto alle spalle?
Stamattina mi sono svegliato presto. Ho un appuntamento importante a Palazzo del Sant’Uffizio. Facendo la barba ho cercato di riordinare le idee. Conosco i tribunali ecclesiastici e, anche se nella mia epoca non corro alcun rischio di essere bruciato sul rogo, so bene quanto potranno essere dure le parole che useranno contro di me.
A differenza di molti preti dimissionari, io non sto lasciando per via di una sbandata sentimentale, ma per qualcosa di molto più grave: ho messo in discussione la mia fede nella Chiesa. Per quanto assurdo possa sembrare non ho ancora risposte ai miei dubbi ma solo domande. L’unica certezza che ho nel cuore è che il dio che ho annunciato fino a oggi non può essere il vero Dio.
Mentre aspetto l’autobus, un raggio di sole mi accarezza il viso e dentro di me risuona la sensazione che Dio, quello che pensavo di conoscere ma che in realtà solo ora sto imparando a conoscere, nonostante tutto mi voglia bene.
Arrivo al colonnato di San Pietro accompagnato dal suono delle campane. Oggi è mercoledì, dalle prime luci dell’alba folle di pellegrini si accalcano ai cancelli per l’incontro con il Papa. Questa massa di persone dal cuore docile genera in me un senso di tenerezza, ma sento di non appartenere più a loro, sento di averli ingannati. Busso al cancello di Santa Marta, annuncio il mio nome e la porta si apre. Il solito drappello di guardie svizzere dalla divisa linda e pinta fa da piantone davanti al cancello.
Nella hall mi aspetta una suora esile e minuta, la quale con un accenno di sorriso e una voce sottile mi dice: «Don Guglielmo, prego venga da questa parte, la stanno già aspettando».
La ringrazio e la seguo in un lungo corridoio pieno di statue e arazzi. La suorina apre una grande porta di legno sulla cui architrave, a intarsio sorrentino, vi è scritto Sanctum Officium
. All’interno della sala vi sono due preti: uno seduto sulla cattedra principale, in abito talare nero con tanto di fascia paonazza e altri orpelli, l’altro seduto al suo fianco, la barba lunga e il saio marrone, probabilmente un francescano. La suorina dopo aver salutato i presenti si congeda e va via, chiudendo dietro di sé la porta.
Il prete in talare, sfogliando carte e documenti, mi guarda negli occhi e mi dice: «Don Guglielmo, buongiorno! Io sono padre Ignazio della Compagnia di Gesù. Sono stato incaricato, insieme al mio collega padre Girolamo dell’Ordine dei Frati Minori, di comporre un’istruttoria sul suo caso». Dà uno sguardo veloce ai fogli che aveva davanti e continua: «La Prego, si accomodi!» Ricambio i saluti e le presentazioni e prendo posto davanti a loro.
Padre Ignazio sta ultimando uno schema su un foglio buttando l’occhio qua e là sui documenti che ha davanti a sé. Padre Girolamo ha gli occhi abbassati e si liscia la barba, tra le mani un libello e una penna.
Padre Ignazio rompe il ghiaccio dicendo: «Caro don Guglielmo, ci è giunta, attraverso il suo vescovo, la sua richiesta di dimissioni. In questa sede cercheremo di ricostruire le cause che l’hanno portata a voler lasciare la Chiesa e nei limiti della sua libertà cercheremo di farle cambiare idea. Ho letto il suo Curriculum Vitae con padre Girolamo. Entrambi ne siamo rimasti colpiti. Lei, don Guglielmo, è solo un giovane sacerdote, ciononostante vanta una lunga e perfezionata formazione non solo in ambito teologico ma anche pastorale e umano. Ha iniziato i suoi studi a 14 anni presso il seminario di Salerno e a 17 anni ha conseguito il diploma di maturità classica. A soli 19 anni ha conseguito il diploma di studi filosofici con una originale tesi sul principio antropico. A 22 ha ottenuto il baccelliere in Sacra Teologia presso la nostra Pontificia Facoltà Teologica di Napoli. Ha perfezionato negli anni successivi i suoi studi di Pastorale e Catechetica, scienze Bibliche e scienze della Comunicazione presso la Pontificia Università Salesiana. A soli 25 anni era già parroco di due parrocchie, direttore dell’ufficio catechistico della sua diocesi, assistente ecclesiastico di Azione Cattolica e Agesci, vicario della sua zona pastorale e membro del consiglio pastorale diocesano. Come mai con una carriera così brillante e un futuro promettente si è messo in testa di voler lasciare?»
«Caro padre Ignazio, per me fare il prete non ha mai significato inseguire una carriera per conseguire incarichi sempre più importanti. Al di là dei titoli e delle nomine che posso aver ricevuto in questi anni, il fine della mia vita di prete è sempre stato la ricerca di Dio. Più ho approfondito la ricerca di Dio nella mia vita, più ho preso coscienza che la verità di Dio non risiede negli insegnamenti della Chiesa.»
Padre Girolamo, che fino a quel momento aveva preso appunti serenamente, all’udire quanto ho appena detto sobbalza sulla sedia, sgrana gli occhi e mi guarda con stupore. Padre Ignazio, al contrario, rimane calmo e il suo viso non mostra alcuna emozione. Prende in mano la penna e dice: «Quanto detto è molto grave. Come ben sa, caro don Guglielmo, la fede della Chiesa Cattolica è fondata sulla Parola di Dio e su 2mila anni di Tradizione. Non le sembra alquanto superbo dire che la Verità di Dio non risiede negli insegnamenti della Chiesa?»
Accenno un breve sorriso mentre incrocio lo sguardo con padre Girolamo, il quale abbassa gli occhi con un cenno di imbarazzo. Poi, preso un po’ di fiato, dico: «Una breve premessa. Nel rispetto delle mie scelte le chiederei, caro padre Ignazio, di chiamarmi semplicemente Guglielmo. Come lei mi insegna don
è l’abbreviazione latina di dominus
cioè signore. Questo titolo viene rivolto ai preti come simbolo del potere temporale della Chiesa. Papi, cardinali, vescovi e tutto il clero sono stati posti come guardiani del gregge del Regno di Dio. Un regno che si estende da oriente a occidente, non teme confini geografici né politici. Un regno di Dio, affidato agli uomini e abilmente amministrato da millenni. Un regno dal quale io mi sto congedando. Poco fa lei mi ha detto che le Verità della Chiesa si fondano sulla Bibbia e sulla Tradizione. A fondamento di quanto le chiedo vorrei citarle un brano del Vangelo di Matteo 23.
«Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:"Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange;amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare maestro dalla gente.Ma voi non fatevi chiamare maestro, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli.E non chiamate nessuno padre sulla Terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo.E non fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo.
«Nel Rispetto di questa pagina del Vangelo le chiederei di non usare più