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Nata dalle mie ceneri
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E-book253 pagine3 ore

Nata dalle mie ceneri

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Info su questo ebook

È travagliata questa vita, non c’è dubbio. Ogni passo corrisponde a un rischio, dietro ogni gesto un’insidia. Quello che pensiamo di noi stessi non è mai abbastanza per farci vivere in armonia col mondo, ma c’è una verità che travalica ogni circostanza, che ritrova se stessa proprio nel momento in cui si perde (o sembrava persa). La protagonista di questa storia ha subìto il torto di non essere compresa, il pregiudizio ha prevalso sul buonsenso, sul rispetto, sull’innocenza delle sue scelte. 
Quando sua madre la presentava a qualcuno, diceva in dialetto: «Chista è a nìca», che in siciliano vuol dire: «Questa è la figlia più piccola», una bambina non accettata dalla sorella maggiore ma prediletta dal fratello, una bambina buona che cresce, dando il meglio di sé, nel suo naturale impegno per le cose in cui crede. Adulta, capisce che la verità fa male, tanto da scatenare odio, invidia, ma è convinta fermamente che la sua ricerca renda liberi.
Rievocare una memoria segna il passo di una storia realmente accaduta: il racconto di una fervida, seppur sofferta, testimonianza. Un viaggio di andata e ritorno negli abissi del male, una strenua lotta per non annegare nel fango, per uscire dalla palude, dal buio ed emergere nella luce della verità.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2021
ISBN9791220113083
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    Nata dalle mie ceneri - Silvia Minardi

    cover01.jpg

    Silvia Minardi

    Nata dalle

    mie ceneri

    © 2021 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-0985-7

    I edizione giugno 2021

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Nata dalle mie ceneri

    A tutti coloro che mi hanno

    aiutato a rialzarmi…

    a resistere…

    PARTE PRIMA

    Non c’è altro luogo dove valga veramente la pena di arrivare se non la verità della vita […]

    la vita è un viaggio la cui meta è la verità e la cui via maestra è la bellezza.

    (Vito Mancuso, La via della bellezza, p. 147)

    Capitolo 1

    L’infanzia

    Vengo al mondo in un paesino collinare della Sicilia, un territorio a vocazione agricola, dove tutti si conoscono e si rispettano. Tuttora è una grande comunità di persone semplici e schiette, in cui si respira un’atmosfera di pace e tutto sa di autentico. In tempi recenti, il mio paese è stato scelto come set cinematografico per numerosi film e fiction di successo. La sua riscoperta ne ha fatto emergere le notevoli attrattive, tanto che oggi è considerato uno dei più bei borghi d’Italia. Nell’autunno del 1961 mia madre partorisce l’ultimogenita in casa, con l’aiuto di un’ostetrica, come si usava ai tempi. Pesavo cinque chili e trecento grammi. Stando alle foto, sembrava che avessi già due mesi di vita; ero biondina e dal visetto rotondo. Quando nacqui, mia madre aveva trentatré anni e mio padre trentanove. I miei avevano già due figli: all’epoca, il primogenito aveva appena compiuto dieci anni, mentre nostra sorella ne aveva sette. Considerando il contesto socioeconomico e il momento storico in cui vivevano, due figli erano più che sufficienti; tuttavia, la terza gravidanza, non programmata e giunta a distanza di anni, fu accolta di buon grado da entrambi. I miei genitori mi hanno allevata con gioia e spirito di sacrificio.

    Nasco, quindi, all’interno di una famiglia modesta. Mio padre era un artigiano, molto apprezzato in paese. Egli, conclusa la quinta elementare, cominciò a fare l’apprendista presso un calzolaio insieme con un parente di mia madre, che aveva la sua stessa età. Questa scelta fu dettata principalmente dalla costituzione fisica di mio padre, troppo gracile e minuto per essere adatto al lavoro nei campi. Appreso il mestiere di bottegaio, che esercitava con passione e totale dedizione, riuscì a sposarsi e costruire una famiglia, grazie alla parsimonia e all’economia domestica esercitata da mia madre che gestiva le entrate in maniera oculata. La sua bottega era un piccolo, ma vivace circolo ricreativo: attorno al suo banchetto di calzolaio si riunivano gli amici in allegria. Mio padre era molto socievole, dal temperamento mite, benvoluto da tutti e, ormai adulto, aveva imparato a suonare il trombone per inserirsi nella banda musicale del paese.

    Figlio unico, mio nonno paterno era un contadino che morì quando io avevo all’incirca quattro anni. Sua moglie, invece, fu longeva: era una persona sui generis, minuta e dal carattere selvatico, difficile da gestire; specie per mio padre, che ne fu ampiamente condizionato. Il loro legame era quasi simbiotico. Ciò fu dettato dal suo essere figlio unico, oltre che dal temperamento dominante della madre. Nella prima età adulta, tornato dalla Seconda Guerra Mondiale, s’innamorò di mia madre, all’epoca ventenne e molto bella. Si sposarono dopo tre mesi senza potersi conoscere a fondo, perché all’epoca non era permesso ai due giovani di frequentarsi fuori casa. I genitori controllavano l’onore delle figlie femmine, che una volta perso non sarebbe stato riconquistato. Vigeva il principio per cui nessuno le avrebbe sposate se avessero avuto altri uomini in precedenza.

    Tuttavia, il legame tra mio padre e mia nonna era tale da rendere impossibile una reale autonomia per entrambi. Com’è facile intuire, questa condizione era avversa a mia madre, che non riusciva a tollerare il rapporto di forte dipendenza tra suo marito e la suocera: non sentendosi amata né considerata, delusa del suo matrimonio, si ammalò di deperimento organico e il medico le sconsigliò una gravidanza. Dovette intervenire mio nonno paterno, che con estrema autorevolezza e determinazione riuscì a scuotere mio padre e la consuocera, giudicati responsabili delle drammatiche condizioni di salute e dell’infelicità della figlia. Nonostante fosse inconcepibile nel contesto culturale dell’epoca l’ipotesi di una separazione coniugale, mio nonno si dichiarò disposto a riaccogliere sua figlia in casa, pur di non perderla, sfidando così il suo stesso codice sociale e morale. Personalmente, ho sempre apprezzato questa presa di posizione di mio nonno. Dimostrò molto coraggio, specie se consideriamo la mentalità diffusa nel secondo dopoguerra – siamo agli albori del 1948 – in un piccolo paese del Sud. Nella versione di mia madre, suo marito ne risultò sconfitto… perdente e incapace di gestire adeguatamente la sua relazione coniugale. Considerò tutto ciò mortificante. Mio padre non si permetteva di contenere in alcun modo l’invadenza della madre, debole e succube com’era.

    Mio nonno materno, invece, incarnava perfettamente il ruolo del classico patriarca. Ricordo mia nonna sempre taciturna e sottomessa al suo cospetto. Suo marito era una figura accentratrice e dominante, collerico e loquace; dagli occhi blu e molto bello. Partì in guerra non appena compiuta la maggiore età, ma perse una gamba in battaglia, colpito da una bomba. Risultava, quindi, un mutilato di guerra già all’età di diciannove anni. Fu assunto dal Comune come bidello presso l’unica scuola elementare del paese e per tale ragione era conosciuto da tutti. Nonostante la mutilazione, si dimostrava capace di montare in sella su una mula per andare in campagna tutte le mattine d’estate, dopo la pensione. Un soggetto risoluto e dal carattere forte, insomma, ma piacevole da ascoltare nei momenti di ristoro. Ancora ricordo le ore trascorse a osservarlo, seduto su una seggiola di legno, con il bastone esposto sul marciapiede di casa, ai piedi di una fontana pubblica, colloquiare con i vicini e intrattenere i passanti. Ricordo la sua profonda fede, rivolta soprattutto al culto mariano; la sua devozione per la Madonna Addolorata, patrona del nostro paese insieme a San Giovanni Battista.

    Mia madre era la quarta di sei figli, tre maschi e tre femmine. Un fratello, il più bello di tutti, emigrò in Argentina, come tanti nel dopoguerra, e vi rimase per venti lunghi anni. Era davvero affascinante, con dei bellissimi occhi azzurri. Spesso veniva accostato all’attore Amedeo Nazzari, per i tratti del viso e il portamento sicuro. Fu un dolore per tutti loro vederlo partire e una grande gioia apprendere del suo ritorno, ormai quarantenne ma ancora scapolo, con la fama di sciupafemmine. Finì per sposare una donna semplice, non bellissima, per poi emigrare nuovamente in Germania, per cercare quel lavoro che in Italia faceva fatica a trovare, nonostante fosse un raffinato falegname. L’ultimo dei fratelli di mia madre, invece, da ragazzo manifestò una certa vocazione religiosa che lo indusse, con immenso piacere, a studiare in seminario. In realtà, non concluse mai questo percorso: abbandonò l’idea di farsi prete, si diplomò e divenne maestro di campagna. Anche lui, dopo questa fase iniziale, vinse un concorso in un paesino vicino a Genova; così lasciò la terra natia, a cui era molto legato, e partì per l’Alta Italia. Ogni estate tornava in paese con la sua immancabile radio Grundig. Rimase scapolo durante gli anni trascorsi al Nord, fino a quando le pressioni esterne lo convinsero a cercarsi una moglie in Sicilia, essendo giunto anch’egli alla soglia dei quarant’anni. All’epoca non era concepibile rimanere scapoli o nubili per tutta la vita. Così gli venne presentata una bravissima persona, pure lei maestra elementare in un paese della provincia. Convogliarono presto a nozze e di lì a poco mio zio ottenne il trasferimento nel paese della moglie.

    La figlia primogenita dei miei nonni, ad esempio, sposò un brav’uomo rimasto presto vedovo e senza lavoro. Inizialmente vissero di stenti, ma fecero ugualmente tre figli. Il secondogenito, invece, sposò una ragazza del paese. Coetaneo di mio padre, imparò il suo stesso mestiere, ma dopo alcuni anni si arruolò nei Carabinieri, per poi rientrare in Sicilia e lavorare come operaio presso un grande stabilimento della zona. Com’è facile intuire, si trattava di un uomo laborioso e intraprendente, che nel tempo libero faceva l’artigiano come mio padre e che, da abile tappezziere qual era, si specializzò nel confezionare borse e indumenti in pelle. Egli era molto legato alla famiglia e, quindi, piuttosto coinvolto nelle vicende personali dei fratelli.

    La penultima dei miei zii materni rimase nubile sino ai quarant’anni. Visse fino ad allora con i genitori e fu l’unica che rimase anche in seguito nel nostro paese d’origine. Anche per questo, lei è sempre stata un punto di riferimento stabile per noi nipoti; sempre accogliente, benevola e comprensiva, anche con me che sono cresciuta in un contesto familiare pressoché infelice, con un padre dedito al suo lavoro e una madre intenta a crescere i figli. Su di lei pesava l’onere di occuparsi di tutte le problematiche educative e le incombenze quotidiane, senza poter contare sulla complicità morale del coniuge – una persona, invece, decisamente ansiosa, che delegava ogni cosa a sua moglie, verso la quale nutriva profonda fiducia, ritenendola forse più capace di se stesso.

    Nonostante mio padre avesse un lavoro tutto sommato stabile, l’economia del paese non era tale da permetterci di vivere nell’agio. Malgrado ciò, i miei genitori erano riusciti ad acquistare una casa, nella quale nascemmo io e i miei fratelli. Questo rappresentò un traguardo fondamentale per loro. Poco dopo la mia nascita, riuscirono anche ad acquistare una splendida vespa 150 Piaggio, di cui mio padre divenne presto orgoglioso. Siamo negli anni Sessanta ed entrambi i miei genitori si fecero trascinare dalla chimera di poter migliorare le proprie condizioni di vita seguendo l’onda del boom economico. Una simile realtà attrasse tanti braccianti e contadini provenienti dalle zone interne, che cominciarono a lasciare i propri paesi d’origine – spesso insieme alla famiglia – per trasferirsi in città sulla costa e fare gli operai. Anche mio padre si decise in tal senso, spinto dall’esempio dei cognati. Inizialmente prese casa da solo, poi affittò un appartamento in cui ci stabilimmo tutti noi. Dopo circa un anno trascorso in una casa in affitto, i miei riuscirono con ulteriori sacrifici e con l’aiuto di mio nonno ad acquistare una casa nel nuovo paese dove ormai risiedevamo, cambiando quartiere e stabilendoci nella zona centrale. Questa per loro ha rappresentato un’altra grande conquista. Mio padre è sempre stato un gran lavoratore, ha sempre svolto due mestieri per riuscire ad assicurarci un buon tenore di vita. Ho ereditato da lui la parte più laboriosa e zelante del mio carattere.

    All’epoca, essendo la figlia più piccola, frequentavo ancora la scuola materna, mentre mio fratello aveva concluso le scuole medie e mia sorella la quinta elementare. In quel contesto inedito, la mia seconda infanzia trascorse serenamente, fino a quando, all’età di quattro o cinque anni, ebbi un brutto incidente stradale, la cui dinamica fu tale da farmi rischiare la morte. Ancora oggi pago le conseguenze di quel brutto evento, poiché la grave scoliosi di cui soffro deriverebbe, secondo il mio osteopata, da una lesione vertebrale riconducibile proprio a un trauma subìto nel periodo infantile. Per questo, di recente sono stata operata alla colonna vertebrale e mi trovo a fare i conti con questo lascito spiacevole del mio passato. Nonostante il trasferimento e l’incidente, conclusi la scuola materna e iniziai la prima elementare senza alcuna difficoltà.

    I ricordi più teneri di quel periodo sono legati alla figura di mio padre che, dopo le ore in fabbrica come operaio, lavorava al suo banchetto da calzolaio e mi seguiva nei compiti. Era molto attento affinché curassi la calligrafia e non scarabocchiassi sui quaderni di scuola. Spesso mi portava con sé in Vespa a comprare le nespole appena raccolte durante il mese di maggio, quando trascorrevo i miei pomeriggi con i coetanei che abitavano vicino casa. Altri ricordi piacevoli sono legati ai periodi estivi passati dai nonni, con la zia Concettina che accudiva i genitori e badava alla casa. Si trattava di una zia fenomenale che voleva bene a tutti i nipoti, molto empatica e premurosa. In estate, poi, tornava dal Nord Italia lo zio maestro ed era una gioia indescrivibile. Ricordo quei momenti con profonda nostalgia. Anche lui era affettuoso con me, mi regalava quaderni e mi gratificava perché a scuola ero brava e diligente. Sono stata una bambina estroversa e riuscivo a socializzare anche con i coetanei del mio paesino natio, quando di tanto in tanto vi facevo ritorno. In ciò riuscivo soprattutto grazie all’intervento di mia zia, che mi presentava sempre qualche bambina con cui giocavo volentieri.

    La differenza d’età con i miei fratelli era tale da farmi crescere separatamente rispetto a loro. Il rapporto con mia madre, invece, era più difficile perché da bambina mangiavo poche cose ed ero molto selettiva col cibo. Tuttavia, i suoi metodi erano abbastanza duri e coercitivi, a volte ingannevoli, ragion per cui sviluppai una certa insofferenza dentro di me, che a volte mi portava a rifiutare di mangiare quando scoprivo che nel mio latte mia madre ci metteva anche un tuorlo d’uovo. In effetti, rifiutavo le proteine e questo, ovviamente, destava in lei preoccupazione; così, faceva di tutto per farmi mangiare carne e uova. Pur facendolo in buona fede, m’imponeva ciò che riteneva giusto, ricorrendo a delle vere e proprie torture. Quando si avvicinava il momento della cena, se avessi potuto sarei scappata. Di fronte ai miei capricci alimentari interveniva mio padre, più accomodante, che cercava in tutti i modi di mediare i conflitti fra me e mia madre. Queste dinamiche sono durate fino agli anni del liceo.

    Un evento che invece segnò positivamente la mia infanzia fu l’incontro con una nuova compagna di classe, Nuccia, arrivata durante la seconda elementare, una bambinona rispetto a me. Il destino volle che sua madre prendesse in affitto la casa vicino alla nostra, per cui fu inevitabile diventare amiche. Per lei rappresentai la prima coetanea che conobbe quando si trasferì da Roma nel paese d’origine della madre. Diventammo subito amiche per la pelle. Appena potevo, sgattaiolavo e andavo da lei; praticamente ero sempre a casa sua, ma lei non poteva essere una bambina come le altre: i suoi genitori si erano separati e la madre era costretta a lavorare tutto il giorno. Essendo la prima di tre figli, la mia amica di trovò a rivestire i panni di una piccola madre, accudendo i fratelli più piccoli e tenendo in ordine la casa. Su di lei ricadde una responsabilità genitoriale che non le apparteneva, specie nell’età in cui si ha più bisogno di cure e attenzioni. La sua fu un’infanzia mutilata, abortita. Riusciva a frequentare la scuola ma faticava a fare i compiti, soprattutto durante la scuola media. Io le stavo vicino in tutti i modi e l’aiutavo. Non appena finiva di assolvere ai suoi doveri si concedeva il piacere del gioco, anche se la nostra vera passione era ascoltare la musica nel mangiadischi e ballare davanti allo specchio dell’armadio con un pubblico composto, in genere, dagli amichetti che al termine delle nostre esibizioni ci davano il voto. Crescendo, organizzammo delle festicciole nel suo cortile o sul terrazzo, garantite dal fatto che sua madre le concedeva sempre la libertà di accogliere a casa i suoi compagni. Conoscendola, ne scoprii il carattere: una donna collerica ma molto accogliente e ospitale, che non si faceva influenzare da pregiudizi o dal mormorio della gente. Devo ammettere che mia madre, dal canto suo, non m’impedì mai di frequentare sua figlia, perché disponeva dell’intelligenza necessaria per capire che si trattava di una brava ragazza, garbata e sensibile.

    Spesso mi trovai a captare il chiacchiericcio che si riversò sulla madre, che all’epoca destava un certo scandalo in paese, in virtù della sua condizione di donna separata. L’equazione era sempre la stessa: senza un marito significava necessariamente essere libera di avere altre relazioni segrete, magari con uomini sposati. Anche un’altra signora, collega della madre, nonché vicina di casa, era oggetto di scandalo perché viveva senza il marito, probabilmente un detenuto, con un figlio che frequentava personaggi poco raccomandabili e una figlia che, a quanto pare, si prostituiva nell’hinterland di Milano. Quest’ultima di tanto in tanto tornava dalla madre, sempre in orari serali, per andare a trovare figlioletto, cresciuto dalla nonna.

    Mia madre si relazionava in modo cordiale con entrambe, ma con discrezione, mantenendo sempre un buon rapporto di vicinato. Oggi come allora, l’apprezzo per non aver adottato un atteggiamento discriminatorio nei confronti di queste donne molto chiacchierate, dando prova di notevole apertura mentale. Una qualità confermata in seguito dalla scelta di fittare il nostro appartamentino al secondo piano a una coppia di conviventi, entrambi separati; lui un vigile urbano con la passione della caccia, lei una gran donna, affascinante e misteriosa, ma rinnegata dai figli. Parliamo di anni in cui non era ancora stata approvata la famosa legge sul divorzio, motivo per cui su di loro aleggiava maggior sospetto di quanto si possa immaginare. Io frequentavo volentieri questa coppia anomala. Spesso mi volevano a pranzo, avevano due cani da caccia, che trattavano come figli, e ogni tanto il convivente mi portava a caccia con sé. Vissi tale esperienza come una vera e propria avventura: mi svegliavo molto presto, ma lo facevo volentieri, perché mi piaceva trascorrere la domenica in campagna, a contatto con la natura. Questa coppia mi aveva quasi adottato. Ricordo che quando arrivavano le giostre in paese mi regalavano alcuni gettoni per l’autoscontro e le macchine volanti. Erano momenti felici per me, mi divertivo tanto e mi sentivo fortunata perché i miei genitori non mi avrebbero mai dato dei soldi da spendere alle giostre.

    Al tempo stesso, mia madre riusciva a sorprendermi: comprese che la bella e misteriosa signora, nostra inquilina, aveva un amante clandestino. Non le sfuggirono le sue frequenti uscite segrete e ciò la metteva in imbarazzo soprattutto quando si trovava a incrociare il suo partner ufficiale, nei confronti del quale provava pudore. Nonostante fosse una donna severa e intransigente, un giorno ebbe il coraggio di parlarne apertamente con la signora, a cui garantì di mantenere il segreto, non prima di averle fatto ugualmente la morale. Ciò fu dettato probabilmente dalla volontà di salvaguardare quella coppia, facendo riflettere la signora sulle conseguenze che la sua relazione clandestina avrebbe prodotto nel caso in cui fosse stata scoperta dal suo compagno. Origliai curiosamente i loro discorsi, ma essendo ancora una bambina percepivo solo un’atmosfera di riserbo e segretezza, poi intuii la situazione e compresi che mia madre era giunta a un accordo con la signora. Decise di tollerare l’accaduto, cosa che per una donna dei suoi tempi non era particolarmente usuale. Dopotutto era solo un’inquilina. Continuai così a frequentare quella coppia, che mi trattava così bene e a cui mi affezionai presto.

    Già a quei tempi, mi piaceva studiare e il mio rendimento scolastico era buono. Questo mi veniva riconosciuto dalle varie maestre e mi gratificava, motivandomi ancora di più ad apprendere e approfondire. Sono stata sempre disponibile ad aiutare le compagne che avevano difficoltà; non discriminavo nessuno, né chi aveva tempi d’apprendimento più lenti, né tantomeno chi proveniva da condizioni di svantaggio sociale e culturale. Offrivo la mia amicizia a chiunque e così ho continuato a fare nella mia vita, tant’è che in età adulta, ormai laureata e impiegata presso una struttura sanitaria pubblica, ho avuto modo di incontrare dopo tanto tempo i miei vicini di casa e alcuni dei miei vecchi compagni di scuola. Sia gli uni che gli altri, rivedendomi, mi hanno abbracciata

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