Al plurale
Di Raoul Lolli
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Info su questo ebook
Raoul Lolli nasce in Romagna, dove lavora come cronista per un quotidiano locale. Consegue la laurea in lingue, un master in traduzione multimediale e il dottorato in letterature moderne, comparate e postcoloniali all’Università di Bologna. Insegna lingua e letteratura inglese in un liceo scientifico.
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Anteprima del libro
Al plurale - Raoul Lolli
Ringraziamenti
I
Il menu di un hotel a quattro stelle
Soffiava lo scirocco sulle nostre camicie sudate. Anita saltellava come un fenicottero alle saline di Cervia. Ahmed, occhi scuri di terra, la teneva per mano.
«Tenga, prof! Non si dimentichi di noi», mi disse Anita, porgendomi una penna usb argentata. Erano ancora tesi e pallidi dopo l’esame orale di terza media.
Ho infilato in borsa la chiavetta e li ho abbracciati con affetto.
Ho messo in moto la macchina e li ho visti sfumare nello specchietto retrovisore, le braccia alzate come se spiccassero il volo verso altri lidi.
Giorgio, mio marito, e Rahul, nostro figlio adottivo, erano fuori; sarebbero tornati all’ora di cena.
Ho inserito la chiavetta nel pc e ho aperto l’unico file che c’era.
RISTORANTE
3^B GIOVANNI PASCOLI E DINTORNI
I piatti sono i mattoni del mondo: più piatti conosci, più è grande la tua casa; se ne perdi qualcuno è come una crepa sul muro della tua stessa casa. Allan Bay, Le ricette degli altri: scorribande fra i piatti e i sapori di tutto il mondo
PRESENTAZIONE DEL MENU
Tranche di precaria in guazzetto di cozze allo scoglio
Bis di cappellacci pseudo-bolognesi al ripieno di tonno e triglia
Piadina greco-romagnola con kebab del Marocco
Misticanza di citazioni in condimento cronologico
Bis di gelato al pistacchio e pralinato al mascarpone
ENTRÉE
Tranche di precaria in guazzetto di cozze allo scoglio
Salve, prof! Il primo giorno lei ci ha detto che era precaria, ma non si sentiva di serie zeta. Poi ha aggiunto grintosa: «Vi trasformerò in fanciulli di serie A!». Fanciulli dove l’ha scovato? Non si sente dal paleolitico. Beh, paleolitico o neolitico non importa. Poi, ci ha chiesto chi si assumeva l’incarico di registrare i prestiti dei libri, sepolti nell’armadietto scassato alle nostre spalle. Io e Ahmed ci siamo attaccati a lei, come cozze di un guazzetto allo scoglio.
PRIMO
Bis di cappellacci pseudo-bolognesi al ripieno di tonno e triglia
I cappellacci del bis sono i miei genitori. Mio padre, Ivan Tricolore, e mia madre, Norma Bellini, si conoscono in biblioteca. Lei ha tre anni in più di lui, si è appena laureata in Giurisprudenza e ha già un contratto a tempo indeterminato. Lui divora un romanzo dietro l’altro sui regionali della linea Rimini-Bologna, ma è un fuoricorso cronico alla facoltà di Lettere. Quando le restituisce un libro le racconta che intende mollare lo studio per aprire una libreria tutta sua; ma siamo ancora nell’era pre-internet e gli servirebbe un appoggio, una raccomandazione. Se volesse, mio nonno materno, assessore alla cultura, potrebbe offrirglielo.
Un bel giorno, invece, a Ivan arriva una lettera dal destino. Tra capo e collo. O meglio, sulle dita. Di sera, nell’orario di chiusura della biblioteca, segreto luogo dei suoi incontri galanti con mia madre, uno scaffale non a norma si sgancia e gliene trancia due, di dita. Di punto in bianco si ritrova invalido civile.
Gli amici del bar iniziano a punzecchiarlo: «Adesso sì che sei a Norma!». Non immaginano che le loro voci possano arrivare all’orecchio del padre di lei, assessore aspirante sindaco, morto sei anni fa d’infarto senza esserlo diventato. Mio nonno non può rovinarsi la carriera politica cadendo dal pero e deve fare buon viso a cattiva sorte. Sbandiera ai quattro venti che tutto è alla luce del sole: lo squattrinato tonno, figlio di un ferroviere, è regolarmente innamorato della sua altolocata triglia. Agli onori della cronaca locale la tresca mal digerita diventa il pretesto per mettere a tacere le scadenti norme di sicurezza e garantire un impiego al menomato
, che molla il suo viavai in treno, perché si vergogna di mettere in mostra il moncone della mano sinistra, con cui non riesce a prendere appunti. La scuola in cui va lavorare è proprio vicina alla biblioteca di mia madre. Un matrimonio felice il loro, una figlia serena io. Soprattutto con i miei nonni paterni, che hanno sempre cucinato, e cucinano ancora, ottimi cappelletti. Finché un medico informa mia madre che le sue analisi non sono nella norma. Ho visto il buio entrare nei suoi occhi luminosi e ho capito che la cattiva sorte stava bussando alla nostra porta. Se n’è andata il primo giorno di prima media. Mi dica, prof, se questa è la norma.
SECONDO
Piadina greco-romagnola con kebab del Marocco
Importanti sono tutti gli ingredienti della nostra piadina fatta in casa. L’impasto è opera di zio Valente. Un mese dopo la morte di sua sorella, nonché mia madre, chiede a mio padre di aiutarlo nel servizio ai tavoli del suo ristorante in collina, L’arte nel piatto. Da allora, Ivan-otto-dita arrotonda lì lo stipendio nei week-end. Cosa c’entri un bidello smonco con il servizio in sala è presto detto: mio padre è un degustatore nato, trasformatosi in sommelier di professione. Quando mia madre era ancora viva, lo zio lo invitava a fargli da spalla nelle serate di assaggi enologici, passatempo a cui mio padre si è sempre dedicato, anche a scuola. Con la morte di mia madre, lui e lo zio si sono alleati per superare il lutto che Valente portava dal giorno della morte del fidanzato greco. Omosessuale e ribelle, mio zio non era visto di buon occhio dai genitori, che mascheravano l’inclinazione
della pecora nera di famiglia con ottuso perbenismo. Nei primi anni Settanta, ancora ventenne, partiva in treno da Rimini per l’Accademia delle Belle Arti di Bologna e, studiando con passione, abbracciava i movimenti di contestazione sessuale. Quando si è laureato, ha fatto una vacanza a Lesbo con Ulisses che doveva essere una cotta passeggera. In realtà il loro flirt si è trasformato in una storia seria: sono rimasti lì tre anni, a lavorare nel ristorante dei genitori dell’amico. Nell’isola hanno imparato e affinato la loro arte culinaria. Non appena i genitori di Ulisses hanno chiuso il locale e sono andati in pensione, lui e il fidanzato sono ritornati in Italia e, scandalo degli scandali, hanno acquistato un appartamento vista mare. L’hanno arredato con il loro stile artistico: una stampa a colori del Naufragio di Turner troneggia nell’elegante salotto dello zio, che ora vive solo. Inoltre, hanno aperto il ristorante sulle colline attorno a Rimini, che si è rivelato subito un successo.
Quando avevo sette anni, Ulisses è morto. La barca con cui era uscito a pescare per il ristorante è affondata al largo e lui è affogato. I miei nonni materni si sono rifiutati di andare al suo funerale. Da quel giorno lo zio ha chiuso ogni canale con loro, umiliandoli di buon senso nel momento in cui doveva partecipare ai loro funerali, avvenuti a distanza di due anni l’uno dall’altro, quattro anni prima della morte di mia madre. È stata proprio mia madre a consigliargli di assumere lo chef Azuzi Yussuf, papà di Ahmed. E sempre lei ci ha insegnato che una piadina di rispetto non è amalgamata solo con l’impasto della terra in cui sei nato. Ci sono pure la bellezza e la fantasia della farcitura. La nostra piadina, infatti, non è imbottita con il prosciutto o il salame come nella tradizione, ma con il kebab del mio dolce Ahmed, del granitico Yussuf, della gioviale Safira, due anni più giovane del marito, e dell’affettuosa Leyla, maggiore di sei anni del mio dolce dattero marocchino. Lei mi ha aiutato a creare questo file, nonostante fosse vicina alla maturità. Senza le ore che ha sottratto allo studio, per aiutarmi con la grammatica e il lessico, saremmo rimasti tutti fantasmi senza vita.
CONTORNO
Misticanza di citazioni in condimento cronologico
Ora, prof, è tempo che mi faccia da parte. Arriva il suo contorno di citazioni sparse. La prima, Ivan-otto-dita gliel’ha messa nella ciotola una settimana dopo il suo arrivo. Era la seconda ora di lunedì mattina e la tenerezza di due occhi castani ha fatto capolino in classe. Lo sguardo del bidello anomalo seguiva i suoi movimenti con la spalla curva come quella di un motociclista quando misura la traiettoria di una curva a gomito. Lei stava firmando una circolare con una solennità da far invidia al Presidente della Repubblica che sigla la Costituzione Repubblicana del 1947. Mi perdoni, ma serviva il mio intervento per alleggerire l’atmosfera: «Prof, sono la figlia del Geronimo Stilton che è di fianco a lei. Al nostro topo da biblioteca servirebbe una Schindler’s List di libri. L’ha chiesta a tutte, per nostalgia di mia madre, ma solo con lei ha perso coraggio. Che abbia trovato pane per i suoi denti?».
Lei mi ha sorriso e gli ha restituito la penna. Lui l’ha inclinata come Nettuno col tridente, anche se stavolta il terremoto l’aveva subìto, invece di provocarlo.
Lei ha rilassato la fronte: la mia battuta si era infiltrata tra le sue sopracciglia chiare e la fronte liscia. Una lampadina invisibile le ha illuminato la vena tra l’attaccatura dei capelli e il vertice del naso.
Appena lui ha richiuso la porta, la lampadina s’è trasformata in una domanda per noi: «Parlando di libri, cosa ne dite se una volta alla settimana vi leggo dei brani di autori contemporanei e ne parliamo come in un caffè letterario?».
«Siamo molto indietro con il programma di antologia…», ha protestato Atena, la più antipatica della classe.
«Ecchissene… del Programma! Non è mica una litania che bisogna seguire da cima a fondo! E non è normale che vi venga l’ansia da Programma. Meglio fare gli a-normali», l’ha zittita lei.
L’ora seguente mi ha spedito di sotto in aula insegnanti a pescare il libro di storia dentro al suo cassetto. Io non sospettavo nulla, ma quando lei ha aperto il libro sulla cattedra abbiamo trovato una sorpresa da Super Enalotto. Mio padre aveva infilato un A4 piegato sui due lati con una citazione dal film Casablanca. L’aveva sfilato il mattino stesso dalla nostra stampante e avevo pensato che volesse appiccicarlo dietro la porta della bidelleria. Invece, era lì che la guardava. Un ammiratore di Casablanca, era firmato.
Lei non poteva certo sospettare che l’ammiratore fosse Ivan-otto-dita, triste-figura-e-una-rotella-a-rovescio, che in privato storpia i nomi di chi gli sta antipatico, nello stile preso da Totò, di cui non ha perso un film. Il suo è l’unico nome che non ha mai modificato. Lei è sempre rimasta la prof Moretti. Solo se parlava di lei assumeva il tono da lord inglese ed evitava di gesticolare come era solito fare quando incontrava una donna interessante davanti ai surgelati del supermercato.
Inoltre, non mi dica che non si è mai accorta che sfruttava qualsiasi pretesto per bussare durante le sue lezioni, e due minuti dopo il drin della campanella entrava già a pulire la classe, mentre lei raccoglieva ancora il materiale. Avrà notato, però, che lasciava banchi, cattedra e sedie a brillare come se fosse comparso Mastro Lindo in persona. Non ha neanche perso il turno di sorveglianza durante il consiglio di classe di ottobre.
In novembre le sue colleghe hanno notato la differenza di atteggiamento rispetto agli anni precedenti e gli hanno chiesto di chi si fosse invaghito.
Ivan-otto-dita mi ha guardato con lo smarrimento di uno scorfano spiaggiato.
«Non la conoscete, non è di queste parti», ho risposto per trarlo d’impaccio.
«Senti che lingua!», ha commentato la bidella Angela.
Quando mi ha stropicciato i capelli con soddisfazione, gli ho letto in faccia che aveva abboccato al mio salvagente fasullo: aveva creduto che intendessi la cameriera Meris.
Cinque minuti dopo, in macchina, è tornato serio e, appena gli è scivolata la mano dal volante, ha iniziato a inveire contro quella menomazione del cazzo. Prof, è lunatico il ragazzo!
Ha proseguito con le invettive contro la mano mozza fino ai colloqui del primo quadrimestre. In quell’occasione ho avuto la certezza che volesse scrollarsi di dosso la vecchia muta del bidello anomalo e sfoggiare le spalle da ex portiere di calcio. Non rimpiango di aver dovuto saltare l’allenamento di pallavolo e avere l’opportunità di leggergli in faccia un’ammirazione schietta e sincera per la prima volta in due anni. Siamo entrati per ultimi e io fingevo di essere attratta dai cartelloni di quell’aula non nostra. Lo ricorda? Lei indossava una camicetta di raso color erba, sgualcita sul polso sinistro, dei pantaloni bianchi, stretti in vita, e le décolleté lilla col tacco. Ha dato un’occhiata alle mie