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Il Risveglio
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E-book302 pagine4 ore

Il Risveglio

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Info su questo ebook

Un romanzo coinvolgente e incalzante che, pagina dopo pagina, cattura con il suo fascino fanta-thriller. Il Male è rappresentato da una mente diabolica che, a causa di un passato fatto di traumi e dolori, vuole sottomettere l'intera città e assoggettarla ai propri voleri. Una vicenda dai risvolti drammatici, in cui il protagonista e i coprotagonisti si ritrovano invischiati in sorprendenti colpi di scena. Un romanzo, sull'interpretazione del bene e del male, che trascina il lettore verso un finale folle e inaspettato.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2021
ISBN9791220363839
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    Anteprima del libro

    Il Risveglio - Edoardo Venditti

    COPERTINA.png

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    PARTE PRIMA - UNA NUOVA DIMENSIONE

    Il Risveglio

    In ufficio

    L’ Antico Cavaliere

    L’incontro

    Il Racconto

    Approfondimenti

    Esperimenti e scoperte

    Notte insonne

    Nuovo giorno, nuovo appuntamento

    Quartier Generale

    Dubbi

    PARTE SECONDA - STORIE

    Un tragico evento

    Divergenze

    Charles Isden comincia il suo gioco

    Ginevra

    PARTE TERZA - SPERANZE

    Pensieri

    Azione

    La Famiglia

    Un nuovo Amore

    Lontano dall’ufficio

    Ritorno in città

    Nuove idee

    Analisi degli errori

    Ritorno ai vecchi ruoli

    PARTE QUARTA - LA RESA DEI CONTI

    Fine di una lunga attesa

    L’intervista

    Segreti svelati

    Nuovi esperimenti

    La Fine

    4C.png

    Talvolta, l’amore per l’umanità può manifestarsi in modi inusuali e forse anche discutibili, ma se questi perseguono il bene comune, è possibile giustificarli ?

    PARTE PRIMA - UNA NUOVA DIMENSIONE

    Il Risveglio

    La stanza era ancora immersa nel buio, l’unica zona illuminata era circoscritta ad un paio di indistinte macchioline rosse. Esse parevano emergere dall’oscurità librandosi a poco più di mezzo metro da terra. Dietro di loro, in qualche punto dell’universo, distante non si sa quanto ed in avvicinamento, sembrava provenire un insolito, continuo e fastidioso pigolio.

    Liaam era disteso sul letto a pancia in giù con un braccio penzolante e la mano, poggiata sul pavimento, apparentemente senza vita. Aveva mezza faccia sprofondata nel cuscino ed un rivoletto di saliva che gli usciva dalla bocca.

    Faticosamente aprì un occhio ed esaminò, piuttosto incuriosito, lo strano fenomeno; come se fosse la prima volta che osservava un simile evento. Tuttavia, nonostante una sorta di curiosità scientifica animasse il suo esame, la vista e la mente erano ancora ottenebrate da un’impalpabile foschia che rendeva difficile, alla coscienza, abbandonare il regno di Morfeo ed intraprendere la strada che l’avrebbe ricondotta alla dura realtà.

    In quella realtà l’attendeva un banalissimo e noiosissimo lavoro. Quel lavoro era però la sua fonte di sostentamento e se non avesse deciso di fare appello a quell’istinto di sopravvivenza innato in ciascun essere vivente, in lui momentaneamente assopito, probabilmente sarebbe arrivato in ritardo a quella fonte.

    Dopo innumerevoli cicli, non si sa di cosa, il braccio penzolante cominciò pigramente a muoversi. Era come se per miracolo fosse stato dotato di vita propria. Ciò consentì all’indice della mano che gli apparteneva, di arrivare fino all’occhio appena dischiuso. Questo straordinario avvenimento permise di diradare a sufficienza una fastidiosa nebbiolina che velava le immagini. Cominciò poi a focalizzare lo sguardo sulle macchioline rosse che aveva davanti. Queste lo fissavano a loro volta con aria strafottente. In un solo istante si rese conto, con meraviglia mista a costernazione, che la vocina che aveva tentato di ricondurlo a terra, senza peraltro avere avuto successo, s’era sdegnosamente ammutolita dopo aver subìto l’affronto di un umiliante colpo di cuscino.

    Così, dopo aver sbattuto per un po’ la palpebra dell’occhio che non era affondato, o meglio affogato nel cuscino, Liaam fu costretto a prendere atto della situazione in cui si trovava.

    All’improvviso, un fiotto di ricordi colmò la memoria completamente vuota fino ad un momento prima. Comprese, allora, il motivo per cui si trovava in quella disagevole situazione e, soprattutto, quale arcano si celava dietro il fatto che, nonostante l’ora, la sua fosse stata una vera e propria levataccia: un party.

    La sera precedente aveva festeggiato il suo compleanno ed aveva invitato a casa alcuni colleghi. Pensando di abbandonare, almeno per quella volta, le sua abitudini si lasciò andare ai più sfrenati e goliardici baccanali e da questa sua decisione, ne derivò una possente e colossale ubriacatura, della quale stava subendo i postumi.

    Ciononostante, cercò ugualmente di sbrigarsi.

    Scaraventò se stesso fuori del letto, ma il movimento repentino gli costò l’equilibrio per alcuni istanti e, nello stesso istante, un forte senso di nausea lo colpì alla bocca dello stomaco. Poi, a completamento dell’opera, nella testa il ronzio iniziale divenne un martello pneumatico.

    Con una notevole dose di stoicismo, cercò di andare avanti senza dar alcuna confidenza a tutte queste sensazioni meravigliosamente sgradevoli.

    Ingollò velocemente la sua razione quotidiana di caffè, pronto già da tempo: freddo e amaro da far vomitare anche l’anima. Quindi finì di vestirsi in ascensore, dove si specchiò per rassettarsi ulteriormente, ma subito si pentì d’averlo fatto poiché il riflesso che la superficie rendeva non era dei migliori: la faccia era davvero spaventosa! Ma del resto non avrebbe potuto pretendere di più, date le condizioni in cui si trovava.

    Subito dopo esaminò l’orologio e si accorse che era tardissimo. Doveva assolutamente sbrigarsi altrimenti avrebbe perso anche l’ultimo treno del suo turno, rischiando di accumulare un ritardo più che mostruoso e così, appena fuori del portone iniziò la sua corsa verso la stazione: una vera e propria gara di velocità. Sebbene il fisico non fosse nella sua forma migliore, (ma del resto lo era mai stato?) l’impresa forse gli sarebbe riuscita. Certamente riuscì a tirarsi dietro una valanga di accidenti da parte di tutti quei poveri passanti che si trovavano sulla sua traiettoria.

    Giunto alla stazione si tuffò, letteralmente, dentro il treno che era ancora fermo alla banchina, ma che stava per chiudere le porte. Tanta era la fretta che dimenticò di prendere, come faceva di solito, una copia del quotidiano IT’S News stampato e distribuito gratuitamente dalla stessa Società di Trasporti Isden.

    Dopo essersi catapultato nel vagone, si concesse il lusso di riprendere fiato. Era piegato in due! Da anni, ormai, aveva perso l’abitudine a correre. L’ultima volta che l’aveva fatto era durante il liceo e così adesso si trovava con il respiro corto.

    Appena riuscì a tornare lucido di mente, la mancanza di fiato e la sbronza della sera prima certo non erano d’aiuto, cercò un posto libero, ma non ne trovò nessuno.

    Mentre rimuginava sulla festa, cercando di ricordarne i particolari, nei suoi pensieri aveva cominciato a prospettarsi un nuovo problema: Mr. Ice.

    In realtà Mr. Ice era un soprannome e la persona alla quale era stato affibbiato era il direttore amministrativo della S.T.I., nonché suo diretto superiore. Il soprannome la diceva piuttosto lunga sul suo carattere.

    Desmond Devereaux, era questo il nome del direttore, appariva a tutti i suoi dipendenti e collaboratori come persona estremamente intransigente. Non un permesso od una malattia venivano presi con leggerezza dai dipendenti; i ritardi poi erano grave segno di indolenza e negligenza.

    Tanto per essere sicuro, ogni mattina controllava di persona la presenza degli impiegati sul loro posto di lavoro. Non si fidava assolutamente della sola timbratura del cartellino. Insomma, un tipo davvero tranquillo.

    Viste tutte queste premesse, Liaam non aveva certamente intenzione di rischiare il proprio posto di lavoro per un banale, seppure ben nutrito, mal di testa. Era altresì convinto che avrebbe subito una corposa filippica per il suo esiguo ritardo. Di certo non era nelle condizioni migliori per poter sopportare anche un semplice appunto, ma non poteva farci nulla e sperava che il tutto potesse risolversi senza ulteriori conseguenze. Confidava anche nel fatto che forse, il suo aspetto non del tutto florido, lo aiutasse a suscitare un qualche sentimento di pietà che (sempre forse) poteva risiedere nella coscienza di Devereaux. Seppure ne aveva una. In ogni caso, non gli era di aiuto preoccuparsi ulteriormente di ciò che l’attendeva, anzi l’unico effetto sortito da quella ridda di pensieri fu un aumento della già monumentale emicrania.

    Frattanto, mentre i pensieri gli facevano crescere la sensazione di trovarsi in un campanile che suona le 24 ore, qualcosa, o meglio qualcuno attirò la sua attenzione: la gente che si trovava con lui nel vagone.

    In un attimo si ritrovò a fare un gioco quasi dimenticato, tanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva osservato qualcuno cercando di capire cosa potesse pensare.

    Era una specie di gioco che gli aveva insegnato il padre, quando da bambino aveva mostrato frequentemente il desiderio di voler conoscere il mondo che lo circondava. Spesso quella sua voglia di comprendere le cose andava oltre la normale curiosità dei suoi coetanei ed il padre, dal canto suo, aveva fatto di tutto per mantenere vivo questo suo interesse.

    In quel momento ricordò le sue parole: …così terrai la mente allenata a riflettere e pensare. Imparerai a capire come sono le persone o almeno alcune loro caratteristiche, basandoti sull’aspetto, sul modo di vestire, camminare o parlare, ma anche nel modo in cui guardano il mondo che li circonda, perché come amava citare tuo nonno, «l’occhio è lo specchio dell’anima», ma mi raccomando, non far vedere mai che li osservi di proposito!.

    Richiamando alla memoria quelle parole, cercò di ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva fatto quella specie di gioco. Forse quando aveva cominciato a lavorare per la STI, o forse ancora prima: quando aveva lasciato la sua casa natale per andare a studiare all’università. Non rammentava di preciso, ma colse l’occasione per riprendere quella che considerava una buona abitudine. Perché no? – diceva fra sé – vale la pena riprovarci, in fin dei conti dovrebbe essere come andare in bicicletta. Una volta imparato non si scorda più. Non fu così!

    Inizialmente ritenne di essere fuori allenamento, ma poi si rese conto che c’era anche qualche altra cosa che non andava, sebbene ancora non riuscisse a capire cosa. Guardò ancora e con più attenzione i passeggeri. Si accorse che sembravano stranamente immobili, i loro occhi erano fissi sul quotidiano della S.T.I. ed i loro movimenti, i sobbalzi e le oscillazioni che accompagnavano quelli del treno, li facevano somigliare a grottesche marionette impegnate in una goffa e bizzarra danza.

    Liaam rimase sconcertato da quanto vedeva. Nessuno stava leggendo qualcosa di diverso dal quotidiano; nessuno stava facendo qualcosa di diverso dalla lettura del quotidiano. L’attenzione di ogni passeggero era tutta rivolta a quelle pagine, che sembravano contenere chissà quali strane o spaventose notizie. Sembrava, anzi, che ogni sguardo si perdesse tra le migliaia di parole, come se stessero cercando qualcosa che avevano davanti e, tuttavia, non riuscivano a vedere.

    La situazione aveva del surreale e all’iniziale sconcerto si aggiunse anche un certo disagio, soprattutto perché immaginava se stesso nella medesima condizione e con lo sguardo assente, perso nel vuoto. Era stato il caso a fargli notare lo strano atteggiamento? Aveva forse battuto la testa, mentre correva follemente per non perdere il treno, e dunque stava sognando?

    Rifletteva e si faceva domande su domande, senza riuscire a venire a capo di nulla, poi qualcosa lo distolse dalle sue elucubrazioni: l’ingresso, nella stessa carrozza, di tre persone. Si trattava di alcuni suoi vecchi amici, già compagni di studi dell’Università, che a causa delle diverse strade intraprese non vedeva da tempo immemorabile. Sorrise. Non appena si rese conto che il loro sguardo era rivolto nella sua direzione, cercò di attirare la loro attenzione, ma era del tutto inutile. Sembrava non lo notassero affatto. Decise quindi di chiamare uno di loro, l’unico, a dire il vero, di cui ricordasse il nome e quando questi si voltò, lo guardò come se non lo riconoscesse affatto. Peggio ancora, era come se il suo sguardo lo stesse attraversando, come se Liaam fosse diventato trasparente o addirittura non esistesse. Il sorriso di prima, ombra di una vaga speranza, si spense.

    Un fremito lo percorse da cima a fondo e come se tutto questo non fosse già sufficiente, i presenti nel vagone voltarono pagina all’unisono. Si guardò intorno con occhi spaventati, cercando di convincersi che era tutto frutto della sua immaginazione e della sbronza della sera prima.

    Fortunatamente non ebbe tempo di pensare ad altro, era finalmente arrivato alla sua fermata ed era felicissimo di dover scendere, uscire da quello strano vagone ed affrontare ben altri problemi.

    Appena fuori della stazione trasse un lungo respiro, l’ossigeno gli fece perdere l’equilibrio per alcuni istanti, ma subito si rimise a correre finché non arrivò tutto trafelato a timbrare il cartellino e, come un proiettile, infilarsi davanti la sua scrivania.

    «Ehi Al, ha già cominciato il giro?»

    «Non ancora. Ma che t’è successo»

    «Non te l’immagini nemmeno, appena prendo fiato ti racconto.»

    Tirò un sospiro di sollievo per essere arrivato appena in tempo prima della solita ispezione, ma poi un forte colpo allo stomaco, lo avvertì che qualcosa ancora non andava. Ad esso fecero seguito una serie di buffe espressioni facciali alle quali, naturalmente, si accompagnarono altrettante colorazioni con le relative sfumature. Fu costretto a precipitarsi nel bagno e quando tornò a sedersi, dopo circa un paio di minuti, sembrava aver vomitato tutto, persino ciò che non c’era. Il colore del viso, nel frattempo, sembrava avvicinarsi a quello di un cadavere in decomposizione.

    Era frastornato, completamente disorientato e solo dopo alcuni secondi si accorse della presenza del signor Devereaux che, torreggiando su di lui con un’aria da far gelare il sangue, lo fece trasalire. In quel momento pensò: Davvero non potevano trovargli soprannome migliore.

    In ufficio

    Devereaux, quasi due metri di statura, spalle da nuotatore e uno sguardo che, da solo, era sufficiente ad incutere terrore, stava osservando con una espressione terribilmente seria il povero Liaam che, d’altro canto, era più assimilabile ad uno straccio vecchio e usato chissà quanto. Questi, a sua volta, osservava impotente il torreggiante interlocutore, quasi aspettandosi una colata di pece bollente da quei terribili occhi che parevano essere i suoi bastioni.

    Poi, mentre Devereaux prendeva una sedia per accomodarsi e parlare, Liaam cominciò a prepararsi al peggio ma, sorprendentemente, non parlò con veemenza contro di lui scagliando fulmini e tuonando invettive. L’espressione corrucciata lasciò il posto ad uno sguardo quasi preoccupato, mentre cominciava a parlargli con un tono molto tranquillo; quasi paterno.

    Questo nuovo atteggiamento stupì non poco il povero disgraziato, già piuttosto confuso dall’esperienza di poco prima; non sapeva se si trattasse della quiete prima della tempesta, e stentava a credere che quello fosse il temuto Mr. Ice.

    Il capo ufficio si era guadagnato quel nomignolo già da qualche anno, prima ancora dell’arrivo di Liaam e della memorabile lite con il vecchio Samuel che, tra l’altro, tutti ricordavano come se fosse accaduta solo poco tempo prima.

    Da alcuni giorni al vecchio dipendente era stato affiancato proprio Liaam che, in seguito, ne avrebbe preso il posto e così, il giorno precedente a quello che sarebbe stato l’ultimo, aveva deciso di festeggiare l’arrivo del tanto agognato pensionamento. Purtroppo aveva alzato un po’ il gomito con alcuni suoi amici e questa leggerezza fu causa di un ritardo, sul lavoro, di poco più di un quarto d’ora. Devereaux, infischiandosene altamente dell’anzianità di servizio dell’impiegato e della condotta irreprensibile che aveva sempre mantenuto, gli fece una tirata che mandò Sam su tutte le furie, dato che era la prima volta che arrivava in ritardo. Fu una brutta lite, alla fine della quale l’unico ad averci rimesso fu proprio il povero Samuel che si vide trattenere, dall’ultimo stipendio, l’intera giornata a titolo di ammenda e come monito per coloro che sarebbero rimasti.

    Con quel ricordo, ora più che mai presente, Liaam incontrava non poche difficoltà a credere che quello davanti a lui fosse la stessa persona, così cominciò a guardarlo con curiosità, stupore, sconcerto ed un poco di sospetto, sempre in attesa di una reazione più violenta.

    «Signor Dexter, la vedo piuttosto male quest’oggi.»

    «Be’… sa… non mi sento troppo bene… mi dispiace d’essere arrivato in ritardo, ma non ho dormito bene e… però non si preoccupi, recupererò il tempo perso. Farò un po’ di straordinario e… ma non pretendo che mi sia retribuito… io…» parlava affannosamente.

    «No signor Dexter, così non va…»

    «Lo so… lo so, Le rinnovo le mie scuse, ma vede…»

    «Non avevo finito!», disse piuttosto seccato, ma subito si riprese «Intendevo dire che nelle condizioni in cui si trova, Lei non può lavorare lucidamente. Non concluderebbe nulla e per noi non sarebbe produttivo.» – Liaam stava per mettersi sulla difensiva, era sempre più convinto che prima o poi sarebbe esploso, ma Devereaux proseguì in tono più suadente «Mi ascolti, fino ad oggi il suo comportamento è stato inappuntabile. Si è rivelato un buon investimento ed è nostra abitudine salvaguardare e proteggere costantemente gli investimenti, in modo particolare quelli che risultano essere i migliori. Lei ha sempre lavorato alacremente, con diligenza e perizia, se attualmente non si sente bene, il suo lavoro potrebbe risentirne e forse non solo quello di oggi. Dia retta a me, si prenda una giornata libera, vada a casa e pensi a riposarsi.»

    «Ma la giornata persa…»

    «Quanto alla giornata, se ne occuperà in seguito; un po’ per volta potrà recuperare le ore perse oggi e… quanto alla sua paga, non deve darsi alcuna pena, non le sarà trattenuto nulla. Immagino che lei stia pensando a quanto è accaduto qualche anno fa.» disse con un sorriso rassicurante «Le garantisco che c’erano dei motivi ben fondati. La nostra azienda è tollerante, ma non può permettersi d’essere presa in giro. Non riteniamo nemmeno giusto che un collega tragga profitto dell’impegno altrui, per poi pavoneggiarsi sfruttando la serietà dei compagni di lavoro. Mentre, come le ripeto, siamo comprensivi con coloro che si comportano in modo onesto.»

    «Oh, be’… io… ehm… La ringrazio. Sono senza parole, mi creda, non avrei mai immaginato che…»

    All’improvviso Liaam spalancò gli occhi. Si chiuse la bocca aiutandosi con una mano, le guance si gonfiarono ed il viso divenne di un colore incerto, un misto fra il giallo itterico ed il verde-bile. Lo stomaco, solo per dovere di partecipazione, cominciò ad agitarsi al punto da costringerlo ad andare in bagno per evitare il peggio e correndo come se avesse mangiato peperoncino. Quando ne uscì si sentiva a pezzi. Aveva il fiato sempre più corto, un sapore disgustoso in bocca e oltre tutto provava la sensazione di avere l’aspetto di un morto e, a giudicare dalle espressioni dei colleghi, più che una sensazione era una certezza. Guardandosi in uno specchio, si rese conto che la faccia vista in ascensore era, nel giro di pochi minuti, invecchiata di alcun secoli. Insomma aveva, indiscutibilmente, un pessimo aspetto.

    Cercò di sistemarsi come meglio poteva, quindi andò dal suo responsabile per avvertirlo che se ne stava andando a casa e per ringraziarlo della premura dimostratagli.

    «Ci vediamo domani e mi raccomando, si riguardi. – Gli disse sempre con fare paterno.»

    «Mmmh!» fu il suono della sola risposta che Liaam riuscì a dare, accompagnata da un gesto con la mano ed un lieve cenno del capo.

    «Vuol essere accompagnato?»

    Liaam sorrise in segno di ringraziamento, ma scosse la testa e fece capire che aveva bisogno di camminare.

    L’ Antico Cavaliere

    Uscito dall’edificio inspirò una boccata d’aria fresca e cominciò a passeggiare; non ne voleva sapere di tornarsene a casa con il treno, tra l’aria pesante e la ressa che avrebbe trovato correva il rischio di sentirsi nuovamente male. Dunque una bella camminata era proprio quello che gli ci voleva. Per di più l’aria leggermente frizzante dell’autunno inoltrato, lo stava rinfrancando.

    Respirò di nuovo a pieni polmoni, ma non essendoci più abituato, l’eccesso di ossigeno gli fece girare la testa per alcuni istanti, dopo di ché le cose cominciarono ad andare per il verso giusto. Iniziava a sentirsi un po’ come nuovo e nemmeno tardò a provare un po’ di languore, così si mise a cercare un locale che potesse interessarlo.

    Mentre camminava, cominciarono ad affacciarsi alla mente tutti i fatti accaduti fino a quel momento. Che razza di mattinata! – pensò – Mi si accartoccia lo stomaco a pensarci. Prima quella gente nel treno… e poi Randolf che nemmeno mi riconosce. D’accordo che col tempo si cambia, però la faccia è sempre la stessa… rughe a parte. Eppure mi ha guardato come fossi trasparente… no, non è possibile, sto lavorando troppo con la fantasia e poi la sbronza mi fa avere anche le traveggole. Magari era uno che gli somigliava… forse… però… certo che anche il principale era strano. Quasi senza accorgersene, borbottò alcune delle parole di Devereaux, scimmiottandole con una smorfia sulla bocca e dondolando la testa. Incredibile, sembrava un buon padre di famiglia! Bah! Il solo pensiero mi dà i brividi. Però a parte quella tirata al vecchio Sam, non l’ho più visto adirarsi con nessuno in quel modo. D’altro canto è anche vero che a nessuno verrebbe in mente di provocarlo a tal punto; tuttavia quel nomignolo già lo aveva quando ero appena arrivato alla società e poi il vecchio Sam, non sembrava proprio il tipo dello scansafatiche. Bah! Non so proprio cosa pensare. Mi sembra tutto così assurdo… o forse, mi sono solo svegliato male!

    Con quest’ultimo pensiero, si fermò davanti ad una vetrina dove poté specchiarsi, notando con soddisfazione che stava riprendendo un po’ del suo solito colorito. Quella camminata cominciava a fare il suo effetto benefico poi, fissando con intenzione il suo riflesso, quasi si trattasse di un’altra persona, disse:

    «Ehi tu! Starai mica diventando paranoico?»

    Dall’altra parte non ricevette nessuna risposta, se non una eloquente occhiata ammonitrice; riprese quindi a camminare con le migliaia di domande che gli frullavano per la testa.

    Dopo pochi passi, un rumoroso brontolio lo distolse dai mille quesiti e richiamò la sua attenzione su un altro fatto, di tutt’altra natura ma di eguale importanza: era a stomaco vuoto dalla sera prima e a colazione aveva preso solo del caffè. Ricominciò a cercare un posto dove mangiare e subito si trovò davanti ad una taverna, la cui singolare entrata aveva richiamato la sua attenzione.

    Il nome, piuttosto originale e messo obliquamente sopra l’entrata, sotto una specie di stemma di un qualche antico e nobile casato, era L’ Antico Cavaliere. La porta, con la sommità arcuata a sesto acuto, era ricavata in un andito tra due colonne a sezione quadrata, fatte di piccoli mattoni di color rosso scuro ed era in legno massiccio, probabilmente quercia.

    Sopra ciascuna colonna una statua. Su quella di destra un cavaliere con indosso una scintillante armatura, mentre cavalca un destriero nero che si erge sulle zampe posteriori, ed imbraccia una lancia con la quale colpisce la statua di sinistra raffigurante un enorme drago che sputa le

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