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Le Brutte Giornate: Trappole e congiure del piccolo vivere quotidiano
Le Brutte Giornate: Trappole e congiure del piccolo vivere quotidiano
Le Brutte Giornate: Trappole e congiure del piccolo vivere quotidiano
E-book174 pagine2 ore

Le Brutte Giornate: Trappole e congiure del piccolo vivere quotidiano

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Info su questo ebook

Una serie di racconti davvero imperdibili, situazioni prese dalla vita di tutti i giorni, trappole e congiure del piccolo vivere quotidiano, storie di ordinaria quotidianità.
LinguaItaliano
Data di uscita14 set 2012
ISBN9788862595995
Le Brutte Giornate: Trappole e congiure del piccolo vivere quotidiano

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    Le Brutte Giornate - Carlo Pannacci

    T-Page


    1

    BUONGIORNO PROFESSORE

    Eugenio Pecchia, anzi il Professor Pecchia, si era svegliato male quella mattina; si era svegliato, cioè, come gli capitava quasi tutti giorni, con la bocca amara, con la testa incricchiata dalla cervicale o da chissà che cosa, (il neologismo era suo) e con una sorta di inesplicato rancore verso il mondo, intendendosi per mondo gli amici più stretti, la donna di servizio a ore, gli studenti, il preside, i colleghi e, in particolar modo le colleghe, emergendo fra queste la Doraldi; Maria Pace Doraldi, quella di Educazione Fisica, donna piacente, garbata nei modi e soprattutto nello stile: allo stesso tempo altera e gioviale, raffinata e semplice, sicura di sé, sempre decisa, inappellabile, determinata e sottilmente profumata di mughetto.

    Benché gli sembrasse uno spreco di tempo e di energie rivolgere a quella donna i primi pensieri del risveglio – una sorta di primo vagito della nuova giornata – capiva che non dipendeva da lui o dalla sua volontà: l'ingombro di quel pensiero era irrefrenabile e direttamente proveniente dall'invadenza di quella donna, prominente in tutto, come il suo seno d'altronde, sempre sul punto di straripare da camicette accollatissime e piene di bottoni impavidi e minacciosi, simili a spolette di una bomba capace di esplodere da un momento all'altro.

    Mentre tentava, con poco risultato, di contenere quella piccola deflagrazione dentro il suo cervello, Eugenio rannicchiato sotto le coperte arruffate si toccò il naso, leggermente, sfiorandosi poi la pelle fin sotto l'occhio…No, non gli faceva più male, ma il ricordo…quello sì che ancora gli bruciava, come quell'attimo lancinante fra i bagliori di un sole impietoso .

    …la gita che la scuola aveva organizzato all'Abbazia di San Marziale era sembrata riuscire così felicemente…I due pullmann, con un piccolo cambio di programma, erano stati parcheggiati nel piazzale della Prima Foresteria ed il gruppo dei ragazzi aveva deciso di salire lentamente a piedi per il grande viale bordato di cipressi, accompagnato da alcuni insegnanti, con il professore di Storia che avrebbe incominciato, durante la passeggiata, la lezione sugli affreschi dell'Abbazia; lezione che i ragazzi avevano subito ribattezzato peripatetica e le ragazze, con puntiglio, avevano corretto in itinerante".

    Il piccolo gruppo di insegnanti, autonominatosi ardimentoso aveva invece deciso, con qualche leggero mugugno al suo interno, di salire – quasi arrampicandosi - per la scorciatoia frastagliata dalle ginestre in fiore, sotto la guida carismatica e trascinante della onnipresente Doraldi, calzata, quel giorno, non più da scarpe americane da ginnastica, ma da scarpe americane da slobbing, sulla cui moda di usarle continuativamente, oltreoceano, dal venerdì lavorativo a tutto il week-end, aveva peraltro tenuto una pedante dissertazione.

    Lui, malgrado la ripulsa da soggezione che la Doraldi gli trasmetteva, aveva deciso, controvoglia, per il gruppo ardimentoso e dopo le prime incespicate fra le ispide siepi di bosso e di ginepro, si era domandato se non provasse per quella donna tracimante una sorta di odio-amore. Le si era anche avvicinato, non senza fatica e rischio di scivolate e dopo qualche stopposa banalità sul paesaggio, aveva azzardato, con aria innocente, ma con voce profonda e dolce un primo: …Eh? Maria Pace…

    Forse era la prima volta che l'aveva chiamata per nome; ci aveva sempre parlato senza vocativi, evitando, con accorte perifrasi, sia il titolo che il cognome o il nome e finalmente si era trovato, in quel momento, quasi emozionato da quella vicinanza che la solarità, esasperata dal sottobosco fiorito di giallo, stava rendendo allegra come una vacanza. Si era reso conto che gli era piaciuto chiamarla per nome e che dentro di sé, con una sorta di palpitazione, era andato ripetendo quel nome entusiasmante: Maria Pace, Maria Pace, Maria…

    Per rendere più credibile quella sua metamorfosi verso la terribile educatrice fisica aveva pensato di dare un segno all'incipiente tenerezza che sentiva nascere in cuore: si era accostato con il viso ad un cespuglio fiorito e, fingendo un'espressione ispirata e poetica, aveva portato il naso su un fiore bianco dall'odore pungente e dolciastro...Fu un attimo, un attimo di flagrante ed ignoto tradimento, uno scoppio abbagliante dentro il cervello, con il pungiglione della bestiaccia a spaccargli in due la testa dal dolore ed il gonfiore del naso a comprimergli l'occhio fin quasi a provocarne la chiusura...

    Gli era venuto da piangere per lo spasmo e forse ancor più per la sorpresa e si era sentito intontito fino al più completo smarrimento. Intorno a lui aveva sentito un brusio crescente che poi gli era sembrato assordante per divenire, a tratti, un silenzio dilagante fino allo stordimento…Gli era arrivata, su tutte, la voce dell'attempato professore di Chimica, con il suo stile sentenziante: In questi casi il dolore è urente; sissignori il dolore in questi casi è urente...

    Finché gli era arrivata la mazzata finale della risata di lei. Sorprendentemente, lei aveva riso del suo infelice incontro con il pungiglione dell'artropode; forse non era stato un riso di scherno, forse non era stata una risata di divertimento, forse era stato soltanto un ridere d'istinto dell'altrui disavventura, o soltanto una risata di imbarazzo, ma comunque riso era stato e ridente sarebbe rimasta lei; ridente-ridanciana perpetua e stronza.

    Finalmente si scosse, il professor Pecchia, si scosse con un sussulto quasi violento e con una rabbia che sembrava uscirgli dal naso come sbuffi dalle froge di un cavallo imbizzarrito.

    Ma è possibile – pensò – " che non si possa trovare un po' di pace nemmeno nei sogni del primo mattino. Ma perché mai i miei sogni, anziché approdare alla gratificante quiete, propria della dimensione onirica, debbono sempre deragliare, senza portarmi pace, ma per portarmi invece Maria Pace? Accidenti a lei.

    Si tirò su dal letto e mise i piedi sul tappeto, grattandosi la fronte ed i radi capelli indolenziti dal cuscino. Era proprio di cattivo umore; in urto col mondo e deluso da tutto, anche dai sogni. Neanche quelli, a lui, andavano per il verso giusto. Finché si ricordò che quel giorno avrebbe avuto la mattinata libera. Non aveva lezione e nessun altro impegno di scuola fino alle cinque del pomeriggio, quando era prevista una riunione col preside.

    Decise che sarebbe andato alla piscina termale e si stupì della determinazione con la quale aveva fatto quella scelta per lui così inusuale. Non c'era mai stato infatti, da quando era stata inaugurata qualche anno addietro nel vicino paese di Norello Terme e da allora aveva ascoltato con crescente curiosità, i racconti pieni di soddisfazione che molti dei suoi conoscenti ogni tanto avevano fatto sull'argomento. Aveva fiducia che l'acqua vaporosa caldissima della piscina avrebbe fatto bene anche a lui che da tempo avvertiva forti dolori alla schiena, acuiti dall'abitudine di far lezione in piedi, passeggiando fra i banchi per meglio controllare la situazione .

    Si vestì in fretta, dopo essersi scaldato lo stomaco con una brodaglia scura fatta col caffè solubile e cominciò di nuovo a masticare malumore e scontentezza.

    Non era pratico di quella impresa termale e fare la borsa per la piscina lo faceva sentire insicuro sulle cose da preparare anche se cercava di darsi coraggio pensando che se in tanti erano capaci di farlo sarebbe dovuto riuscire anche lui che, in fin dei conti, era pur sempre un dottore in scienze politiche, esperto di diritto internazionale e (per pura necessità) insegnante di lingua inglese.

    Ficcò con malgarbo nel borsone di tela blu un accappatoio sdrucito, di colore imprecisabile, gli zoccoli di plastica che aveva usato in qualche rara occasione balneare, un costume da bagno e un pacchetto di fazzoletti di carta. Guardò la borsa mezz'afflosciata che appariva come smunta e poverile e, trattenendo a stento un'imprecazione causata dalla consapevolezza del suo scadente guardaroba sportivo, si rifiutò una pur breve riflessione per verificare che non mancasse niente di necessario e uscì di casa come se dovesse rincorrere il treno della felicità (quello che passa e parte una sola volta nella vita di ognuno).

    L'utilitaria, parcheggiata nel vicolo dietro al caseggiato, era talmente cosparsa di quegli schizzi multicolori che i piccioni lasciano andare senza alcun rispetto per il sottostante, che ebbe disgusto e spavento nel guardare la maniglia; per infilare la chiave e girarla dovette cercare un fazzoletto di carta da appoggiarvi sopra; operazione che causò la rovinosa caduta del borsone semiaperto, con fuoriuscita di uno zoccolo, del portachiavi a forma di lattina di birra in miniatura e di una bottiglietta di acqua minerale che neppure sapeva di avere.

    Guardò la sporcizia del selciato e decise di abbandonare la bottiglietta recuperando, per necessità, lo zoccolo e le chiavi. Si accorse allora che due passanti, ben vestite signore di mezz'età, curiose per definizione, lo stavano guardando di sottecchi, con evidente compatimento, sentimento di pirandelliana memoria che forse nobilita chi lo esprime ma non rallegra quasi mai chi lo riceve. Sentì che stava arrossendo per l'imbarazzo ed imprecò fra i denti contro la sorte e contro gli animalisti e i Verdi della politica che impediscono al Comune di contrastare la proliferazione dei piccioni di città, mentre un groppo doloroso gli serrava la gola con bruciore alla bocca dello stomaco.

    Ansimava, nell'avviare il motore, con il cuore che gli batteva forte come se avesse fatto una corsa; tossì diverse volte di una tosse stizzosa e soffocante finché si vide, nello specchietto retrovisore, paonazzo, stralunato e brutto. Evidentemente i suoi recenti sforzi per staccarsi dalle sigarette si stavano rivelando poco fortunati. Si sentì avvilito e si commiserò con un'irreprimibile voglia di piangere che lo fece sentire infantile e smarrito.

    Non migliorò il suo umor tetro la rumorosità dell'anziana utilitaria, acciaccata da diversi fruscii, scricchiolii e, soprattutto da un odioso ticchettio misterioso e ben nascosto: E pensare che l'ho comprata estera – pensò ad alta voce – mentre avrei potuto avere la stessa ferraglia incrementando almeno la produzione nazionale.

    Quella specie di pentimento gli era entrato dentro come una sottile malaria, subdola e capace di riaffiorare ogni tanto, a sorpresa, da quando, in un pomeriggio di pioggia aveva dato un passaggio al Savini, l'odioso Savini impiegato presso la Banca Regionale, suo amico dai tempi dell'infanzia, malgrado l' antipatia che si era portato dietro negli anni. Purtroppo il compagno di vecchia data poteva imporgli una speciale familiarità da quando, anni addietro, aveva assistito i suoi genitori – da poco defunti - nelle pratiche per ottenere il decantatissimo prestito, grazie al quale i due vecchi pensionati avevano potuto comperare il piccolo appartamento dove lui ancora abitava, senza pagare affitto.

    Il Savini era salito con smodata elargizione di sorrisi e ringraziamenti bagnando, senza la minima avvedutezza, il sedile di stoffa un po' consunta ed inondando i tappetini con rivoli di pioggia che colavano dal gigantesco ombrello in elegante cerata di colore marrone con disegno scozzese. Il travolgente bancario si era poi guardato intorno con compiaciuti cenni di consenso, finché era sbottato in un commento che lui aveva interpretato come un'offesa gratuita ed imperdonabile.

    Carina sì, questa macchina. Davvero carina, Eugenio. – poi aveva passato una mano sul cruscotto, come in un gesto di tenerezza rivolto al piumaggio di un angelo ed aveva insistito, con lo stesso tono di voce da giudizio inappellabile – Certo si vede che è un utilitaria, anche se i francesi lavorano bene. Sono i primi al mondo in comodità. Ah, in questo sono senz'altro primi.

    Da quel momento la macchina, la sua macchina alla quale non aveva mai dato troppa importanza – anche per vezzo culturale – non gli era piaciuta più, anzi gli era diventata insopportabile; la vedeva scalcinata, la trovava poverile, utilitaria, come aveva detto il Savini; una specie di status symbol al ribasso, una non richiesta dichiarazione al mondo delle sue non brillanti condizioni economiche, condizioni d'altronde comuni a molti, moltissimi colleghi insegnanti, i quali, misconosciuti dallo Stato per iniqua tradizione e maltrattati dai discenti per fraintese equità rivendicative, covavano diffusamente non poche frustrazioni sociali .

    Parcheggiò la macchina nell'ampio parcheggio di fronte alla piscina termale, la cui costruzione a cupola, imponente e forse pretenziosa, ricordava, alla lontana, il Pantheon di Roma. Cercò un posto defilato, vergognandosi delle piccionate che gli imbrattavano vistosamente l'utilitaria e non lo trovò, a conferma di quanto fosse nata storta quella giornata.

    Alla cassa chiese un biglietto d'ingresso e rispose con una smorfia dal significato affermativo alla signorina che gli aveva offerto un quotidiano da leggere a bordo vasca. Trovò lo spogliatoio moderno e luminoso, ma dotato di armadietti scomodamente piccoli nei quali dovette affastellare la roba, mescolando le scarpe con le mutande ed i calzini con la canotta e tutto il resto. Sbuffò di malumore bofonchiando qualche parolaccia all'indirizzo di chi aveva perpetrato quella cialtroneria a danno di clienti paganti e meritevoli di attenzione.

    Si incamminò, guidato dalle indicazioni per la Piscina, cercando di assumere l'aria disinvolta e distratta di chi, abituato all'ambiente, non si guarda troppo intorno, ma si tradì quasi subito, alla vista della bagnina. La sorvegliante, seduta dietro una specie di piccola cattedra di laminato plastico verdolino, era una ragazza apparentemente ventenne, con un curatissimo caschetto di capelli biondo-cenere ed occhi chiari; l'incarnato del bel viso, luminoso per una pelle tonica e levigata, sembrava la crosta di un biscotto dorato ed ancora fragrante di forno. La maglietta rosso vivo, con la scritta "rescue", oltre a dichiarare la sua mansione di (eventuale) salvatrice di chi si fosse trovato in pericolo, inondava le sue guance

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