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Terre vergini, volume 2
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E-book220 pagine3 ore

Terre vergini, volume 2

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Info su questo ebook

Romanzo corale che diventa memoria collettiva di un'intera nazione, 'Terre vergini' è ambientato nella Russia ottocentesca, un paese dominato da un'aristocrazia decadente che sembra sul punto di crollare sotto la spinta dello spirito rivoluzionario che comincia a sobbollire nelle grandi città. Unirsi a quello che viene chiamato il movimento "populista" significa rompere con i rigidi schemi di una società classista per andare a vivere nel popolo, tra la gente che lavora davvero. Significa sfidare le norme dell'impero zarista gettando le basi per un futuro diverso. È l'alba di una nuova Russia, e gli amici Alexej e Vasily non aspettano altro.Da molti considerata l'opera più ambiziosa di Turgenev, 'Terre vergini' è suddiviso in due volumi.-
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2021
ISBN9788728039403
Terre vergini, volume 2
Autore

Ivan Turgenev

Ivan Turgenev was a Russian writer whose work is exemplary of Russian Realism. A student of Hegel, Turgenev’s political views and writing were heavily influenced by the Age of Enlightenment. Among his most recognized works are the classic Fathers and Sons, A Sportsman’s Sketches, and A Month in the Country. Turgenev is today recognized for his artistic purity, which influenced writers such as Henry James and Joseph Conrad. Turgenev died in 1883, and is credited with returning Leo Tolstoy to writing as the result of his death-bed plea.

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    Anteprima del libro

    Terre vergini, volume 2 - Ivan Turgenev

    Terre vergini, volume 2

    Translated by Federigo Verdinois

    Original title: Новь

    Original language: Russian

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1877, 2021 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728039403

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    XX.

    — Ebbene! — ruppe il silenzio Paclin. — Usciamo dal secolo decimottavo, ed entriamo a dirittura nel ventesimo. Goluschine è un tal uomo progredito, che gli si farebbe torto a metterlo nel diciannovesimo.

    — O che forse lo conosci? — domandò Nejdanow.

    — La terra è piena della sua fama; e se ho parlato al plurale, dicendo entriamo, gli è che ho intenzione di venir da lui in compagnia vostra.

    — Come!... ma se non lo conosci?

    — Sei curioso tu! O che forse voi altri conoscevate i miei pappagalletti?

    — Ma tu ci hai presentati!

    — Ebbene, tu presenterai me, l'amico tuo! Niente segreti fra noi. In quanto a Goluschine, è uomo dai larghi orizzonti. Sarà felicissimo di fare una nuova conoscenza, vedrai! Del resto, in questo paese, non si sta troppo sui complimenti.

    — Sicuro, — borbottò Marchelow, — me ne sono accorto.

    Paclin crollò il capo.

    — Voi forse lo dite per me.... Che fare?... Mi son meritato il rimprovero. Ma sapete che vi dico, mio nuovo camerata?... lasciate andare per un momento i pensieri foschi che il temperamento bilioso vi suggerisce! E soprattutto....

    — Signor nuovo camerata, — lo interruppe bruscamente Marchelow, — permettetemi di dirvi, alla mia volta, per misura di precauzione, che la celia non mi è mai andata a sangue, e oggi meno che mai. In quanto al mio temperamento, non credo che abbiate avuto il tempo di conoscerlo, poichè ci siamo visti oggi per la prima volta.

    — Via, via! non andate in collera!... e non tanto tuono, perchè vi credo lo stesso.

    E volgendosi a Solomine esclamò:

    — E voi, che la perspicace Eufemia ha definito uomo freddo e posato, e che avete infatti non so che di calmante, dite voi se io ho avuto la più lontana intenzione di recar dispiacere a qualcuno o di celiar fuor di proposito?... Io ho soltanto domandato di accompagnarvi da Goluschine, e del resto io sono una creatura inoffensiva. Non è proprio colpa mia se il signor Marchelow ha la faccia della itterizia.

    Solomine alzò prima una spalla, poi l'altra; come soleva fare quando esitava a rispondere.

    — Senza dubbio, — disse alla fine, — voi, signor Paclin, non potete nè volete recare offesa a chicchesia.... E perchè poi non dovreste venire dal signor Goluschine? Scommetto che in casa sua passeremo il tempo non meno piacevolmente che dai vostri parenti, e con lo stesso frutto, anche.

    Paclin lo minacciò col dito.

    — Ah, ah! voi pure, a quanto vedo, siete malizioso! Ma, insomma, ci venite voi pure da Goluschine?

    — Sfido io!... Oramai la giornata è perduta.

    — Ebbene dunque, avanti a passo di carica! Il ventesimo secolo ci aspetta…. Tu, Nejdanow, che sei un pioniere del progresso, apri la marcia!

    — Benissimo! Ma non ripetere i tuoi motti più d'una volta. Si potrebbe credere che hai dato fondo alla provvista.

    — Sta di buon animo, tu e i pari tuoi ne avrete ancora a sazietà, — ribattè allegramente Paclin; e si slanciò avanti a passo forzato, ovvero, com'egli stesso diceva a passo azzoppato.

    — È davvero un tipo divertente, — disse Solomine, che veniva dopo a braccetto di Nejdanow; — se il diavolo si dà che ci mandino tutti in Siberia, avremo qualcuno per tenerci allegri.

    Marchelow, chiuso in sè, camminava in coda.

    Mentre tutto questo accadeva, nella casa di Goluschine si scalmanavano per dare un pranzo coi fiocchi. S'era preparato il brodo di pesce, molto grasso e molto cattivo; varii pasticci caldi e fricassee (Goluschine, che a dispetto della sua religione di vecchio credente, viveva sulle vette della civiltà europea, non ammetteva altro che la cucina francese: aveva preso il suo cuoco in un Circolo, dal quale il brav'uomo era stato mandato via per poca nettezza); e soprattutto un numero rispettabile di bottiglie di sciampagna erano state poste in ghiaccio.

    Il padron di casa accolse i suoi invitati con le smancerie, la goffaggine, l'affaccendarsi, gli scoppi di risa che gli erano abituali: fu entusiasmato dell'arrivo di Paclin, come questi avea preveduto, e domandò solo:

    — È dei nostri?...

    Poi esclamò senza aspettar la risposta:

    — Naturalmente! si capisce!...

    Raccontò poi di esser tornato testè da quell'originale del governatore, che lo tormentava sempre a proposito di non so che maledette istituzioni di beneficenza!...

    In verità, era difficile definire di che cosa Goluschine fosse più contento: dell'onore di esser ricevuto dal governatore o del gusto di dir male di cotesto personaggio in presenza di giovani progressisti.

    Fece in seguito la presentazione del promesso neofita, il quale era per l'appunto l'individuo azzimato, mezzo tisico, dal muso prominente, che era venuto la mattina stessa a parlare all'orecchio di Goluschine, e che questi avea chiamato Vassia: in una parola, il suo commesso.

    — Non è eloquente, — fece osservare Goluschine, — ma è però devoto alla nostra causa con tutto l'ardore dell'anima.

    E Vassia salutava, si faceva rosso, batteva le palpebre, sorrideva mostrando i denti, e tutto ciò in tal modo da non lasciare indovinare se s'avea da fare con un semplice idiota o con un furfante matricolato.

    — Intanto, signori, a tavola! — esclamò l'anfitrione.

    Tutti sedettero, dopo aver gustato largamente dell'antipasto.

    Subito dopo il brodo di pesce, Goluschine fece mescere lo sciampagna, che somigliava a sego gelato.

    — Alla salute della.... nostra.... intrapresa! — gridò Goluschine, strizzando l'occhio e indicando con un cenno del capo il domestico, come per fare intendere che, in presenza di un estraneo, la prudenza non era mai soverchia.

    Il proselito Vassia seguitava a serbare un ostinato silenzio. Seduto sull'orlo della seggiola, dava a vedere in tutto il suo contegno una ossequiosa servilità, che poco, per verità, accordavasi con quelle convinzioni politiche e sociali, cui era devoto, secondo le parole del padrone, con tutto l'ardore dell'anima. Il silenzio non gli impediva del resto di bere disperatamente.... Gli altri invece discorrevano; o, per meglio dire, l'anfitrione e Paclin parlavano a gara, Paclin specialmente.

    Nejdanow era preso da un vago dispetto. Marchelow era stizzito non meno che in casa dei Subocew, benchè diversamente; Solomine osservava.

    Paclin, beninteso, si divertiva mezzo mondo! L'improntitudine dei suoi discorsi piaceva moltissimo a Goluschine, al quale non balenava nemmeno il più lontano sospetto che quel medesimo gambetorte bisbigliava ad ogni poco nell'orecchio di Nejdanow le più mordaci osservazioni sul conto di lui proprio, Goluschine! Prendeva anzi Paclin per un buon ragazzo, che si potea trattare dall'alto in basso, epperò appunto gli andava a sangue.

    Se lo avesse avuto accanto, già da un pezzo gli avrebbe battuto sulla spalla e ficcato un dito nelle costole. Gli faceva dei segni attraverso la tavola, gli sorrideva, gli ammiccava. Disgraziatamente, ne era separato da Solomine e da quel funerale di Marchelow. Ad ogni parola del nuovo amico, si sbellicava dalle risa; rideva anche prima che quegli aprisse la bocca, si batteva sul ventre, metteva in mostra le brutte gengive azzurricce.

    Paclin subodorò alla bella prima quel che da lui si voleva, e prese immantinente a dir male di tutto e di tutti, occupazione, del resto, che gli andava a pennello: dei conservatori, dei liberali, degli impiegati, degli uomini di toga, di spada, degli amministratori, dei proprietari, dei consiglieri provinciali e comunali di Mosca, di Pietroburgo, dell'universo intero.

    — Sì, sì, benissimo, proprio così! — approvava Goluschine; — non c'è da levare nè da mettere. Vedete, per esempio, il capo dell'amministrazione comunale di qui: un vero somaro calzato e vestito! un ceppo! un bietolone! Ho un bel spiegargli io questo e quell'altro.... Non capisce un'acca! E il nostro governatore non è niente di meglio, ve lo assicuro.

    — Anche il vostro governatore? — domandò Paclin.

    — Altro che! un somaro, vi dico!

    — Avete osservato se è balbuziente o se parla col naso?

    — Come? — esclamò Goluschine confuso.

    — Non lo sapete forse? Da noi, in Russia, gli alti dignitari civili affettano la balbuzie; i militari parlano col naso.... Soltanto i più eminenti personaggi dell'Impero fanno tutte e due le cose nel tempo stesso.

    Goluschine ebbe un vero ruggito d'ilarità, e così lungo che le lagrime gli vennero agli occhi.

    — Sì, sì, — balbettò poi a fatica, — parla col naso... È militare!

    — Ah, imbecille che sei! — pensò Paclin.

    — Da noi, — gridò Goluschine, dopo un breve silenzio, — da noi, in Russia, tutto è muffito, tutto è marcio! Tutto, vi dico!

    — Mio rispettabile amico ed anfitrione, — notò Paclin, — credete a me: le mezze misure non servono a niente!

    E nel punto stesso bisbigliava a Nejdanow:

    — Ma che ha a muover sempre le braccia, come se le maniche lo segassero sotto le ascelle?...

    — Ma che mezze misure! — urlò Goluschine, assumendo di botto un contegno pieno di gravità. — Non c'è che un mezzo unico: sbarbicare, sbarbicare!... Vassia, bevi, manigoldo!

    — Bevo, bevo! — rispose il commesso, tracannando un bicchiere colmo di sciampagna.

    Il padrone ingollò allo stesso modo.

    — O com'è che non crepa? — bisbigliò Paclin a Nejdanow.

    — L'abitudine, si sa! — rispose questi.

    Ma non era solo il commesso a bere. Il vino sciolse lo scilinguagnolo a tutti, e a poco a poco Nejdanow, Marchelow e lo stesso Solomine presero parte alla conversazione.

    Nejdanow, prima degli altri, con un certo fastidio di sè stesso, perchè non sapea mostrar carattere, cominciò a dire essere ormai tempo di lasciar le vuote parole e di passare risolutamente nel campo dell'azione.

    Parlò del terreno scelto, della base d'operazione; e, subito dopo, senza nemmeno sospettare di essere in contraddizione con sè stesso, domandò che gli si mostrassero gli elementi reali, serii, sui quali si poteva fare assegnamento.

    — Per conto mio, vi confesso che non li vedo.... Nella società, scarsa simpatia; nel popolo, nessun sentimento della situazione.... C'è da rompersi il capo, per trovare una via di uscita!

    Nessuno gli si oppose: non già che gli argomenti in contrario mancassero, ma perchè ciascuno seguiva la propria idea e parlava per proprio conto.

    Marchelow facea rintronare la sua voce acre, stizzosa, monotona, in tante frasi taglienti e saltuarie.

    — Pare che stia tritando dei cavoli! — mormorò Paclin.

    In quanto al nocciolo del suo discorso, non era facile tirarlo fuori. A momenti pronunciava la parola artiglieria, facendo forse allusione ai difetti che vi aveva scoperti. I tedeschi e gli aiutanti di campo furono anche più volte menzionati e vituperati.

    Anche Solomine volle dir la sua. Fece osservare che c'è due modi di aspettare: — aspettare con le mani in mano, e aspettare adoperandosi che la cosa cammini.

    — Noi, non abbiamo bisogno dei moderati, dei temporeggiatori, — bofonchiò irritato Marchelow.

    — I temporeggiatori fino adesso, — ribattè Solomine, — hanno tentato di agire dall'alto in basso; noi altri invece vogliamo provare il sistema contrario.

    — Abbasso i moderati! abbasso! — urlò Goluschine con impeto feroce. — Azione vuol essere! energia! un colpo, e basta!

    — In altri termini, gettarsi a capofitto dalla finestra?

    — Sì! ed io mi vi getterò! per il primo! E Vassia pure.... Io gli dirò: Orsù, Vassia, spicca un salto! e il bravo ragazzo salterà in quattro e quattr'otto.... Non è vero, Vassia, che salterai?

    Il commesso vuotò il bicchiere fino in fondo.

    — Vi verremo appresso, si capisce.... O che forse ci permettiamo di ragionare e di fare obbiezioni?

    — Quest'altra ci mancherebbe!... Ti torcerei come un corno di caprone, ti stritolerei come si stritola il grano sotto la macina!...

    La discussione degenerò ben presto in quel che si chiama, nel linguaggio dei bevitori, torre di Babele. Fu un vero finimondo. A quel modo stesso che nell'aria ancor tiepida dell'autunno girano vorticosamente e si incrociano i primi fiocchi di neve, così, nella calda atmosfera della sala da pranzo di Goluschine, turbinavano, urtavansi, mescolavansi le parole: progresso, governo, letteratura, questione tributaria, questione religiosa, questione del feminismo, questione della giustizia; e poi classicismo, realismo, comunismo, nichilismo; e poi ancora internazionale, clericale, liberale, capitale, e poi finalmente amministrazione, organizzazione, associazione, evoluzione, e perfino cristallizzazione!

    Goluschine pareva fuor di sè dall'entusiasmo. Quel trambusto era il suo ideale: non vedeva niente al di là!... Trionfava!

    — Ecco come siam fatti noialtri! — pareva dire. — Largo o ti ammazzo come un cane!... Largo a Goluschine!

    Il commesso Vassia s'era a tal segno smarrito nella vigna del Signore, da fare dei lunghi discorsi al proprio piatto. Poi, invaso da una furia improvvisa, si mise a strillare come uno scottato:

    — Che diavolo è mai un proginnasio?

    Goluschine si raddrizzò di botto e, alzando la faccia pavonazza, sulla quale un sentimento di trionfo e di grossolana dominazione mescolavasi stranamente a una specie di segreta trepidazione anzi di terrore, urlò con tutta la forza dei polmoni:

    — Ne sacrifico ancora mille! A te, Vassia, metti in conto!

    — Bravo! — rispose Vassia a mezza voce. — Dagli, che è poco!

    Paclin, pallido e sudato (da un quarto d'ora gareggiava di libagioni col commesso), si slanciò dal suo posto e, alzando le mani al disopra del capo, prese a declamare con enfasi:

    Sacrifico! Egli ha detto: Sacrifico! O profanazione di una santa parola! O sacrificio!... Nessuno osa elevarsi fino a te, nessuno può mai compiere i doveri che tu imponi, nessuno almeno di quanti son qui, e questo pezzo di balordo, questo idiota, questo vilissimo sacco di denari, dà una scrollata al suo ventre ignobile, ne butta fuori uno spruzzo di rubli, e grida: Sacrificio! E pretende che lo si ringrazi. E aspetta che lo si incoroni di alloro! Gaglioffo!... canaglia!...

    Probabilmente, Goluschine non intese o non capì; può anche darsi che prendesse le parole dell'oratore per uno scherzo innocente, poichè tornò a ripetere:

    — Sì, mille rubli! Parola di Goluschine, parola di Vangelo!

    E, cacciatasi la mano in tasca:

    — Ecco! — gridò. — Prendete! ecco, il denaro! Ingollate, saziatevi, e ricordatevi di Goluschine!

    Quando era un po' montato, parlava di sè come fanno i ragazzi, in terza persona.

    Marchelow, senza dir verbo, raccolse i biglietti sparsi sulla tovaglia inondata di sciampagna. Dopo di che, non essendovi più motivo di fermarsi e l'ora anche essendo inoltrata, tutti si alzarono, presero i cappelli, e via.

    Quando furono sulla via, ebbero tutti un po' di capogiro, specialmente Paclin.

    — Ebbene, dove andiamo adesso? — domandò con una certa difficoltà.

    — Non so dove andate voialtri, — rispose Solomine; — per conto mio torno a casa.

    — Alla fabbrica?

    — Beninteso.

    — A quest'ora? di notte? a piedi?

    — E perchè no? Da queste parti, non s'incontrano nè ladri, nè lupi, e un po' di moto mi farà bene.... C'è anche un bel freschetto, che ristora.

    — Ma son quattro verste di cammino!

    — Fossero anche cinque, che importa? A rivederci, signori!

    Solomine si abbottonò il soprabito, si calcò in capo il berretto, accese un sigaro e si allontanò a passo accelerato.

    — E tu, dove

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