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Il buio e l'incanto
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E-book231 pagine3 ore

Il buio e l'incanto

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Info su questo ebook

Il seminario della Santa Trinità vede rompere la sua quiete per la scomparsa, senza lasciare traccia, di quattro vecchi sacerdoti. Tutto questo in un paesaggio spettrale a causa del contagio della peste del 1656. Da quel momento, ogni religioso si sveglia nell'inquietudine di un enigma irrisolto. L'incarico di cercare la verità è affidato a don Lionello da Sant'Arcangelo, un prete predicatore, il quale svelerà con molta fatica antichi rancori e segreti inconfessabili, seguendo una scia di delitti. Indagando a fondo scoprirà eventi sempre più spaventosi.
LinguaItaliano
Data di uscita21 set 2018
ISBN9788833430959
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    Anteprima del libro

    Il buio e l'incanto - Mimmo Esposito

    "Conosco tante cose, un’infinità di cose, che per molti sono interdette. Ho visto esseri umani disfarsi e mutare in fantocci e cambiare, un attimo dopo, in bestie feroci. Ho visto mani che uccidevano e corpi straziati come stracci stesi al sole. Ho visto, nei cieli segni che non conoscevo e con occhi che non credevo di avere. Ho visto paure invisibili e terrificanti come la fame, la sete, l’agonia, la viltà, l’oscura pazzia. Conosco, forse, troppe falsità o troppe verità?
    Oppure poco di entrambe?"

    Il buio e l’incanto

    Un romanzo di

    Mimmo Esposito

    IL BUIO E L’INCANTO

    Un romanzo di Mimmo Esposito

    NUOVA EDIZONE settembre 2018

    Isbn 978-88-99972-64-6

    LFA Publisher

    Caivano, Napoli -Italy-

    www.lfaeditorenapoli.it - info@lfaeditorenapoli.it

    P.I 06298711216

    Capitolo I

    Nullito. Anno domini 1657.

    Il cortile del vicariato era silenzioso e deserto, fino a quando non si sentirono dei passi frettolosi provenire da quella direzione che si avvicinavano alla biblioteca. Povero me! Giudizio, più giudizio, sono solo un umile arciprete ed ho una certa età! Questi sforzi possono avere senz’altro delle conseguenze: con tutti i miei acciacchi e i miei anni, mi dovrei riguardare di più!.

    Nello stesso istante, il vecchio padre vicario generale vagava concitatamente proprio nella biblioteca vuota e semibuia. D’un tratto vide entrare il suo confratello e si fermò di colpo, come se fosse stato trafitto da un fulmine.

    Scusatemi per il ritardo, mormorò l’arciprete oltrepassando l’uscio mentre si asciugava la fronte sudata e chiudeva la porta. Ma siete quasi al buio, padre… - Sì, lasciate così ogni cosa! - Più in fretta, non ho potuto. Abbiamo i nervi a pezzi da un poco di tempo a questa parte. Avremmo proprio bisogno di un poco di serenità alla nostra età, è vero?.

    Il vicario, fissandolo: Certo, gioverebbe a tutti noi! E dei nostri due confratelli… cosa mi dite di loro? - Tra qualche minuto dovrebbero raggiungerci, speriamo! - Allora non ci resta che aspettarli. Quando saranno qui, lasciate soprattutto a me l’onere di parlare, ve ne prego! - Ma vi pare… - Ed il resto è tutto pronto? - Sì, anche le sacche - Un paio di giorni, tre al massimo, e tutto sarà finito, vedrete! Dobbiamo solo raggiungere il collegio ecclesiastico della Santa Trinità.

    Il vecchio arciprete scosse tristemente il capo ed annuì: C’è troppo attaccamento alla propria esistenza… Questo è il vero dramma di alcuni individui! E tutte le suppliche del nostro mondo non bastano, purtroppo!.

    E con una disposizione di spirito, poco in carattere con l’abito, aggiunse: È davvero disgustoso! L’unica cosa che un pio ordinamento, come il nostro, non gradisce è lo scandalo. Spero che finalmente quei due vecchi muli l’abbiano compreso!.

    Il padre vicario non mancò di ribattere subito: Queste vostre parole, caro fratello, sono troppo dure, tuttavia le condivido! Credetemi, chiunque di noi si fosse preso la briga di venir meno se ne sarebbe pentito amaramente! Sono passati anni, o piuttosto, per essere esatti, molti anni! Abbiamo all’attivo tanti torti, troppi… ora basta! Domani all’alba ci metteremo in cammino! Abbiamo indugiato per troppo tempo. Fino adesso nessuno di noi ha agito sempre in modo ragionevole, siete d’accordo spero! È giunto il momento di porre rimedio, finalmente….

    Ed un fugace sorriso rischiarò quei due volti segnati dalla vecchiaia. Quando, di colpo, sentirono il rumore metallico del chiavistello fare un click, ed entrambi furono meravigliati di vederli arrivare. I due sacerdoti, anch’essi in veneranda età, con un’aria spossata, si lasciarono cadere sulle panche uno accanto all’altro: Pensavamo che non ci fosse nessuno… Per fortuna vi abbiamo scorti nella penombra. Il padre vicario generale appariva calmo, gradevole ed indecifrabile, ma inaspettato domandò con tono brusco: Dunque? - La nostra risposta è sì!. E l’altro vecchio confratello, seduto affianco, ansioso di chiudere la questione, agitato, biascicò: Ci è gradito potervi aiutare e crediamo che forse saremo in grado di farlo. Abbiamo a che fare con quelle colpe, lo riconosciamo….

    Il volto dell’arciprete era rimasto fino a qual momento del tutto impassibile, ma i suoi occhi fremevano e precisò pensierosamente: Che cosa potremmo dire? Vi siamo grati del fatto che vi siete sforzati di imitare il nostro esempio. Siamo consci che è un mandato difficile e la soluzione non è certa. Io, personalmente, sono molto contento che l’avete presa a cuore questa triste faccenda!.

    E uno di quei vecchi sacerdote annuì al suo confratello seduto accanto, si toccò la fronte rugosa e con voce conciliante: E, dopotutto, perché aspettare oltre: il tempo è qualcosa di decisamente breve per quelli della nostra età, ora più che mai! Senza contare, come avete di certo sentito dire padre vicario generale, che corre voce che ci sia contagio di peste nell’aria… - Questo accade nella capitale, noi siamo lontani… Voi non lo reputate un segno per noi? Speriamo di fare in tempo!. E tutti e quattro si guardarono con un misto di paura e un’aria interrogativa.

    Verso il pomeriggio di quella fine di giugno, mentre nel cielo si scorgeva quasi il tramonto, una brezza si levò al di là dall’orizzonte e i rami chiazzati di muschio dei cipressi fecero frusciare le loro fronde. Poco lontano, s’intravedevano una successione di croci di pietra e sordidi sepolcri e tante cappelle gentilizie lastricate di marmi grigi corrosi dal tempo, con bassorilievi di teschi e angeli dai volti senza occhi e le loro iscrizioni logore.

    L’aria era ancora riscaldata da un sole quasi cocente. Si respirava un misterioso odore di putrido. Si trattava del tetro cimitero del casale di Nullito. In disparte, sotto una quercia mutilata dal tempo, c’era Rosolino, lo scalpellino di quel luogo consacrato. Un ragazzo, esile con gli occhi scuri, i capelli rossi e un velo di lanuginosa barba intorno alla faccia. In quel momento, nel suo atteggiamento c’era un non so che di riluttante e quasi di guardingo al tempo stesso.

    Nel cimitero, vi era un solo becchino, Terenzio, vecchio e cieco a un occhio, un viso affilato, perfettamente intonato col suo naso uncinato da sparviero spennacchiato.

    Rosolino scolpiva croci di pietra e lapidi con epigrafi già da un paio d’anni, ma non ne poteva più di quello strano lavoro.

    Il vecchio Terenzio, quasi totalmente insudiciato di polvere, gli era di fronte e stava seduto per terra, con la schiena appoggiata al muretto di cinta nella parte più lontana del cimitero. Aveva già svuotato da un paio di minuti, fino in fondo, la sua solita bottiglia di vino pomeridiano, che giaceva vuota davanti a sé.

    Per alcuni istanti, era rimasto come immobile per assaporare meglio i fumi di quel vino andare su, dallo stomaco alla testa. In quel momento, girò l’unico occhio proprio verso Rosolino e, con molta calma, accese la sua pipa e aspirò profondamente, soffermandosi per un lungo attimo, come se stesse riflettendo nel suo profondo. Improvvisamente, scansò la bottiglia vuota, si alzò e si mosse verso lo scalpellino con passo sicuro. Quest’ultimo, certo, se lo aspettava perché solo qualche minuto prima gli aveva rivelato di volere abbandonare improvvisamente il lavoro di tagliapietre così cristiano e onesto.

    Terenzio, il becchino, era vicinissimo a lui, si fermò proprio davanti, esprimendo con una smorfia tutta la sua avversione: Ehi, spaccapietre! Buon figlio di buona donna! Pidocchio ingrato. Non voglio darti peso, ma quando ci vuole, ci vuole. Io così la penso! Non sei altro che uno sporco figlio degno di sua madre! Spero che Iddio ti mandi dritto all’inferno e non ti faccia uscire mai più: me lo immagino già che presto o tardi andrai a trovare il demonio nella sua vigna!.

    Il sorriso dello scalpellino si aprì conciliante: Senz’altro il demonio non è più brutto di te e non è per la tua orripilante faccia che vado via! Certo, non ti nascondo che sarò molto contento di non vederti sempre davanti! Che cosa credevi, che sarei rimasto probabilmente per l’eternità in questo posto, magari seduto, per essere consumato fino alle ossa dall’insoddisfazione? Povero vecchio pazzoide ubriacone, spero che non soffrirai di mal di stomaco solo per questo. Adesso finiamola qui, quello che ti dovevo dire, te l’ho già detto prima.

    Terenzio si guardò un poco intorno e tirò un paio di boccate di fumo dalla sua pipa e qualche attimo dopo ribatté: Questo mondo è già tanto difficile! Non basta che spesso siamo abbandonati da soli nelle mani di quel serpente del demonio. Io certo non sono un santo! Qualche volta pecco, ma non sono mai stato cattivo con te. Non ho mai preteso di farti da padrone, trattarti da cane e prenderti a calci. In fondo al mio animo ho un debole per i bastardi come te!.

    Rosolino, senza esitare: Sento che è giusto che devo fare così! Quello che ho fatto fino adesso non mi piace!. Terenzio, ridendo maliziosamente, Sicché non ti va a genio quello che fai? Che dire! Non so, ma forse una cosa soltanto posso dirtela. Nullito non è lontano, dietro al cancello c’è la strada, vai pure!, e scuotendo il capo, il vecchio con calma forzata: Non so perché sia in questo modo. Dio, certo, non ha disposto le cose così male. Lui metterà tutto a posto! Vedrai, sì che lo vedrai!.

    Lo scalpellino gli tese la mano, il vecchio fece l’atto di sputarci sopra. Si rimise la pipa tra le gengive quasi sdentate e fissandolo: Sei un vero rinnegato!. E, gli voltò le spalle e prese a scalciare stizzito qualche sassolino allontanandosi. Quando vide che in controluce, dal cancello, si stavano avvicinando alcuni individui.

    Dopo un attimo si rese conto, dal loro abito talare nero, che si trattava di quattro vecchi sacerdoti che portavano delle sacche sulle spalle. Intento, com’era, a infastidire Rosolino non li aveva sentiti arrivare. Sorpreso, a voce alta, domandò: Come mai in questo luogo, eccellentissimi padri? Certo non è l’angolo più delizioso di queste parti.

    Uno di loro, inizialmente, sembrò osservare tutto tranne Terenzio. Lo fissò di colpo, posò la sua sacca a terra, si raddrizzò con la schiena e, con un tono di esitazione nella voce: Cerchiamo il collegio ecclesiastico della Santa Trinità. Stranamente lo ricordavamo più vicino, ma forse ci sbagliamo! Buon uomo saprebbe dirci se manca molto? Abbiamo fatto tanta strada e i nostri bagagli incominciano a farsi sentire. Desideriamo fare riposare le nostre povere schiene e le gambe malandate.

    Gli altri tre vecchi sacerdoti restarono in silenzio, posarono le loro sacche e si guardavano intorno.

    Il becchino quasi inciampò per rispondere: Questo è tutto? Ed io che stavo qui a preoccuparmi! La Santa Trinità? Non vi siete sbagliati manca poco! Percorrete il restante della strada. Alla fine troverete il casale di Nullito e, subito dopo scorgerete il seminario: non potete sbagliarvi, ma affrettatevi! Vedete il sole? La sua testa mozzata sta rotolando veloce sull’orizzonte e il buio piomberà quanto meno ve lo aspettate!. Sempre lo stesso prete rispose che ringraziava e confidava nell’Altissimo, non disse altro e si rimise la sacca sulle spalle. I suoi confratelli fecero lo stesso e si diressero verso l’uscita del cimitero.

    Rosolino aveva sentito ogni parola, ma non volle intervenire. Un poco dopo sistemò ogni cosa con Terenzio. Il becchino non disse una sola parola e non lo guardò finché non gli consegnò la borsa con la paga. Ma non ce la fece a rimanere zitto e, alla fine, lo maledisse indicandogli, con un gesto nervoso, l’uscita.

    Lo scalpellino s’incamminò in quel tepore quasi serale. Appariva meravigliato, ma non confuso né impaurito. Guardava dritto davanti a sé, assorto, come chi sa di aver fatto un grande passo e non gli importava del resto.

    Quando vide una persona a lui molto nota che, appoggiandosi a un bastone, si avvicinò. Lo conosceva molto bene, anche se erano passati solo pochi mesi dal suo arrivo al seminario della Santa Trinità: la tonaca sacerdotale nera e impolverata, la sua sacca di pezza messa a tracolla, cranio completamente rasato, la faccia lunga e dura, la fronte alta, il naso dritto e ossuto, gli occhi accesi.

    Era proprio lui: don Lionello da Santarcangelo! Il predicatore, a soli quindici anni, conosceva tutte le tavole del Primo e Nuovo Testamento. Era dotato di una memoria formidabile. Gli bastava pochissimo per leggere interi capitoli e ricordarne ogni parola per sempre.

    Aveva scelto di essere un prete predicatore nonostante lo infastidiva, non poco, parlare più del demonio che di Dio.

    Doveva avere già finito il suo girovagare per i casali e le campagne lì intorno: Ti saluto per la croce. Una persona di buon senso non pianta il suo lavoro, non abbandona il posto, non chiude una porta dietro di sé! Bisognerebbe dartele di santa ragione. Ti farebbe certo del bene. Ti permetterebbe di riflettere sull’enormità di questa tua scellerata decisione. Disse il religioso e facendo una smorfia, alzò un poco il suo bastone, fingendo di agitarlo in maniera sinistra: E ora? riprese un poco ironico: Rifiuti il certo per il dubbio? - Vedo che le notizie volano. Siete passato da Terenzio, non è vero? - Hai indovinato! E ti sono corso dietro. E, dimmi, che farai? Dove hai pensato di andare?.

    Seguì un attimo di silenzio da parte di Rosolino. Aprì le braccia con un gesto di rassegnazione e, con fermezza: Uhm, non ho ancora pensato a questo! Io ho chiuso con quel lavoro: voglio fare altro, voglio dedicarmi all’arte della scultura! Non aspetterò che le mie mani diventino vecchie e rinsecchite, le dita rigide e deformi. Non ho fatto che tagliare pietre e basta!.

    Don Lionello rispose con un sorriso e nello stesso istante, gli comparve accanto uno asciutto e fragile confratello chierico: era Callisto, che salutò con la sua voce fortemente nasale mentre si stendeva le larghe maniche rimboccate della tonaca. Dietro di lui, c’era un asinello carico sulla schiena di fascine da ardere. Il religioso scambiò uno sguardo d’intesa e, dopo, rivolgendosi di nuovo allo scalpellino: Allora vuoi forse diventare una sorta di attaccabrighe, un prepotente? Che cosa vuoi fare? Vieni, svelto, al seminario, lì parleremo meglio! - A riguardo del seminario, sapete che quattro vecchi sacerdoti di passaggio hanno chiesto proprio della Santa Trinità? - Sì, Terenzio mi ha raccontato di questi confratelli pellegrini e sono impaziente di conoscerli, moviamoci!, e Rosolino, allungando il passo: Eccomi, svelto!.

    Il gracile chierico, conducendo l’asinello, afferrò da una tasca della sua tunica uno scampolo di pagnotta d’orzo e, con avidità, la prese a morsi e di colpo la ingoiò interamente, quasi strozzandosi. Nel frattempo iniziò a squadrare lo scalpellino e gli bisbigliò, con un pizzico di malizia e la bocca piena di mollica: Ehi spaccapietre, secondo me, ti troveresti molto bene a zonzo a fare lo scansafatiche. Scommetto che non l’hai detto a nessun altro, non è vero? O sei riuscito a dirlo a chi dovresti? No, non hai avuto il coraggio neanche di avvicinarti, hai fatto bene! Sarebbe stato certo sventato per il non trascurabile inconveniente che sei al momento un fannullone.

    Rosolino, irritato, lo guardò con un’occhiata feroce, poiché aveva compreso a cosa alludesse. Prima che il chierico avesse tempo di dire altro, don Lionello con tono paziente: Tu, fratello Callisto, purtroppo com’è nella tua natura, manchi immutabilmente sempre per gli stessi fatti, il parlare a sproposito e il rifocillarsi ogni volta con molta voracità qualsiasi sorta di cibo. E se le due cose, addirittura, hai l’ardire di farle insieme come stai facendo adesso, senz’ altro tutto ciò fa dissipare il valore di un ecclesiale sapiente e studioso, quale certo tu vuoi aspirare e per cui ti stai preparando. E neppure l’abito che indossi ti ripara da tale poca grazia.

    E Rosolino, sogghignando: Beh, è insomma un furfantello di bassa risma. E questo non è il male peggiore: il difetto più visibile è la sua pigrizia che gli impedisce di pensare a tutto questo - Ma non so che abbia mai fatto! Ho chiesto soltanto del tuo lavoro! Cosa mi dovrebbe turbare? Certo, non sono in debito con la coscienza? Anzi, sono sereno, e lo sa solo il Cielo come ho fatto a non dire nulla d’altro.

    Sì, l’allusione del chierico era concreta! Meglio, aveva un nome: Cecilia! Si lei, nei sogni di Rosolino. Lei che a volte non gli faceva chiudere gli occhi la notte. Quel viso incantevole, quei suoi occhi, incredibilmente verdi.

    Capitolo II

    Percorsero quel tratto di tragitto oscurato oramai dalla sera, quando, poco dopo, arrivarono finalmente dove la via diventava più ampia e si mostrava ariosa con il piazzale per il mercato, la sua torre civica proprio di fronte, con, tutto intorno, case grandi dai bei balconi di ferro battuto che caratterizzavano il centro del casale di Nullito.

    Lontano, un poco più sovrastante e in disparte, si ergeva, armonioso e imponente, il seminario della Santa Trinità con le sue mura antiche.

    Quelle massicce pareti di pietra, i due grandi chiostri ottagonali con loggiati, gli androni. Rosolino conosceva bene tutto quanto, aveva vissuto lì molti dei suoi giorni, sotto il sole, la pioggia, con il freddo. Gli erano più che note quelle mura dagli intonaci sbriciolati e ruvidi. Infatti, molto tempo prima, fu portato proprio lì dentro. Era appena nato, piccolissimo e inerme di fronte ad ogni

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