La ballata dello schioppo e della croce
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Rievocando, con sensibilità aggiornata, i modi di questa vecchia narrativa popolare, l’autore narra e “canta” due “vite ribelli” a metà fra l’ottocento e i primi del secolo scorso: un brigante che terrorizza i territori del Papa-re - una sorta di Robin Hood made in Italy, audace, coraggioso, sfrontato, ribelle – e, altrettanto ribelle anche se in altra accezione, un profeta messianico fondatore di una repubblica di eguali.
Due storie ispirate a personaggi veramente esistiti (il bandito Tommaso Rinaldini detto Mason dla Blona e il “profeta” David Lazzaretti detto “il Cristo dell’Amiata”) ma reinventate di sana pianta e narrate con la libera fantasia di un moderno cantastorie.
Leandro Castellani
Nato a Fano, vive a Roma. Noto autore e regista che alla tv, e più sporadicamente alla radio e al cinema, ha dato un valido e originale contributo spaziando dal grande sceneggiato (Le cinque giornate di Milano, Orfeo in paradiso, La gatta, Incantesimo, ecc.) all’inchiesta storica (La bomba prima e dopo, Mille non più mille, ecc), alla biografia (Tommaso d’Aquino, Don Bosco, ecc.) ottenendo i massimi riconoscimenti internazionali (Leone d’Oro di Venezia, Prix Italia, Festival di Montecarlo, Mosca, Villerupt, Chan-chung (Cina),ecc. È autore inoltre di numerosi volumi di carattere storico (Mistero Majorana), giornalistico (Giallo storia), di critica (Umorismo e comicità) di costume (Lo Strauss della Romagna), di saggi sulla comunicazione e i media (Premio Fabbri, Premio Capri, Premio “Scrivere di cinema”), di opere di narrativa (Lavinia, Il profeta, Un provvisorio stabile, Occhi da cinema Premio Domenico Rea 2009).
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Anteprima del libro
La ballata dello schioppo e della croce - Leandro Castellani
LA BALLATA
DEL BRIGANTE MASON
«…su per un’altura rocciosa, in vetta alla quale
era appollaiato un villaggio con la sua Chiesa […]
Dai parapetti secolari si godeva una vista
davvero magnifica»
Winston Churchill, Memorie
La Blona e le leggende
Grassezza fa bellezza
, dicevano in paese. La donna ha da essere grassa per essere bella, fattrice di figli e di fatica. E Isabella grassa lo era davvero, più che grassa imponente, circondata dall’aura di bonaria fattucchiera nonché novelliera di santi e demoni. Se magra, sarebbe stata una strega.
S’intendeva di pozioni e di erbe, di leggende e bevande amatorie. E non disdegnava riservati convegni erotici, quanto venali fossero nessuno poteva o voleva dire. Isabellona, la bella, la Blona
come riducevano il suo nome entro le mura del Monte Maggiore.
Isabellona che stava sul colle
aveva labbra come corolle,
aveva occhi color turchino
e profumava di gelsomino,
aveva zinne come melloni,
curava i sani e dannava i buoni.
La Blona aveva nutrito suo figlio, nato illegittimo come l’altra figliola, con il latte delle sue grandi mammelle pallide e con le leggende. Quella di Guerrino, detto il Meschino
, era la più bella: parlava di un giovane intrepido cavaliere alla ricerca delle sue origini regali, confermategli dalla Sibilla prima che questa si tramutasse in serpe, l’ardimentoso paladino che aveva bagnato la propria spada, per renderla invincibile, nelle acque magiche del lago di Pilato.
E quel suo figlio, che si chiamava Tommaso, cresceva grande e grosso. Un autentico Tommasone, maggiorativo che negli uomini non allude alla grassezza ma alla robustezza, alla gagliardia. Dunque Mason, figlio della grande Isabella, fattucchiera, strega e un po’ bagascia, Mason d’la Blona.
Come Guerrino detto il Meschino, Mason voleva muovere alla ricerca delle sue origini regali. Anche se il suo genitore, che in paese aveva moglie e figli legittimi, non gli aveva negato il povero casato, Rinaldini.
Quel suo presumibile padre naturale di grande aveva solo il nome: Michelangelo, nome di un antico artista che a Roma aveva scolpito un Mosè robusto come una quercia e a Firenze un giovane David alto come una montagna: così riportavano i contadini che si spingevano sino al lontano Lazio quando c’era bisogno di manodopera stagionale nei paesi del Papa.
Suo padre, Michel Angelo Rinaldini, gli aveva insegnato a stemperare l’estro delle leggende materne nella pratica del più concreto mestiere di falegname; a suo figlio non raccontava frottole fantasiose, ma lo stimolava al diuturno impegnarsi nel lavoro del legno: manici di zappe e vanghe per i contadini, qualche tavolo da cucina, qualche cassapanca nuziale e, perché no, qualche bara d’abete. Per i morti più ragguardevoli. Per gli altri c’era la nuda terra.
Da falegname suo padre operava,
con legno e pialla la vita campava;
sia i figli veri che i figli creduti
con pochi mezzi li aveva cresciuti,
ma li cresceva con pane e onore:
che bell’esempio di genitore!
Il giovane Mason con il legno ci si era fabbricato una spada. Non gli bastava l’esercizio di quel modesto lavoro nel quale peraltro era diventato assai abile. Ma non gli piaceva neppure il mestiere delle armi. Gli armigeri, o meglio i birri del Papa, erano giovanotti infingardi che dalla guarnigione, ospitata nell’antico palazzo al centro del paese, sciamavano per le campagne a rubare la frutta acerba dagli alberi e l’uva matura dalle viti, ad angariare qualche villano, a toccare il culo alle contadinotte. Tutta qui la loro forza, la loro alterigia. E girava un proverbio: soldati del Papa ce ne vol cento a cava’ ’na rapa.
No, niente a che vedere con Guerrino detto il Meschino.
Semmai al biondo eroe, amico della Sibilla, somigliavano più i due masnadieri che taccheggiavano i signorotti dei dintorni e imponevano il terrore più a nord, nei territori della Legazione di Urbino, del Montefeltro e della Legazione di Romagna: Pujena, cioè Poiana, il rapace pronto ad avventarsi dall’alto sulla preda – un coniglio, un lepre o magari un ratto – e a straziarla con il rostro e gli artigli. E l’altro, lo Zolini, «e fiol d’Zulien», il figlio di Giuliano, come lui individuato da una discendenza.
L’arresto
Mason era poco più di un ragazzo e già si pavoneggiava per le viuzze del Monte Maggiore con la sua robusta spada di legno. Ma le armi degne di Guerrino sarebbero state altre, quelle che il Pujena e ’l fiol d’Zulien cacciavano fuori dalla capparella nei loro agguati agli angoli reconditi delle strade di campagna, per estorcere denaro ai possedenti e ai fattori che rientravano dal mercato delle bestie: l’archibugio, cioè lo schioppo, sparava più fumo e polvere che piombo, e il coltello lungo e affilato, alla genovese
, poteva sventrare chi si fosse imprudentemente fatto avanti. Tutte armi proibite, anzi proibitissime, al bando
.
A farne sporadico sfoggio in paese non succedeva granché: i pavidi birri facevano finta di non vedere, anche quando a esibirle, più o meno di soppiatto, era quel giovanotto irrequieto, il figlio dell’Isabellona.
C’era più merito a ostentarle altrove quelle armi, per esempio a Fano, una città non molto lontana, rasentata dal mare e disposta oltre il grande arco di pietra che dicevano risalire agli antichi romani.
Ma a Fano i birri erano più vigili e agguerriti. Là i forestieri erano tenuti d’occhio, anche quelli che giungevano dalle colline oltre il Metauro, a pochi chilometri di distanza.
E infatti lo fermarono dentro l’osteria, appena fuori del massiccio bastione pontificio, mentre si sciacquava la bocca con un sorso di vino. Perché a Mason piaceva parlare, imitare sua madre nel raccontare storie e farsi protagonista di impossibili avventure. E parlare fa venir sete! «Chi sei? Fatti riconoscere? Cosa porti sotto il mantello?»
Mason si mise in guardia e tirò fuori la lama. Ma era da solo e quelli erano tanti, un intero drappello. Prima che potesse reagire si sentì bloccare alle spalle da due paia di mani robuste.
«Via, dal bargello! Armi proibite!»
Il bargello non ha tempo da perdere con i campagnoli. La condanna arriva subito. E sbrigativa! In prigione. Galera a vita.
Tienlo nascosto il tuo archibugio,
cela il coltello dentro un pertugio,
se così armato ti vedon passare
tosto in prigione ti devon portare.
Se lasci il colle e scendi giù al piano?
Nella fortezza starai di Fano!
Lo rinchiusero in Fortezza: mura spesse un metro e più, un grande fossato tutto attorno, pesanti sbarre alle finestre della cella, birri di guardia nel cortile a controllare di giorno e di notte, un tozzo di pane e una brocca d’acqua. Era già finita la sua avventura? E pensare che Fano doveva essere soltanto la prima tappa nel viaggio avventuroso di Guerrino il Meschino alla ricerca delle origini regali!
Contrabbandiere!
Passarono i giorni, passarono i mesi. E un bel mattino l’eco gioiosa delle campane penetrò fin dentro le mura massicce della fortezza di Fano, uno scampanio a festa che faceva rintronare le case e le torri, dentro e fuori l’antico arco dell’imperatore romano.
Con il