People & Growth
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Info su questo ebook
Qui inizierà la loro crescita manageriale, che li porterà nel tempo a raggiungere i vertici di aziende italiane e internazionali.
Nel libro 22 di questi manager riflettono ciascuno sulla propria storia, raccontandola in modo personale e diretto, con la speranza di poter aiutare i ragazzi e le ragazze di oggi a trovare la propria strada e a perseguire una carriera che li realizzi non solo professionalmente, ma anche e soprattutto personalmente.
"Fra dimensione pubblica e dimensione privata,
cronaca individuale e fenomeni della storia,
con questo libro viene passato idealmente il testimone
a chi si affaccia oggi sul mondo del lavoro, pieno di paure
e di speranze, di desideri e di progetti."
- Dalla prefazione di Paolo Bricco
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Anteprima del libro
People & Growth - Vito Varvaro
Prefazione
Come scegliere cosa si vuol diventare «da grandi»? Quali doti bisogna avere per sperare nel successo? E, soprattutto, quanto conta – in una espressione semplificata, abusata e contraddittoria appunto come quella di «avere successo» – l’identificazione e il completamento della più generale realizzazione personale, elemento inscindibile della più particolare realizzazione professionale?
I ventidue manager cresciuti in Procter & Gamble che si raccontano in questo libro instaurano un dialogo a distanza con chi, oggi, deve scegliere che cosa fare della sua vita. Narrano ventidue storie personali. Spiegano percorsi. Suggeriscono casualità. Tutto quello che un ideale lettore di questo libro incontrerà nella sua vita. Scegliendo un posto di lavoro piuttosto che un altro. Seguendo la sua vocazione.
Le ventidue voci, in questa maniera, delineano anche un quadro più complesso e articolato, all’interno del quale vengono poste implicitamente alcune domande e vengono date esplicitamente alcune risposte.
Nelle società complesse, qual è il contributo apportato dalla cultura di mercato e dalla cultura di impresa che si sono formate negli Stati Uniti e che, nel corso del Novecento, si sono diffuse nel mondo? Qual è l’impatto che il capitalismo nordamericano – con le sue specificità, i suoi pregi e le sue virtù, ma anche i suoi limiti e i suoi difetti – ha provocato, in Italia e in Europa, nella vita quotidiana, nelle esistenze di chi opera in aziende o in multinazionali con quella matrice, nella costruzione della leadership e nella definizione di percorsi individuali che, alla fine, hanno assunto la corposità di vicende comunitarie e collettive?
Questo libro racconta quindi un pezzo di questa storia. Non lo fa attraverso la freddezza dell’analisi e della ricostruzione storica. Lo fa attraverso la passione e il calore umano che traspaiono dalle voci di quanti – per caso o per vocazione, per desiderio o per ostinazione – hanno lavorato, in Italia o partendo dall’Italia, per la multinazionale fondata nel 1837 da due europei emigrati negli Stati Uniti: l’inglese William Procter, umile artigiano specializzato nella produzione di candele, e l’irlandese James Gamble, semplice produttore di sapone. E lo fa con l’intento – quasi pedagogico – di raccontare quello che è stato a chi, oggi, deve scegliere quale lavoro e, soprattutto, deve trovare la giusta alchimia per una realizzazione professionale e umana completa.
Nel particolare, le vicende biografiche – narrate dagli stessi protagonisti, in una prima persona singolare che conferisce il sapore del vissuto e garantisce la precisione (e l’emozione) della presa diretta – offrono anche lo spaccato della storia del Paese, frammentaria ma proprio per questo preziosa, personale e dunque intima. Perché, davvero, le vicende delle grandi organizzazioni (in questo caso, appunto, la consociata italiana della Procter & Gamble o, meglio, i suoi ex manager) restituiscono sempre il profilo di una sorta di autobiografia della nazione. Una nazione che, negli ultimi cinquant’anni, ha sperimentato almeno tre fasi.
La prima è quella degli anni Settanta: un periodo duro e complesso con tensioni nelle piazze e con il ricorso alla violenza come strumento della politica, ma che, nelle fabbriche e negli uffici italiani, coincide con l’automazione e le prime forme di informatizzazione e che, sul mercato, porta definitivamente l’Italia e gli italiani nell’alveo dei consumi di massa: è, infatti, allora che il benessere formatosi negli anni Cinquanta e Sessanta si sostanzia e si consolida con la «normalità» dei beni di largo consumo.
La seconda fase è costituita dagli anni Ottanta, con il grande risveglio italiano – civile, ma anche economico, per esempio attraverso la cifra edonistica assunta dai beni di largo consumo – dopo gli incubi del decennio precedente segnato dall’instabilità politica, dal conflitto sociale e dalla crisi energetica e inflattiva.
La terza fase coincide con la globalizzazione che, dagli anni Novanta fino all’avvento della moneta unica e alla Grande Crisi del 2008, consente all’Italia di non implodere, di fronte al tracollo delle istituzioni con la caduta della Prima Repubblica e con la fine del paradigma della grande impresa, provocata dalla decadenza delle famiglie del capitalismo storico italiano e dalla ritirata dell’economia pubblica di stampo Iri. Nella globalizzazione le imprese italiane entrano faticosamente attraverso la porta dell’export, necessaria per una economia di trasformazione come la nostra. Ma la globalizzazione è il luogo di elezione più naturale per le multinazionali.
Tutto ciò – in questo libro – avviene con il meccanismo della rifrazione della vita di uomini e di donne normali. Studenti e studentesse brillanti delle nostre scuole superiori e, poi, delle nostre università. I quali e le quali, conclusi i loro cicli di studio, desiderano carriere alla Banca d’Italia o nella ricerca accademica, nelle banche o nelle grandi imprese industriali italiane: il percorso classico della borghesia nazionale o la chiave della ascesa sociale per chi, invece, proviene da famiglie di estrazione contadina, operaia o impiegatizia.
Invece, questi ragazzi incontrano i beni di largo consumo della Procter & Gamble. Ma, soprattutto, vengono a contatto con una cultura aziendale di stampo angloamericano basata sul marketing e sulle procedure, sulle responsabilità e sulla capacità esecutiva, sulla internazionalizzazione costante della attività, degli orizzonti e delle carriere e sulla corrispondenza – imperfetta come ogni cosa umana, ma in generale più solida e meno effimera dello standard italiano – fra merito e riconoscimento, sulla costruzione di una mentalità da grande impresa e sulla formazione di uno spirito cosmopolita che, in una felice contraddizione fra la dimensione locale e la natura globale, ha sempre segnato la multinazionale che ha il suo quartier generale a Cincinnati, in Ohio, profondo Midwest americano.
Il contributo offerto negli ultimi quarant’anni dalle multinazionali americane a un Paese vitale ma piccolo come il nostro è rappresentato prima di tutto dall’assorbimento e dalla trasformazione in cultura pubblica e privata di queste logiche e di questa anima. E gli uomini e le donne che hanno lavorato per la Procter & Gamble – con le loro vicende particolari fatte di successi e di fallimenti, di lunghi percorsi all’interno della società e poi di passaggi ad altre dimensioni professionali – testimoniano appunto tutto questo.
Chi oggi – come destinatario ideale di questo libro – deve scegliere percorsi professionali e deve definire traiettorie esistenziali, si trova in un mondo completamente diverso. Il quale, però, è il risultato storico di questi processi di lungo periodo. Dal punto di vista sistemico, il nostro Paese ha avuto quattro elementi di modernizzazione costante: le grandi imprese pubbliche e private sviluppatesi con il Boom economico, le tecnostrutture pubbliche (la Banca d’Italia e alcuni snodi dello Stato, come il ministero dell’Economia e delle Finanze e la Ragioneria Generale), le banche con le loro tradizioni di centri studi e di scuole di management e le consociate italiane dei gruppi stranieri, che di solito restano più nell’ombra, in una sorta di minorità conferita, appunto, dall’essere una parte del tutto, un ganglio periferico sebbene vitale (e ben inserito nel Paese in cui opera) di un organismo molto più articolato che ha i suoi maggiori centri decisionali altrove.
Proprio la contemporanea adesione e la simultanea alterità rispetto al contesto nazionale (in questo caso italiano, ma la regola vale ovunque) costituiscono un binomio virtuoso, che diventa un ulteriore lievito prezioso quando si mescola alla passione degli uomini e delle donne. E, così, fra dimensione pubblica e dimensione privata, cronaca individuale e fenomeni della storia, con questo libro viene passato idealmente il testimone a chi si affaccia oggi sul mondo del lavoro, pieno di paure e di speranze, di desideri e di progetti.
Paolo Bricco
Introduzione
Inverno 2021. La pandemia mi tiene chiuso in casa, e mi fa riflettere sul tempo che corre veloce. Mentre guardo il paesaggio fuori dalle finestre ripenso alla mia vita e ai traguardi raggiunti. Eppure in me resta un invincibile desiderio. Penso alle cose che non ho ancora fatto e che desidero fare; ai nuovi progetti che mi vengono in mente e che voglio realizzare; a come tramandare ciò che ho imparato alle nuove generazioni: ai miei nipoti, ai figli di tanti amici…
Lo rivedo chiaramente, come se fosse accaduto stamane: entro in quel palazzo di uffici, arrivo al quarto piano, il mitico quarto piano, l’inizio del mio percorso di manager alla Procter & Gamble* a Roma. Rivedo uno per uno i nuovi colleghi poi diventati subito amici, neolaureati come me, che nei ruggenti anni ’70/’80 superavano le dure selezioni per entrare nel reparto marketing dell’azienda. Ragazzi e ragazze felici, entusiasti, pieni di vita e di energia, laureati a pieni voti, confluiti a Roma da varie città italiane, che sognavano di far carriera ed entravano in un’azienda internazionale che guardava all’Europa e al mondo. Forse i primi futuri manager globali.
Da questo fermento di memorie, pensieri, desideri è nata l’idea di raccogliere le storie di questa generazione, di quei ragazzi partiti dalla sede italiana di una multinazionale americana per farsi strada nel mondo. Storie di gente e della loro crescita, professionale ma anche e soprattutto personale. Tutti hanno avuto carriere brillanti, nate da percorsi diversi ma unite dalla comune formazione di base nella realtà P&G. Con tutti, in questi anni, sono rimasto amico.
Ho rivolto loro una decina di domande per fargli raccontare il proprio percorso di manager e le proprie esperienze, ma anche per scoprire le loro opinioni su alcuni dei temi economici più attuali per l’Italia: dalla globalizzazione al rapporto tra proprietà a controllo nelle nostre aziende. Non potevo, inoltre, esimermi dal chiedere un messaggio e qualche suggerimento per i giovani di oggi che hanno l’ambizione e l’obiettivo diventare i manager di domani.
Un grazie dunque va a tutti gli amici che hanno partecipato a questo libro. La speranza è che le nostre storie ispirino i giovani e facciano nascere nuovi innamorati del marketing e del management in tutte le città della nostra Italia.
Buona lettura!
Vito Varvaro
* Procter & Gamble è una public company con azionariato diffuso quotata a Wall Street. Fondata a Cincinnati nel 1837, dall’inglese William Procter e dall’irlandese James Gamble, è divenuta nel tempo uno dei principali gruppi industriali del mondo che produce e vende beni di largo consumo. Tra le sue caratteristiche una particolare attenzione al marketing e alla comunicazione. Negli anni 1920, negli Stati Uniti, sponsorizzò una serie di sceneggiati radiofonici a puntate (e da qui nacque l’espressione soap opera). Altro tratto distintivo è il marketing orientato esclusivamente sulle singole marche e per questo motivo è ritenuta pioniera e l’azienda creatrice del brand management.
In Italia, Procter & Gamble è arrivata nel 1956 ed è diventata una delle società più importanti del largo consumo con marchi come Dash, Pampers, Panten, AZ e molti altri. Nel nostro Paese è stata, e lo è tuttora, una scuola di management per tanti giovani, grazie anche a un approccio al marketing sempre innovativo e alla scelta di puntare su prodotti in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori.
Nota del curatore
Gentili lettori, chi ha curato questo testo vorrebbe condividere con voi poche righe per spiegare la natura del lavoro. Il nostro tentativo è stato quello di offrire un’esperienza di lettura che si avvicinasse il più possibile all’esplorazione di tante storie vissute. Storie professionali intrecciate alle radici, fatte però di diverse traiettorie, sogni, fatiche e scoperte.
Per aiutare ciascuno a navigare i propri ricordi, le fondamenta delle storie sono state imbastite usando alcune domande. Noterete perciò che alcuni elementi si ripeteranno, avendo i protagonisti condiviso un’esperienza incredibile e intensamente formativa, che li ha fatti fiorire esistenzialmente e professionalmente.
Vorremo perciò lasciarvi alla lettura con un’osservazione e un suggerimento.
L’osservazione è che tutti questi talenti manageriali hanno attinto a un’unica sorgente principale per ispirare i propri pensieri e le loro azioni in ambito professionale. Se ciascuno di loro ha finito col ricoprire ruoli importanti nell’economia del mondo, mantenendo comunque un cuore intatto e una mente giovane e curiosa, ciò che si ripete in queste storie è ciò che qualsiasi anima umile e desiderosa di imparare dovrebbe interiorizzare per farne uso nella propria vita. In altre parole, il fatto che in queste pagine alcuni concetti e principi si ripetano è, secondo noi, non casuale, perché dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che quegli stessi concetti e quegli stessi principi sono «inossidabili» e, al di là di ogni differenza individuale, costituiscono la base di un successo umano autentico e duraturo.
Il suggerimento è invece questo: leggendo condividerete il viaggio di ventidue anime attraverso un’epoca cruciale della nostra storia. Se durante la lettura vi accorgerete di aver già colto quei tratti comuni, cercate allora le perle, il tono di voce, i tratti di buio e gli squarci di luce che ognuna di queste testimonianze racchiude in sé. Mettetevi in caccia delle scintille, del calore che ciascuna di loro emana. Ve lo assicuriamo: non ve ne pentirete.
Buona lettura,
Pietro Federico
Arrigo Berni
Nato a Milano il 26/12/1956. Dopo gli studi classici, al liceo-ginnasio Dante di Firenze, consegue la laurea in economia e commercio all’Università di Pisa e il diploma della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Sposato con due figli.
È stato assunto nel reparto marketing di P&G Italia nell’aprile 1981 e ha lasciato l’azienda nel 1987, dopo cinque anni in Italia e un anno, l’ultimo, in Giappone. Dopo un periodo di esplorazione tra consulenza e attività aziendale, nel 1992 sceglie definitivamente la carriera manageriale, come EVP di Bulgari in USA prima e in Svizzera poi. È AD in A.Testoni nel 2002, nel 2006 investe insieme a un fondo di PE in Moleskine, società che come AD porta alla quotazione in borsa nel 2013. Dal 2020 è Adjunct Professor in Strategy Management del MIP, la Graduate School of Management del Politecnico di Milano, advisor del Dean e partner di The Mind at Work Italy Srl, società che opera nel campo della consulenza per il miglioramento della performance, attraverso un approccio innovativo alla leadership personale e di gruppo.
La mia carriera manageriale è stata il risultato di una serie di circostanze, più che di scelte consapevoli. Da studente universitario il mio sogno era diventare economista, ma scelsi la facoltà e l’università sbagliate: economia e commercio a Pisa era una facoltà di orientamento esclusivamente aziendale. Ne uscii con una buona formazione, ma certamente non da economista. Ero poi intenzionato a proseguire gli studi e feci domanda per un MBA negli USA. In attesa di ricevere conferma della mia accettazione, non potendo comunque esserne certo, iniziai a cercare un impiego. Data la mia formazione umanistica avevo scartato la possibilità di intraprendere l’attività professionale e mi ero quindi orientato verso il mondo delle imprese.
Non avendo una predilezione particolare per una funzione piuttosto che per un’altra, decisi di dare importanza soprattutto alla reputazione dell’azienda. Ne cercavo una che fosse un’eccellenza riconosciuta nel suo settore. Non avevo particolari ambizioni, anche perché l’università italiana di allora aiutava poco gli studenti a comprendere quali fossero le caratteristiche dei diversi percorsi professionali che potevano aprirsi davanti a loro. Ma mi ero abituato a frequentare buone scuole e a ottenere eccellenti risultati. Cercavo quindi un ambiente che rispondesse a ciò a cui ero solito.
Erano i tempi in cui i quotidiani erano lo strumento principale attraverso cui le aziende ricercavano personale. Fu così che un giorno trovai un’offerta di lavoro di P&G Italia per il reparto marketing. Conoscevo Procter & Gamble dai tempi dei corsi di marketing all’università e ne apprezzavo la reputazione, feci domanda e fui assunto. Alcuni mesi dopo ricevetti la notizia che ero stato accettato per un MBA sia dalla Wharton School di Filadelfia sia dalla University of Chicago.
Mi dimisi, intenzionato a proseguire gli studi, ma il capo del mio capo (che per un giovane al primo impiego come ero io allora era quasi un dio) mi convinse a restare. Mi disse: «Arrigo, se vuoi fare il consulente, vai. Se vuoi imparare a fare il manager, rimani. Ciò che ti serve lo imparerai lavorando qui, non studiando di più». E aggiunse «Secondo me, inoltre, da quello che ho visto finora, tu qui hai un futuro». Così rinunciai all’MBA e fu allora che iniziò a consolidarsi la mia «vocazione» manageriale.
L’esperienza in P&G mi ha formato molto dal punto di vista tecnico; ma gli insegnamenti più importanti che mi ha trasmesso, e che dopo sono diventati il fondamento del mio approccio lavorativo, hanno riguardato prevalentemente l’aspetto manageriale e valoriale. Nello specifico P&G mi ha insegnato tre cose.
1. La responsabilità principale di un manager non è far crescere il business, ma le persone. Se le persone crescono, aumenterà anche il business.
2. Pensare strategicamente è fondamentale. Avere chiaro dove si vuole arrivare e perché è il presupposto per poter disegnare la rotta per arrivarci. Potrà sembrare banale, ma una volta uscito da P&G mi sono accorto che troppo spesso le persone si preoccupano di fare, senza riflettere a sufficienza su dove il loro fare li può portare e perché.
3. Il management è un’arte, non una scienza. Non sempre due più due fa quattro. Fondare le proprie decisioni su un’analisi il più possibile oggettiva della realtà è importante, ma un manager di valore non si può sottrarre alla responsabilità delle proprie intuizioni e delle proprie valutazioni soggettive.
In questo senso vorrei raccontare un piccolo episodio, ma che per me all’epoca fu significativo. Ero entrato in P&G da poco e mi trovavo a cena con i colleghi. Ero il più giovane e, naturalmente, avevo un grande bisogno di sentirmi accettato da tutti. Tra le persone presenti quella sera c’era addirittura il capo del mio capo. Era una persona carismatica, cordiale ed espansiva, ma a un neo-assunto come me, alla sua prima esperienza di lavoro, incuteva grande timore reverenziale.
Mi attardavo nella lettura del menù e a un certo punto lui, che mi era seduto accanto, si rivolse verso di me dicendomi: «Berni, no decision, no manager!»
Credo di esser diventato