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Il Il mito Pretty Woman: Come la lobby dell'industria del sesso ci spaccia la prostituzione
Il Il mito Pretty Woman: Come la lobby dell'industria del sesso ci spaccia la prostituzione
Il Il mito Pretty Woman: Come la lobby dell'industria del sesso ci spaccia la prostituzione
E-book411 pagine5 ore

Il Il mito Pretty Woman: Come la lobby dell'industria del sesso ci spaccia la prostituzione

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Info su questo ebook

Il commercio internazionale del sesso è al centro di uno dei dibattiti più accesi a livello mondiale, e non solo fra le femministe e gli attivisti per i diritti umani. Per decenni la sinistra liberale ha oscillato fra il pro-sex work e l’abolizionismo. Ma oggi le donne che hanno vissuto la violenza della prostituzione hanno preso la parola contro la favola di Pretty Woman, la “puttana felice”, dando vita a un movimento globale che sta portando avanti una battaglia a favore del Modello nordico, l’unico modello legislativo che protegge i diritti umani delle persone prostituite.
Allo stesso tempo una potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione – che comprende proprietari di bordello, agenzie di escort e compratori di sesso – impone la sua narrazione, che occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un “lavoro come un altro” allo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso, trasformando gli sfruttatori in imprenditori e proteggendo il “diritto” dei compratori ad abusare dei corpi delle donne.
Nel corso di due anni Julie Bindel ha raccolto 250 interviste viaggiando instancabilmente fra Europa, Asia, Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Africa. Ha visitato bordelli legali, conosciuto papponi, pornografi, sopravvissute alla prostituzione. Ha incontrato femministe abolizioniste, attivisti pro-sex work, poliziotti, uomini di governo, uomini che “vanno a puttane”.
Un’indagine approfondita, appassionata e sofferta che rivela le bugie di una mitologia tesa a truccare gli sporchi interessi di un’attività criminale fra le più redditizie a livello globale.
LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2018
ISBN9788868993481
Il Il mito Pretty Woman: Come la lobby dell'industria del sesso ci spaccia la prostituzione
Autore

Julie Bindel

Julie Bindel, giornalista britannica, rinomata per le sue inchieste, si è occupata di fondamentalismo religioso, violenza contro le donne, maternità surrogata, commercio di mogli ordinate su catalogo, tratta di esseri umani e delitti insoluti. Scrive regolarmente per The Guardian, NewStatesman, Truthdig, Standpoint Magazine, e collabora con la BBC e Sky News. È stata visiting journalist alla Brunel University London e ora fa parte del comitato di www.byline.com

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    Anteprima del libro

    Il Il mito Pretty Woman - Julie Bindel

    Prefazione all’edizione italiana

    Il movimento per l’abolizione della prostituzione è sempre più vitale e si espande nel mondo. Resistenza Femminista ne è parte e la traduzione di questo libro costituisce una scelta politica precisa in linea con l’obiettivo che da anni perseguiamo, ossia di dare voce alle sopravvissute, alle indagini e alle testimonianze che portano alla luce la realtà di violenza e sopraffazione rappresentata dall’industria del commercio sessuale. Ancora una volta, come per il libro di Rachel Moran, Stupro a pagamento,¹ abbiamo scelto di tradurre e accompagnare il libro e l’autrice negli incontri con le lettrici e i lettori che via via avranno luogo in Italia.

    Come Julie Bindel, consideriamo la prostituzione violenza contro le donne e le bambine, perciò dedichiamo il nostro lavoro di attiviste e sopravvissute affinché la realtà di questa violenza emerga con la stessa chiarezza con cui le donne hanno riconosciuto e chiamato con il suo nome la violenza domestica e la violenza sessuale.

    Una delle domande che il libro pone è: perché è così difficile riconoscere la violenza della prostituzione, o meglio, la prostituzione come violenza e come archetipo di ogni violenza contro le donne? Una domanda che ci siamo trovate ad affrontare in una discussione a proposito di come tradurre una frase del libro. La frase è di una sopravvissuta e si riferisce alla fatica che le donne in generale fanno ad ammettere che è la domanda di accesso sessuale ai corpi delle donne da parte degli uomini a sostenere un mercato che, nelle parole di Judith Herman, costituisce un’impresa mondiale che condanna milioni di donne e bambine alla morte sociale, e spesso letteralmente alla morte, per il piacere sessuale e il profitto degli uomini.²

    A parere della sopravvissuta Evelina Giobbe, riconoscere la violenza della prostituzione ci impone il compito doloroso di guardare dall’altra parte del tavolo mentre facciamo colazione, in altre parole, di guardare chi ci sta davanti tutti i giorni, gli uomini che conosciamo e amiamo: i nostri amici, figli, compagni, mariti, fratelli, padri. In un primo momento ci siamo chieste se la frase fosse un’espressione idiomatica e avevamo pensato di renderla con guardare in faccia la realtà. Poi però ci siamo dette che, paradossalmente, la nostra difficoltà a tradurre letteralmente in quel caso corrispondeva alla difficoltà che Giobbe riconosce ed esprime: la difficoltà di nominare e affrontare il problema che la prostituzione pone per le relazioni tra uomini e donne.³

    È più facile in effetti dare retta alle ragioni di chi parla di scelta delle donne e offre l’immagine rassicurante di un contratto sessuale paritario. Molto più faticoso è ascoltare la voce di chi ci ricorda che quel contratto è in realtà il pagamento di un abuso, un pagamento che cancella la violenza agli occhi della società rendendo dolorosissimo per chi la subisce affrontare il trauma e l’invisibilità sociale dell’abuso.

    Tuttavia, affrontare la violenza nascosta in piena vista⁴ della prostituzione è esattamente ciò che dobbiamo fare se davvero vogliamo avere una qualche speranza di costruire e percorrere la strada che ci porti alla fine della violenza maschile contro le donne. Non c’è da farsi illusioni: la sfida non è semplice. Il Modello nordico, che noi sosteniamo, intende rendere visibile la responsabilità degli uomini nel mantenimento di un sistema di controllo e oppressione della libertà delle donne. Un sistema, il patriarcato, il quale si regge su una disuguaglianza che sottrae alle donne la possibilità di lavorare ed essere indipendenti, rafforzando la disuguaglianza con un abuso travestito da lavoro che non fa altro che consolidare l’ingiustizia e la discriminazione.

    L’obiettivo è il controllo sessuale e riproduttivo delle donne, alla base di un sistema che non potrebbe reggersi se quel controllo venisse a mancare, ma che costituisce anche il punto di partenza e il puntello dell’intero sistema. Sostenere – come alcuni – che la prostituzione è un lavoro come un altro significa legalizzare l’oppressione e lo sfruttamento delle donne. Non a caso Lina Merlin non ha mai definito la prostituzione un lavoro.

    Con la legge a lei intitolata, nel 1958 Lina Merlin ha liberato le donne che venivano schedate, rinchiuse nei bordelli e bollate con infamia per l’abuso compiuto su di loro dagli uomini. Rubricando come crimine ogni attività volta a favorire e sfruttare la prostituzione altrui, la legge da lei voluta ha compiuto un passo fondamentale per la libertà delle donne. Quello che resta da fare è eliminare gli squilibri sociali ed economici e le condizioni culturali che portano a considerare l’atto di pagare per l’accesso sessuale al corpo di un essere umano – il più delle volte il corpo di una donna, una ragazza, una bambina – una transazione economica accettabile.

    Ha scritto Luisa Muraro:

    Secoli di complicità tra uomini, di assoggettamento delle donne, di moralismo ingiusto, di cattiva letteratura e di assuefazione hanno portato la società a non rendersi conto che la ferita inflitta all’umanità con la pratica della prostituzione non è più accettabile. E non lo è mai stata. Non ci sono regole che tengano. Così com’è accaduto per i ricatti sessuali sul posto di lavoro da parte di quelli che hanno più potere, verrà il momento – ed è questo – in cui la non eliminabile vergogna della prostituzione, sempre rigettata sulle donne, tornerà alla sua vera causa, che è una concezione maschile degradata del desiderio e della corporeità.

    Il filo che collega ogni violenza contro le donne è ormai visibile. Le sopravvissute e le attiviste abolizioniste lo stanno mettendo sotto gli occhi di tutti e stanno sfidando il meccanismo di difesa di una dissociazione che Judith Herman non esita a dichiarare praticata come norma sociale. Di fronte alla prostituzione, a suo giudizio, la scelta di evitare di sapere opera ai margini della nostra coscienza.⁶ La dissociazione è un meccanismo che salva chi subisce la violenza, ma rischia di diventare anche la condanna a vivere in esilio da sé stesse. Per troppo tempo noi donne siamo state in esilio dal nostro posto nella società e abbiamo usato la nostra forza per resistere e sopravvivere. Ma adesso come sopravvissute da ogni parte del mondo prendiamo la parola, per denunciare e smascherare il vero volto dell’industria del sesso che stupra e uccide e di chi la alimenta, gli stupratori a pagamento. Quell’industria che si nasconde dietro il mito di Pretty Woman, della prostituzione come lavoro sessuale o sex work.

    Bindel ricostruisce due storie parallele: quella del movimento internazionale delle sopravvissute che da WHISPER [Donne che hanno subito violenza nel sistema prostituente in rivolta], fondato nel 1985 da Evelina Giobbe, arriva fino a SPACE International [Sopravvissute all’abuso della prostituzione che chiedono di illuminare l’opinione pubblica] – movimento di sopravvissute provenienti da nove paesi – e quella della lobby pro-prostituzione, i gruppi per i diritti delle sex worker. WHISPER nasceva come risposta al gruppo liberista COYOTE, acronimo inglese di Basta con la vostra vecchia morale, al cui interno c’erano donne che si spacciavano come la voce delle prostitute senza essere o essere state nella prostituzione e uomini che ne sostenevano l’agenda politica, ovvero che la prostituzione fosse un lavoro come un altro: erano politici, studenti, rappresentanti di associazioni, compratori di sesso. Nasceva così il marketing dell’abuso sessuale venduto come potere delle donne (il cosiddetto empowerment) e il mito della puttana felice. L’espressione sex work (lavoro sessuale)/sex worker (lavoratrice sessuale) diventerà la parola d’ordine di una lobby composta da accademici, assistenti sociali, politici, proprietari di bordelli e di agenzie di escort (come Douglas Fox, dell’International Union of Sex Workers, che si dichiara un sex worker pur essendo uno sfruttatore) nonché compratori di sesso, una lobby ben finanziata con lo scopo di decriminalizzare l’industria del sesso a livello globale, ossia trasformare gli sfruttatori in manager e garantire il diritto degli uomini di abusare impuniti dei corpi delle donne. Ma, come spiega Rachel Moran, la prostituzione non è né sesso, né lavoro, il fatto che ci sia di mezzo del denaro non cambia la natura di quello che succede, ovvero che si tratta di stupro, uno stupro anche più traumatico e devastante non solo perché reiterato ma perché perennemente ignorato, negato, normalizzato dalla società patriarcale.

    È arrivato il momento di compiere scelte che ci consentano davvero di immaginare e dunque rendere possibile una società non patriarcale fondata sul rispetto e la libertà per le donne e gli uomini. La prostituzione è misoginia che genera ulteriore misoginia, odio verso le donne, e perciò dobbiamo lavorare per eliminarla.

    Questo libro è un’opera fondamentale per procedere nella direzione aperta da Lina Merlin ed è per questo che ci piace ricordare qui l’hashtag con cui invitiamo tutte le donne e gli uomini a lottare con noi e portare a termine la rivoluzione femminista: #iosonoLinaMerlin.

    Ringraziamo la casa editrice, in particolare Angela Di Luciano, per avere creduto in noi e per il sostegno alla lotta abolizionista. L’amicizia e la relazione tra donne sono davvero la chiave del cambiamento.

    Resistenza Femminista

    Questo libro è dedicato alla scomparsa Denise Marshall, un piccolo gesto di gratitudine per tutto quello che ha fatto per porre fine

    alla violenza maschile sulle donne e le bambine durante la sua vita troppo breve. Denise è stata un’amica e una femminista

    di prim’ordine che ha salvato vite e cambiato i cuori e le menti delle persone. Sono certa che la sua eredità sarà fonte d’ispirazione per

    le nuove generazioni di femministe perché possano dare il meglio.

    1 Moran R., Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione , Round Robin Editrice, 2017.

    2 Herman J.L., Introduction: Hidden in plain sight. Clinical observations on prostitution, in Farley M. (ed.), Prostitution, Trafficking and Traumatic Stress , The Haworth Maltreatment and Trauma Press, 2003, p. 2.

    3 Cfr. in questo libro il cap. 1, par. La storia.

    4 Herman J.L., Introduction: Hidden in plain sight, cit.

    5 www.libreriadelledonne.it/stupro-a-pagamento-di-rachel-moran

    6 Herman J.L., Introduction: Hidden in plain sight, cit., p. 2.

    Introduzione

    Nel corso di un potentissimo discorso sul futuro del femminismo, tenuto nel 1995, la scrittrice Andrea Dworkin rivolse un invito al pubblico:

    Ricordatevi delle donne prostituite, delle senzatetto, di quelle maltrattate, stuprate, torturate, assassinate, stuprate e poi assassinate, assassinate e poi stuprate […] Voglio che pensiate a quelle che sono state fatte soffrire per il divertimento, l’intrattenimento, per la cosiddetta libertà di espressione di altre persone; a quelle che sono state fatte soffrire a scopo di lucro, per il vantaggio economico di sfruttatori e imprenditori. Voglio che ricordiate il colpevole e vi chiedo di ricordare le vittime: non solo questa sera, ma anche domani e il giorno dopo. Voglio che troviate il modo di includerli – i perpetratori e le vittime – in quello che fate, a come pensate, come agite, cosa vi interessa, cosa significa per voi la vostra vita.¹

    Il dibattito sul commercio sessuale ha raggiunto un nuovo abisso. A livello globale, ci sono gruppi finanziati per fare pressioni affinché ogni forma di prostituzione sia decriminalizzata. La maggior parte, o quasi, dei principali finanziatori si descrivono come organizzazioni per la difesa dei diritti umani. I cosiddetti attivisti per i diritti delle/dei sex worker marciano nelle strade agitando ombrelli rossi (un simbolo del movimento) e gridando slogan sul diritto delle donne e degli uomini di fare ciò che vogliono con il proprio corpo.

    Le femministe abolizioniste, molte delle quali sono sopravvissute al mercato del sesso, tentano di contrastare questo discorso dominante e spingono perché vengano introdotte leggi che criminalizzino coloro che pagano per il sesso e al contempo decriminalizzino coloro che lo vendono.

    Nessuna questione è più controversa di quella che si sta dibattendo tra femministe, liberali e difensori dei diritti umani a proposito del commercio sessuale. Le femministe radicali sostengono tendenzialmente che la prostituzione sia a un tempo causa e conseguenza della supremazia maschile, e che se le donne e gli uomini fossero uguali la prostituzione non esisterebbe: significa che, se vogliamo che le donne e gli uomini raggiungano mai l’uguaglianza, la prostituzione non deve esistere. Dall’altra parte, per i liberali, che credono nell’essenziale libertà di comprare e vendere sesso, o per i sostenitori dei diritti umani, che considerano l’accesso al sesso un diritto umano, l’abolizione non è assolutamente un’opzione. Dato che il commercio sessuale è ormai comunemente accettato, l’idea di porvi fine è diventata ancora più difficile da immaginare.

    Le leggi sulla prostituzione

    Attualmente, un certo numero di paesi nel mondo sono in una fase transitoria in termini di legislazione e politica sul commercio del sesso. Diversi paesi, tra cui Irlanda, Irlanda del Nord, Francia, Norvegia, Svezia e Islanda, hanno introdotto una legge che criminalizza chi acquista sesso e decriminalizza chi lo vende. Le abolizioniste, tra cui molte sopravvissute al commercio sessuale, chiedono di introdurre questo modello a livello globale. D’altro canto, i lobbisti pro-prostituzione reclamano leggi simili a quella in vigore in Nuova Zelanda.

    Nel luglio del 2016 la Commissione per gli affari interni del Parlamento britannico ha pubblicato una relazione provvisoria sulla prostituzione che guardava con favore alla decriminalizzazione del commercio sessuale. La relazione diceva anche chiaramente che i membri della commissione, presieduta da Keith Vaz (il quale tre mesi dopo, grazie a un giornale locale, si è scoperto essere un compratore di sesso), non avevano alcuna intenzione di suggerire una legge che criminalizzasse chi paga per il sesso. La Commissione ha dichiarato di non essere del tutto convinta che la legge abolizionista sia efficace nel ridurre, anziché semplicemente spostare, la domanda di prostituzione o nell’aiutare la polizia a contrastare il crimine e lo sfruttamento associati al commercio sessuale.

    Il modo in cui i governi regolano il commercio sessuale manda un messaggio forte sulla serietà con cui si affronta la questione dello sfruttamento sessuale e, più in generale, della violenza contro le donne.

    I due modelli

    Regolamentazione/decriminalizzazione

    La lobby pro-prostituzione ha adottato il termine decriminalizzazione e smesso di usare regolamentazione all’inizio degli anni Duemila. È in questo periodo che la Nuova Zelanda introduce – con una maggioranza ottenuta per un voto – la legge sulla riforma della prostituzione (Prostitution Reform Act), decriminalizzando il commercio sessuale (2003); esattamente nello stesso anno si riconosce ufficialmente che il sistema regolamentato nei Paesi Bassi è stato un disastro assoluto.

    Una delle risposte sempre più in voga alla domanda su cosa fare riguardo alla prostituzione è decriminalizzare l’intero mercato e rimuovere tutte le leggi specifiche relative al commercio sessuale. Si sostiene anche che la prostituzione dovrebbe essere considerata come qualsiasi altro lavoro. In base a questo sistema, i profitti di terzi derivati dal commercio sessuale dovrebbero essere consentiti liberamente, orientamento questo promosso dal programma congiunto delle Nazioni Unite su HIV/AIDS, Open Society e Amnesty International.

    La differenza tra decriminalizzazione e regolamentazione è che, nel primo contesto, la prostituzione viene trattata come qualsiasi altra attività commerciale e soggetta alle stesse regole. A sua volta, la regolamentazione implica che lo stato riconosce la prostituzione come un’attività legale, ma richiede la concessione di licenze per la prostituzione nei bordelli e mantiene le norme penali contro le altre forme di esercizio al di fuori di quei contesti, come la prostituzione in strada.

    Ciò che hanno in comune la completa decriminalizzazione e la regolamentazione è che nessuno dei due sistemi può avere come risultato una riduzione o la fine del commercio sessuale, mentre entrambi scolpiscono nella pietra l’idea che la prostituzione sia inevitabile e che esisteranno sempre sia l’offerta sia la domanda. Inoltre, entrambi rendono legali lo sfruttamento, la gestione di bordelli e l’acquisto di sesso.

    Il Modello nordico

    La legge è stata introdotta per la prima volta in Svezia nel 1999. Si tratta di un insieme di norme e politiche che criminalizzano la domanda di sesso commerciale e decriminalizzano chi vende sesso. Il Modello nordico ha due principali obiettivi: frenare la domanda di prostituzione e promuovere l’uguaglianza tra donne e uomini.

    Il sistema è stato successivamente adottato da Norvegia, Islanda, Canada, Corea del Sud, Irlanda, Irlanda del Nord e Francia. I governi di Israele, Lettonia e Lituania lo stanno valutando e nel 2014 il Parlamento europeo e l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa hanno approvato le raccomandazioni per implementare questo modello come il modo migliore per affrontare la prostituzione in Europa.

    I miti sul commercio sessuale includono l’affermazione che la prostituzione sia necessaria, inevitabile e innocua. Mostrerò prove chiare del fatto che queste convinzioni, diffuse dal movimento per i diritti delle sex worker, si basano su un neoliberismo fuorviante e su una mitologia fallace.

    La ricerca

    Durante la mia ricerca ho condotto circa 250 interviste in 40 paesi, città e stati. Ho parlato con sopravvissute alla prostituzione, con attivisti per i diritti delle sex worker, papponi, compratori di sesso, proprietari di bordelli, attivisti per l’AIDS, lesbiche, gay, associazioni di bisessuali e transgender, agenti di polizia e femministe contrarie alla prostituzione. Ho intervistato persone comuni che sapevano poco o niente del commercio sessuale. Tutte avevano un’opinione ferma e convinta.

    Sono andata in luoghi in cui il mio punto di vista era decisamente in minoranza. A Vienna, a una conferenza universitaria sulla politica e le leggi sulla prostituzione, intitolata Il problema della prostituzione, ero una dei soli quattro relatori – su 185 – convinti che fosse davvero un problema. Gli altri 181 ritenevano che tutti gli aspetti del commercio sessuale dovessero essere decriminalizzati.

    A Leeds, nel Regno Unito, trascorro una gelida serata vicino alla zona gestita dove Daria Pionko, una giovane prostituita di 21 anni, è stata ferita a morte; mentre il libro va in stampa, un uomo di 24 anni, che si ritiene fosse il suo magnaccia, è in attesa di processo per l’omicidio. Ho parlato con residenti, agenti di polizia, altri giornalisti e le donne stesse: nessuno risponde quando chiedo se la zonizzazione ridurrà il pericolo per chi opera al suo interno.

    Visito i bordelli legali e autorizzati negli Stati Uniti, in Germania e nei Paesi Bassi. Ai Porn Awards di Los Angeles incontro Siouxsie Q, fondatrice di The WhoreCast: Sharing the Stories, Art and Voices of American Sex Workers [La voce della puttana: storie, arte e voci delle sex worker americane] e il mattino dopo, in un caffè a Hollywood, parlo con un uomo ex vittima di tratta sessuale.

    A Vancouver, in Canada, faccio un giro a Downtown East Side, un quartiere poverissimo, in compagnia di Courtney, una giovane donna nativa che lavora per un centro di accoglienza per vittime di stupro. Centinaia di donne e ragazze native sono scomparse da questa zona. Alcune sono state uccise dal serial killer Robert Pickton, che ha dato i resti delle vittime in pasto ai maiali della sua fattoria.

    Nel Gujarat, in India, mi spingo fino a un villaggio che sussiste grazie alla prostituzione e incontro un uomo che prostituisce la propria moglie, la sorella, la zia e la madre.

    A Dubai, negli Emirati Arabi, scopro che quello che dovrebbe essere un rifugio per donne vittime di tratta è, a mio avviso, un centro di detenzione gestito dal governo in cui le donne restano fino a quando possono essere rimpatriate nei paesi d’origine.

    In Svezia, dove i corpi delle donne non sono in vendita, assaggio il salmone marinato insieme a Carina, un’attivista per i diritti delle sex worker, la quale si dice talmente sconvolta dalle posizioni delle abolizioniste femministe da affermare: Non potrei nemmeno pronunciare quella parola, ‘femminista’.

    In Turchia, a Istanbul, parlo con gli uomini in fila fuori da uno dei bordelli della città prima di essere mandata via dalla sicurezza perché qui sono ammessi solo gli uomini.

    Alla centrale di polizia di Bergen, in Norvegia, si trova la prima unità costituita di uscita dalla prostituzione. La mia guida è l’agente Jarle Bjørke, che va nelle scuole e chiede agli studenti se sia un diritto umano comprare il corpo di qualcun altro. La Norvegia ha reso illegale l’acquisto di sesso nel 2009, come sia stato possibile per Bjørke è semplice da capire: è una questione di cittadini che sanno distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è.

    A L’Aia incontro le abolizioniste, libere finalmente di esprimersi contro il commercio sessuale nei Paesi Bassi. Mi dicono che l’ostilità delle cosiddette femministe nei confronti di chiunque criticasse il commercio sessuale ha impedito loro di avere qualunque confronto sull’argomento.

    Durante un viaggio in Cambogia ascolto alcune donne prostituite che vivono lungo una linea ferroviaria dismessa a Phnom Penh senza acqua né servizi igienici. Con loro c’è un’esponente del consiglio di Women’s Network for Unity (WNU), una ONG locale finanziata per presentare le donne come attiviste per i diritti delle sex worker.

    Nell’Irlanda del Nord, indubbiamente la parte più devota del Regno Unito, ascolto il racconto di come la legge abolizionista, presentata da Lord Morrow del Partito unionista democratico, è stata approvata con 81 voti a favore contro 10.

    Boston, nel Massachusetts, ospita un vivace movimento abolizionista. A colazione incontro Donna Gavin, una donna dalla parlata veloce, detective e comandante dell’Unità della polizia di Boston che si occupa del traffico di esseri umani, la quale mi dice che i magnaccia che prendono di mira donne giovani e vulnerabili stanno diventando sempre più brutali e sadici.

    A Zurigo, la capitale economica della Svizzera, visito la zona dei bordelli legali e intervisto i passanti nei dintorni del bordello drive-in.

    Un gruppo di femministe abolizioniste a Seoul, nella Corea del Sud, mi porta a fare un tour del quartiere a luci rosse di Cheongnyangni, dove vedo uomini di tutte le età entrare e uscire dai bordelli-vetrina. Sono le cinque del pomeriggio, forse fanno una scappata per una sveltina all’uscita dal lavoro.

    Un autista di tuk-tuk a Phnom Penh mi porta per i luoghi della prostituzione, dove parlo con i turisti sessuali britannici, con le giovani donne che quegli uomini stanno comprando e con gruppi di donne prostituite nel parco, identificabili dalle maschere nere sul viso.

    In un sobborgo di Amsterdam trascorro la notte all’Happy House B&B e ceno con Xaviera Hollander, co-autrice di un libro intitolato The Happy Hooker, la puttana felice, basato sulle sue esperienze di prostituita diventata pappona. Durante la cena chiedo a Hollander, una convinta sostenitrice della regolamentazione, se secondo lei è possibile eliminare lo sfruttamento dal commercio sessuale. La prostituta media, la prostituta più semplice che siede dietro la finestra e fa il suo mestiere, dice Hollander, è come una pecora e seguirà gli ordini del suo pappone.

    A Parigi discuto i legami tra la politica queer e la prostituzione, in Norvegia dei problemi nell’applicare la legge abolizionista.

    Grazie agli incontri con le sopravvissute abolizioniste a New York, a Los Angeles, nel Minnesota, a Boston, a Monaco, in Svezia, a Montréal, a Vancouver, in Cambogia e nel Regno Unito, riesco a disegnare la mappa di un movimento per la giustizia sociale e a comprendere come si è arrivati a fraintendere il commercio sessuale globale.

    Alla Corte Suprema dell’Irlanda del Nord, che ha criminalizzato l’acquisto di sesso nel 2015, ascolto le argomentazioni avanzate durante un riesame giudiziario della legge richiesto da Laura Lee, un’attivista che conduce campagne per la decriminalizzazione totale del commercio sessuale.

    I capitoli

    Il capitolo 1 esplora le origini e analizza l’ascesa del movimento abolizionista moderno dal 1985 a oggi. Incontriamo attiviste, politici, agenti di polizia e sopravvissute al commercio sessuale che si sono uniti nel tentativo di smantellare il mercato del sesso.

    Nel capitolo 2 incontriamo la lobby dei diritti delle sex worker e vediamo quali sono le sue origini e le sue figure chiave, con una descrizione delle tesi e delle tattiche nonché degli scopi e delle obiezioni di chi promuove la piena decriminalizzazione del mercato del sesso, nel quale molte di loro sono coinvolte. Incontro Xaviera Hollander, che con la sua autobiografia nel 1971 ha reso popolare l’idea che la prostituzione sia un’attività piacevole.

    Il capitolo 3 si concentra su ciò che intendo per dare un aspetto pulito e rispettabile al commercio sessuale, il processo, cioè, tramite il quale la lobby pro-prostituzione ha fatto perdere il suo significato al linguaggio, per cui i papponi sono diventati manager, le donne prostituite sex worker e lo stupro un rischio del mestiere.

    Nel capitolo 4 vengono esaminate le conseguenze della regolamentazione e della decriminalizzazione del commercio sessuale. Nei viaggi in Australia, Nevada, Germania, Svizzera e Paesi Bassi (tutti paesi con regimi di regolamentazione) approfondisco le conseguenze della regolamentazione per le donne, i compratori di sesso, i papponi, i proprietari di bordelli, la polizia e il pubblico.

    Gli acquirenti di sesso vengono messi sotto la lente nel capitolo 5. Nonostante una crescente attenzione nei loro confronti, gli uomini che comprano sesso rimangono ancora in gran parte invisibili nei media, nella ricerca accademica, nell’applicazione della legge e nelle campagne contro i danni nel commercio sessuale. Descrivo le opinioni sia della lobby dei diritti delle sex worker sia delle femministe abolizioniste, e parlo con gli uomini che pagano per il sesso e con le donne che questi uomini comprano.

    Il capitolo 6 affronta il ruolo dei liberali e delle organizzazioni per i diritti umani che fanno pressione per la totale decriminalizzazione del commercio sessuale. Esamino la ragione per cui, quando si tratta dell’accesso sessuale maschile, le donne sono escluse dal dibattito sui diritti umani.

    Il capitolo 7 prende in esame l’industria dell’HIV/AIDS e il suo sostegno alla lobby pro-decriminalizzazione. Dagli anni Ottanta, la fornitura di servizi, la politica, la legislazione e l’opinione pubblica sono state modellate dall’approccio e dal finanziamento della comunità dell’HIV. Spiegherò quali sono i legami tra i vari protagonisti chiave della lobby per i diritti delle sex worker e il mondo dell’AIDS e chi sono i principali finanziatori che sostengono la lobby.

    Nel capitolo 8 traccio una mappa delle sopravvissute al commercio sessuale e intervisto le donne che fanno campagna per porre fine alla prostituzione. Molte sono formatrici, operatrici sociali, scrittrici e educatrici.

    Dovrebbe essere chiaro al lettore che non pretendo di affrontare questo argomento senza un punto di vista. Negli ultimi trentacinque anni ho condotto campagne per porre fine alla violenza maschile nei confronti delle donne e delle ragazze, perché considero la prostituzione un modo di esercitare il controllo su di noi da parte degli uomini. Tuttavia ho imparato molto nel raccogliere materiale e dati per questo libro. È giusto oltreché corretto continuare a imparare gli uni dagli altri, e cambiare e ampliare le nostre opinioni e i nostri convincimenti.

    Durante le ricerche per questo libro ho condotto circa 250 interviste con una varietà di persone, compresi i rappresentanti di alcune categorie e organizzazioni. Prima dell’intervista le persone sono state informate che avrei utilizzato le informazioni ottenute citando testualmente le loro parole, sia nel libro sia in qualunque attività promozionale per il libro. All’inizio di ogni intervista ho chiesto il permesso di registrare l’audio dei colloqui, che è stato concesso da tutti gli intervistati. Ho anche chiesto se fossero d’accordo sull’utilizzo dei loro veri nomi e dell’organizzazione rappresentata, ove fosse il caso. In alcuni casi mi è stato detto di usare uno pseudonimo e mi sono accordata con le singole persone sullo pseudonimo da utilizzare.

    Tutte le interviste sono state trascritte e archiviate in modo sicuro, e altrettanto è stato fatto con

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