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Abortire tra gli obiettori
Abortire tra gli obiettori
Abortire tra gli obiettori
E-book170 pagine2 ore

Abortire tra gli obiettori

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Info su questo ebook

Un’esperienza di Laura Fiore. Un tema difficile quello dell’aborto, un tema che coinvolge le coscienze delle persone. Una scelta, checché ne dicano gli oppositori, che coinvolge e sconvolge profondamente ogni singola donna “costretta” a questa scelta. Sì, costretta: per motivi economici, di salute di lei o del bambino, per una violenza subita oppure non è pronta in quel momento a essere genitore, a dare tutto quello di cui un figlio ha bisogno… Un percorso così difficile, tormentato e doloroso che la donna percorrendolo necessita e ha diritto solamente a essere aiutata, accudita, sostenuta, consolata e curata. Le convinzioni personali devono restare fuori per quello che sono, personali appunto. Come dice il Ginecologo e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica Carlo Flamigni, in un’intervista “non si può costringere un medico a praticare aborti (se il suo credo non lo permette), ma costringerlo a cambiare mestiere sì, nessuno troverebbe normale che ci fosse un Testimone di Geova a fare trasfusioni…
il libro è stato citato due volte con una breve intervista all’autrice su Donna moderna in due diversi servizi. Un servizio è stato pubblicato su Grazia e sulla Gazzetta del mezzogiorno.
L’autrice, Laura Fiore, è stata intervistata da diverse radio, televisioni e blog europei.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2019
ISBN9788834157169
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    Anteprima del libro

    Abortire tra gli obiettori - Laura Fiore

    In copertina:

    Danae, un dipinto olio su tela di cm 77x83 realizzato tra il 1907 e il 1908 dal pittore austriaco Gustav Klimt.

    Danae fu fecondata nel sonno da Zeus, trasformandosi in pioggia d'oro...

    La donna è rappresentata rannicchiata in primo piano, ripiegata su se stessa, avvolta in una forma circolare, che rimanda alla maternità e alla fertilità universale...

    Il corpo completamente abbandonato di Danae è circondato e ricoperto dai capelli, da un velo orientaleggiante e sulla sinistra da una pioggia d'oro. Nello scroscio della pioggia che rieccheggia di preziosismi bizantini, Klim aggiunge un simbolo, un rettangolo verticale nero, che rappresenta il principio maschile. (Wikipedia)

    Collezione privata, Vienna

    collana

    TEMPESTA LAICA

    Abortire tra gli obiettori

    di Laura Fiore

    I edizione cartacea maggio 2012

    I edizione ebook febbraio 2015

    collana: Tempesta Laica

    documenti a cura di Tempesta Laica

    Tempesta Editore

    via G. Andreoli, 1 - 00195 Roma - cell. 3479282082

    Tempesta editore

    info@tempestaeditore.it

    ABORTIRE TRA GLI OBIETTORI

    Laura Fiore

    La moderna inquisizione: diario del mio aborto terapeutico

    Prefazione di

    Stefania Cantatore

    A Katesh*;

    la figlia a cui ho rinunciato.

    *All’anagrafe porta il nome di Maria, ma quello è il nome dato a un corpo, scelto da mio marito quando pensava ancora di essere cattolico, mentre Katesh è un personaggio del libro Sarum che finii di leggere mentre ero incinta, vittima sacrificale, nella finzione del romanzo, dell’inaugurazione del tempio di Stonehenge.

    Paradossalmente quel nome è stato profetico perchè mia figlia, subendo la rianimazione forzata è stata sacrificata alla sperimentazione scientifica.

    Laura Fiore

    Nata a Napoli il 19 marzo 1969, dove vive.

    Studi artistici, di professione pittrice decoratrice (per non dire casalinga disoccupata seppur impegnata nel volontariato per le donne, ma non solo).

    Moglie dal 2002 e madre dal 2004, mancata madre della secondogenita dal 2008.

    Politicamente a sinistra, femminista, religiosamente agnostica e assolutamente anticlericale nelle proprie scelte personali (matrimonio civile, niente Prima Comunione né per se né per sua figlia, esonerata dalla religione cattolica a scuola fin da quella dell'infanzia).

    Vorrei ringraziare mio marito

    che mi ha sostenuta nella scelta

    e aiutata a uscire dal dramma che si è creato;

    la mia famiglia d’origine

    e le persone che mi sono state vicine

    Laura

    PREFAZIONE

    di Stefania Cantatore (responsabile UDI di Napoli)

    L’Unione Donne in Italia (UDI) è un'associazione femminile di promozione politica, sociale e culturale, senza fini di lucro.

    Nel novembre 1943 erano stati creati i Gruppi di difesa della donna diretti da Rina Piccolato, riunendo gruppi femminili e donne antifasciste d’ogni provenienza con lo scopo di mobilitare le masse femminili contro l'occupazione.

    Dai gruppi escono le prime gappiste, le partigiane combattenti, le staffette, tanto che i Gruppi vennero ufficialmente riconosciuti con il loro organo clandestino Noi donne dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.

    Nel settembre 1944 a Napoli vengono poste le basi dell’UDI e anch’essa partecipa alla resistenza.

    L'Unione Donne Italiane si costituisce ufficialmente il 1º ottobre 1945 e pochi giorni dopo il primo congresso nazionale vede i Gruppi di difesa della donna confluire nell'unione per creare la più grande organizzazione per l’emancipazione femminile italiana.

    Nel 1947 al termine del secondo congresso viene eletta presidente dell’UDI la comunista Maria Maddalena Rossi.

    Segretaria generale è la socialista Rosa Fazio Longo. Nel comitato d'onore vengono chiamate Rita Montagnana, Ada Gobetti e Lina Merlin più tardi autrice della norma che mise fuori legge le case di tolleranza.

    A dirigere l'UDI viene creato anche un direttivo di ventisette donne e un consiglio nazionale di centocinquanta componenti.

    Nel 1982 viene avviata una rifondazione che porta a una nuova struttura. Di fatto viene accantonato un modello organizzativo che in quel momento contava su duecentodiecimila donne comuniste, socialiste e cattoliche distribuite in ottantaquattro sedi provinciali e melleduecentotrentacinque circoli.

    Il 29 novembre 2003 assume il nome di Unione Donne in Italia.

    L’UDI ha sede a Roma e gruppi attivi in quasi tutte le regioni d'Italia.

    La legge 194 è una mediazione: tra il diritto delle donne e la ragion di Stato

    È la mediazione tra le facoltà femminili, di cui la cultura ufficiale ha obliterato la memoria nei corpi e nelle menti, e l’esigenza di controllare la maternità, ovvero la produzione del genere umano.

    Una buona legge, l’unica possibile nel nostro Paese immobile: l’Italia dove il potere è affiancato da lobbies impenetrabili.

    La storia della 194 è però anche una storia di conflitti femminili, tra chi voleva la semplice depenalizzazione dell’aborto e chi sosteneva che quella avrebbe lasciato un vuoto che il potere avrebbe riempito di regole ancor più violente per le donne.

    La legge sull’aborto, è quella che ha introdotto il principio dell’autodeterminazione nella maternità e con l’istituzione dei consultori (legge 45) ha segnato un’epoca il cui retaggio attuale, e fortemente simbolico, consiste nella possibilità delle donne di affrontare l’interruzione della gravidanza nelle migliori condizioni sanitarie e senza rischi e liberamente scegliendo. Le facoltà materne, teoricamente tutelate dalla legge e da quella legge, nel tempo e velocemente di pari passo con le conquiste tecnico-scientifiche, sono state consegnate pressoché totalmente, nel mondo occidentale, al potere medico che lucra e determina quel distacco tra la memoria dei corpi e quella delle menti.

    Si tratta di un’ideologia, e di un’intenzione, che confligge non solo con l’interesse femminile ma anche con la sua essenza inalienabile. Tra le donne e questa ideologia, si è acceso un conflitto permanente dove la medicina mercantile non può mai dire di aver vinto definitivamente, né può vantare l’asservimento della parte femminile della popolazione mondiale al ruolo di serbatoio di riproduzione del genere umano.

    I corpi e le menti inseparabili sono il motore della storia e del progresso, e il conflitto tra quella medicina e le donne è la rappresentazione del conflitto tra evoluzione umana e civile e l’esigenza del controllo, atavico, su chi, unica, ha il potere di mettere al mondo la vita.

    La vetusta organizzazione degli Stati moderni [?] ha bisogno di sudditi, mentre le donne mettono al mondo altre donne e uomini pericolosamente liberi: incatenare la madre per farlo coi figli. La propaganda che trasforma l’aborto in un’eresia, il parto in un pericolo, il nutrimento in una tecnica competente rappresenta la voce di un potere complesso al servizio di meccanismi crudeli dove tutti perdono sul piano umano, ma dove il patriarcato può disperatamente salvare i suoi privilegi.

    La contraddizione, inevitabilmente permanente, tra facoltà femminili e ragion di Stato suggerisce l’urgenza di andare oltre la semplice applicazione sanitaria della legge, postula anzi l’estensione del principio latente, nella 194, del magistero del sapere materno in tutte le articolazioni del vivere comune.

    Nominalmente la legge riguarda tutta la maternità responsabile

    La terribile esperienza di Laura è una catastrofe personale, fino all’incontro, voluto fermamente da lei, con la prospettiva di socializzare un dolore, grande, e con il movimento delle donne.

    Femminismo e socializzazione, sono state anche la chiave che ha permesso il funzionamento di una parte della legge, appunto, quella che riguarda l’aborto. Questo funzionamento non sarebbe però stato possibile, se le donne non avessero messo mano alla legge, stabilendo un principio di legalità certa sull’eventuale lucro derivante dall’esecuzione tecnica degli aborti. L’aborto clandestino è punito.

    Sul resto del territorio umano contenuto nella legge, fu impossibile al tempo interagire: tante donne mobilitate, erano (e sono) percentualmente poche di fronte ad un’armata economico-partitico- religiosa, che ha piedi, mani e teste nel potere.

    La ragion di Stato è ancora fondamentalmente controllare le donne attraverso la maternità, e lo è per molti Stati, tutti quelli conosciuti e riconosciuti nella comunità internazionale.

    I correttivi introdotti nella legge, ad argine della libertà femminile, sono molti e di diversa natura, ma quello nel quale si ripete l’antico veto è il diritto del medico a sollevare obiezione di coscienza. È, l’istituto dell’obiezione di coscienza, un problema che si mostra di portata sempre più vasta: ricorrono a questo, che ormai sembra sempre più un escamotage, figure professionali di varia dimensione, dai barellieri fino ai primari - non è necessario essere esperte, basta una sola visita a un reparto IVG (interruzione volontaria di gravidanza), per constatare che gli obiettori fanno carriera, che i medici abortisti sono trattati come paria e che le pressioni strutturali sono inevitabili.

    L’obiezione di coscienza si configura come titolo di merito in carriera, pur essendo un’astensione pagata dal lavoro-.

    L’Italia tra i paesi che garantiscono il diritto all’IVG è l’unica ad avere questo istituto. Sull’obiezione di coscienza, laici, femministe, giuristi progressisti hanno sviluppato una critica essenzialmente pragmatica.

    Si è parlato dell’obiezione come ipocrisia, come elemento di conformismo, come elemento favorevole nello sviluppo delle carriere ospedaliere, e si è parlato anche dell’anomalo ricorso all’obiezione da parte del personale paramendico. La parte favorevole all’obiezione in campo medico, è una parte forse non numericamente tanto rilevante, rispetto alla coscienza diffusa nel paese che ormai considera l’aborto gratuito e assistito in ospedale un diritto, ma è una parte che ha radici profonde nella politica Istituzionale e in quella ha un numero altissimo di fautori. In qualche modo è un altro dei segni della profonda divaricazione tra politica e cittadini.

    L’evidenza attuale è che è necessario su questa materia sviluppare un confronto nel merito dell’obiezione, sulla sua dimensione politica e concettuale, sulla sua legittimità etica (Chiara Lalli, C’è chi dice no. Il Saggiatore, 2011), in direzione di una diversa regolamentazione e trasparenza. La vicenda umana di Laura sarebbe stata ben differente se fosse stata avvertita dei turni in ospedale degli obiettori e soprattutto se l’ospedale non avesse istituzionalmente vietato l’ingresso alla solidarietà femminile, sottratto competenze professionali di tipo psicologico, vessato il decorso post intervento di IVG.

    La vessazione delle pazienti è per altro il segno della debolezza di uno Stato che con la tecnica vorrebbe governare la vita fin nelle sue più recondite pieghe, ma che non può: pena la distruzione della vita stessa.

    Le pazienti nei reparti di IVG sono vessate, colpevolizzate inutilmente, sottoposte a trattamenti invasivi aggiuntivi.

    La vicenda di Stato dell’introduzione dell’RU486 (compresse di mifepristone) nelle tecniche abortive, è una storia costellata di insensati veti (di nuovo) e di passaggi burocratici che hanno rivelato che il mondo della scienza in Italia è un mondo etico dove la coscienza del medico è prioritaria rispetto alla salute delle donne, e dei pazienti in generale.

    Sarebbe il tempo di confronto. Ma con quale politica?

    Se sia o no compatibile Il giuramento d’Ippocrate col rifiuto di assistere una paziente dopo un intervento di IVG, se sia o no legittima l’obiezione di coscienza per chi esercita la propria professione in una struttura pubblica, attualmente, sono quesiti ai quali dovrebbe rispondere la politica.

    Questa politica dove gli interessi sono lontani dal rispetto del corpo fertile delle donne, e dal sapere che ne deriva, questa politica forse è meglio che non si occupi di farlo.

    Ancora una volta la risposta, vera, agli interessi delle cittadine sta tutta in quella 194, una così perfetta mediazione, e così in grado di garantire la sfera, intoccabile, della libertà femminile in un Paese che ancora la rifiuta, e che proprio

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