Sherlock Holmes e il cammino del Poeta
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Giallo - romanzo (155 pagine) - Sherlock Holmes e il Dr. Watson affrontano un viaggio futuristico e un sentiero sepolto nel passato alla ricerca di un pericoloso segreto celato tra le pagine del più grande poema italiano di tutti i tempi: la Divina Commedia.
Chiamati da un giovane amico per ritrovare una persona scomparsa, Sherlock Holmes e il fido Dottor Watson indagano sulle pagine di un antico libro per ritrovare un sentiero sepolto nel passato. Affronteranno viaggi futuristici, percorsi nascosti sotto le viscere della terra e un Generale della Royal Navy britannica, autore della guerra anglo-zanziberiana, pronto a tutto per svelare il segreto alla fine del cammino del poeta.
Marco Gaviani, classe 1967, arruolato dall’età di 14 anni quale correttore di bozze per i libri di suo padre, ha sempre amato molto la letteratura, la musica e naturalmente scrivere.
Ha mosso i primi passi come autore di brani musicali per cantanti in erba e per due band, dove ha militato anche come batterista, realizzando alcuni album tra il 1995 e il 2015. Nel 1998 ha partecipato alla stesura dell’ultimo libro di suo padre, Un contadino in pace e in guerra, con prefazione di Norberto Bobbio, dove si narra la vita di un soldato della Seconda guerra mondiale. Nel 2015 ha pubblicato con un amico una raccolta di poesie dal titolo Una favola di Musica. Ha partecipato con alcuni suoi racconti a vari concorsi, piazzandosi tra i primi posti.
Sherlock Holmes e il cammino del poeta è il suo primo romanzo.
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Anteprima del libro
Sherlock Holmes e il cammino del Poeta - Marco Gaviani
Introduzione dell’autore
Questa introduzione parte con il segnalare un refuso; difatti la mia è, sì, una introduzione ma non posso certo definirmi autore
e tra poco si comprenderà il motivo di questa mia precisazione.
Ho sempre amato Sir Arthur Conan Doyle ma ancora di più ho amato e amo Sherlock Holmes e il Dottor Watson ed è una passione che mi porto dietro sin da fanciullo.
Tutto ciò nasce da mio nonno, classe 1891, che cominciò a leggermi i primi racconti del detective inglese quando avevo appena nove anni.
Carlo, così si chiamava, passava ore a parlarmi dei suoi due miti e mi raccontò di aver conosciuto personalmente Conan Doyle durante un viaggio in Italia del celebre scrittore.
Nel giorno esatto del mio nono compleanno mi regalò Uno studio in rosso, in una edizione del 1936, e quando festeggiai quattordici anni fu la volta de Il segno dei quattro.
Era il 1981 e a luglio dell’anno dopo venne a mancare.
Fu un grande dolore per me ma immaginate la mia sorpresa quando, quattro anni dopo, al mio diciannovesimo compleanno, mi vidi recapitare da uno studio notarile Il mastino dei Baskerville. Il romanzo era accompagnato da una lettera, scritta di proprio pugno da mio nonno, dove mi raccontava di questo suo grande gioco
, così lo chiamava parafrasando Holmes, che consisteva nel regalarmi ogni cinque anni un romanzo o una raccolta di racconti del celebre investigatore.
E la cosa si ripetò, puntualmente ad ogni lustro, nel giorno del mio compleanno, giungeva un corriere a casa mia con La valle della paura, poi fu la volta de Le avventure di Sherlock Holmes e via di questo passo.
Giunto alla soglia del mezzo secolo d’età, mentre stringevo in mano Il taccuino di Sherlock Holmes, fui colpito da una grande tristezza: conoscevo bene il canone di Conan Doyle e dunque sapevo che quello era l’ultimo regalo di mio nonno Carlo.
Ma sbagliavo.
Ho compiuto da poco cinquantaquattro anni e quel giorno ho creduto di morire dall’emozione.
Erano le 9 di una mattinata calda e ho sentito il campanello mentre uscivo dalla doccia.
Pochi minuti dopo, sono sceso in salotto e mia moglie mi ha indicato un pacco poggiato sul pianoforte dicendomi, in tono di scherno, Cos’hai di nuovo ordinato su Amazon?
.
Sapevo di non aver acquistato nulla, incuriosito ho aperto il pacchetto e per poco non sono svenuto. Come potete immaginare, era di mio nonno, con una lettera e un fascio di fogli legati da una cordicella di seta. La lettera, sempre scritta di suo pugno, diceva:
Caro nipote, sono convinto di averti davvero sorpreso questa volta.
Credevi che il nostro Grande gioco
si fosse concluso al compimento dei tuoi 49 anni con Il taccuino di Sherlock Holmes e invece no.
Non era quello il mio ultimo dono ma il manoscritto che ora reggi tra le mani.
Non posso svelarti i motivi per i quali ho aspettato tanto a spedirti questo racconto ma sappi che è a causa di una promessa che ho fatto e che ora ho potuto sciogliere passando a te il compito di renderlo pubblico.
So che lo farai con quell’amore e quel rispetto che ti ho trasmesso anche perché, come scoprirai leggendolo, tra queste pagine non vi è soltanto una storia, tanto incredibile quanto reale, ma si cela la risposta all’annosa domanda che tutti gli appassionati di Holmes si fanno da sempre: Il più famoso detective d’Inghilterra e il suo fido assistente, sono davvero esistiti?
Lascio a te e ai lettori il compito di dare una risposta.
La lettera si concludeva con un saluto pieno di calore e mi ci è voluto qualche minuto per riprendermi.
Ho passato tutto il giorno e la notte successiva a leggere il racconto e ho capito perché mio nonno abbia posto quella domanda.
Come molti appassionati delle storie dei due inglesi, anche io vivevo e vivo nella convinzione che le loro gesta non siano solo frutto dell’immaginazione di uno scrittore ma che, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il celebre detective ed il suo inseparabile amico abbiano davvero calpestato le strade di Londra e di buona parte dell’Europa.
Questo pensiero mi ha portato, inevitabilmente, a conoscere diversi fatti e personaggi del periodo menzionato, quasi a voler cercare nella vita e nelle imprese di altri uomini la presenza dell’investigatore e del suo fido compagno.
Ed è proprio ciò che accade qui: i due protagonisti, infatti, incontrano personaggi realmente esistiti e Watson racconta e vive in prima persona fatti di cui si parla in libri e racconti documentati del periodo tra la seconda metà del 1800 e i primi anni del 1900.
Ecco, dunque, il perché della mia introduzione. Non posso attribuirmi il titolo di Autore
ma posso perlomeno riportare qui, a beneficio del lettore, i riferimenti ai personaggi storici con cui hanno avuto a che fare Sherlock Holmes e il Dottor John Watson.
HENRY WADSWORTH LONGFELLOW (1807 – 1882)
Poeta e scrittore americano, autore di poemi epici e tra i primi traduttori nel mondo anglosassone delle opere in italiano e nelle lingue neolatine. Unico scrittore non britannico ad avere un busto commemorativo a Westminster Abbey
ERNEST WADSWORTH LONGFELLOW (1845 – 1921)
Secondo di sei figli di Henry Longfellow, nato a Cambridge, Massachusetts, possiede un buon numero di dipinti di vari artisti e dipinge lui stesso con notevole bravura
LLOYD MATHEWS (1850 – 1901)
Primo ministro di Zanzibar, si unì alla Royal Navy come cadetto all’età di 13 anni e venne nominato Generale per l’Africa orientale nel 1891. Con le sue truppe ebbe un ruolo chiave nella guerra Anglo-Zanziberiana del 1896
LUIGI FATTI (1866 – 1940)
Nato in Toscana, nei primi anni del XX secolo prenderà dimora a Johannesburg, in Sudafrica, dove, nell’ottobre del 1927, fonderà la Società Dante Alighieri, per mantenere viva la lingua e la cultura italiana, affinché gli immigrati non smarrissero il legame con la madre patria
JOHN EDWARD CAPPER (1861 – 1955)
Colonnello della British Army e ingegnere di notevole esperienza, è stato coinvolto in numerosi progetti di costruzione ed ha aperto la strada allo sviluppo di dirigibili in Gran Bretagna
JAMES LETHBRIDGE BROOKE TEMPLER (1846 – 1924)
ufficiale del King’s Royal Rifle Corps e della Royal Engineers, ha elaborato vari studi, come l’utilizzo dell’idrogeno in bombole, e diversi metodi di addestramento.
Nel 1907, insieme al Colonnello Capper, ha compiuto il primo volo ufficiale su Londra a bordo di un dirigibile britannico, chiamato il Nulli secundus (dal latino secondo a nessuno
).
Prefazione
È capitato più volte che io abbia introdotto qualche nuovo racconto sulle gesta del mio amico Sherlock Holmes con termini quali segretezza
, occultamento
e con epiteti diretti al celebre detective come geniale
, sorprendente
o incredibile
. Tutte espressioni riportate a ragion veduta, le prime a fronte del silenzio giurato da me e il mio amico in merito a faccende che non potevano essere rese pubbliche se non trascorso un certo tempo, e solo dietro autorizzazione delle parti in causa, le seconde, spinto dalla necessità di riportare quanto l’acume, la forza e lo spirito di quell’uomo fossero per me motivo di meraviglia, di rispetto e di stima infiniti.
Non vi stupirete, dunque, se inizierò codesta mia nuova narrazione sottolineando la straordinarietà dei casi trattati e l’intelligenza dimostrata dal mio amico nel superarli.
Non vi stupirete, ma dovreste, perché mai come in questa avventura ci si è trovati ad affrontare l’inimmaginabile, a conoscere verità sepolte, a seguire sentieri e percorsi al limite della ragione umana.
Ho davvero temuto il peggio, non soltanto per me ma soprattutto per quella mente brillante e unica, messa a così dura prova dagli avvenimenti che ci hanno visto raggiungere paesi e città sconosciute, che ci hanno fatto incontrare persone e figure appartenenti a tempi lontani e che hanno portato alla luce un luogo segreto che, non esito a dire, soltanto un uomo come Sherlock Holmes poteva svelare.
Londra stava affrontando un piovoso novembre di un piovoso 1900 e, nonostante la mia attività di medico nell’ultimo periodo si fosse notevolmente ridotta, tutta quella umidità mi aveva portato a far visita ad alcuni pazienti, per lo più amici e conoscenti, afflitti da influenze e nasi gocciolanti.
Fu quindi con piacere che decisi di concedermi una giornata di meritato riposo in compagnia del mio caro amico.
Capitolo I
Alzai la testa dal giornale e guardai in direzione dell’altra poltrona, Sherlock Holmes teneva gli occhi chiusi e le mani alte davanti al viso, con le dita che si sfioravano.
Dopo una mattinata di chiacchiere, aggiornamenti sui rispettivi stati di salute e qualche breve resoconto degli ultimi casi risolti dal mio amico, eravamo scivolati in un silenzio confortante e piacevole, come quelli che tante volte avevano accompagnato le nostre giornate appena prima che un nuovo omicidio o un nuovo mistero venissero a sconvolgerle.
Scostai il giornale e guardai la finestra; la pioggia che da due giorni insisteva a bussare sul vetro al primo piano di Baker Street aveva un che di ipnotico e sembrava un tentativo maldestro di comunicare con uno strano alfabeto morse.
La cosa mi divertì al punto che socchiusi gli occhi e mi concentrai per tentare di tradurre in lettere, e poi in parole, il ritmo sconclusionato che sentivo.
Alcuni ticchettii erano più forti di altri e sembravano seguire una precisa cadenza.
Ero un po’ fuori esercizio, ma mi sembrava che quei colpi stessero formando ora una J, poi una O, e quella dopo era sicuramente una H, e una N, J… O… H… N! JOHN!
– Che diamine! – esclamai aprendo gli occhi.
In controluce davanti alla finestra, il mio vecchio amico sorrideva allegro, continuando a picchiettare sul vetro con il bocchino della pipa.
– Holmes! – sbottai tra l’indignato e il divertito. – Dovevo immaginarlo!
– Non se la prenda, Amico mio – replicò il detective. – Le ho giocato un piccolo scherzo, lo ammetto, ma lei è un fantastico soggetto per allenare il mio cervello. Dopo qualche minuto che fissava la finestra ho notato che chiudeva gli occhi e, appoggiata la mano al bracciolo, ha cominciato a picchiettare con le dita seguendo il ritmo della pioggia sul vetro. Ho pensato alla nostra discussione sul codice Morse di qualche tempo fa, ho pensato che potesse ricordarsi di quello che avevamo detto, dell’alfabeto che si può riprodurre soltanto con punti e linee o, come nel suo caso, con colpi a distanza più o meno breve – l’alta figura del detective si scostò dalla finestra. – A quel punto è stato facile immaginare quale gioco lei stesse facendo e mi sono preso la libertà di inserirmi a sua insaputa – si avvicinò al camino e gettò la cenere della pipa nel fuoco. – Il suo stupore è stata la conferma che lo scherzo era riuscito.
Mi rilassai tornando a sedermi e allungando le gambe verso il caminetto.
– Sa, Holmes, dopo tanti anni di convivenza dovrei essere abituato a non stupirmi più di nulla ma con lei le sorprese non finiscono mai.
Sentimmo il suono del campanello, seguito da una serie di vibranti proteste della Signora Hudson e da rapidi passi su per le scale.
La porta si spalancò e davanti a noi si materializzò un ragazzo di corporatura robusta, alto, con i capelli gocciolanti e due occhi scuri e intelligenti.
– Stewe! – esclamai alzandomi e porgendogli la mano. – Buon Dio, quanto tempo è passato. Come stai? è un vero piacere rivederti.
– Anche per me dottor Watson – esordì il giovane stringendomi la mano, poi voltandosi verso il mio amico continuò. – Buongiorno Signor Holmes. Come state?
Sherlock Holmes gli andò incontro salutandolo con calore.
– Caro Stewe – esordì – sei davvero cresciuto, ora non devo più abbassare la testa per guardarti negli occhi. Vedo che sei prossimo al matrimonio, ne sono felice. E dopo le nozze ti trasferirai nella zona nord della città. Congratulazioni ragazzo mio. Ne siamo tutti felici… beh, tranne naturalmente la Royal Navy che perderà un valido marinaio!
Osservando lo stupore sul viso del ragazzo il detective sorrise, chiese se volesse qualcosa da bere e con un cenno lo invitò ad avvicinarsi alle fiamme, poi riprese.
– Posso dirti che sei prossimo al matrimonio perché sul tuo anulare destro c’è traccia di un anello che ora è sparito, il che potrebbe far pensare alla fine di un fidanzamento ma quell’anello si trova ora sotto la camicia, agganciato a quella catenina d’oro che vedo spuntare dal colletto. Escludo che, dopo aver rotto un fidanzamento, si decida di tenere con sé il simbolo di tale promessa – sorrise. – Che poi, una volta sposato, pensi di trasferirti nel nord della città me lo dicono, dapprima quel biglietto che fuoriesce dal tuo taschino, un biglietto della metropolitana della stazione di Saint Pancras, e poi quel documento che tieni in mano, ha tutta l’aria di un atto notarile, direi un atto di acquisto per un immobile e, se gli occhi e la memoria non mi ingannano, il timbro che vedo appartiene allo studio notarile Samfield & Sons, che ha sede a nord di Londra, proprio nei paraggi della stazione di Saint Pancras.
– Mi scusi, Holmes – intervenni – fin qui riuscivo a seguirla ma devo dire che non capisco come lei possa sapere che il nostro Stewe sia nella marina inglese, visto che da tempo non abbiamo sue notizie.
– Ma proprio per questo, amico mio. Vede, in questi anni mi sono sempre tenuto aggiornato sui miei Irregolari di Baker Street
– ammiccò verso il ragazzo – o almeno su tutti quelli dei quali ricevevo notizie, lettere o leggevo sui giornali. Wiggins, ad esempio, ha fatto carriera in ambito militare, e James ha finito gli studi ed ora è un valido medico.
Sorrisi ricordando quella banda di cenciosi e rumorosi pubescenti che Holmes assoldava di tanto in tanto; assidui frequentatori della strada, perennemente di corsa e urlanti, sapevano però infilarsi in ogni dove senza essere notati, raccogliendo informazioni, recapitando missive, recuperando oggetti o eseguendo qualunque ordine il mio amico gli comandasse.
Holmes tornò a sprofondare nella sua poltrona continuando a parlare.
– Del nostro Stewe, invece, non avevo più notizie da troppo