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Progetto Tri.De
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E-book483 pagine5 ore

Progetto Tri.De

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Info su questo ebook

L’energia derivante dalla fusione dell’idrogeno è certamente l’unica soluzione in un mondo tanto inquinato e sovrappopolato come il nostro, ma sicuramente non è una soluzione di facile realizzazione.
Questa soluzione potrebbe giungere inaspettata dal lontano 1969, ma perché ciò possa accadere, sarà necessario reclutare qualcuno in grado di recuperare le preziose informazioni dove nessuno sarebbe mai andato a cercarle, e dove certamente nessuno, a parte pochi eletti, ha in effetti la possibilità di arrivare.
Potranno delle vecchie capsule Apollo, insieme a tre militari italiani, risolvere l’annoso problema?
Riusciranno gli Stati Uniti d’America, e i loro alleati, a dimostrarsi gli amici tanto decantati dalla comunicazione di massa di mezzo mondo?
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2021
ISBN9791220822893
Progetto Tri.De

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    Anteprima del libro

    Progetto Tri.De - Emanuele Tosco

    CAPITOLO 1 - Quiete spezzata

    "Adoro respirare l’aria pura e fredda della montagna in inverno; sedermi sulla neve e respirare ad occhi chiusi, respirare senza che nulla possa più turbare i miei pensieri e il mio essere profondo. In tutta onestà non ricordo da quanto tempo non tornavo sulle mie montagne, certamente anni, e sicuramente non ci sono più tornato dopo l’incidente con quel maledetto AW¹. Dio mio, avevo dimenticato quanto questo spettacolo fosse meraviglioso, e quanto la mia anima ne avesse bisogno per non precipitare nell’abisso".

    Sono un fuggitivo, fuggo dalla vita e dalle responsabilità da sempre, e anche questa volta posso affermare in tutta tranquillità di non essermi smentito, infatti sono fuggito perché ho intenzione di tener fede ad una promessa fatta a me stesso non più di un mese fa, vivere d’ora in avanti un’esistenza finalizzata unicamente al soddisfacimento dei miei bisogni, e null’altro.

    Dinnanzi alla mia immagine riflessa nel grande specchio della camera da letto, mi sono ripromesso più e più volte che avrei dedicato il resto dell’esistenza a me stesso, ma tutte le volte qualcuno, o qualcosa, riusciva a distogliere l’attenzione da questa mia priorità, facendomi sprofondare inevitabilmente in una spirale di problemi, e talvolta anche di momenti carichi di tristezza e insoddisfazione.

    Ma non questa volta – "Questa volta no generale, questa volta sono io a vincere… penso tra me e me mentre fatico sulla salita che mi condurrà al bivacco che più amo – preferisco rompermi la schiena in solitudine su questa montagna piuttosto che trascorrere un altro minuto in sua compagnia, caro generale del cazzo" – continuo a ripetermi allungando il braccio dinanzi a me mimando il gesto di diniego con il dito.

    "Finché avrò respiro, caro generale del cazzo, desidero continuare a godermi la vita alla faccia sua e di tutti quelli come lei, compreso quel suo compagno di merende che si è presentato nel mio ufficio con quella faccia stupida e quella ridicola penna in testa, accampando richieste che mai avrei soddisfatto. Lo sa, caro generale del cazzo, dove può infilarsela quella cazzo di penna il suo viscido e insignificante amico?"

    Sono proprio gli spazi e i momenti ai quali ho sempre dovuto rinunciare a causa del mio fottutissimo lavoro che non voglio più perdermi, ma soprattutto non voglio più separarmi dalla pace che la solitudine della montagna è in grado di donare.

    Ascolto la neve sotto la suola degli scarponi scricchiolare ad ogni mio passo; è la sua voce a mantenermi in contatto con la realtà; adoro ascoltare il suo scricchiolio, e adoro ancor più la sensazione di compattezza e concretezza che trasmette quando mi giro ad osservare l’orma da me appena impressa.

    Giunto ad un lago a me particolarmente caro, mi fermo per rifornirmi di acqua e per mangiare un boccone portato da casa.

    "Dovrò faticare un po’ per avere l’acqua, capita sempre in questo periodo quando il ghiaccio non si è ancora del tutto sciolto" – mi ritrovo a pensare mentre siedo nei pressi della riva ad osservare lo strato di ghiaccio che ancora ricopre lo specchio d’acqua dolce.

    "Vediamo che cos’ha preparato di buono lo chef, che poi sarei io, questa mattina per pranzo prima di partire; però, panino al salame e panino al formaggio, ottimo, grande fantasia, complimenti a tutto lo staff della cucina, che poi sarei sempre io".

    Mentre scarto i panini dalla carta stagnola utilizzata per proteggerli, cerco di focalizzare tutta la mia attenzione sul vento, un vento che, partendo dalle cime circostanti, discende rabbioso sul lago raffreddandolo quasi all’istante.

    Cerco di immaginarmi i minuscoli cristalli di ghiaccio intenti a formare una maglia sempre più ampia e strutturata, quando improvvisamente giungono a tormentarmi le ombre del passato, ombre vissute in una bella giornata estiva di tanti, troppi anni fa.

    Alzo lo sguardo, e riesco a distinguere distintamente un io ancora ventenne dirigersi di slancio verso due punte gemelle, punte che da milioni di anni si stagliano immobili nella loro posizione di assoluto dominio.

    Mute e imponenti, ancora una volta mi sfidano ad affrontarle senza alcun timore, ma gli anni non scorrono allo stesso modo per tutti, così non posso fare altro che ripensare a quando le vinsi non camminando, ma bensì correndo.

    "Maledetto tempo, sono diventato un budino mellifluo" – penso rabbuiandomi in volto.

    Mentre l’immagine di me sulla vetta più alta al tramontar del sole è ancora vivida nella mente, abbasso lo sguardo verso terra, e mi accorgo che le mie mani stanno indugiando chissà da quando con la cerniera dello zaino.

    Vorrei poter dire che si tratta di un gioco, di un passatempo stupido ma in fondo innocuo, e invece proprio non mi riesce, nulla potrebbe rendere a parole l’esatto perché di quell’atteggiamento tanto insignificante, quanto triste e penoso.

    "Maledetto disturbo" – penso mimando le parole con le labbra.

    Ossessivo compulsivo dissero a suo tempo i medici, ma a nessuno parve il caso di approfondire la questione, anche perché lo ritennero una semplice conseguenza del periodo trascorso in Kosovo durante una delle tante guerre jugoslave, una delle tante guerre scatenate per puro tornaconto dai tanto amati difensori della pace, gli americani.

    In ogni caso questo disturbo, se confermato, mi avrebbe relegato a terra proprio nel momento in cui all’Aviazione Militare servivano tutti gli uomini disponibili in grado di pilotare un aereo o un elicottero da combattimento.

    "Lei non ha nulla giovanotto, per cui non voglio più vederla ronzare attorno all’infermeria, non mi faccia perdere altro tempo, ci siamo capiti?" – e così feci, non marcai più visita, e non ne parlai più con nessuno.

    Il giorno in cui cadde l’AW sostituivo l’addetto ai controlli pre volo; il ragazzo si era infortunato gravemente ad una mano, e nessuno a parte me pareva essere in grado di sincerarsi della tenuta di alcuni bulloni e relativi leveraggi.

    "Falli tu i controlli Giò, questo affare deve partire immediatamente" – ed io, come sempre, ubbidii senza discutere.

    La commissione parlò di una rottura fortuita ed assolutamente non prevedibile a priori, del cedimento di un fottuto cuscinetto elastomerico del rotore di coda.

    VOCE – "Ma noi sappiamo benissimo che non andò così, non è forse vero Giò?"

    GIOVANNI – Zitta, zitta maledetta voce. Dio, perché mi torturi così? Perché non fai sparire questa voce dalla mia testa una volta per tutte?

    VOCE – "Perché la voce sono io, e io sono te, ecco perché, stupido idiota".

    GIOVANNI – Maledizione, ho la testa che mi scoppia, ma com’è possibile una cosa del genere? Per quanto tenti di ragionare in maniera razionale, non riuscirò mai a vivere senza questo tormento nemmeno se venissi ad abitare per sempre quassù a 2.500 metri.

    VOCE – "Non si scappa da sé stessi Giò, io sarò in te per sempre".

    GIOVANNI – Basta maledizione, BASTA. Dio mio, guarda cosa sto facendo, sto controllando per la miliardesima volta che questa fottutissima tasca sia chiusa, e come se non bastasse sto anche parlando da solo. Dio, liberami da questa tortura, ti prego uccidimi se vuoi, ma falla sparire per sempre dal mio cervello.

    Sopraffatto dalla disperazione volgo lo sguardo alla mia destra nella speranza che tutto possa finire in quel preciso istante; nascosto tra le rocce un minuscolo fiore viola e blu pare in grado di sconfiggere tutto da solo l’inverno con largo anticipo, e questo a dispetto della quota alla quale ci troviamo, così mi concentro su di esso, e senza nemmeno accorgermene riacquisto il controllo dei miei gesti e dei miei pensieri.

    Dopo aver rotto una piccola porzione di ghiaccio nei pressi della riva dove questo è più sottile con un masso raccolto nelle vicinanze, e dopo aver riempito nuovamente la borraccia di acqua gelida, senza ulteriori indugi mi rimetto in cammino in direzione nord – "Ho ancora almeno altre due ore buone di marcia, sarà meglio che mi metta d’impegno".

    Passo dopo passo, ad un certo punto di fronte a me vedo stagliarsi la sagoma del bivacco che mi attende da anni senza mai scomporsi; al suo fianco trova posto anche una piccola cappella al cui interno dimora la Madonna degli Angeli, la cui croce svetta alta sul minuscolo edificio – "Eccomi arrivato, ci sono finalmente".

    Non è stato per nulla semplice giungere sin quassù, devo ammetterlo; in tutta onestà non sono più l’atleta di una volta, ciò nonostante posso affermare che la volontà può ancora compiere miracoli inizialmente del tutto insperati.

    Mi volto e guardo il sole che sta per tramontare, osservo il cielo tingersi di un rosso cupo simile a quello che colora le fiamme sui tizzoni ardenti all’interno dei camini, mentre alcune screziature grigie come il piombo lo attraversano incidendo in esso cicatrici profonde.

    Sento le gambe pesanti, la fatica incomincia ad avvolgere tutte le membra del mio corpo come un pesante sudario – "Almeno questa notte mi abbandonerò ad un sonno ristoratore privo di incubi, ora però sarà meglio entrare nel bivacco, sistemare tutte le mie cose, e preparare una succulenta cenetta tutta per me".

    La cucina da campeggio a disposizione dei viandanti all’interno del bivacco hai i suoi tempi per la preparazione dei pasti, ma si tratta comunque di una gran comodità; ci si deve portare da casa solamente le piccole bombole necessarie ad alimentare il bruciatore, mentre pentole, fornello, piatti, e quant’altro si trovano già in quota.

    Il vero problema quassù è senz’altro l’assenza di acqua, ma fortunatamente l’abbondante neve ne rappresenta una comoda riserva anche se allo stato solido; purtroppo il fatto di doverla sciogliere per poter cucinare, non fa altro che dilatare ulteriormente i tempi delle varie preparazioni.

    Questa sera, però, non ho nessuna fretta, questa sera anche il mio stomaco dovrà adeguarsi alla situazione facendo qualche ora di straordinario.

    Maledizione, non voglio più avere fretta, non ho più nessuna intenzione di correre come un matto dalla mattina sino alla sera, mi sono stufato di dover masticare fretta ogni singolo secondo della mia vita, e per che cosa poi?

    Desidero che questa prima vacanza della mia rinascita parta nel migliore dei modi, perciò attenderò che il sole sia tramontato del tutto, e solo allora mi trasformerò nel miglior cuoco di vetta mai esistito sulla faccia della Terra, o almeno ci proverò.

    Voglio starmene fuori del bivacco ad affrontare il freddo vento della sera, voglio assistere alla magia del cambio della guardia, quando il sole lascerà posto all’oscurità.

    Silenzio, il silenzio è l’unica cosa che veramente conta nella vita se si vuole dare vita a dei pensieri veri e profondi – "Ecco, è il momento, che spettacolo il cielo infuocato, da quassù pare incendiarsi come alimentato da un carburante inesauribile, mentre la nostra stella scompare dietro l’orizzonte, quasi a volersi nascondere dagli sguardi insolenti di noi piccoli uomini. Come darle torto, d’altronde? Bene Giò, direi che per oggi hai visto tutto ciò che c’era da vedere quassù, per cui è ora che tu ti dia seriamente da fare ai fornelli. Quel che è certo è che la porta del bivacco sarebbe da sostituire, prima o poi si staccherà dai cardini, o meglio, saranno i cardini a staccarsi dal muro, ma in ogni caso devo dire che per il momento riesce ancora a portare a termine il suo compito più che egregiamente, proteggermi, per quanto possibile, dal freddo della notte, che a queste quote anche a fine inverno è particolarmente pungente".

    Rientrato nella piccola struttura abitativa, termino di stendere il sacco a pelo sulla branda che ho deciso di occupare per la notte, dopo di che apro una delle due minuscole finestre del bivacco, raccolgo due manciate di neve, e inizio a scaldare il pentolino di alluminio in dotazione, in modo da ottenere un po’ di acqua in forma liquida per la minestra – "Direi che le cose stanno andando nel migliore dei modi fino a questo momento, la neve si sta sciogliendo, il gas è acceso, e quindi non mi resta che attendere qualche minuto, nel mentre manderò un saluto a Maurizio, altrimenti sai che filastrocca mi aspetta al rientro".

    GIOVANNI – Maurizio, Maurizio mi ricevi?

    MAURIZIO – Si che ti ricevo disgraziato, ti avevo detto di farmi sapere come stava andando la camminata, te lo sei dimenticato? Si può sapere dove ti trovi?

    GIOVANNI – Sono arrivato a destinazione, in questo preciso istante mi trovo all’interno del bivacco, e mi sto preparando una bella zuppa calda per cena.

    MAURIZIO – Al bivacco? Ma dove ti trovi di preciso? Non sei in un rifugio?

    GIOVANNI – No, alla fine ho preferito cambiare itinerario e salire fino al bivacco.

    MAURIZIO – Sei al bivacco? In pratica sei in mezzo al nulla, e completamente solo.

    GIOVANNI – Assolutamente sì Maurizio, fortunatamente non riesco a vedere nessuna folla se guardo all’esterno, ma non preoccuparti, sto bene, anzi, benissimo, anche mentalmente intendo.

    MAURIZIO – Come vanno le tue fobie?

    GIOVANNI – Insomma….

    MAURIZIO – Ti hanno dato problemi anche lassù?

    GIOVANNI – Un po’, soprattutto questa mattina quando mi sono fermato al lago per mangiare.

    MAURIZIO – Va bene Giò, se senti che qualcosa inizia a non funzionare come dovrebbe chiamami immediatamente, terrò la radio accesa; a proposito, come farai per le batterie?

    GIOVANNI – C’è un piccolo impianto fotovoltaico quassù; non preoccuparti, non mi manca nulla.

    MAURIZIO – D’accordo, ti saluta anche Sara; aspetta, vuole salutarti di persona, le passo la radio.

    SARA – Ciao Giò, come stai? Che fai? Dove sei?

    GIOVANNI – Ciao Sara… – le rispondo mentre un brivido mi scorre lungo la schiena; Sara è una ragazza molto attraente, e alla radio possiede una voce veramente suadente – …io sto bene, e tu? Mi sto preparando la cena, mi trovo esattamente proprio sopra le vostre teste, al bivacco vicino a quella piccola chiesetta che ti piace tanto.

    La sento ridere di gusto; ho sempre adorato tutto di lei, ma in particolare la risata schietta e spontanea che questa ragazza riesce a diffondere tutto attorno a sé.

    SARA – Mamma mia Giò, allora sei alla Cappella della Madonna degli Angeli, non è vero? Che meraviglia, e che bei ricordi. Va bene, non ti trattengo oltre, trascorri una buona serata, e mi raccomando, cerca di riposare. Ricordati di passare a trovarci quando tornerai a casa, d’accordo? Ti ripasso Maurizio, ciao Giò.

    GIOVANNI – Grazie Sara, farò sicuramente entrambe le cose; bene Maurizio, io vado a gustarmi la zuppa, è quasi pronta.

    MAURIZIO – Allora buona vacanza amico mio, esattamente a quanti metri ti trovi? Non ricordo più nulla ormai, nemmeno le cose più ovvie. Immagino faccia piuttosto freddo lassù.

    GIOVANNI – Sono esattamente a 2.679 metri, e si, fa abbastanza freddo, ma ho con me una riserva di zuppe per tutti i climi.

    MAURIZIO – Va bene, va bene, allora buon appetito e buon riposo, immagino che non farai fatica ad addormentarti questa sera.

    GIOVANNI – Immagini bene Maurizio; buona serata anche a voi, e grazie di tutto come sempre.

    MAURIZIO – Di nulla amico mio, di nulla.

    "Grazie a Dio esistono ancora amici come Maurizio, ma adesso pensiamo a questa benedetta zuppa; l’acqua bolle, più o meno intendo, e quindi direi che è giunto il momento, come si dice di solito, di buttare la pasta".

    Mi accomodo al tavolo posto al centro del bivacco, seduto su di una vecchia panca in legno parecchio sgangherata, mentre il rumore del cucchiaio che striscia sulla gamella in alluminio, si mischia con l’ululare del vento che ha preso a tirare forte all’esterno.

    La luce della candela rischiara debolmente l’interno della costruzione, adoro il suo tremolio, ha un effetto calmante sui miei nervi, un effetto che definirei quasi magico.

    Ho sempre amato la luce delle candele, riesce a rischiarare quanto basta, ma non è così forte da infastidire chi vi siede di fronte.

    "Dio mio, come mi sento bene, erano secoli che non riuscivo a rilassarmi veramente" – penso tre me e me, mentre assaporo ogni singola cucchiaiata di zuppa.

    Una volta terminata la cena allontano da me il recipiente ormai vuoto, agguanto lo zaino, e recupero due fiaschette in metallo contenenti una del genepy, e l’altra del cognac.

    Dunque, da dove possiamo iniziare signori miei? Direi che questa è decisamente una serata da cognac, e quindi che cognac sia – sentenzio ad alta voce, mentre svito il tappo incominciando a bere un primo sorso di liquore.

    Bene Giò, anche se sei pazzo e continui a parlare da solo, quassù non troverai nessuno in grado di osservarti da lontano come se fossi una bestia rara, mentre l’alcool allontanerà da te quella maledetta voce che abita nella tua testa da fin troppo tempo, quindi un bel brindisi alla mia salute questa volta non me lo toglie proprio nessuno.

    Lascio che il sapore del liquido dorato avvolga completamente la bocca, assaporando a fondo il gusto fruttato del cognac, per poi schioccare rumorosamente la lingua non appena lo sento scendere giù verso lo stomaco, inondando di un caldo tepore l’intero mio corpo.

    Dicono che il liquore non sia in grado di scaldare Giò, evidentemente quegli stupidi non hanno mai assaggiato questo particolare tipo di liquore.

    Dopo altre due generose sorsate di nettare ambrato richiudo lentamente la fiaschetta, rimettendola infine al sicuro all’interno dello zaino, non voglio rimanere senza carburante già dalla prima sera.

    Mi siedo nuovamente sulla panca ad osservare la candela consumarsi lentamente; non ho voglia di andare a letto, adoro questi momenti di lenta svogliatezza, e ho desiderio di approfittarne il più possibile, ma quando la testa appesantita dalla stanchezza incomincia ad inclinarsi pericolosamente su di un fianco, allora decido che è giunto il momento di accucciarsi nel mio fidato sacco a pelo invernale.

    Ho appena il tempo di richiudere la zip che mi sigilla al suo interno, che immediatamente sprofondo in un sonno pesante e privo di pensieri; sono le 22.30, e sono stanco morto.

    Nella notte vengo svegliato da una violenta sferzata di neve che si infrange direttamente contro il vetro della piccola finestra vicina alla mia branda; non so da quanto tempo mi sono addormentato, ma all’esterno posso osservare solamente il buio più nero che abbia mai visto, accompagnato da centinaia di mulinelli di neve che giocano a rincorrersi per ogni dove.

    Quel che è certo, è che il vento si è rafforzato da quando mi sono chiuso dentro il bivacco, ed ora ulula con tutta la ferocia di cui è capace, mentre la neve segue i suoi capricci, eseguendo complicate evoluzioni tutto intorno alla piccola struttura.

    Raccolgo le gambe contro il petto facendomi sempre più piccolo, quasi volessi scomparire del tutto da questo buio e da questo freddo; le tenebre mi avvolgono completamente, ricordandomi che la candela posta sul tavolo si è ormai consumata del tutto.

    Il mio pensiero va alle vicende che hanno portato alla decisione di mollare tutto e tutti, ma anche alla volontà di fuggire a gambe levate dall’Aviazione Militare – "No maledizione, NO, non devo permettere ai pensieri di condizionarmi, i pensieri sono solamente il frutto di una mia precisa volontà di infliggermi dolore, e il dolore è mio nemico, è sempre stato mio nemico".

    VOCE – "Il dolore non è tuo nemico Giò, tu sei l’artefice del tuo dolore, e solo tu dovrai portarne il peso, il peso dei rimorsi che attanagliano la tua mente, e tutto questo sino alla conclusione della tua inutile esistenza".

    GIOVANNI – Vattene via maledetta, vattene via e lasciami vivere in pace, tu non esisti, tu puoi esistere solamente se sono io a permettertelo.

    VOCE – "No Giò, io esisto per il semplice fatto che tu esisti, e solo la morte potrà farci scomparire entrambi".

    GIOVANNI – Dio ti prego basta, BASTA; falla smettere, FALLA SMETTERE.

    Mi porto le mani alle tempie spingendo forte, quasi a voler spremere fuori quella maledettissima voce dalla mia testa come fosse dentifricio compresso all’interno di un tubetto, poi mi addormento e non odo più nulla.

    La mattina quando mi sveglio mi ritrovo ancora raccolto su me stesso; il sole è già alto, mentre il vento della notte pare abbia desistito dal voler distruggere l’intera struttura del bivacco con all’interno il suo povero occupante.

    Molto, molto lentamente mi distendo sulla branda, e prendo a strofinarmi forte gli occhi con i palmi delle mani; forte, sempre più forte.

    Apro la cerniera del sacco a pelo, e nell’uscire vengo investito da una folata immaginaria di aria completamente gelida che mi fa tremare come una foglia.

    Che freddo Dio mio, sarà bene che mi prepari immediatamente qualcosa di caldo.

    Apro la porta quel tanto che basta per poter raccogliere la poca neve necessaria a prepararmi un caffè, e nel farlo riesco comunque a dare una prima sbirciata all’esterno.

    Oggi è una giornata stupenda, una di quelle giornate che vorresti avere almeno una volta nella settimana durante tutto l’arco dell’anno – "Sarebbe bello sdraiarsi sul tetto della struttura per prendere il sole tutto il giorno" – penso mentre accendo il fuoco per il caffè, temporeggiando quanto più possibile alla piccola finestra.

    L’aroma di caffè incomincia ad espandersi velocemente nel bivacco; verso il fumante liquido nero nella gamella della sera prima, e recupero dallo zaino un sacchetto di biscotti al cioccolato, per poi inzupparli nel caffè bollente ancor prima di versarci dentro il latte.

    Ho fame, evidentemente non ho ancora smaltito la fatica del giorno prima, ma nonostante tutto mi blocco al terzo biscotto, così accendo la radio e contatto Maurizio, che a quest’ora di domenica probabilmente starà ancora dormendo.

    GIOVANNI – Maurizio, sei sveglio? È domenica, e quassù c’è un sole incredibile. Svegliati e vai fare una passeggiata con Sara, non fate come al solito, non rimanete a poltrire nel letto fino a mezzogiorno.

    MAURIZIO – Gesù, nemmeno la domenica si riesce a dormire in santa pace; non so come sia possibile, ma c’è sempre qualcuno che, non avendo nulla da fare, pensa bene di rompere le scatole all’intero mondo. Come stai Giò? Dormito bene lassù?

    GIOVANNI – Si, ho dormito piuttosto bene, grazie Maurizio.

    MAURIZIO – Mi fa piacere Giò, evidentemente l’aria di montagna ti fa veramente bene.

    GIOVANNI – Se è per questo farebbe bene anche a voi, perciò approfittate del magnifico sole e andate a fare due passi, invece di starvene a letto a guardare la televisione.

    MAURIZIO – Noi la televisione non la guardiamo ormai da decenni Giò, lo sai benissimo anche tu, inoltre se avessi proprio voglia di ascoltare qualche cazzata bella grossa, non avrei che da sedermi sulla panchina di fronte a casa mia insieme a quei quattro decerebrati che ben conosci. Mi dici di andare a camminare, quindi immagino che tu non sia ancora uscito dal bivacco, vero?

    GIOVANNI – No, perché?

    MAURIZIO – Vai a farti un giro all’esterno, meteorologo dei miei stivali; vai a vedere quanto sole c’è al di sotto dei tuoi piedi.

    Dopo aver indossato la giacca pesante che ho portato prudentemente con me, apro la porta e mi avventuro all’esterno, ed immediatamente uno spettacolo di una bellezza incomparabile mi si dipana davanti agli occhi.

    GIOVANNI – Dio mio, che spettacolo Maurizio, se solo potessi vedere che mare di nuvole mi circonda.

    MAURIZIO – Lo vedo, lo vedo, partendo dal basso, ma lo vedo.

    GIOVANNI – Si vedono tutte le punte delle montagne ricoperte di neve sbucare come iceberg da un tappeto infinito di bianche nuvole simili ad un mare di panna soffice e densa, è veramente stupendo.

    MAURIZIO – Allora facciamo in questo modo, tu vai a fare una bella passeggiata intorno al bivacco, così nel mentre prendi anche un po’ di tintarella, mentre io e Sara rimaniamo al caldo nel nostro letto, continuando a non guardare la televisione come siamo soliti fare in momenti come questi.

    GIOVANNI – D’accordo, ho capito, comunque la televisione trasmette anche dei bei programmi.

    MAURIZIO – Si, soprattutto quando è spenta. Se vuoi posso sempre informarmi su chi ha vinto l’ultima edizione di qualche cazzo di reality, in modo da comunicartelo la prossima volta che ci sentiamo.

    GIOVANNI – No grazie, sarebbe bellissimo, ma immagino possa andare bene anche così. Va bene Maurizio, ci sto, vada per la passeggiata con tintarella, tu intanto salutami Sara, ci sentiamo questa sera dopo cena.

    Rientrato all’interno del bivacco termino la colazione in un batter d’occhio, dopo di che indosso una comoda tuta da ginnastica, una giacca antivento, e in men che non si dica mi arrampico sul piccolo tetto in lamiera del bivacco, intenzionato in tutto e per tutto a godermi un bagno di sole a tutto tondo lungo l’intero arco della giornata.

    Dopo un paio d’ore non riesco più a far finta di nulla, così rientro per bermi la prima delle sei birre che mi sono portato sulle spalle per ore e ore, birre che in questo momento mi stanno attendendo sul fondo dello zaino.

    "Cosa potrei pretendere di più? Silenzio, un panorama mozzafiato, tanto sole, aria fresca, e per di più una birra gelata tutta per me. D’accordo, ora però torniamo sul tetto, non voglio perdermi un solo secondo di sole di questa magnifica giornata".

    Mentre sistemo la coperta sulle lamiere del tetto, scorgo in lontananza una sagoma nera arrancare nella neve diretta proprio verso il bivacco – "E ti pareva, era troppo bello per essere vero. Ecco giungere, immancabile e implacabile come la sventura, il solito scocciatore della domenica, speriamo almeno che una volta arrivato in vetta decida di tornarsene immediatamente da dove è venuto, non ho proprio voglia di avere compagnia".

    La stanchezza residua, non del tutto smaltita durante la notte, unita al calore del sole che mi accarezza la pelle con leggera violenza, non mi permettono di attendere l’arrivo dello scocciatore rimanendo sveglio, ma mi fanno sprofondare in un sonno senza incubi, dal quale non vorrei più risvegliarmi.

    TURISTA – Ehi, ehi tu sul tetto….

    GIOVANNI – Ma cosa diavolo succede, per Dio? Chi è che urla come un idiota ai quattro venti?

    TURISTA – Scusami, è colpa mia, lo ammetto, non volevo svegliarti in questo modo, ma credo proprio di essermi messa nei pasticci.

    GIOVANNI – E tu chi diavolo saresti?

    TURISTA – Piacere, mi chiamo Amber Lombardo e sono americana, ma mio padre è italianissimo quanto te, quindi parlo perfettamente la tua lingua, non preoccuparti.

    GIOVANNI – Io non mi preoccupo affatto dei tuoi problemi cara Amber Lombardo, piuttosto l’unica mia preoccupazione è che tu voglia fermarti quassù a rompermi le scatole per l’intera giornata, e poi perché mai dovrei preoccuparmi? In fondo sei tu quella nei guai.

    AMBER – In effetti è proprio così. Questa mattina sono partita dalla borgata qua sotto, molto sotto intendo, nonostante la fitta nebbia, sicura che avrei trovato un sole favoloso una volta in quota. Purtroppo credevo di riuscire a raggiungere il bivacco verso le dieci del mattino in modo da fare ritorno a valle prima del buio, ma penso proprio che non ci riuscirò.

    GIOVANNI – Prima del buio? Ma che ore sono?

    AMBER – Sono le tre del pomeriggio.

    GIOVANNI – Le tre del pomeriggio? Dannazione, ho anche saltato il pranzo.

    AMBER – Ecco, a proposito di pranzo, non è che hai con te qualcosa da mangiare? Mi sono portata dietro solamente due panini, ed ora ho una fame da svenire.

    GIOVANNI – Dannazione a te, sì che ho qualcosa da mangiare, ho tutto il cibo che vuoi, aspetta che scendo.

    Recuperata la coperta, e disceso di volata dal tetto, una volta a terra sparisco all’interno del bivacco, senza più degnare di uno sguardo la mia misteriosa interlocutrice.

    "Maledetta scocciatrice, non solo viene a rompermi le palle fin quassù, ma devo anche mantenerla, non poteva starsene negli Stati Uniti? Per Dio, è pieno di montagne e di gente a cui rovinare la giornata anche la".

    Dopo alcuni minuti, giusto il tempo di recuperare alcune barrette energetiche dallo zaino, raggiungo Amber all’esterno del bivacco, con dipinta in volto un’aria

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