Galla Placidia: La Nobilissima
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Info su questo ebook
A partire dall’epoca tardoantica si sono affacciate alla ribalta della storia figure femminili di diversa estrazione che, per fortuna o abilità, hanno giocato un ruolo determinante. I cambiamenti della tarda antichità hanno portato la donna da una funzione fondamentale ma interna al gruppo o alla famiglia, a funzioni che oggi definiremmo pubbliche. È per questi motivi che possiamo considerare le vicende di Galla Placidia un’importante cartina di tornasole per leggere la storia di quel periodo.
Vitantonio Sirago
(1920-2015) ha insegnato Storia romana presso Università italiane ed europee, come Lovanio, Gand, Salerno e Bari. Nel corso della sua attività si è dedicato, tra i numerosi studi, alle figure femminili del mondo romano. Oltre a questo libro, per Jaca Book ha pubblicato anche Amalasunta, la regina (1999).
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Anteprima del libro
Galla Placidia - Vitantonio Sirago
I
IL PERSONAGGIO
Galla Placidia fin dalla nascita fu la nobilissima¹ per eccellenza. Nessuna donna quanto lei ebbe così tanti titoli di nobiltà effettiva.
Figlia dell’imperatore Teodosio I, nipote per parte di madre degli imperatori Valentiniano I, Graziano e Valentiniano II. Fu imperatore suo marito, Costanzo III, e successivamente il figlio Valentiniano III. Regnarono anche i suoi fratelli, Arcadio e Onorio. Lei stessa fu investita della carica imperiale col titolo di Augusta, come sua nonna Giustina. Inoltre salirono al trono i nipoti Teodosio II e Pulcheria.
È difficile, quindi, ritrovare in una figura imperiale così numerosi titoli di nobiltà².
Godette una condizione agiata non solo per il rango imperiale ma anche per dovizia personale³: il padre Teodosio discendeva da una ricca famiglia della Galizia (Spagna), che si ritiene avesse ampi latifondi e non solo in Spagna, bensì in altre regioni dell’impero. Infatti, nonostante le numerose traversie, non si trovò mai in ristrettezze economiche, né ebbe momenti di difficoltà.
Possiamo immaginare che fosse una figura di belle fattezze fisiche, non certo deducibili dal suo ritratto in mosaico⁴, che trasmette piuttosto l’idealizzazione che la realtà.
La sua bellezza è effettivamente ricordata da Zosimo, della generazione immediatamente successiva. Sicuramente suscitò l’attenzione di vari ammiratori, fino a provocare violente passioni. Sappiamo per certo che se ne invaghì il giovane Eucherio, il re visigoto Ataulfo, il quale la sposò in seconde nozze, e lo sciagurato Bonifacio che non seppe frenare la smoderatezza, sapendo di poter contare sulla tacita approvazione di lei. E, infine, il generale Costanzo, che la sposò e raggiunse il grado imperiale per cooptazione da parte di Onorio. Mentre lei, che aveva certamente amato Ataulfo, dovette piegarsi a sposare Costanzo, fedelissimo al fratello Onorio, del quale, tuttavia, è stata tramandata la sgradevolezza fisica.
In definitiva Galla Placidia non poté trarre vantaggio dalla sua attrattiva femminile.
La sua figura, comunque la si guardi, è quella di un’infelice: la nobiltà fu la sua massima disgrazia e la bellezza fonte di grandi dispiaceri.
La sua vita fu segnata da sofferenze e dolori, cui seppe reagire, affrontando le avversità, con coraggio e forza d’animo.
La sua fede rasentava il fanatismo. Restò, infatti, sempre ferma nelle sue opinioni, incentrate essenzialmente nel suo carisma imperiale, nella volontà di mantenere l’unità dell’impero, nel cattolicesimo praticato in ossequio alle gerarchie ecclesiastiche.
Non si fece mai scoraggiare dai risultati spesso deludenti del suo operato, non esitò temendo di riuscire invadente, e talvolta oppressiva, almeno in famiglia: agì con convinzione anche a dispetto di una realtà ben diversa.
La sua vita, perciò, si svolse tra molteplici traversie: alcune derivanti dalle vicende imprevedibili del suo tempo, ma altre causate dal suo stesso carattere volitivo e dalle sue idee precostituite.
La risultante fu ben diversa dalle aspettative: lei, che si era battuta per l’unità, lasciò l’impero spezzettato fra nuovi potenti popoli barbarici; lei, che volle sempre sostenere l’universalità del cristianesimo, vide le chiese cristiane attaccarsi aspramente, tanto che per poco la cristianità non si frantumò in sette irriducibili. Volle provvedere anche all’«immortalità» del suo corpo, innalzando un meraviglioso mausoleo a Ravenna per sé e il marito Costanzo: forse non vi fu nemmeno condotta. Il mausoleo restò come oggetto di meraviglia e ammirazione per i posteri, mentre a lei non offrì alcun riparo: le sue ceneri si dispersero e non restò altro che il ricordo della sua forte personalità.
Non fu più fortunata nemmeno nella trasmissione storiografica: il primo storico che iniziò a trattare la sua vita, Olimpiodoro, è scomparso nel naufragio della cultura antica trasmettendoci solo scarsi frammenti riportati da Fozio nella sua «Biblioteca». Degli altri storici, contemporanei o di poco posteriori, si è persa ogni traccia. Per la ricostruzione dei fatti principali, molti dei quali restano oscuri, bisogna ricorrere a brevi citazioni di testi contemporanei, giungendo a un mosaico non sempre chiaro, per mancanza di tasselli importanti.
Non c’è mai stato grande interesse nel pubblico nei secoli seguenti: nell’Ottocento soltanto si ebbe un certo interessamento più per le sue avventure che per la funzione storica da lei effettivamente svolta⁵. Galla Placidia ha attirato invece l’attenzione che meritava in quest’ultima generazione: dal 1960 a oggi sono comparsi vari lavori storici degni di rilievo⁶.
La sua figura ci si presenta ormai nelle sue linee essenziali e ci colpisce particolarmente considerando che si tratta di una donna attiva nella vita pubblica, impegnata con forza e determinazione in un’età in cui crollano tutti i valori tradizionali. Il momento critico pone in ombra ogni personaggio maschile, nonostante che vi siano caratteri forti, i quali però agiscono in ambito ristretto, occupati in orizzonti circoscritti. Su tutti emerge la sua personalità, pur con i limiti del carattere e dei risultati, e campeggia in vari settori in cui lascia un’impronta duratura.
Se poi si aggiunge che, mentre lei opera in Occidente, in Oriente s’impone la figura di Pulcheria, sua nipote, si può veramente dire che tutta l’ampiezza del territorio romano è dominata dalla volontà di due donne, entrambe energiche e volitive, che tuttavia non si scontrano tra loro.
Le sorti del mondo civile per oltre un quarto di secolo sono dipese dalla direzione femminile. Quasi si trattasse di un fenomeno naturale: al venir meno del polso maschile subentra la donna, che prende le redini e salva l’essenziale d’un mondo destinato alla catastrofe completa. La sua direzione riesce ad assorbire i colpi dello sfacelo e a trasmettere l’eredità dell’intero mondo antico.
Queste due figure imperiali ebbero in comune la fermezza di carattere, il fanatismo religioso, il senso del potere e la fiducia estrema nella bontà del proprio operato. Come se rappresentassero la forza della dea madre che nel tracollo di una famiglia riesce a salvare i valori essenziali della trasmissione, i pilastri necessari per la costruzione di una nuova era.
¹Titolo dato alla bambina dallo stesso padre, Teodosio I, per metterla sullo stesso piano dei fratelli: CIL XV 7153 = ILS 8953.
²Ricordata nella sua nobiltà da Cassiodoro, Var. 11,9.
³Non possediamo un elenco delle proprietà di Galla Placidia: di lei vengono ricordate espressamente due domus (palazzi) nella Notita Urbis Constantinopolitanae, una a II 11 (prima regio) e l’altra XI 11 (decima regio), domus Augustae Placidiae; cfr. R. Janin, Constantinople byzantine (Arch. Orient Chrétien, 4a), Paris 1964, 135-7.
⁴È il lunotto registrato da R. Delbruck, Spätantike Kaiserportraits von Constantinus Magnus bis zum Ende des Westreichs, Berlin 1933, 32, 102ss., tav. 25: presenta al centro Galla Placidia, ai lati i figli Onoria e Valentiniano.
⁵A. Thierry, Aventures de Placidia, in «Revue des Deux Mondes», ser. VI, 8 (1850), 863-79; E. Didron, Galla Placidia, Valentinien III et le général Aetius, in «Annales Archéologiques» 21 (1861), 222-7; W Schild, Galla Placidia, Halle 1897; M.A. Nagl, Galla Placidia, Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, Paderborn 1908 (molto accurato per la cronologia).
⁶W. Ensslin, Galla Placidia, REPW XL, 1910-31; H. Benrath scrisse un romanzo Die Kaiserin Galla Placidia, Stuttgart, 2a ed., 1958: l’azione si svolge tra il 408 e il 450. Uno stimolo fu dato dal nostro studio Galla Placidia e la trasformazione politica dell’Occidente, Lovanio 1961. Seguì la recensione di L. Ruggini, Problemi e studi sull’età di Galla Placidia, in «Athenaeum» 1962, 373-91. Infine, gli studi di S.J. Van Oost, Galla Placidia Augusta, Chicago 1968; L. Storoni Mazzolani, Vita di Galla Placidia, Milano 1978, a carattere divulgativo; G. Zecchini, Aezio. L’ultima difesa dell’occidente romano, Roma 1983, che sposta l’attenzione sull’opera di Aezio, ma esamina con cura i problemi del regno di Galla Placidia; A. Marchetta, Orosio e Ataulfo nell’ideologia dei rapporti romano-barbarici, Roma 1987.
II
INFANZIA TRISTE
Galla Placidia nacque a Costantinopoli da Teodosio I e da Galla probabilmente nel 392⁷. L’imperatore era al suo secondo matrimonio; dal primo aveva avuto Arcadio e Onorio, poi ebbe questa bambina dal secondo, celebrato nella primavera del 387. Lui era oltre la quarantina e Galla giovanissima, tra i quindici e i sedici anni.
Con la moglie Teodosio restò solo qualche mese. Partì, infatti, verso l’Occidente, a capo della spedizione contro Massimo, usurpatore delle Gallie, e dové restare assente oltre tre anni, per tornare a Costantinopoli solo alla fine del 391.
La spedizione contro Massimo non dipese dalla sua volontà; dopo tutto Massimo era spagnolo come lui, cattolico come lui, e neppure in divergenze politiche. Poiché si era imposto nelle Gallie eliminando Graziano, e minacciando di eliminare anche Valentiniano II, figlio di Giustina, questa si era rifugiata a Costantinopoli e nell’invocare l’intervento di Teodosio gli aveva offerto la figlia come moglie. Sicché il matrimonio lo legò alla giovane Galla, ma gli impose l’obbligo di eliminare Massimo per rimettere sul trono Valentiniano II. Era preferibile piuttosto avere come collaboratore il giovane cognato anziché il malfidato Flavio Massimo.
Quando l’imperatore tornò vittorioso a Costantinopoli, vide che erano scoppiati gravi dissapori tra la giovane moglie e suo figlio Arcadio, quasi coetaneo. Restò con Galla qualche anno, quando nel 392 dové nascere la bambina Galla Placidia. Successivamente ci fu una nuova gravidanza, ma in seguito a un aborto Galla morì: era il 394, aveva meno di vent’anni.
Intanto Teodosio doveva compiere una seconda spedizione in Occidente contro un nuovo usurpatore, Eugenio, che aveva eliminato Valentiniano II. Nel partire lasciò il figlio Arcadio come coreggente a Costantinopoli, avendolo nominato Augusto, e portò con sé gli altri due, il piccolo Onorio e la piccolissima Galla Placidia, affidati entrambi alle cure della nipote Serena. Questa, figlia di un suo fratello defunto, era stata allevata in casa sua, quindi considerata come una figlia: più anziana di tutti i suoi cugini, divenne per loro una seconda madre. Lo zio imperatore l’aveva data in moglie a Stilicone, un generale d’origine barbarica, vandalo, ma profondamente romanizzato e così fedele da essere prescelto a diventare genero acquisito dell’imperatore.
Stilicone accompagnò certamente Teodosio nella campagna contro Eugenio, e fu artefice della vittoria⁸. Serena accompagnò marito e zio, con i due cuginetti, fino a Milano. Qui, a pochi mesi dalla vittoria, Teodosio si ammalò e nella primavera del 395 morì. La tradizione vuole che nella breve malattia ricevesse la visita del famoso vescovo di Milano, Ambrogio: si dice che il malato avesse il tempo e la forza di affidare al santo la vita dei suoi figli⁹.
Così restarono orfani, Onorio a circa undici anni e Galla Placidia fra i due e i tre anni. Prima di morire Teodosio, avendo già nominato Augusto per l’Oriente Arcadio, volle nominare Augusto per l’Occidente Onorio, sotto la tutela del cugino-cognato, il fedele Stilicone.
Da quella data (395) l’impero restò definitivamente separato in due parti, senza più riunificarsi¹⁰.
Se l’Occidente restò praticamente nelle mani di Stilicone, l’Oriente subì la stessa sorte in quanto Arcadio, pur diciassettenne, fu debole di carattere e finì per essere dominato dal suo ministro Rufino. In sostanza l’impero ebbe due imperatori nominali, perché i veri padroni furono i rispettivi due primi ministri. E questo creò tutta una serie di ripicche, divergenze, contenziosi che favorirono l’intrusione di corpi estranei, atti solamente a disgregare l’organismo politico.
La morte prematura di Teodosio accelerò il processo di frantumazione già in atto nell’impero, processo che solo una mano ferma avrebbe potuto contenere. Perciò quella data segna una vera svolta nella storia del mondo romano.
Stilicone si mostrò degno della fiducia accordatagli da Teodosio. Seguì una politica di compromesso tra cristiani e pagani – ancora numerosi – per non provocare pericolose scissioni. Fu fermo anche contro i barbari. Se li vedeva pacifici, non li molestava, ma se li scorgeva sul piede di guerra, li attaccava e sgominava. Per vari anni, perciò, fu considerato un vero salvatore dell’impero, e come tale celebrato perfino da Claudiano, poeta pagano che mostra sincera simpatia verso il grande ministro, nonostante che fosse cristiano e d’origine straniera.
Tutto sommato la corte di Milano mostrò compattezza e armonia, a differenza di quella di Costantinopoli dove Rufino spadroneggiò credendo di avere tutto ai suoi piedi. Egli, nato ad Elusa in Gallia, fin dal 390 era magister officiorum, un super-ministro che raccoglieva nelle sue mani le due burocrazie, quella civile e quella militare. Nel 394 si era convertito al cristianesimo, facendosi battezzare nella sua villa-reggia di Calcedonia in presenza di 40 vescovi. I suoi nemici l’accusarono di tramare contro l’imperatore.
La realtà, tuttavia, sembra essere stata diversa: un capo barbaro, Gainas, attraversò l’Ellesponto (lo stretto dei Dardanelli) con truppe personali nel 395 – pochi mesi dopo la morte di Teodosio –, entrò nella capitale e durante una grande cerimonia all’Ebdomon (campo di Marte) aggredì Rufino e gli tagliò la testa sotto gli occhi atterriti dello stesso Arcadio.
La manovra era stata guidata dall’eunuco Eutropio, potentissimo a corte, che divenne il nuovo padrone della situazione.