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Astrattismo e Dadaismo: Poetiche dell'antilirico
Astrattismo e Dadaismo: Poetiche dell'antilirico
Astrattismo e Dadaismo: Poetiche dell'antilirico
E-book523 pagine6 ore

Astrattismo e Dadaismo: Poetiche dell'antilirico

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Info su questo ebook

Il presente studio vuol essere una ricostruzione storico-poetica della singolare stagione artistica d'incontro e interazione tra astrattismo e dadaismo nei primi decenni del XX secolo.
Ne segue la particolare e sottesa sincronia di intenti volti a sconvolgere la tradizione, anche più recente per quegli anni, delle forme dell’arte. Ne sortì una concomitante rete di richiami e contrasti nel fare arte diramatasi tra poesia e pittura, tra danza e musica, tra architettura e scultura, tra teatro, cinema e fotografia e svoltasi dal centro Europa alla Russia, dagli Stati Uniti al Giappone. Nei suoi intenti sconvolgenti fu già un anticipo di globalismo nell’arte.
Nel quadro globale e geografico l’incontro tra astrattismo e dadaismo corre negli anni a cavallo della Grande Guerra con i suoi traumi e coinvolgimenti europei ed extraeuropei.
La loro interazione poetica è stata animata da un sotteso rigetto del convenzionale protagonismo dell’io lirico-soggettivo per mirare con ironia e coscienza critica contro ogni idealismo e ipocrisia morale ritenuti responsabili del dramma della Guerra.
In fondo, nelle forme dichiarate e materiali, oggettive e collettive, nel loro radicale antiespressionismo, l’azione poetica tra astrattismo e dadaismo tese a rendere l’arte più consapevole e schietta.

LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2018
ISBN9788869344404
Astrattismo e Dadaismo: Poetiche dell'antilirico
Autore

Luigi Paolo Finizio

Luigi Paolo Finizio, critico e storico dell'arte ha insegnato nelle Accademie di Belle Arti e ha tenuto corsi in diverse università italiane. Tra le sue molte pubblicazioni dedicate all’analisi critica dell’arte moderna e contemporanea: Il MAC napoletano 1950-54 (Napoli 1990), L’astrattismo costruttivo: suprematismo e costruttivismo (Bari-Roma 1990), Dal neoplasticismo all’arte concreta 1917-37 (Bari-Roma 1993), Moderno antimoderno. L’arte dei preraffaelliti (Napoli 2004), Avanguardia a Napoli. Undici dell’astrattismo (Napoli 2010), Elogio dell’astrattismo (Udine-Milano 2011), Fontana e Burri. Un incontro senza incontri (Roma 2013), Piet Mondrian - Il chiaroveggente (2016).

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    Anteprima del libro

    Astrattismo e Dadaismo - Luigi Paolo Finizio

    LUIGI PAOLO FINIZIO

    Astrattismo e dadaismo

    Poetiche dell’antilirico

    New York – Mosca – Zurigo – Parigi – Berlino – Roma – Tokyo

    Arte e Letteratura

    © Bibliotheka Edizioni

    Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma

    tel: +39 06.86390279

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, ottobre 2018

    Isbn 9788869344404

    È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti sono riservati.

    Progetto grafico: Eureka3 S.r.l.

    www.eureka3.it

    In copertina:

    Prima Fiera Internazionale Dada, Berlino 1920

    Mac Dèi Ricchi

    Luigi Paolo Finizio, critico e storico dell’arte ha insegnato nelle Accademie di Belle Arti e ha tenuto corsi in diverse università italiane.

    Tra le sue molte pubblicazioni dedicate all’analisi critica dell’arte moderna e contemporanea: Il MAC napoletano 1950-54 (Napoli 1990), L’astrattismo costruttivo: suprematismo e costruttivismo (Bari-Roma 1990), Dal neoplasticismo all’arte concreta 1917-37 (Bari-Roma 1993), Moderno antimoderno. L’arte dei preraffaelliti (Napoli 2004), Avanguardia a Napoli. Undici dell’astrattismo (Napoli 2010), Elogio dell’astrattismo (Udine-Milano 2011), Fontana e Burri. Un incontro senza incontri (Roma 2013), Piet Mondrian - Il chiaroveggente (2016).

    Premessa

    Molte delle contemporanee forme dell’arte, con la loro corrente indifferenza a marcate e ideologiche implicazioni di poetica, nel loro ubiquo impiego di processi manuali e tecnologico-digitali e nel loro indiscriminato combinare linguaggi e tecniche espressive hanno radici nelle varie stagioni dell’arte del XX secolo, in modo speciale nei primi decenni del secolo, durante la stagione d’incontro delle poetiche di Astrattismo e Dadaismo.

    La ricerca condotta nel presente studio tenta una ricostruzione storica di quel tempo, di quella particolare stagione. Ne segue l’eccezionale e sottesa sincronia di intenti volti a sconvolgere la tradizione delle forme dell’arte e anche lo svolgimento in una singolare congiuntura di eventi e corrispondenze espressive estesa geograficamente tra Occidente e Oriente.

    Già, insomma, all’interno di quel singolare spirito dell’arte, un anticipo di globalismo. Oggi, nel trascinante tempo di transizioni, a dispetto di ogni ripetuto e morituro pronostico, dentro il fervido fare dell’arte, con il suo indiscutibile quanto diffuso aumento di intenti e pratiche espressive, si avverte da più parti un vuoto di smemoratezza, di rimozione e caduta di senso storico. Eppure il retroterra della memoria, nell’odierno e sconfinato territorio delle forme espressive, continua a nutrire in modo invisibile e in maniera inconsapevole il fermento delle zolle visibili del fare arte. A tale silente ruolo retrostante appartiene pure la storia dell’arte, la critica d’arte. Questo anche se si sono spente certe animose realtà in cui, specie nel secolo scorso, la storia come la critica d’arte seguirono, accompagnarono, sino, a volte, a pilotare i fatti dell’arte.

    Tra gli artisti, e non solo tra di loro, ci fu un dire, uno scrivere nel dettato del pensiero critico, della poesia, della riflessione interpretativa che interagivano, colludendo e collidendo, attivando e contrastando nel corso dell’insorgere e dello svolgersi di forme ed eventi diversi tra le poetiche dell’arte.

    Un divenire e confronto, non solo nei linguaggi delle arti visive, perché, anzi, sovente tra la diversità dei linguaggi dell’arte sottendeva una medesima aspirazione di rinnovamento espressivo e di contrapposizioni poetiche.

    L’incontro avvenuto tra forme dell’arte astratta e i propositi eversivi verso le tradizioni dell’arte del dadaismo, che qui s’intende seguire, è stato certo un esemplare episodio di tale aperta interazione tra fare arte e pensiero critico, tra scrittura e immaginazione. Evento non poco esemplare per come ha visto interagire nel dibattitto e nei proclami di poetica tutte le voci dell’arte contemporanea, dall’Espressionismo al Futurismo, dall’Astrattismo al Cubismo, dal Costruttivismo al Surrealismo.

    Rete di richiami e contrasti nel fare arte che si è diramata tra poesia e pittura, tra danza e musica, tra architettura e scultura, tra teatro, cinema e fotografia dispiegandosi, quasi in uno stesso giro di anni, dall’Europa alla Russia, agli Stati Uniti e fino al Giappone.

    È vero, la storia e le storie non si danno solo nel tempo perché hanno luogo, hanno un territorio, hanno una condizione vissuta, fisica e umana. Il tempo d’incontro tra Astrattismo e Dadaismo è stato quello della Prima guerra mondiale, la Grande Guerra, dei suoi traumi e coinvolgimenti europei ed extraeuropei.

    Come qui si vuole porre in risalto, non poco della temperie espressiva caratterizzante la comune mozione poetica di Astrattismo e Dadaismo è stata una sottesa azione di rigetto verso il tradizionale protagonismo dell’io soggettivo, dei suoi dettati idealistici e di ragione sulle forme del fare arte. In fondo, fu così, nelle forme dichiarate, antiliriche, antiespressioniste, un estremo rigetto antiromantico.

    Forme refrattarie a ogni intimismo, oggettive e ironiche, composte di realtà materiali nell’essere volte a reagire a ogni morale sentimento e ipocrisia ritenuti responsabili del dramma della Guerra. Come si sono avvicendati nel tempo diversi umanesimi e varie realtà umane, così si sono susseguite variazioni di concezione e pratiche del fare arte.

    Oggi, nella immensa dimensione comunicativa che ci pervade, viviamo certo una ulteriore variazione del fare arte, del suo diffuso e indifferenziato agire e produrre dentro le realtà multiculturali del tempo. Tuttavia, nel suo imperterrito divenire, l’inerziale spinta trascinante del fare arte non sarà del tutto cieca se vi continuerà ad agire il senso della storia dell’arte, il suo corroborante pensiero critico.

    L.P.F.

    Parte I

    Astrattismo e dadaismo

    Astrattismo e dadaismo: davvero, si può dire, arte e antiarte insieme. Tra i due versi poetici non ci fu antagonismo – quale corse fra astrattismo e futurismo, o tra cubismo e surrealismo – , anche se, in generale, tra astrattismo e dadaismo condiscendenza ce ne fu più da parte del dadaismo che non viceversa.

    In fondo, l’incondizionata e plurale apertura di linguaggio e la spregiudicata antiarte di Dada salvaguardarono la sua vis polemica dall’assumere posizioni di parte, d’autoconsiderazione rispetto ad altre realtà artistiche.

    Come per ubiqua insorgenza geografica, effettiva e rivendicata, tra New York, Zurigo e Mosca, il suo singolare spirito creativo, di movimento dell’arte contro l’arte, non ha avuto confini stilistici. E fu questa una delle condizioni e sintonie di fondo concilianti il dadaismo al senso e al linguaggio cosmopoliti dell’astrattismo.

    Come si suole dire, la vera ricchezza del pluralismo sta nel riconoscimento dell’altro. Il poeta e pittore dadaista Georges Ribemont-Dessaignes scrisse che «le principal plaisir de Dada est de se voir chez les autres»(1).

    Nel futuro, sino ai nostri tempi, le smaliziate tracce del dadaismo hanno spesso invigorito gli avanzamenti dell’arte astratta (non solo). Si può dunque ripetere con Michel Ragon: «Le rire narquois du dadaisme sera en fait beaucoup plus favorable aux rebondissements de la créativité abstraite que le néo-cubisme qui l’académisa»(2). Indubbiamente, dall’Opera telefonata di Laszlo Moholy-Nagy al Dripping di Jackson Pollock, dai Tagli di Lucio Fontana ai Sacchi di Alberto Burri, dai Monocromi di Piero Manzoni ai Plurimi di Emilio Vedova, limitandoci a questi esempi, ci sono stati dei sicuri incrementi perpetuanti la fisica intrusione del gesto dadaista nei linguaggi dell’arte astratta. Volendo restare nei tempi del corso di Dada, questa è un’ulteriore storia dei nessi intercorrenti tra astrattismo e dadaismo e che qui non si segue.

    Per certi aspetti di poetica, nella parola e nella scrittura, nel detto orale e nella verve del cabaret, i dadaisti, sebbene anticipati dai futuristi, non furono antipassatisti pari a loro, come d’altro canto però non furono nemmeno propensi al futuro. Il tempo, infatti, non era nella memoria e non stava nei progetti dei dadaisti: non ci furono premesse e nemmeno programmi. Qui sta la differenza, ha scritto nei suoi ricordi Hans Richter: «il Futurismo aveva un programma» e le sue opere mirarono alla realizzazione del programma, mentre Dada «fu in tutto e per tutto antiprogrammatico [] e questo fatto conferì al movimento la forza esplosiva di potersi estendere in tutte le direzioni senza impegni estetici e sociali»(3).

    Citare i manifesti dadaisti è poco probante per lo stesso dadaismo, ma nel 1918, a Zurigo, Tristan Tzara ne scrive uno in cui oltre a mettere nell’accademia il cubismo e il futurismo dice per sé stesso e per gli amici del movimento: «Amo un’opera antica per la sua novità. Siamo legati al passato solo per quel che non ci corrisponde»(4).

    Di fatto, proprio dagli esordi zurighesi, una delle polivalenti direzioni espressive di dada comprese l’astrattismo. Nel praticare l’astrattismo, tra i suoi protagonisti ci fu il citato Richter che, reduce di guerra, giunse a settembre del 1916 a Zurigo. Trovò il Cabaret Voltaire con le serate artistiche cominciate a febbraio per iniziativa del poeta Hugo Ball, appassionato di teatro e transfuga dalla Germania. Con la compagna Emmy Hennings, poetessa e cantante, Ball proveniva dagli ambienti militanti dell’espressionismo monacense ed era entusiasta del messaggio dei futuristi italiani. Apparsi in tedesco sulla rivista Der Sturm, con cui collaborava, Ball conobbe i loro Manifesti e insieme alla poesia parolibera poté apprezzare le opere dei futuristi esposte a Dresda nel 1913.

    Tra maggio e giugno del 1916, in cinquecento copie, uscì dunque la prima pubblicazione dadaista con la testata Cabaret Voltaire – sottotitolo: Una raccolta di contributi artistici e letterari – diretta proprio da Hugo Ball.

    Con alcuni riprodotti, il fascicolo porta l’elenco dei lavori esposti nel locale durante gli spettacoli: opere di Arp, Janco, Modigliani, Oppenheim, Picasso, van Rees e Slodki. Mentre i testi poetici pubblicati appartengono ad Apollinaire, Ball, Cangiullo, Cendrars, Hennings, Huelsenbeck, Kandinskij, Marinetti e Tzara.

    In particolare, tra le opere riprodotte c’è l’acquaforte di Pablo Picasso, Mlle Léonie, [f. 1] una delle quattro realizzate per illustrare i versi del libro Saint Matorel di Max Jacob, edito dal gallerista filocubista Daniel-Henry Kahnweiler(5). Di preciso, si tratta di un’opera fatta a incisione, ancora nel linguaggio analitico di scomposizione cubista, quando lui e Braque stavano per passare alla fase sintetica del cubismo.

    Le opere esposte al Cabaret Voltaire comprendevano quattro incisioni appartenenti a Hans Arp. Le aveva portate con sé da Parigi, dove aveva conosciuto Picasso e intrapreso i primi lavori di sintesi cubista a collage, come attesta tra di esse Opera su carta (1915-6) [f. 2], riprodotta sulla rivista. Altre due riproduzioni riguardano composizioni di forme astratte: il collage Natura morta (1916) di Otto van Rees e l’altra di Arp con il titolo Teppich (Tappeto), del 1915 [ff. 3, 4], già realizzata ad arazzo da Adja van Rees nel modo in cui è riprodotta sulla rivista.

    Ancora per quel che concerne le opere esposte di Arp, secondo l’elenco della rivista, ce n’è una in particolare tra le due incisioni, Zeichnung, datate 1914. L’opera riguarda un soggetto religioso ed ebbe pure una stesura a olio su tela con il titolo Crocifissione (1915) che, per questa tecnica, resta una delle rare composizioni campite a olio di Arp.

    Come l’artista ha ricordato, la sua fattura gli permise di raggiungere allora la prima «pittura essenziale» di forme elementari la cui combinazione per il soggetto trattato «conteneva sia la crocifissione sia la testa del Cristo crocifisso»(6). Esito di sintesi formale che, andando oltre i vincoli d’analisi decostruttiva cubista, conteneva pure il saggiare certe soluzioni di montaggio astratto.

    Anche la copertina di Cabaret Voltaire riporta una sua grafica, ma l’esito compositivo mostra un ordito meno astratto di Crocifissione.

    Prima d’incontrare Ball, Arp si trovava già a Zurigo, dove fece amicizia con gli olandesi Otto van Rees e Adja van Rees-Dutilh. Con loro, nel novembre del 1915, espose presentando le prime composizioni astratte, e tra esse c’era l’arazzo che Adja aveva realizzato dalla versione incisa e dipinta di Crocifissione [f. 3]. I coniugi van Rees venivano anche loro da Parigi. Sulla scia più avanzata del Cubismo avevano avviato una pittura fatta di scomposizioni di piani e di elementi disposti a collage secondo trame geometriche che, pur puntando all’astrattismo, si tenevano legate a spunti e pretesti di realtà.

    Negli anni Trenta, i van Rees sono presenti in seno al sodalizio di Cercle et Carrè, alla cui fondazione a Parigi parteciparono stando vicini a Piet Mondrian e al principale organizzatore, Michel Seuphor. Sul primo numero di Cercle et Carré, l’omonima rivista del gruppo, Otto van Rees pubblicò uno dei collage già esposti nel 1915 a Zurigo con Arp; invece, la consorte, all’inchiesta promossa dalla rivista in favore delle forme astratte, ebbe modo di dichiarare: «En art il faut avant tout se fiancer a cette vérité, que la costrution y est aussi nécessaire (visible ou sensible) que le pied au corps humain»(7).

    Durante la mostra con i van Rees a Zurigo, Arp incontrò Sophie Täuber, con la quale più tardi si sposò. Lei s’era formata nelle scuole di Arti Applicate, e vi insegnava, a Zurigo. Per la natura piana di rigore geometrico, e per la consistenza materiale delle sue forme decorative, ebbe subito una certa influenza sugli orientamenti all’astrattismo di Arp, allora più pronto in poesia che nelle arti.

    Negli anni di studio a Parigi Arp era stato attento agli artisti fauves e ai cubisti. Tuttavia, il suo primo vero campo d’impegno s’aprì all’interno della cultura tedesca, tra Monaco di Baviera e Berlino, attraverso un vago espressionismo figurativo nutrito di riduzioni geometriche e corpose fluenze lineari.

    Nel 1912, a Monaco, era entrato in rapporto con Vasilij Kandinskij e il Blaue Reiter prendendo parte all’esposizione di opere grafiche del gruppo e al loro Almanacco, mostra che si tenne a Monaco e l’anno dopo, diversamente allestita, a Berlino presso la Galleria Der Sturm di Herwarth Walden.

    L’opera di Arp, riprodotta sull’Almanacco, porta il titolo di Studio per un busto (1911-12) [f. 5], mentre in merito alle altre opere presentate in mostra va detto che alcune vennero riprodotte sulle pagine della rivista Der Sturm, organo dell’omonima galleria berlinese, e sono tutte ancora d’impianto figurativo.

    Nel 1914, Arp si trasferì a Colonia dove incontrò Max Ernst, anche lui alle prime ricerche figurative in senso espressionista e in procinto di andare al fronte. Già allora Arp si fece notare per certe stravaganti poesie, si può dire pre-dadaiste: poi, in agosto, allo scoppio della guerra, abbandonando la Germania ritornò a Parigi. Vi rimase per qualche mese, interessandosi alla cultura orientale e alla teosofia. Frequentò poeti come Max Jacob e Guillaume Apollinaire, e nel 1915, prima di lasciare la Francia e rifugiarsi in Svizzera, realizzò per l’Istituto di Ricerche Teosofiche di Parigi delle decorazioni a parete (andate distrutte) con sagome astratte di carte colorate. Era il frutto estremo delle frequentazioni con il collage dei cubisti, e di quel lavoro Arp riferì poi a Richter, che lo ha così descritto: «Ritagliò nella carta, come mi raccontava, grandi forme ricurve dai colori diversi e decorò le pareti con queste astrazioni liriche»(8).

    E, per quanto d’esito lirico, come dice la rievocazione di Richter, da quell’esperienza di forme astratte scaturì non poco dal procedere empirico con cui erano state in pratica suscitate e composte. Vale a dire, secondo un manipolativo dar vita alle forme che predispose Arp all’intesa vissuta con la Täuber nell’abbandono della figurazione e delle convenzionali matrici compositive di astrazione interiore. Si può dire, nei fatti, che fu pertanto proprio nel corso del lavoro parigino di decorazione sulle pareti dell’Istituto di Ricerche Teosofiche che Arp avviò il distacco dai tradizionali termini di pittura, assumendo la pratica compositiva del collage di forme astratte.

    Una volta a Zurigo, nel 1915, di nuovo realizzò, in compagnia di van Rees, con ritagli di forme astratte, la decorazione murale per il locale Istituto Pestalozzi: le reazioni, però, furono tali che l’opera venne cancellata. Dalla ricerca di sintesi essenziale della citata Crocifissione Arp era così giunto al diretto ordito materiale di autosignificanti forme astratte. Secondo, cioè, modulate e autonome connessioni di forme e colori quali, anni dopo, mise in pratica in modo culminante con il decoro del Caffè Aubette a Strasburgo (1927-28).

    Opera questa che realizzò insieme alla compagna Sophie e a Theo Van Doesburg [f. 6], ma anch’essa andata distrutta e occultata sotto nuove tinteggiature negli anni Trenta. In definitiva, da quei primi lavori nel 1915, Arp ha avviato un versatile percorso a-pittorico all’astrattismo non per insorgenze interiore, in senso kandinskijano, ma per via manipolativa, per via empirica. E proprio su questa via empirica una certa parte della storia dell’astrattismo, quasi a contraddire la sua iniziale genesi lirico-spirituale in pittura (quella simbolista e orientale), ha fatto dell’espressione non oggettiva di segni, forme e colori un fecondo ed estroverso teatro di gesti e invenimenti manuali e materiali. Fuori dall’aura pittorica e dalla sua millenaria retorica persuasiva, questa dimensione di per sé dissacrante dell’io suscitante e compositivo, volta a un darsi anche in senso alogico e casuale, predispose, dunque, non solo per Arp, la fertile interazione tra astrattismo e dadaismo in senso antilirico.

    Nel testo per il catalogo della collettiva con i coniugi van Rees, presso la Galleria Tanner di Zurigo, nel 1915, Arp assegnò alle forme delle opere in mostra un quieto e fermo significato compositivo. Un tranquillo senso d’immagine, pure animato di sarcasmo, nel tendere a separarsi dalle auliche e illusionistiche prosopopee figurative tradizionali. Retorica dell’arte, quella greca sino ai pittori rinascimentali, che, gli fa dire, aveva indotto l’uomo alla «surestimation de la raison»(9). Figurazioni, continua Arp, che invece di indurre a servirci delle mani dei nostri fratelli come delle nostre, le hanno fatte diventare nemiche, volendo così far intendere che l’assunto delle sue forme, del suo linguaggio astratto, aspira nel silenzio della compostezza formale a riscoprire e fornire un mezzo di comunicazione intersoggettiva, di primario e rigenerante ristabilimento di significati comuni nella vita dell’uomo. Per le sue opere, a conclusione, dice ancora: «Ces œuvrés sont construites avec des lignes, des surfaces, des formes et des couleurs. Elles cherchent à atteindre par-delà l’humain, l’infini et l’éternel. Elles sont un reniement de l’egotisme des hommes»(10).

    Queste, insomma, le premesse di un ripristino primario delle forme nell’arte che per Arp avviano la radicale interazione del dadaismo con l’astrattismo. Anche, vedremo, per quello che ha avuto nello spirito di Dada un certo senso costruttivista e di critica sociale. Rispetto, poi, alle correnti esperienze espressioniste, sono premesse da cui possiamo intendere che la scelta di un astrattismo empirico assunse per Arp, e non solo, un senso antisoggettivo, volto a setacciare ogni retorica discorsiva del segno. Così, sulla via potenziale del linguaggio elementare – linee, superfici e colori – l’artista innestò il controllo e la libertà del fare arte sino all’azione impregiudicata del gesto che assesta la forma e fino al sopravvenire del caso. Appunto, il caso, aperto all’ignoto, e che fuori dal controllo dell’io dona le occasioni d’immagine a una trama che può autogenerarsi all’infinito.

    In quei tempi di guerra, quando a certe ore arrivavano tra le strade di Zurigo i rimbombi dei colpi di cannone, partecipando a Dada Arp (nato in Alsazia, la regione contesa tra Francia e Germania) ha sentito d’unire al suo comporre un’ansia di coralità perduta per l’uomo, l’attesa di una primaria e restaurabile comunanza umana attraverso l’arte.

    Più tardi, riandando a quei momenti iniziali insieme alla compagna Sophie, Arp ha raccontato: «Nel dicembre del 1915 incontrai a Zurigo Sophie Täuber, che si era già liberata dall’arte tradizionale […] Anzitutto volevamo liberarci da tutto quello che non dipendeva dal gioco e dal buon gusto e anche riguardo della personalità, che sentivamo come un carico inopportuno quanto inutile […] Si era alla ricerca di nuovi materiali non gravati dalla tradizione pittorica. Ci dedicammo insieme, o da soli, a ricamare, tessere e dipingere immobili forme geometriche. Ne vennero delle impersonali e severe costruzioni, fatte soltanto di piani e di colori. Ogni azzardo era eliminato. Nessuna incertezza o smarginatura di piccole macchie, nessuna imprecisione doveva intorbidire la purezza dell’opera. E siccome tradivano il gesto mobile della mano, abbandonammo persino le forbici, di cui c’eravamo serviti all’inizio dei ritagli di carte, e facemmo ricorso alla taglierina. Nei grandi lavori a ricamo e in quelli tessuti, nelle opere dipinte e nei collage a quel tempo realizzati insieme, cercammo l’umiltà di restare vicini al candido apparire della realtà. Volti a separarsi dal mondo esteriore, desidero definire quei nostri lavori arte del silenzio, arte aperta all’essere interiore, alla sua silente realtà…»(11). Nel rigenerante spirito artigiano, proprio l’opera Tappeto, prima citata [f. 3], venne realizzata in tessitura dall’amica Adjia van Rees. La sua composizione geometrica è simile ad altri lavori poi compiuti con la Täuber. Forme dal tono pacato e sicuro – lavoro di abili mani e di tenera intesa – che, secondo le citate parole di Arp, introdussero il silente astrattismo tra le ciniche e rumorose provocazioni antiartistiche del dadaismo. Un lavoro fatto a due in un materiale inusitato tra gli artisti di punta del tempo, ma che, proprio su tali avvii, avrà un lungo seguito nell’arte della tapisserie del XX secolo.

    Sebbene le parole del brano citato siano posteriori all’esperienza Dada, pure riescono a restituire lo spirito interiore di forme non oggettive con cui Arp prese parte al frastuono estroverso delle manifestazioni del Cabaret. In fondo, proprio nel loro silente mirare «all’essere interiore», con il loro felpato costituirsi di disegni geometrici, l’astrattismo trovò infatti un suo alimento in seno al dadaismo.

    Pur partecipando a un fare estroverso e rivoltoso, fu pertanto nutrimento di forme e materiali vissuti sempre con distacco dalle maniere del grido espressionista. Si dava così fiato a uno spirito nuovo di linguaggio. Per la storia dell’astrattismo, in particolare, si marcava una svolta di futura e lunga temperie espressiva in chiave di de-lirizzazione e vocazione oggettiva nelle forme e nei materiali dell’arte.

    (1) G. Ribemont-Dessaignes, Le Plaisirs Dada in Littérature, n. 13, maggio 1920 in Id., Dada 1915-1929, a cura di J. P. Begot, Parigi, 1994, p. 18.

    (2) M. Ragon, Journal de l’art abstrait, Ginevra, 1992, p. 9.

    (3) H. Richter, Dada Kunst und Antikunst (Colonia, 1964), Dada Arte e Antiarte, trad. it., Milano, 1966, p. 40.

    (4) T. Tzara, Sept manifestes dada. Lampisteries (Parigi, 1964), Manifesti del dadaismo e Lampisterie, trad. it., Torino, 1964, p. 36.

    (5) G. Bertrand, L’illustration de la poésie a l’époque du cubisme 1909-1914, Derain, Dufy, Picasso, Parigi, 1971.

    (6) L’elenco del «Catalogue de l’exposition Cabaret Voltaire» porta indicate due grafiche del 1914 e tre collage del 1916. Cfr. D.Ades, Dada and Abstract Art in Zurich 1915-20 in cat. mostra AA. VV., Abstraction: Towards a New Art. Painting 1910-20, a cura di A. Bowness, Tate Gallery, Londra, 1980.

    (7) Cercle e Carré, n. 1, Parigi, 1930: Edizione anastatica a cura delle Gallerie Lorenzelli (Bergamo) e Martano (Torino), Torino, 1969, M.-A. Prat, Peinture et avant-garde au seuil des années 30, Losanna, 1984.

    (8) H. Richter, Dada, op. cit., p. 30.

    (9) J. Arp, Dadaland in On my way. Poetry and essays, 1912-1947 (New York, 1948), cito da Jours Effeuillés, poems, essays, souvenirs 1920-1965, Gallimard, Parigi, 1966, p. 306.

    (10) Ibid. (Il testo ha delle variazioni rispetto all’originale nel catalogo del 1915).

    (11) Ibid., da dove traduco liberamente, pp. 327-28.

    Sprezzo della liricità

    In seno al dadaismo, l’arte e l’antiarte ebbero in comune lo sprezzo della soggettività lirica, del patetico espressionista.

    Tenendo di mira due dei protagonisti di fondazione di Dada a Zurigo, ovvero Hans Arp e Hugo Ball, lo stacco dal comune sentire espressionista si mostra consonante. Sebbene entrambi fossero di fatto volti all’essere interiore della forma visiva, all’inconscio e al silenzio vibrante del non senso fonetico, la loro idea dell’arte si spogliò delle soggettive identificazioni cosmico-metafisiche insite allo spirito poetico espressionista d’anteguerra. A suo modo, ciascuno s’allontanò dalle corsive e figuranti necessità interiori di Vassilij Kandinskij. Vedremo, tuttavia, che per quanto convergente al momento dell’intesa dadaista, fu un processo vissuto e consumato in tempi e modi diversi tra Arp e Ball, e per quest’ultimo con esiti di riconversione.

    Al tempo della berlinese esposizione del Cavaliere Azzurro e delle mostre personali di Kandinskij presso Der Sturm, Arp s’impegnò sui fogli della rivista della galleria in difesa della sua pittura astratta e in seguito comprò un suo quadro importante, Improvvisazione 35 [f. 7]: un’opera concludente la serie di oli così intitolata e cominciata nel 1909. Pittura che sebbene non porti il titolo di «composizione», che l’artista era solito conferire alle opere di maggiore compiutezza formale, pure si tratta di un lavoro marcante quel momento di dominio sulla dinamica sparsa delle iniziali forme astratte.

    In ordine di tempo, Improvvisazione 35 appartiene alle ultime opere realizzate da Kandinskij in Germania nel 1914, prima del rientro in Russia allo scoppio della guerra. Con la partenza di Arp per Parigi e poi per Zurigo, l’opera in suo possesso trattenne presso di lui una testimonianza che nei tanti aspetti di vitalismo formale e canglore pittorico rappresentò la diversità dal silente comporre cui l’artista alsaziano intese poi volgere le forme antiespressioniste della sua arte. D’altra parte, Improvvisazione 35, con altre di quel momento di congedo dalla Germania (per esempio Quadro con macchia rossa [f. 8], opera peraltro riprodotta, tramite la Galleria Der Sturm, sul n. 3 di Dada), rappresentarono per lo stesso pittore russo un certo traguardo del percorso di liberazione della forma e del colore da ogni residuo figurativo.

    Liberazione, come è noto, anticipata da Kandinskij con il Primo acquerello astratto del 1910 e proseguita nel contesto espressionista del Cavaliere Azzurro, così come fu teoricamente predisposta, almeno due anni prima, nella stesura delle pagine di Lo spirituale nell’arte(12). Traguardo di particolare accensione e movimentazione tra segno e colore – al momento Kandinskij parlava di agitazione tecnica tra superficie e pennellata – che era pure una maniera di sentirsi in raccordo con l’attivismo espressionista e il dinamismo dei futuristi più che con la mentale decostruzione geometrizzante dei cubisti.

    All’interno dell’Almanacco del Cavaliere Azzurro Kandinskij, nello scritto Il problema delle forme, proprio a riguardo del cubismo, aveva posto l’interrogativo del «perché impoverire l’espressione artistica ricorrendo esclusivamente ai triangoli e a forme o corpi geometrici analoghi.(13)» Lo scoppio della guerra infranse per tutti lo spirito di lirica animazione che teneva insieme la cultura artistica tedesca attraverso il movimento espressionista.

    Per l’intero movimento tra letteratura, poesia e pittura, il germanista Ladislao Mittner, ha considerato il 1914 come «l’anno limite» che fa da spartiacque tra gli inizi e il suo concludersi. Senza confidare in un eccessivo determinismo cronologico, per le sorti dell’espressionismo resta indiscutibile per quell’anno il suo cruciale luogo geografico. Nel cuore d’Europa, tra Francia e Germania, appunto, quale epicentro del conflitto e dove l’arte espressionista era insorta e andò languendo. Su tale epilogo, anche a riguardo delle due lingue in cui parla l’azione dadaista, la francese e la tedesca, si può arrivare a riconoscere che il dadaismo, nel concludere fauvismo e cubismo, preparò nell’arte francese il surrealismo, cosi come nell’arte tedesca, col disgregare l’espressionismo, preparò l’astrattismo e costruttivismo sino al nuovo realismo o neusachlickeit.

    Andando per un momento alla storia dell’Espressionismo, alcuni resoconti ci hanno fatto sapere che la prima sua denominazione se l’assegnò nell’intitolazione dei propri dipinti uno dei tanti liberi pittori che dal 1901 esponevano al Salone degli Indipendenti di Parigi. Ma tutto comincia davvero nel 1905, con i pittori francesi fauves: André Derain, Henri Matisse, Maurice de Vlaminck al Salone d’Autunno e, a Dresda, con gli artisti tedeschi che si misero in gruppo sotto il nome di Die Brücke (Il ponte): Fritz Bleyl, Erich Heckel, Ernest L. Kirchner e Karl Schmidt-Rotluff e poco dopo con l’associarsi di Max Pechstein. Tra pittura e letteratura fu principalmente una realtà della cultura tedesca. Fuori dei circoli poetici, i primi contributi letterari sono notoriamente riconosciuti in opere prodotte, qualche anno dopo la nascita del gruppo dresdiano, da esponenti delle arti figurative: Oskar Kokoschka con Assassino, speranza delle donne (1910), La sfinge e lo spaventapasseri (1917), Alfred Kubin con L’altra parte (1909) e lo scultore Ernst Barlach con il dramma Il giorno morto (1912).

    In una galleria di Dresda, nel 1908, durante la prima mostra importante degli artisti del Brücke contemporaneamente, per iniziativa del loro compagno Max Pechstein, in un’altra galleria, della stessa città, esponevano i fauves. Poi nel 1912, l’anno di pubblicazione dell’Almanacco del Blaue Reiter a Monaco e della nascita dell’altro filone espressionista tedesco, l’espressionismo dell’astrazione, gli artisti di Dresda, che nel frattempo avevano abbandonato la tranquilla cittadina d’origine trasferendosi nella più effervescente vita metropolitana di Berlino, si trovarono di nuovo uniti ai colleghi francesi e ai nuovi espressionisti di Monaco di Baviera presso la Galleria Der Sturm e sostenuti sulle pagine dell’omonima rivista che il proprietario della galleria, il già citato Herwarth Walden, scrittore e musicista, aveva fondato.

    Ancora nel 1918, Walden volle puntualizzare sulla sua rivista che tutti gli artisti validi dell’espressionismo si raccoglievano in un solo luogo: Der Sturm. Tedeschi e francesi insieme ciascuno con le proprie matrici di forme e colori e con le affini insorgenze compositive, tanto che presentando i connazionali del gruppo Die Brücke nell’Almanacco del Blaue Reiter, il pittore Franz Marc li chiama «i fauves tedeschi»(14).

    Negli anni prebellici, la poetica dell’espressionismo, in fondo, è stata un coaugulo abbastanza coeso e riconoscibile di forme e motivazioni. Questo anche se Walden ne volle fare un ecumenico movimento in cui poterono incrociarsi le diverse punte europee dell’arte, cubisti e futuristi, espressionisti ed astrattisti, analogamente a come Filippo Tommaso Marinetti fu solito mettere tutte le avanguardie sotto la bandiera del Futurismo.

    Quale attivo collaboratore nella galleria e sulla rivista di Walden, si svilupparono per Arp le prime esperienze dell’espressionismo. La grafica, prima ricordata, Studio per un busto (1911-12) [f. 5] presente nell’Almanacco del Cavaliere Azzurro, è più vicina alle veloci figurazioni cubisteggianti degli artisti del Brücke o alle geometrizzanti astrazioni di Marc che alle corsive astrazioni dei paesaggi di Kandinskij. Vide le pitture del gruppo dresdiano nelle mostre che polemicamente allestirono a Berlino all’insegna di una Nuova Secessione nel 1910, ma successivamente poté certo visitare la rassegna che il Brücke organizzò nel 1913 all’esposizione primaverile della Secessione Berlinese, l’ultima del gruppo prima dello scioglimento.

    Assieme ad alcuni artisti svizzeri, tra cui Walter Helbing, Paul Klee, lui stesso esponeva a maggio nella Galleria Der Sturm con il gruppo Der moderne Bund (Federazione moderna). Un sodalizio che lo stesso Arp aveva fatto nascere nel 1911 e che gli dette l’occasione dei primi rapporti con Kandinskij.

    Arp, da allora, ha seguito maggiormente il pensiero teorico di Kandinskij che la sua pittura. Infatti, pur con diversa temperie spirituale, a ben vedere, non poche delle future scelte poetiche resteranno avvinte all’idea kandinskijana di konkretekunst, d’arte concreta. Denominazione assegnata a tutta l’opera arpiana nelle componenze materiali e d’autosufficienza pari a un organismo naturale. L’autonomia espressiva delle forme astratte – secondo quanto Kandinskij torna a scrivere, nel 1913, dopo la pubblicazione di Lo spirituale nell’arte, in un articolo su Der Sturm, La pittura come arte pura – che Arp ha certamente letto – corrisponde per lui a uno stato di evoluzione avanzata nell’arte. Nel sostenere cioè che un’opera è legittima senza alcun sostegno esterno, secondo funzionalità o mimesi, ma soltanto quale autonomo «essere costruttivo»(15). Del resto, si è visto, lo spostamento dall’asse lirico-interiore all’asse oggettivo-estroverso che l’astrattismo di Arp ha messo e metterà in opera, prima e durante la vicenda dadaista, si manifesta come un fare empirico sulla manipolazione costruttiva di materiali più che su di una loro scaturigine spirituale.

    Invece, dentro la vicenda di dada, rispetto alle esperienze di Arp – negli stessi circuiti dell’espressionismo della Galleria Der Sturm – per il fondatore del dadaismo, Hugo Ball, i legami con l’opera e il pensiero di Kandinskij furono più diretti e coinvolgenti in chiave di poesia e di concezione del teatro. Frequentazioni che interruppe quando fu chiamato ad arruolarsi e una volta riformato e contrario alla guerra Ball si allontanò dal paese rifugiandosi nella neutrale Svizzera. Certi rapporti continuarono, anche se la poesia e l’arte, i poeti e gli artisti espressionisti accolti e proposti nelle manifestazioni del dadaismo, alla pari di quanto proveniva dalle poetiche del cubismo, futurismo e metafisica, furono più esempi di un repertorio d’avanguardia da esibire, che sentiti materiali da rivivere e sui cui innestare il laboratorio creativo di dada.

    La versatilità degli interessi di Ball – Richter lo definisce «filosofo, romanziere, cabarettista, poeta, giornalista e mistico» – trovava la sua silloge nella passione che lo dominò attraverso il teatro. In modo spiccato, lo attirava l’idea di un teatro totale con le dirette possibilità, più d’ogni altra singola arte, di raggiungere le coscienze, di emozionare il pubblico.

    Coinvolgente concezione, dopo le romantiche idee di Richard Wagner, che ebbe, vedremo, una nuova formulazione, decisamente non melodrammatica, nell’interazione delle arti con il teatro in particolare tra futurismo e dadaismo. Questa la novità teatrale insorta tramite un preciso contributo di Kandinskij sull’Almanacco del Blaue Reiter.

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