INFANZIA. Invenzioni per le memorie di una bambina
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Anteprima del libro
INFANZIA. Invenzioni per le memorie di una bambina - Dudi Sabielki
Lucìn era sempre l’ultimo ad arrivare. Era piccolo ancora, e per lui quelle riunioni serali di maggio non erano forse che un gioco un po’ strano, di cui non capiva bene il significato. Si trascinava dietro la seggiolina con il sedile impagliato e i listelli dello schienale dipinti di verde, e si portava anche un giocattolo (poche biglie di terracotta, una paletta rossa mezzo arrugginita), o qualche cosa da succhiare, che durasse per tutto il tempo che gli altri parlavano. Così era sicuro di non stancarsi troppo.
Gìa e le altre stavano sedute in cerchio; l’Angela era la più bella, nera di capelli, e gli occhi chiari di quel verdino dorato. Ma Gìa sì che sapeva raccontare le storie! Ne sapeva di bellissime, come quella di Bianca-come-la-neve-e-rossa-come-il-sangue: Biancacomelaneverossacomeilsangue butta giù le tue lunghe trecce e tira su la tua cara madre!
. La madre stava all’Inferno e Biancacomelaneve non pensava proprio a tirarla su. Ma le mamme allora, possono andare all’Inferno! Sono cattive? Che cosa aveva fatto quella di Biancacomelaneve? Gìa aveva risposto: Era una strega, no?!
Lucìn s’era sentito inquieto a quella rivelazione, fino a quel momento aveva pensato che le mamme non potessero essere che molto buone. Poi c’era quell’altra, del bambino sul pero e della vecchia col grande sacco, che voleva che lui le buttasse giù le pere, ma in realtà la vecchia voleva mettersi il bambino nel sacco, poi portarselo a casa e cucinarlo, tenero com’era! E l’avrebbe fatto, ma il bambino era furbo, furbissimo, aveva capito tutto.
Però da un po’ di tempo Gìa le storie non le raccontava più. Gìa racconti la storia?
Zitto Lucìn
rispondeva appena, e continuava a parlare di tutte quelle cose complicate, che lo stancavano tanto. Quella sera proprio aveva deciso di starsene seduto sul gradino della porta di casa, ad aspettare le lucciole. Ma poi era arrivata Paolina con Lele suo fratello, che le teneva sempre dietro: Gìa ha detto se vieni
. Sì, se vieni
aveva ripetuto Lele. Lucìn non ne aveva voglia, ma s’era lasciato convincere dalla promessa di Lele: Guarda
gli aveva detto sottovoce mentre restavano un po’ dietro è per i grilli!
e gli aveva mostrato due barattoli di vetro col coperchio già forato: Uno per me, e uno per te
. Lucìn aveva detto di sì, ma pensava che invece dei grilli, lui ci avrebbe messo le lucciole nel barattolo, tante lucciole, tantissime lucciole, così l’avrebbe messo sulla finestra della camera, e dal lettino poteva vedere la luce, fino a quando faceva chiaro.
C’era anche quella nuova vicino a Gìa, aveva un nome difficile da dire; Lucìn aveva provato a chiamarla a bassa voce perché lei non se ne accorgesse troppo, Maddalena
. Lo diceva in fretta, ma lei sorrideva, scuoteva la testa, e ripeteva: No, no, Mag-da-lena, Magdalena!
Lucìn allora arrossiva provava rabbia, anche perché le altre lo canzonavano: Non sa parlare! Non sa parlare!
Non la finivano più con quella nenia, e lei allora rideva forte e si tirava la sottana sulle ginocchia, giù fino ai piedi. Per fortuna una sera aveva raccontato che lei sapeva vedere anche se c’era buio: senza mettere le mani avanti, usciva dalla finestra del piano terreno quando gli altri erano già a letto ed erano convinti che lei dormisse, e senza fare alcun rumore passeggiava in giardino; a volte saltava pure il fosso ed entrava nel campo di erba medica, dietro casa. A fare che cosa, ci vai?
le aveva chiesto l’Angela. Ma Magdalena s’era messa l’indice davanti alle labbra, e non aveva spiegato un bel niente. Così, per via che ci vedeva al buio, ora la chiamavano la Gatta. Forse era colpa della Gatta, se Gìa non raccontava più le storie. La Gatta faceva sempre gli indovinelli.
Ecco, ora c’erano tutti, si poteva proprio cominciare. Lucìn si infilò sotto la lingua il bastoncino di liquirizia e intanto controllava che il tappo del barattolo si chiudesse bene: e i buchi, non erano troppo larghi? I grilli sono più grossi delle lucciole, e poi non volano. Era preoccupato.
Sembrano piccole le stelle, eh
diceva ora Gìa dite la verità! Avete mai pensato che sono più grandi di quelle che stanno intorno alla Madonna azzurra? Quelle sono di vetro, e si accendono con la luce, lo sappiamo. Ma non è solo per questo che le stelle in cielo sono diverse!
Quelle sono vere!
diceva l’Angela. Io credo che sono grosse come la zucca che è venuta l’anno scorso in campagna nell’orto di nonna Irene
provava Paolina, l’hanno spaccata con la scure e abbiamo mangiato i tortelli tutti, la Vigilia di Natale! Lo zio Francesco diceva che eravamo più di trenta, e lui e gli altri uomini non si accontentano di un piattino!
Anche la carpa che ha pescato papà era grande così. E poi luccicava
intervenne Lele; di solito non aveva granché da dire. Lucìn lo tirò per una manica: Andiamo? E’ quasi buio, andiamo, dai!
La carpa non c’entra
disse Gìa e nemmeno la zucca. Ecco, una casa…
Una casa?
Lucìn spalancò gli occhi e se cadono giù?
Non cadono, non possono cadere. Ma neanche una casa. Sono molto più grandi, come tutta la città, come un’isola, più della Terra
, ripeteva Gìa a bassa voce, guardandoli uno per uno. Quant’è grande la Terra, Gìa?
le chiedeva ora la Gatta. Di sicuro proprio, non lo so, ma ci sono tante case, tante città, e c’è il mare e le montagne. Allora la Terra è grande, e le stelle più grandi ancora
. Per un po’ restarono tutti in silenzio.
Ci sono anche da voi i fiori del diavolo?
chiedeva l’Angela a Magdalena, che era arrivata lì da un posto lontano. Senza aspettare la risposta, continuò: Sono quelli gialli gialli, se li annusi senti che puzzano, ma è meglio che non li prendi. Spuntano dove il diavolo ha messo i piedi, solo che li appoggi, son tutti di zolfo. I piedi, non i fiori! Ma noi non l’abbiamo mai fatto
. Non vogliamo mica andare all’Inferno!
esclamò convinto Lele.
S’era fatto scuro e nell’aria fu tutto un brillare di lucciole. Quante! Non se n’erano mai viste tante; persino i grandi eran venuti fuori a vedere. Gìa stava incantata, sognante a guardare quella meraviglia, e la gioia di Lucìn era al colmo: come se fosse lui l’artefice segreto di tanto splendore! Che occhi belli hai, Lucìn
diceva Magdalena, e lui allora faceva una cosa che mai poteva pensare che era capace; lui, Lucìn piccolo, prendeva per mano, con la sua manina, Magdalena, e la tirava verso il campo di erba medica, ma lei non si faceva nemmeno tirare, neanche un pochino, veniva contenta, e non rideva. Dietro, anche Gìa, Nannina, l’Angela, Paolina e Lele,