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In automobile
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E-book178 pagine2 ore

In automobile

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Info su questo ebook

"In automobile", pubblicato per la prima volta nel 1908, è una raccolta di racconti che riportano alcuni viaggi automobilistici dell'autore Carlo Placci intrapresi nei primi anni del Novecento. La prosa letteraria utilizzata rappresenta un'esaltazione dualistica degli opposti, presentando a chi legge un continuo intervallarsi di modernità e di tradizione.-
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2022
ISBN9788728411094
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    Anteprima del libro

    In automobile - Carlo Placci

    In automobile

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1908, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728411094

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    IN AUTOMOBILE

    PREAMBOLO INNANZI DI SALIRE IN MACCHINA

    Portraits of Places – alla lettera, ritratti di posti – cosí ha felicemente intitolati i suoi bozzetti di viaggio Henry James, il rinomato e fine osservatore americano. Ebbene, rileggendoli a trenta anni di distanza, somigliano sempre? E, dopo sessant’anni, quale effetto producono i bozzetti di Giuseppe Revere? Dovrebbe essere lo stesso d’allora: eppure no, vi è qualcosa di ex-moderno… Come mai? I luoghi non possono essere mutati a tal segno da renderli irriconoscibili. Vi saranno, ahimè! molti alberi magnifici di meno, qualche edifizio mostruoso di più; i vestiti e gli usi nazionali andranno sparendo. Ma la base deve essere costante: il profilo generale della città, la composizione del paesaggio, il tipo della popolazione rimane… Se, per un miracolo di giovinezza eterna, una bellissima donna si lasciasse successivamente dipingere, nel fiore dell’età, da Ingres, da Winterhalter e da Boldini, l’identità sussisterebbe. I ritrattisti, non già le fattezze della signora, sarebbero cambiati.

    Mettendo dunque totalmente da parte il merito intrinseco dei varii paesisti verbali, oltre alla diversità della data, è la diversità del trattamento che colpisce in loro. Ora, mentre il millesimo si rispecchia sopratutto nelle mode, il processo visivo mi sembra principalmente determinato dal metodo di locomozione abituale al descrittore. Vi è, senza dubbio alcuno, un sistema di vedere proprio ai pedoni ed un altro ai cavalcatori: nell’età delle diligenze si vedeva altrimenti che all’epoca dei treni unicamente omnibus: a seconda che camminiamo ordinariamente a passo di formica, a trotterello di cane o a fuga di daino, le cose si presentano con differenze sensibili… Per conseguenza è naturale che, quando la bicicletta sostituisce le gambe, e l’automobile la carrozza, nasca ancora un modo speciale di guardare e di rendere.

    Per una quantità di motivi, troppo noiosi a spiegare, dobbiamo accettare all’ingrosso l’anno 1850 (anche perché facile a ricordarsi) come la data solenne d’una grande crisi artistica. Sempre parlando alla brava, con un’impertinenza generalizzante tutta moderna, fino allora gli ultimi strascichi dei tempi belli, subito dopo le prime manifestazioni dei tempi brutti. In blocco, nel mezzo secolo antecedente si era stati altrettanto affezionati alla poesia dell’esistenza, cara dea tramontante, quanto, nel mezzo secolo susseguente siamo stati attaccati alla prosa, comoda dea ascendente. Poiché è innegabile che a un ancien régime d’arte è succeduto da quel momento il regime della non-arte.

    Mi asterrò dal ripetere i luoghi comuni intorno ai compensi ottenuti in cambio, insistendo sui progressi sbalordenti delle scienze applicate, e mi contenterò di prendere nota del salto da giganti compiuto tra il giorno della morte di Mr George Stephenson e quello della nascita di Monsieur Panhard, di Herr Mercedes e del signor Fiat. Evoluzione nella rapidità, non solo, ma nel dislocamento. Alla fissità della volata pei binarii diritti, la libertà della corsa per le strade storte. In fondo gli inventori ed i perfezionatori dell’automobile ci hanno ridonato una parte della poesia perduta. È stato un ritorno all’antico con mezzi ultracontemporanei. È stato un rinascimento come qualsiasi altro. In pieno quattrocento, non si è cercato di tornare, coll’umanesimo, all’Ellade e a Roma, e in pieno ottocento, col preraffaellismo, al medioevo? Qualche cosa d’allora fuso con molte cose d’adesso, tale il precetto dei rinascimentisti. La vita dell’era dei postiglioni mescolata alla velocità dei tempi nostri, tale la trovata dell’automobilismo…

    E ora una distinzioncina pedantesca. Il vagone, quella scatola chiusa che corre sempre nella medesima direzione, ha un carattere assai diverso dalla vettura scoperta semovente: innanzi tutto, permettendo di concentrarsi, di leggere, di scrivere, ha della stanzetta da studio mobile, vale a dire sa prolungare nel moto le abitudini contemplative. Non cosí la quaranta cavalli, libera da tutti i lati affin di lasciarsi bene imbevere dal paesaggio e dal vento, colle carte del percorso che, a spiegarle, volano via, colle guide, appena intra-aperte, prese da fremiti e brividi, col divieto assoluto di qualunque occupazione, all’eccezione di guardare…

    Tanto è vero che l’attività per l’attività s’impossessa sovente dell’automobilista con una padronanza dispotica che può giungere all’assurdo: andare, andare, e tacere: cambiar scena, ricambiar scena, e mai riflettere: passare, passare, e non fermarsi… Nulladimeno tra viaggiatori in treno e viaggiatori a motore vi è parentela nel genere di osservazione che vien loro inevitabilmente suggerito: sia più o meno forte, venga accompagnato da maggiore o minore limitazione di spazio, l’acceleramento è sempre la base nuova della visione. Capovolte le nozioni del tempo, è stata trasformata la maniera di vedere. È una categoria di guardare a sé, che è venuta su…

    Goethe, il quale ha creduto fermamente nell’intensità vitale che il viaggiare dà al proprio essere, ed ha lasciato tanti preziosi appunti di tourista, si è servito di ogni mezzo di locomozione disponibile a tempo suo: ha viaggiato a piedi, in barchetta, a cavallo, in sedia da posta… Ma queste andature varie non hanno portato in lui altro che sfumature appena percettibili nei rispettivi modi di considerare le cose. Poiché è tutta un’altra medesima categoria a sé, è tutto un consimile, lento, spaziato, classico modo di guardare, quello che precede il 1850 e l’uso quotidiano della trazione meccanica col suo senso di fretta sempre in aumento. Il trattamento poco diversificandosi, resta la caratteristica della data nei vecchi descrittori: ma questa conta poco in confronto di quello… Difatti vi è francamente una differenza fondamentale nel descrivere il paese tra le epistole di Orazio e del Petrarca, tra le lettere di Erasmo e di Shelley? E il concetto paesistico dell’autore dei Fioretti, che girava probabilmente sul cavallo di San Francesco, doveva allontanarsi molto da quello del Petrarca, il quale viaggiava su un cavallo vero?…

    Singolare contradizione! Nelle età lente, quando il tempo per guardarsi intorno abbondava, il paesaggio, come genere a parte, non esisteva per così dire. D’ordinario tanto i pittori verbali quanto i pittori reali d’allora (e piú quelli di questi, visto che non possono neanche vantare una scuola olandese nella letteratura un po’ antica) si contentavano di esigue indicazioni di paese, subordinandole ad altri soggetti d’importanza superiore. Invece la voga universale pei paesisti e pei descrittori, il regno del paesaggio per sé stesso, coincide, a farlo apposta, colla progredita celerità nei sistemi di locomozione, e colla febbre di mutamento e di moto che s’è impadronita della nostra psiche. Perché? Non voglio rompermi il capo a fantasiarci sopra…

    Quel che so è che la grande rivoluzione nella maniera di contemplare l’ha iniziata la ferrovia, e la sta proseguendo l’automobile, con un crescendo strepitoso. Ne deriva che, per descrivere lo stile automobilistico è l’ultimissimo che s’impone, fino al giorno in cui il pallone dirigibile, penetrato nelle abitudini, avrà stabilito una visione distinta e un modo corrispondente per renderla. Quasi tutti i quadretti del seguente volante sono stati colti dall’automobile, e alcuni buttati giú a brani durante le brevi soste nelle gite stesse. Credo dunque che, essendo in parte concepite in pieno movimento locale, queste pagine si risentano, per loro vantaggio e svantaggio, del tempo affrettato, il quale è per eccellenza il tempo segnato dal metronomo per l’età nostra. Quindi, se non altro, sembreranno datate, ciò che è forse un male e forse un bene, imperocché…

    – Cosa stai lí a meditare? Spicciati,– interrompe il mio nipote, già seduto sulla sua macchina, colle dita frementi d’impazienza che trastullano il volante.

    – Su su presto! – esclama l’amico dotto della comitiva, imbacuccato ed occhialuto. – Non c’è un momento da perdere! Ricordati che abbiamo Spello, Trevi, Foligno, Montefalco, Bevagna, mezza l’Umbria da vedere. Le serate sono corte e… programma di domani… due bei Perugini… Fioretti di San…

    Il rimanente del suo discorso si perde nel frastuono assordante dell’automobile, con un vento cosi feroce proprio in faccia, che taglia, in un attimo, teorie, rimostranze, discolpe, progetti, tutto ciò che uscirebbe di bocca.

    ATTRAVERSO GLI ABRUZZI

    A Gabriele d’Annunzio.

    I modernismi in mezzo alle anticaglie mettono subito una nota contradittoria che è piccante. Non posso dire l’effetto strambo che mi fanno le pere elettriche, quando illuminano una vetusta sacristia, piena di preti anziani… Per prolungare cotesta sensazione leggermente disarmonica eppure aggradevole, simile a stonature non ingrate di compositori molto nuovi che inventano variazioni su temi molto vecchi, per rendere più permanente cotesto stato d’antinomia, bisogna, come ho fatto adesso nel giugno, viaggiare in comitiva poliglotta in un eccellente automobile parigino, modello 1906, su e giù per gli Abruzzi, così dialettalmente antichi e gravi nel tipo loro di usanze, di vestiari, di architettura, di paesaggio…

    Persino i nomi sono impregnati di storia e di pittorescherie. Non ricordo piú per quale stradale, odoroso di ginestre, cercando d’orientarmi, ho trovato nella Guida del Touring C. I., bivio a destra per Fara Filiorum Petri! E si può concepire qualcosa, di più delizioso di un monastero abbandonato, alto sul mare ed invaso dall’erba fiorita, che si chiama San Giovanni in Venere?… In quante cripte, romaniche di spirito ma romane di materiale, la tromba e i palpiti della nostra macchina destarono, per i finestrini esili ad arco rotondo, echi mai uditi avanti! Non diversamente agli strati successivi di cultura, di leggenda e d’arte, interrotti a un tratto tanti secoli fa, si aggiunngeva, in modo postumo il nostro chiacchierio franco-yankee, tutto d’attualità, come una profanazione gustosa…. Oh! le indimenticabili ovazioni da visita regia in quel villaggio bruno, nobilmente torreggiante lassú lassú sopra una distesa panoramica di poggi e valli, colle nevi dei giganti appenninici da un lato e dall’altro l’azzurro lontano dell’Adriatico! L’intera popolazione male e ben vestita, dai ragazzi ai decrepiti, si era precipitata fuori per esaminare da vicino il primo arrivo d’una carrozza senza cavalli che, per impulso di forze misteriose, divorava la salita per venirsi a riposare al rezzo della loro piazzetta rurale. E quale immensa curiosità destavamo dappertutto noi stessi, ridicolissimi, colle maschere e guide e taccuini d’appunti e Kodak e binoccoli da secolo ventesimo! Spesso una siepe di teste umane ci turava la visuale verde che eravamo venuti apposta ad ammirare, si inframetteva tra noi e le sculture duecentiste d’una porta di chiesa madre, riempiva di clamori e di puzzo contadinesco l’angusta casa del parroco, il quale custodiva gelosamente qualche capolavoro di oreficeria veneranda. E, con tutto questo, cara gente semplice, cordiale e serena, ora quasi africana di nerezza, ora bionda come per sangue celta, coi costumi turchini, rossi, gialli, bianchi che la tavolozza di Michetti ama festosamente riprodurre, con dolci espressioni di saluto e di commiato cortesi e tradizionali, colle anime ingenue piene di tutte quelle curiose credenze e cerimonie, risalenti talora al paganesimo e più addietro, che un principe tra i folk-loristi d’Italia, Antonio De Nino, ha maravigliosamente raccolto ed illustrato.

    L’automobile, permettendo in breve tempo di percorrere enormi distanze e di vedere un’infinità di cose attraenti – a mille metri d’altitudine all’ora del tramonto, e quando sorge il plenilunio già sulla spiaggia: stamani in mezzo ad un periodo architettonico completo, e stasera in mezzo a un altro diversissimo: ora ricevendo sensazioni di sola natura, ed ora di sola arte – produce apprezzamenti in iscorcio, fisici e mentali, assolutamente novelli. Innanzi tutto dà un senso quasi tattile della topografia di una regione come se colla nostra stessa persona, volando terra terra, misurassimo, disegnassimo i suoi degradamenti, i suoi rialzi, la sua bella ossatura… Inoltre, attraverso una prima confusione, dovuta a troppe impressioni succedentisi con estrema rapidità, si forma un inconscio catalogamento, una specie di sintesi analitica. Al posto delle vecchie classificazioni che solevamo fare in viaggio un po’ a fantasia, senza dati sufficienti, per un bisogno stupido di collegare e definire, adesso i nostri concetti generali vanno basandosi con maggior serietà su interi gruppi di esperienze consimili.

    Ebbene, in complesso, mi sembra che negli Abruzzi le bellezze naturali siano superiori alle bellezze artistiche. Quelli amboni scolpiti, quelle porte, quei rosoni dei secoli XII e XIII, a cui ci ha iniziati il Berteaux, possiedono un interesse forte, ma non riescono a scancellare alcune impressioni romaniche di primo ordine avute in Francia od in altre parti d’Italia. I tre grandi artisti del quattrocento che ci fanatizzarono lì per lì, forse perché isolati, il pittore Andrea de Litio, lo scultore Silvestro d’Aquila, l’orafo Niccola da Guardiagrele, tornando a Firenze, sono impalliditi nella memoria, in presenza di piú grandi, dell’Angelico, di Benedetto da Majano, di Ghiberti.

    Eppure sia lode ad essi, non solo per quel tanto di gioia genuina che ci dettero, ma perché, collo scopo di rintracciare le loro opere, seguimmo adorabili vallettine montane, e guadammo fiumi senza scendere di macchina e risalimmo a località remote di un pittoresco straordinario, e, verso sera, stanchi di fare i dilettanti d’archeologia e i critici d’arte da strapazzo, ci lavammo gli occhi con vedute incantevoli, vaste e fresche. Se non fosse per essi, avremmo visitato Ancarano e Guardiagrele, San Valentino e Caramanico? Io so che piú d’una volta abbiamo benedetto la chiusura dell’esposizione di Chieti, colla sua comoda e prosaica riunione di oggetti sacri strappati ai loro bei nidi. Il catalogo della mostra però, in qualità di

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