Cittàdimezzo
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Anteprima del libro
Cittàdimezzo - Francesco D'Agostino
sollievo.
Poetica
Attraverso la necessaria esigenza dell’abitare, l’uomo a volte opera poeticamente, e quando la visione raggiungerà il sogno, lì toccherà il sublime…
«Straniero allora ero giovane, e in questo luogo posi piede senza prestare tanta attenzione… Così, per come lei adesso mi chiede le informazioni, anch’io, a quel tempo le chiesi all’uomo posto a sedere al gradino d’ingresso di questa locanda. Domandai della famosa bella fuggiasca, di cui si raccontava in giro la capacità amatoria. Mi accomodai e consumai con estrema dolcezza e calore il suo abbraccio amorevole e passionale. Stavo sul ciglio della porta per darle il saluto d’addio, il commiato venne bloccato dall’implorante richiesta di rimanere, si sarebbe offerta volentieri senza future pretese; mi chiedeva solo tenerezza e basta.
L’impeto giovanile mi proiettava verso altre destinazioni, future esperienze, avventure, lasciai alle mie spalle le mura e cercai di proseguire il viaggio. Ricordo ancora il triste deserto che si estendeva ampio, disabitato e privo di attrazione. Girai fatalmente lo sguardo indietro, verso ciò che stavo abbandonando: colsi con sorpresa che l’abitato si tingeva del bianco candore del giglio, il colore turchese delle imposte, la maestosa sinuosità delle mura; di rimando assumevano, incarnavano le forme del seducente morbido corpo, il chiarore dei denti, le more pupille degli occhi di colei che avevo appena lasciato.
Giunse prepotente il desiderio di ritornare e riabbracciarla, godere ancora una volta della sua grazia: lo schietto arredo dell’alcova, la conversazione leggera, noncurante, tra il boccone speziato e il gradito tè. Feci ritorno, e mi fermai. Ora tocco queste mura, faccio scorrere la mano lungo le fessure dovute alle fratture, si scioglie la polvere dalle giunzioni; essa declina assieme al mio corpo vecchio e piegato. La mia bella non c’è più, riposa in pace e mi manca.
Rimane vivo il variare dell’istante che scorre quotidiano, muta l’aspetto all’orizzonte: osservo la mite alba che sorge, il giorno inonda di luce, la sera scende profumata. Il tempo trascorre e ritorna struggente il ricordo di lei. L’assaporo maggiormente di notte, quando vado a sdraiarmi, e lì davanti alla finestra, sotto il cielo stellato contemplo la nostalgia; scivola la requia memoria, e mi lascio dolcemente cullare d’eterno.»
Esiste la possibilità di costruire e abitare una città, come se si vivesse all’interno di un quadro? Esiste, ed è stato testimoniato dal poeta…
L’ho visto praticare, e non importa indicarne il luogo geografico; l’importante è descrivere quanto sia illuminante il progetto di tale operato, che sta al semplice comando del gesto poetico. La poesia costruisce, liberando, mettendo a punto il proprio talento creativo. Attraverso il componimento dei versi, schizzare, tracciare la sottile punta del pennello intinto d’ocra sulla tela; plasmare con le mani la materia e realizzare il gioco di tutte le forme possibili dei luoghi. Stupire, pasticciare e divertirsi come bimbi esploranti, dentro il susseguirsi di ambienti colorati.
Entrare nel grande quadro interattivo, digitarlo e abitarlo, reinventando altre geometrie, nuovi solidi. Si spostano le forme per cambiare l’immagine: ora si proiettano sulle pareti finzioni, come nel gioco delle ombre cinesi, ora si scompongono i piani movimentandoli, sovrapponendoli, interagendo spazialmente e diventarne parte. Far parte del grande racconto comune, ove avviene l’abbandono istintivo della regola, al precostituito. Si sostituisce cedendo il passo alla sorpresa fantastica, imponendo la poesia al comando del vivere abitativo; dove il confine tra raffigurazione e realtà viene superato dall’amalga dell’essenza geniale e immaginifica dell’opera d’arte.
Eccola sorgere come d’incanto dal terreno, la miracolosa combinazione tra artificio e natura…
Quanto è strana la sensazione che avviene ai visitatori, all'affacciarsi dallo spalto della rupe, o percorrendo la statale in auto, e superato l'interposto colle; lungo il tratto di ampia visibilità, riuscirà a visualizzare a distanza l'intero abitato di Utopea. Meraviglierà il fatto, che a differenza di tante altre città, dal suo nucleo abitativo non spiccano solitamente gli edifici monumentali: le torri, le chiese, pinnacoli o grattacieli dal margine sottostante; bensì il totale insieme. Sia il costruito artificiale che naturale, contribuiscono all'unica stupefacente combinazione formale, rapportandosi in modo affine alla comune idea.
La vista di Utopea agli occhi e alla mente degli osservatori, concorderà sull’incredibile somiglianza alle cose del mondo organico, talvolta dall’antropomorfo a quello animale. Si faticherà a distinguere se il merito di tanta genialità sia riconducibile al costruttore o al fattore casuale dell’organismo naturale. Fatto sta che al variare del punto di vista, adesso, alla limpida luce del mattino, assume la forma del dorso equino, più tardi al calar del sole, alla carena di un vascello o la mostruosa chimera. Altri intravedono il seducente corpo umano, il profilo del volto amato, il rotondo mastio tra le possenti mura del castello.
Eppure, se si ascoltano le voci di chi lascia l'abitato, si deducono giudizi contrastanti: c'è chi testimonia l'infame esercizio dell'ingiustizia, la schiavitù, e lo sgradevole cibo che sa di rancido. Qualche altro diversamente tracolla in narrazioni inebrianti, gustose vicende di sana convivialità, dove tra i suoi giardini profumati si concludono prosperosi affari. Altresì favorevole è l'opinione dei giovani visionari, arrembanti avventurieri ed edonisti impenitenti. Utopea si forma e si trasforma a secondo da come vi appare e la si vive, maestra capace di profonde metamorfosi, che mescola e genera continue sensazioni di dubbie difformità: ora accidentali mostruosità, ora emana subdoli messaggi stupefacenti. Perfidi oblii e stregate poesie di dolce incanto.
Ci sono luoghi e città conosciute per via delle sue bellezze artistiche e paesaggistiche. Altre difficili da enumerare a causa dei suoi siti sfuggenti, ossia, hanno una stabilità di breve durata. Opere improvvisate, nascoste, mutevoli e cariche di sorprese…
Se cercaste il provvisorio insediamento di Musa, non pensate di raggiungerlo con tanta facilità. Ora la trovate segnata nelle cartografie, più tardi seguendo le loro indicazioni rischierete la delusione di non trovarla più lì. La strada che vi conduce s’interrompe dinanzi ai vostri occhi, vi guarderete attorno e troverete solo delle tracce di qualcosa che si era realizzato in modo fittizio, transitorio.
Sul terreno rimangono ancora fresche le tracce di fondamenta, spezzoni di muro, alcune orme di calpestio frenetico e qualche tizzone di carbone forse ancora acceso. Troverete fogli di spartiti musicali conficcati in qualche ramo di alloro, poesie tracciate e attaccate sui tronchi degli alberi, ma di Musa la città degli artisti non esisterà più nulla. Eppure, basterà tendere meglio l’orecchio quando spira il vento di tramontana e avvertite un sottile canto, una musica struggente mista a delle urla di una tragedia teatrale, seguite questa traccia la troverete di sicuro, perché sarà nelle vicinanze.
La città di Musa, effimera, muta continuamente. Spostandosi nella direzione del desiderio degli artisti. Il regista un giorno parlò del suo progetto da realizzare su, nell’altura del monte, al cui interno ci sta la vallata a conca. La scena principale apparirà nella notte d’estate. Il cielo illuminato dalla Via Lattea che passa per la costellazione del Sagittario e del Cigno, chiude in basso sulle alte quinte formate dalle cime dei filari degli abeti e i carpini. Tutti risposero a quel sogno.
Smontarono ogni cosa, nel giro di poco tempo la lunga parata si avviò sulla strada. Al comando si mise la bella Berenice con il costume di lustrini dorati in groppa al giaguaro. Fecero seguito i musicisti, gli artisti di strada, pittori e maestri d’ascia. Il lungo corteo con i carri, i sidecar procedevano tra i canti e la musica. Giunti a destinazione una nuova Musa veniva eretta nell’esigenza del nuovo assetto. Paratie, saliscendi, ponteggi innalzavano nuove case. Insieme al circo, al giardino pubblico, ai musei e mostre all’aperto con le opere estemporanee. Gli aquiloni su in alto segnalavano la sua presenza per chi proveniva dalla pianura.
I visitatori osservavano meravigliati le case che appaiono come castelli realizzati dalle carte da gioco. Leggere torri erette nell’audace e delicato equilibrio dei suoi componenti. Dalle dimensioni delle pareti non si percepiva la reale profondità delle stanze. Si chiedevano come in quel poco spazio entrasse una comoda stanza da letto e dove finiscono i gradini del