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Cuneo rosso sangue: Armando Dalmasso e i veleni del Conservatorio
Cuneo rosso sangue: Armando Dalmasso e i veleni del Conservatorio
Cuneo rosso sangue: Armando Dalmasso e i veleni del Conservatorio
E-book239 pagine3 ore

Cuneo rosso sangue: Armando Dalmasso e i veleni del Conservatorio

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Info su questo ebook

Armando Dalmasso è un giornalista free-lance che collabora con “La Stampa” di Cuneo. Inviato al Conservatorio “Ghedini” per assistere a un evento musicale, conosce la simpatica “vichinga” Fiona McQueen, un’esperta d’arte di origine italo-irlandese. Durante il concerto, la pianista all’improvviso cade a terra, colta da un malore. I due la soccorrono, ma alcuni segnali indicano chiaramente che è stata avvelenata. Difficile capire chi possa essere il responsabile, perché sono molti, dentro l’Istituto Musicale, ad avere motivi di risentimento nei confronti di quella “vecchia strega”...

Irene Schiavetta, musicista, vive a Savona e insegna presso il Conservatorio di Cuneo. Ha scritto commedie brillanti, racconti e libretti e ha collaborato con una importante casa editrice per opere di letteratura italiana. Ha scritto libri di didattica pianistica per le edizioni Carisch e per le edizioni Dantone. Ha pubblicato i romanzi Le tre signore (Coedit), L’occhio di Bubuz e La tabacchiera di Otto Schmitt (Il Ciliegio). Per Fratelli Frilli Editori, insieme a Fiorenza Giorgi, ha pubblicato: Delitto alla Cappella Sistina, Morte al Chiabrera, La sala nera, Omicidio in Darsena e Il mistero di San Giacomo.
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2022
ISBN9788869435867

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    Anteprima del libro

    Cuneo rosso sangue - Irene Schiavetta

    CAPITOLO 1

    Fare il giornalista non è un mestiere semplice. Armando Dalmasso lo sapeva, ma quella sera di dicembre gli sembrò di aver toccato il fondo.

    Apparentemente, le cose andavano bene. Era comodamente seduto al calduccio, nella sua casa di Gaiola, con i piedi sul tavolo, ascoltava distrattamente della bellissima musica jazz e intanto gustava un vinello da meditazione.

    Quello che non andava era il misero trafiletto che La Stampa gli aveva pubblicato quel giorno. Articolo? Non scherziamo! Una specie di pubblicità travestita, frutto di accordi presi dal giornale con alti dirigenti di una ditta di prodotti dolciari. Si era ben lontani dal giornalismo investigativo, dagli appostamenti ad alto tasso di adrenalina, dalle inchieste che scottano e fanno la differenza. Insomma, quel mestiere avrebbe dovuto essere tutt’altra cosa.

    La legna nel caminetto bruciava con impegno, mentre il gatto giocava con un tappo di sughero legato a un filo, che lui pigramente spostava qua e là. Nel pomeriggio si era allenato in palestra e si sentiva stanco morto. Di lì a poco avrebbe sentito la sua dolce Emélie, poi si sarebbe rintanato sotto le coperte, si sarebbe messo a leggere qualcosa e infine avrebbe ronfato fino al mattino.

    Invece no.

    Il messaggio arrivò alle nove di sera.

    Pinìn Olivero, titolare di un’officina meccanica nella zona di Pianfei, uno dei suoi informatori prediletti – non rompeva mai le scatole a casaccio – lo mise in allerta con un messaggio WhatsApp. Hanno fatto fuori un vecchietto a Margarita, sono entrati i ladri in casa. La faccenda si presenta poco chiara. Di seguito, un indirizzo e un nome: Taddeo Mellano.

    Armando non aveva uno stipendio fisso, lusso riservato a pochi. Come la maggioranza dei collaboratori de La Stampa, era pagato un tanto a pezzo, per cui se qualcuno avesse messo le mani sulla notizia prima di lui, questo qualcuno avrebbe guadagnato al posto suo. E poi un morto è una garanzia si disse una storia decente da raccontare la si mette comunque insieme. Per cui tirò giù le gambe dal tavolo e si mise in piedi.

    Grazie. Vado subito rispose a Pinìn. Oltre a essere molto discreto, quel tizio costava poco, spesso addirittura non voleva niente in cambio delle sue informazioni, accettava volentieri una cassa di vino a Natale, poi aveva il suo tornaconto leggendo sul quotidiano le notizie che lui stesso aveva contribuito a far conoscere. Mah! Teste così. Ce ne fossero stati, come lui!

    Il gatto capì che di giocare non se ne parlava più, accennò appena un miagolio e, indolente, andò a sistemarsi da qualche parte per fare un sonnellino. Il giornalista mandò un messaggio veloce alla morosa, Emélie, perché non si preoccupasse del suo silenzio, poi si preparò a uscire, indossando una pesante felpa di pile e scarpe imbottite. Raccolse i capelli, che aveva piuttosto lunghi, dietro la nuca con un bun man, s’infilò il giaccone, mise guanti e scaldacollo e infine, coperto come un palombaro, uscì nell’aria gelida.

    Il termometro era sotto lo zero. Il giorno dopo, secondo le previsioni del tempo, la temperatura sarebbe risalita leggermente e avrebbe iniziato a nevicare. Non era male per il periodo di Natale, quando tutti gradivano qualche spruzzata di bianco.

    Al volante della fedele Peugeot, il giornalista raggiunse Borgo San Dalmazzo, poi girò a sinistra prima di arrivare a Boves, passò accanto a Spinetta e infine dopo mezz’ora raggiunse Margarita. Grazie al navigatore e a una certa conoscenza della piccola frazione – un tempo lì abitava un amico – arrivò senza problemi all’indirizzo indicatogli da Pinìn: via Filzi, numero 11.

    Si trattava di una zona di villette con giardino, case modeste, osservò, senza pretese. Sulla strada, illuminata malamente da alcuni lampioni, erano ferme due auto dei Carabinieri, una delle quali si trovava di traverso rispetto al cancello, vietando di fatto l’accesso. Alcuni curiosi, probabilmente vicini di casa, sfidando il freddo, stazionavano lì intorno cercando di vedere chissà cosa. Per Margarita quello era un evento epocale.

    Armando scese dall’auto e cercò tra i presenti il volto del suo informatore, ma senza risultato. Evidentemente Olivero, una volta segnalata la novità, aveva preferito starsene al caldo.

    Per il giornalista era il momento di mettersi al lavoro. Avrebbe fatto parlare i curiosi, tanto per farsi un’idea generale.

    – Cos’è successo? – domandò in dialetto al primo che gli giunse a tiro.

    Quello, un tipo rubizzo, gli lanciò un’occhiata sospettosa da sotto la tesa del cappellaccio di montone.

    – Sono un giornalista… – iniziò Dalmasso, accennando un sorriso e sperando di fargli abbassare la guardia.

    – È morto, povero Taddeo. L’hanno strangolato! – lo interruppe quello, scoprendo una serie di denti irregolari.

    Mandava un cattivo odore, ma non si poteva certo fare gli schifiltosi.

    Armando estrasse il taccuino che teneva sempre nella giacca, tirò via il guanto che copriva la mano destra e prese un veloce appunto.

    – Lei è un parente?

    L’uomo non riuscì a rispondere, perché una donna si inserì a gamba tesa nella loro conversazione. Una camicia da notte con disegni di gatti faceva capolino dal cappotto, che non essendo abbastanza grande per coprirla interamente, era stato lasciato aperto all’altezza del ventre. I capelli erano lunghi e spettinati. Con l’indice arcuato dall’artrosi, la donna minacciava il compaesano.

    – Ma no, cosa dici? Macché strangolato! Hanno usato un coltello.

    Dalmasso non si scompose. L’aveva constatato già altre volte, quando si verificava un evento improvviso e imprevedibile, la gente si inventava una quantità di storielle per giustificare l’accaduto. In quei momenti, la fantasia di ognuno galoppava come quella di un romanziere. Toccava a lui, allora, separare con pazienza il grano dalla pula, operazione necessaria anche quando si aveva a che fare con dei testimoni diretti. I racconti di chi aveva assistito a uno stesso evento talvolta differivano in modo grossolano. In quel caso, poi, la quantità di fantasia insita nei resoconti sarebbe stata preponderante, in quanto gli astanti, al momento dei fatti, con ogni probabilità stavano guardando la televisione in casa loro.

    Nella notte invernale si era levato il vento. Il giornalista rabbrividì. Dopo aver tolto un berretto dalla tasca ed esserselo ben calcato sulla fronte, chiuse il bottone superiore del giaccone e poi, facendosi animo, tentò di farsi raccontare qualche dato concreto.

    – Sentite, si sa chi l’ha trovato morto?

    – Eh! L’ha trovato la figlia.

    – Sa come si chiama?

    – Grazia, perché?

    Lui ignorò la domanda e prese un appunto. Stava per proseguire nella faticosa ricostruzione dei fatti, quando dalle scale esterne della villetta scesero due militari.

    – Scusate un momento.

    Dalmasso si allontanò dai due con cui stava parlando, si avvicinò alla recinzione e cercò, nonostante l’oscurità, di capire se uno dei due fosse una faccia conosciuta.

    Il brigadiere Antonio Solenghi. Un uomo poco ciarliero, pieno di sé, un po’ tonto; e non amava i giornalisti. Poteva essere più fortunato, ma era meglio di niente.

    – Brigadiere, buonasera…

    Il militare, un tipo tarchiato, con il naso aquilino e il labbro superiore ornato da una linea sottile di baffi, lo riconobbe e gli elargì un magnanimo cenno di saluto.

    – Sei arrivato per primo questa volta, eh? Bravo, bravo – lo canzonò.

    Nel rivolgersi a Dalmasso, il militare doveva tenere il viso alzato all’insù, a causa della disparità di statura. Ad onta di ciò, il tono era quello di sempre, un misto di sarcasmo e derisione. Invece di infilargli due dita negli occhi, come l’istinto gli suggeriva, Armando sorrise.

    – Cos’è successo? C’è stata una rapina?

    Solenghi inspirò a fondo, mentre sul volto si disegnava una smorfia sprezzante. La sua aria di superiorità era insopportabile. Specialmente con quel freddo.

    – Ora stiamo avviando le indagini, poi si vedrà… – disse, rimanendo volutamente sul vago. Gli piaceva esercitare un potere, sia pure di piccolo calibro, sulle persone.

    A ribaltare la situazione provvide, inaspettatamente, l’altro militare, un maresciallo.

    – Lei è un giornalista? – intervenne.

    Così di primo acchito, non sembrava un prodotto locale: quello era un accento bergamasco.

    – Sì, scrivo per il quotidiano La Stampa – rispose prontamente Armando.

    – Molto bene! – esclamò quello – apra bene le orecchie e cerchi di essere preciso. I giornali a volte raccontano un sacco di frottole. Il morto si chiama Mellano Taddeo – attaccò, mentre Armando si affrettava a scrivere. Senza neppure essere stato interpellato, il sottufficiale continuò raccontando gli elementi salienti dell’accaduto, mentre un indispettito brigadiere Solenghi taceva al suo fianco, evitando di interromperlo, se non altro per motivi di grado.

    Grazie a quello sconosciuto, la serata si rivelò proficua, e visto che non c’erano colleghi in giro, era molto improbabile che qualcuno potesse batterlo sul tempo. Dalmasso ringraziò i carabinieri, poi visto che nessun altro usciva dalla villetta scattò qualche foto, sia pure di scarsa qualità, con il telefonino, e andò a chiudersi in auto. Accese il motore e riscaldamento dell’auto, e con le dita intirizzite digitò l’articolo sul tablet, con fretta spasmodica. Sarebbe comparso sul quotidiano la mattina seguente.

    Dal quotidiano La Stampa

    Rapina in casa nella notte, anziano trovato morto

    Tragedia a Margarita. La vittima aveva 78 anni

    Margarita (Cuneo), 12 dicembre. È giallo. Un anziano è stato trovato morto in casa dopo una rapina. Il fatto è avvenuto la sera dell’11 dicembre, in via Filzi, nella periferia Margarita, in provincia di Cuneo. La tragedia ha avuto luogo in una villetta nella periferia di Margarita abitata da una coppia di anziani con la figlia e il nipote. L’uomo si chiamava Taddeo Mellano.

    Secondo quanto avrebbero riferito i familiari della vittima, a entrare in azione sarebbe stato un bandito, forse aiutato da un complice.

    Il rapinatore avrebbe chiuso la moglie dell’anziano in una stanza, poi si sarebbe imbattuto nella figlia della coppia, prendendola a schiaffi. Sia l’anziana (Enrica Verdi, titolare di un negozio di merceria) sia la figlia sarebbero state legate. In casa c’era anche il nipote della coppia.

    Dopo la fuga del malvivente, il padrone di casa è stato trovato senza vita nell’abitazione. Da chiarire se il decesso sia dovuto a un malore. Sul posto il Sostituto Procuratore della Repubblica Enrica Silvestro e il medico legale, oltre agli uomini della scientifica dei Carabinieri".

    CAPITOLO 2

    Tornando verso Gaiola, mentre guidava con attenzione sulla strada buia, Armando concluse una volta per tutte che fare il giornalista di cronaca non era esattamente come se lo era immaginato quando, da ragazzo, sognava a occhi aperti un futuro avventuroso. In un momento di assoluta lucidità, arrivò a chiedersi se per caso quel sognatore lui l’avesse tradito.

    Il tragitto gli permise di meditare quel tanto che bastava per darsi una piena assoluzione. È che niente, alla fine, è come uno se lo immagina concluse, con una certa rabbia, rendendosi conto di aver scoperto l’acqua calda. Si ricordò che già da bambino sentiva i suoi vecchi sentenziare a-i-è nen bela reusa c’a dventa nen gratacul.

    Il lavoro presso la redazione de La Stampa aveva avuto, di tanto in tanto, momenti ad alto tasso di adrenalina, ma il tran tran quotidiano era fatto di bocconi insipidi e a volte indigesti, notizie qualunque in giornate qualunque, porte sbattute in faccia quando si tentava un’intervista, orari impossibili e, a fine mese, un bonifico che non permetteva certo di montarsi la testa.

    Il giorno seguente, Dalmasso si recò, poco dopo le nove, presso gli uffici del quotidiano, in via Nizza, e si chiuse in un piccolo locale in fondo al corridoio. Non aveva uno spazio suo, ma frequentava quel posto da tanto e aveva conquistato alcuni privilegi, come quello di potersi servire liberamente delle postazioni di lavoro, del telefono, della connessione e della stampante. Doveva essere però pronto ad andarsene se un redattore anziano avesse avuto necessità, per qualche motivo, di quella stanza.

    L’uomo stava per mettersi al lavoro, quando gli arrivò un messaggio Whatsapp.

    Tutto a posto?

    Era Emélie che gli scriveva dalla Francia, dove si era recata per lavoro già da qualche giorno. La sera prima l’aveva liquidata frettolosamente, ora bisognava rimediare. Felice di procrastinare il dovere per cinque minuti, Armando mise il viva voce e compose il numero della fidanzata, che rispose al primo squillo.

    – Piccola mia!

    – Tesoro! Ma che è successo ieri sera?

    – Ho dovuto uscire di corsa – rispose lui – un informatore mi aveva segnalato un possibile delitto.

    Il giornalista le raccontò per sommi capi quello che era accaduto a Margarita.

    – Vedi? Dovresti essere contento, anche a Cuneo succedono fatti strani! – esclamò lei, con quella r arrotolata e quel delizioso accento francese che gli piacevano molto.

    – Di tanto in tanto…

    – Come sta Bijou? – chiese allora la ragazza. Si trattava del gatto che gli aveva affidato prima di partire. Emélie temeva che i due non andassero d’accordo, invece uomo e felino avevano trovato un modus vivendi tollerabile e si sopportavano con santa pazienza, essendo innamorati entrambi della stessa donna.

    – Sta benissimo, mangia e dorme, chi meglio di lui? Ti saluta e ti manda a dire di tornare presto.

    La fidanzata rise.

    – Dai, sul serio, quando torni? – chiese lui.

    – Forse martedì o al più tardi mercoledì, ti faccio sapere – rispose lei, con tono allegro.

    La giovane era la responsabile di alcune profumerie, due sulla Costa Azzurra, a Nizza e Mentone, e due in Piemonte, a Cuneo e Alba. Si trattava di una donna in gamba, un’imprenditrice con la testa sulle spalle, di cui Armando era molto orgoglioso.

    Dopo qualche frase scherzosa e i saluti, il giornalista si rimise al lavoro. Prima di tutto chiamò un suo informatore, Lorenzo Scala, maresciallo di lungo corso dell’Arma dei Carabinieri. Nonostante la differenza d’età – Scala era più grande di una quindicina d’anni – i due, conosciutisi in palestra, dopo aver sudato insieme parecchie volte sugli attrezzi potevano definirsi amici.

    – Che mi sai dire del delitto di ieri sera, a Margarita?

    – Delitto è una parola grossa, caro mio, è ancora tutto da verificare – rispose quello.

    – Quindi com’è andata?

    – Per quanto posso saperne al momento, c’è stata una rapina, un tizio anziano ha incrociato i ladri, se l’è fatta sotto, gli è venuto un infarto ed è andato all’altro mondo. Questo, almeno, è quello che hanno raccontato i familiari.

    Tutto qui? Dalmasso si strofinò la faccia e sospirò. Chissà perché Pinìn gli aveva detto che era una faccenda torbida! Insistette.

    – Ma gli altri della famiglia erano chiusi a chiave…

    – Guarda, quello che so te l’ho detto – tagliò corto Pasquale – ora scusami, ho molto da fare.

    A volte anche gli informatori i quali, in teoria, avevano accesso ai dati più rilevanti erano purtroppo di scarso aiuto. Scala era stato spesso un preziosissimo alleato, ma quella volta doveva trovare altrove di che alimentare la sua penna.

    Fai lavorare il telefono gli diceva sempre suo padre, già quando era ragazzo e ancora adesso che aveva quasi quarant’anni. Risparmi tempo e benzina.

    Armando pensava che fosse un suggerimento sempre valido, e chiamò il meccanico di Margarita che la sera precedente gli aveva segnalato la morte dell’anziano.

    – Pinìn!

    Non lo chiamava mai perché sapeva che Olivero odiava ricevere telefonate. Ma bisognava capire…

    – Ehi! – rispose l’altro. Un sottofondo di rumori diversi accompagnava la voce, da cui si poteva dedurre che l’informatore, in quel momento, era sul lavoro in officina.

    – Mi spiace disturbare. È per quella faccenda di Mellano. Ieri sono andato a vedere, però sembra sia stato un infarto – fece Armando.

    – Guarda, la mia idea non cambia – rispose Pinìn, alzando la voce per sovrastare il chiasso – io conoscevo Taddeo e ultimamente ho conosciuto anche il nipote, da quando è venuto a vivere qui in paese. Il ragazzo trattava suo nonno come una pezza da piedi e gli chiedeva dei soldi. È poco, ma è tanto – concluse l’uomo.

    – D’accordo, cercherò di andare a fondo. Ti ringrazio.

    Si salutarono, dopodiché Armando fece ancora un paio di telefonate, ma senza scoprire alcuna novità. Decise che nel pomeriggio sarebbe andato sul posto, nella speranza di incontrare qualche familiare della vittima, per poter carpire qualche dettaglio importante.

    Alle undici, negli uffici de La Stampa ebbe luogo l’abituale riunione di redazione, coordinata come ogni giorno dal caporedattore, Raffaele Fracchia. Costui era un gigante dal volto pacioso, con modi garbati in vecchio stile sabaudo, ma si mormorava

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