Fuochi d’Artificio per il commissario de Santis
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Maria Rosaria Pugliese, vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato il romanzo Pazienti smarriti (1a ediz. Robin, 2010, 2a ediz. Homo Scrivens, 2016), classificatosi al terzo posto Premio Domenico Rea (2011), finalista al Premio Giovane Holden, al Premio Salvatore Quasimodo, e semifinalista nel concorso What Women Write indetto dalla Mondadori. Nel 2014 ha pubblicato Carretera. Quattordici storie strada facendo (goWare Edizioni). Con Fontaine blanche (Homo Scrivens, 2017) è stata finalista, nella sezione inediti, al Premio Bukowski 2016. Ha partecipato all’antologia La gola (Giulio Perrone Editore, 2008). È tra gli autori dell’Enciclopedia degli scrittori inesistenti (1a ediz. Boopen Led, 2009 e 2a ediz. Homo Scrivens, 2012). Con la poesia Scetate Benino, si è classificata al terzo posto nel concorso nazionale Sinfonia Dialettale. Premio Eccellenza Letteratura Nazionale Lecce 2018. Premio Megaris 2019. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Omicidio ad alta quota.
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Anteprima del libro
Fuochi d’Artificio per il commissario de Santis - Maria Rosaria Pugliese
PARTE PRIMA
«Vi ricordo, care ragazze, che abbiamo solo una berlina, non un Tir, per cui evitate di portarvi la casa appresso, come fanno le lumache.»
Alla vigilia della partenza per le vacanze, il commissario de Santis esortava bonariamente la moglie e la figlia a contenere i bagagli.
«Ciò che è necessario portare, porteremo» la risposta lapalissiana e un po’ piccata della moglie.
«Sì Laura, ma non dimenticare che due anni fa, stipaste l’auto al punto che non riuscivo a chiudere il portel-lone del bagagliaio.»
«Due anni fa avevamo ancora quella languida Palio, che quasi cadeva a pezzi. Poi, per fortuna, l’hai cambiata.»
«Appunto, cerchiamo di non trasformare la Micra nuova di zecca in un camion per trasporto merci o in un’utilitaria con le valigie sul tettuccio, come i vacanzieri degli anni Sessanta che, poverini, viaggiavano senza aria condizionata, portavano il cibo da casa, eppure… erano felici di andare in vacanza. Noi viaggeremo freschi e leggeri. Andiamo al mare, è sufficiente un costume, un telo da spiaggia.»
«… e un paio di ciabatte. Nino!»
«Voglio dire che anche sul posto potremo comprare qualcosa.»
«E se non trovo la mia crema solare a base di borragine?» intervenne Martina, la figlia, mentre sistemava vasetti e flaconi in un beauty «uso solo quella per via dell’allergia.»
«Tesoro, troveremo tutto. Andiamo al Sud d’Italia, non nella foresta amazzonica. Dalle mie parti sono arrivati i prodotti cosmetici, perfino la ceretta… non ci credereste, ma le donne non hanno più baffi e barba.»
Improvvisamente un ricordo che gli attraversò la mente lo portò a consultare il calendario di Frate Indovino, che penzolava da una parete della cucina, incorniciato dalle mensole.
«Che coincidenza! Oggi si festeggia Santa Maria Maddalena, la santa patrona del mio paese. Iniziano i festeggiamenti con la processione, le bancarelle, la lotteria e un gran finale con i fuochi d’artificio.»
«Non vedremo nulla, allora! Quando arriveremo sarà tutto finito» commentò delusa Martina.
«Nient’affatto! Le celebrazioni durano una settimana.»
«Adoro i fuochi d’artificio, soprattutto quelli che scoppiettano sul mare, al buio, illuminando a giorno lo specchio d’acqua e generando figure fantastiche luminose che ricadono frangendosi in mille e mille scintille. Da rimanere a bocca aperta!» chiosò Laura, mentre immagini di cattedrali barocche, finestre moresche, cascate dorate, ombrelli che si aprivano come paracadute, la facevano librare tra le valigie. Per fortuna, le visioni sfumavano in un fiat.
«Io preferisco il gran finale pirotecnico. Boom! Boom! Boom! La sequenza delle batterie fragorosissime che concludono lo spettacolo, a tempo di musica, con l’unico rischio di diventare tutti sordi» di nuovo Martina.
«Lo sapete che si fanno delle vere e proprie gare tra fuochisti?»
«Cioè a chi le spara più grosse?»
«Spiritosa! In realtà i criteri di valutazione sono la fantasia nella composizione delle figure, i colori, l’altezza che raggiungono, che può arrivare fino a cento metri, l’effetto scenografico…»
«Ma non sono pericolosi?»
«Non più, perché, per fortuna, ci sono norme molto severe al riguardo… la Guardia di Finanza non esita a sequestrare botti ritenuti rischiosi che qualche scriteriato si ostina ad esibire. Lo spettacolo pirotecnico deve essere unicamente un momento di festa visivo e sonoro, musica, meraviglia, gioia e null’altro. Piuttosto, sapete, da dove proviene l’arte pirotecnica?»
«Dalla Cina!» Risposero ad una voce le donne. «Brave le mie professoresse! Furono proprio i cinesi a fabbricare i fuochi d’artificio in epoche remote, e ancora oggi gli occhi a mandorla sono considerati tra i migliori esperti del mondo.»
«Ma come arrivarono in Europa?»
«Presumo attraverso la Via della Seta.»
Squillò il telefono, interrompendo l’interessante dissertazione familiare.
«Sbrigatevi a completare i bagagli, altrimenti rischiate di dimenticare qualcosa» raccomandò il capofamiglia, alzando la cornetta.
Dopo aver ascoltato, per pochi secondi, l’interlocutore dall’altra parte del filo, de Santis disse: «Vengo subito.»
La moglie e la figlia lo guardarono con aria interrogativa.
«Devo andare in Questura» spiegò «c’è stato un omicidio.»
«Ma tu sei in ferie!» esclamò Laura, assalita da un vago presentimento.
«Cara, siamo sposati da vent’anni, e dovresti sapere che i poliziotti non sono mai del tutto in ferie. E, purtroppo, neppure gli assassini. Ma non preoccupatevi, continuate a preparare le vostre cianfrusaglie… tranquille, partiremo.»
La città era deserta. Difficile trovare traffico, nella metropoli, il primo pomeriggio di una domenica di fine luglio, quando la maggior parte delle persone sta facendo il pieno di sole, di mare o di montagna o girando il mondo col naso all’insù, mentre coloro che non sono in vacanza restano rintanati in casa ad aspettare che la calura si attenui per mettere fuori la testa.
Impiegò soltanto dieci minuti per arrivare sul posto del delitto, in zona Magenta dove abita l’alta borghesia meneghina. Parcheggiò e si diresse verso il palazzo ottocentesco, riccamente decorato, che attingeva all’Art Nouveau, sotto il quale sostava una macchina della Volante e il furgone della mortuaria. Un agente lo accompagnò al quinto piano.
Nell’appartamento, la cui porta socchiusa non presentava alcun segno d’effrazione, un manipolo di operatori della giudiziaria stava effettuando gli accertamenti di rito.
La vittima, ricoperta da un lenzuolo bianco, era riversa sul pavimento del salotto, in un caos di lusso: cuscini damascati sventrati, lampade di cristallo ribaltate, vassoi e cornici d’argento rovesciati, porcellane frantumate, un caos che de Santis, ad occhio e croce, stimò valere in decine di migliaia di euro.
La distruzione, la violenza, la quantità di schegge di vetro che tappezzava il pavimento, richiamavano tristemente la Kristallnacht¹.
Il Capo della Mobile, dottor Gonzaga, lo aggiornò prontamente: «Beatrice Polichetti, ottant’anni, vedova benestante. Strangolata. Sembrerebbe un tentativo di furto andato male.»
«La signora doveva conoscere il ladro, diventato poi il suo assassino, visto che lo ha fatto entrare. La porta d’ingresso non risulta forzata.»
«E neppure le tapparelle. Tuttavia, considerato che siamo ad un piano alto, è, altresì, difficile ipotizzare che l’assassino, a meno di non essere l’Uomo Ragno o un acrobata, abbia potuto introdursi da una finestra o da un balcone.»
«C’è la guardiola della portineria nell’atrio del palazzo, ma non ho visto il portiere.»
«Il servizio di portierato è attivo fino alle 12.00 del sabato. Poi subentra la vigilanza. Ho chiesto alla guardia di sicurezza privata di venire su per fornirci alcune informazioni.»
Mentre Gonzaga parlava, si materializzò il vigilante.
«Scusate signori, se non sono salito subito, ma ho dovuto aspettare che arrivasse un collega a sostituirmi.»
«Lei era di turno stamattina» disse de Santis «e non le sarà sfuggito se è venuto qualcuno dalla signora Polichetti.»
«Il mio lavoro consiste proprio nel controllare il flusso di persone che accedono al condominio. In mattinata si è presentato un prete e mi ha detto che veniva a portare l’Eucarestia alla signora.»
«Può essere più preciso riguardo l’orario?» chiese il Commissario Capo.
«Saranno state le dieci, minuto più minuto meno. Naturalmente ho citofonato alla signora, che mi ha confermato di aspettare il sacerdote.»
«Quanto tempo si è trattenuto?»
«Venti, venticinque minuti. Non di più.»
«Ha notato se, quando è ridisceso, aveva con sé un borsone, un sacchetto?»
«Non aveva nulla in mano.»
«In precedenza aveva già visto quel sacerdote?»
«Non potevo averlo visto, poiché è la prima volta che sono in servizio presso questo condominio. L’agenzia di sorveglianza, dalla quale dipendo, dispone l’avvicendamento festivo dei vigilantes.»
«Naturalmente dovrà firmare una dichiarazione. La chiameremo in Questura.»
«Certo, dottore.»
de Santis decise di dare un’occhiata in giro. In ogni ambiente dell’appartamento dominava la ricchezza e il buon gusto.
Nella camera da letto – una miniatura fiabesca che racchiudeva pochi eleganti arredi – non c’era lo stesso subbuglio del salone. Da una cornice d’argento al centro dell’unico comodino, sorrideva un giovane in divisa da ufficiale di marina, mentre dalla parete, a capoletto, pendeva un’icona mariana che irradiava luce e calore. Ma il pezzo forte della stanza era un trumò antico, dai fianchi concavi, di singolare bellezza. Sul fronte del mobile, in radica di noce e bois de rose, con filettatura dorata, tre cassetti e calatoia a ribalta. All’interno del piano inclinabile che fungeva da scrittoio, altri tiretti e uno scarabattolo con serratura, racchiuso tra due colonne che celava un nascondiglio segreto. La toppa dello scarabattolo era stata divelta.
Richiuse la calatoia e tornò nel salone, dove, intanto, era sopraggiunto il sostituto procuratore di turno.
Riferì al dottor Gonzaga del mobile antico manomesso: «Pare che l’assassino non sia andato via a mani vuote.»
«Al momento possiamo formulare solo ipotesi.»
«Chi ha scoperto il delitto?»
«La cameriera-governante. È sconvolta, in cucina, in compagnia di una vicina.»
«Mi rendo conto, ma dovrò farle qualche domanda.»
La giovane collaboratrice familiare, una biondina grassottella, sedeva accanto al tavolo, sorseggiando una tisana calmante mentre una donna anziana la confortava, tenendole il braccio intorno alle spalle.
«Magda» de Santis le si rivolse col maggior garbo possibile.
«Sì, dottore.»
«Magda, lei è molto provata. Solo qualche domanda. A che ora è uscita stamane? E quando è rientrata?»
«Sono uscita alle otto e trenta, avevo appuntamento con un’amica a Conciliazione. Abbiamo preso la metro per andare al mercato di San Donato a fare alcune compere. Ci siamo trattenute lì tutta la mattinata, girovagando tra le bancarelle. Poi abbiamo mangiato un panino e siamo ritornate. Saranno state le quattordici quando, entrando in casa, ho trovato… ho visto quella scena orribile… sono scappata via, gridando, ho chiesto aiuto alla signora Sandrini, nostra vicina di pianerottolo e insieme abbiamo chiamato il vigilante.»
A questo punto, Magda scoppiò in lacrime, rivedendo, con gli occhi della mente, l’immagine tragica che le si era presentata.
de Santis si rivolse alla Sandrini: «Lei abita sullo stesso piano della vittima. Ha sentito trambusto o rumori insoliti in mattinata?»
«No, purtroppo il mio udito non è perfetto. Con la televisione accesa a volume piuttosto alto, talvolta non sento neppure il telefono. Ma le urla disperate di Magda e lo scampanellare insistente alla mia porta era impossibile non udirli. Ho aperto subito, però mi sono rifiutata di entrare in casa di Beatrice, anche dopo l’arrivo della Polizia. Mi sembra tutto un brutto sogno.»
«Capisco» annuì il commissario e di nuovo rivolto alla cameriera «la domenica non è il suo giorno libero? Intendo tutta la giornata.»
«Con la signora Polichetti non c’era solo un rapporto di lavoro, ma d’amicizia, per cui l’orario è sempre stato elastico. Sono… ero al suo servizio da quindici anni e mi considerava quasi una figlia. A volte rimanevo con lei anche nei giorni festivi per farle compagnia, oppure pranzavamo insieme, poi rassettavo e uscivo qualche ora nel pomeriggio.»
«Aspettava qualcuno la signora?»
«Come tutte le domeniche sarebbe venuto, in tarda mattinata, don Bruno, il parroco per comunicarla.»
Don Bruno ripeté tra sé e sé il commissario, che annotò il nome del prete e della parrocchia, e aggiunse, ad alta voce: «Un’ultima cosa, ci sono altre persone di servizio?»
«C’è Tommaso, l’autista. Per modo di dire, autista, poiché ormai l’auto veniva usata pochissimo, tuttavia non era stato licenziato. Era rimasto con mansioni di tuttofare, soprattutto sbrigava commissioni all’esterno. In questi giorni è in ferie, e si trova presso una cugina, in un paese della Bassa… oddio, sono troppo confusa e non ne ricordo il nome…»
«Ha un suo recapito? Dovrò sentirlo, e può darsi che abbia ancora bisogno di lei, Magda.»
«Lo rintraccerò senz’altro. E sono a sua disposizione, se posso essere utile a far acciuffare il bastardo che ha fatto una cosa simile.»
«Grazie.»
Intanto la salma era stata portata via, mentre erano ancora in corso i rilievi della Scientifica.
«Domani faranno l’autopsia» lo informò Gonzaga «il referto autoptico ci dirà qualcosa in più, soprattutto riguardo l’orario del decesso.»
Abbassò la voce e aggiunse con tono meno formale:
«Ah Nino! Come sa, Lezzi e Barbieri sono già in ferie. Rientreranno dopo Ferragosto. Dovrà essere lei ad occuparsi dell’indagine, pertanto devo chiederle di rinviare le vacanze.»
«Le ho già rinviate, Capo.»
Era ormai sera, quando lasciò l’appartamento del delitto.
La temperatura che, nonostante il sole non dardeggiasse più, si manteneva elevata, gli fece raggiungere quasi di corsa la propria auto, in cerca di refrigerio.
Sembra di stare a Madrid, rifletté mettendo in moto, di questo passo tra qualche anno, l’estate milanese sarà come quella di Bagdad.
Quando arrivò a casa, i preparativi della partenza erano ancora in corso. Laura gli andò incontro. «Nino!?» E l’esclamazione conteneva una domanda, di cui la donna già conosceva la risposta.
Allora afferrò il toro per le corna e disse subito:
«Domani partirete per le vacanze.»
«Partirete?