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Promesse infrante: La serie misteriosa di Matt Davis
Promesse infrante: La serie misteriosa di Matt Davis
Promesse infrante: La serie misteriosa di Matt Davis
E-book347 pagine4 ore

Promesse infrante: La serie misteriosa di Matt Davis

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Info su questo ebook

Quando tra le macerie dell’Artemis Hotel, una volta famoso e punto di riferimento, eroso dal fuoco quasi settanta anni prima, viene trovato il corpo di Maggie McFarland, una vedova ottantaseienne, gli abitanti di Roscoe sono sconvolti. Tuttavia, non è tanto il posto in cui viene trovata Maggie, ma piuttosto il modo in cui è morta che confonde tutti. Perché non è stato un infarto a ucciderla, né un ictus, né ha subito una caduta fatale da un portico. La sua vita non è finita così tranquillamente. Maggie è stata colpita al cuore da un proiettile, sparato da una pistola a distanza ravvicinata. Chi mai vorrebbe uccidere questa donna dolce e gentile, conosciuta in tutta la zona come una delle migliori intrecciatrici di mosche per trote nei centosessanta chilometri del famoso fiume Beaverkill? Questo è il mistero con cui si confronta Matt Davis in Promesse infrante, uno dei casi più sconcertanti della sua carriera.

LinguaItaliano
Data di uscita22 set 2022
ISBN9781667439785
Promesse infrante: La serie misteriosa di Matt Davis

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    Anteprima del libro

    Promesse infrante - Joe Perrone Jr

    Dedica

    Questo libro è dedicato con amore alla memoria della compianta Mary Louise Hannigan, venuta a mancare nel 2011 all'età di 84 anni.  Era una cara amica, il cui criticismo onesto e le parole incoraggianti sono spesso serviti come ispirazione per il mio lavoro.  Mi manca molto, e ricorderò sempre la sua arguzia e la sua amicizia. 

    Capitolo 1

    Roscoe, New York—presente

    Maggie McFarland ha 86 anni, ma mentre guarda nell’antico specchio dalla cornice di mogano appeso sul comò, il volto che ricambia il suo sguardo è quello di una donna più giovane, precisamente una ragazza di diciassette anni.

    Con una spazzola dalle setole naturali e dal manico argentato datale dalla sua bisnonna, Maggie si pettina accuratamente i lunghi capelli castani, sistemandoli in modo da catturare ogni singola ciocca dietro la testa con una molletta color avorio, anche quella un regalo caro.  Un tocco di rosso su ogni guancia, un po’ di cipria sulla fronte, sul collo e sui lati del viso, e resta solo da applicare un velo di rossetto.  Facendo attenzione a non esagerare, traccia i contorni delle sue labbra, e poi le contrae come le aveva insegnato sua madre molti anni prima.  I suoi occhi color nocciola brillano selvaggiamente sotto le sopracciglia inarcate che sono state attentamente depilate in barba agli ordini rigidi di sua madre di fare il contrario.

    Il vestito che indossa Maggie è stato cucito su misura per il suo perfetto corpo tutte curve settant’anni prima per un’occasione molto speciale.  È in cotone lavorato color lavanda, con dei bottoni di perla sul davanti e un collo alto rivestito di pizzo bianco che accentua la lunghezza del suo collo magro e incornicia il suo viso spigoloso e i suoi zigomi alti.  Ha la vita aderente, con una parte dietro dritta e plissettata, che ricade proprio sulle scarpe satinate con stringhe e tacchi larghi, tutto dello stesso color lavanda.

    Prende la borsa.  Il suo contenuto è scarno: la tessera sanitaria, uno specchietto dai bordi argentati, una penna stilografica e banconote da due dollari.  Stavolta non arriverà in ritardo: dopotutto, gliel’ha promesso.  La sua adeguata educazione scozzese-irlandese stabilisce che la puntualità è una cosa a cui attenersi.  Inoltre, pensa lei, perché vorrebbe arrivare in ritardo a un’occasione così speciale?

    L’alto orologio di mogano di suo nonno di guardia nell’angolo della camera da letto mostra l’orario in numeri romani: 9:45. L’aspetta alle undici, stesso orario.  Farebbe meglio ad affrettarsi.  Con un ultimo sguardo allo specchio, soddisfatta che ogni capello sia a posto, Maggie si gira verso la porta della camera da letto.  Poi, altrettanto velocemente, si rigira verso lo specchio e non può credere ai suoi occhi.  Cosa cavolo è?  Il riflesso che vede è quello di una donna anziana: il viso rugoso e attempato, i capelli e le sopracciglia bianchi, le labbra tirate e sottili.  Sono io?  Scuote la testa.  È assurdo!  Eppure, deve ammettere che quel viso sembra vagamente familiare.  Una totale assurdità!

    Con un’alzata di spalle, Maggie va alla porta della camera, gira il pomo trasparente ed esce nel corridoio verso il pianerottolo in cima alle scale.  Se cammina in punta di piedi abbastanza silenziosamente, può scendere sull’unica rampa di scale e uscire dalla porta principale senza che sua madre si accorga che è andata via.  Facendo un respiro profondo, comincia a scendere dalle scale.

    Mentre passa dal salotto, dà un’occhiata veloce per vedere se sua madre è in giro, ma fortunatamente non c’è nessuno.  Con un sospiro di sollievo, apre la porta principale e si affretta nella notte, con i piedi che volteggiano sull'erba umida del giardino, facendola avanzare senza sforzo verso l’elegante Artemis Hotel, il luogo d’incontri più elegante di tutta Roscoe.  Con la casa che si dirada in lontananza, rallenta il passo gradualmente e cammina sulla strada fangosa che la porta al suo obiettivo, e al suo appuntamento col destino.

    Maggie impiega meno di dieci minuti per arrivare all’hotel, o così pensa lei, ma quando arriva davanti al grandioso edificio, si accorge di essere stanca morta, il suo cuore batte rapidamente nel petto come se avesse camminato per molto più tempo.  Guarda il delicato orologio che ha al polso ed è sorpresa di scoprire che in realtà ha camminato per quasi un’ora.  Sono in ritardo, pensa.  È successo di nuovo.  Perché non riesco a fare le cose bene?

    L’Artemis Hotel sorge in cima a una collinetta, circondato su tutti i lati da alte querce e aceri.  È a due piani, dipinto di bianco, dalla struttura in legno progettata nel sobrio, ma elegante stile federalista, molto popolare tra gli architetti del diciannovesimo secolo.  Un generoso portico protegge l'entrata principale, che comprende grandi porte doppie di quercia lucidata con degli inserti di cristallo brillanti.  Normalmente il vetro inciso riflette la luce dai luminosi lampadari di cristallo che adornano l’ingresso.  Ma quella notte non ci sono riflessi.  Invece di brulicare di ospiti che fanno il check-in e il check-out, l’hotel è buio e senza vita.  Maggie è confusa.  Si arrampica sulle numerose scale di cemento verso il porticato e quasi cade inciampando su un grande pezzo di trave bruciata.  Fatica a respirare, e il sudore le imperla la fronte.  È molto confusa.

    Mentre resta lì, cercando disperatamente di riprendere il respiro, l’immagine dell’hotel cambia davanti ai suoi occhi.  I muri si deteriorano e scompaiono completamente, esponendo un guscio vuoto di tavole di legno bruciate che circondano pile di detriti scoloriti.  Il vetro rotto e il legno carbonizzato erano dappertutto.  Maggie scavalca il massacro con cautela, disperatamente confusa e disorientata.  Cos’è successo all’hotel?

    Di colpo una macchia di movimento cattura il suo sguardo.  È lui?  Il suo cuore batte più velocemente, e le sue guance si tingono di rosso.  Scruta nell’oscurità e scorge l’immagine di un giovane uomo con la schiena rivolta verso di lei.  Sembra stia cercando qualcosa, o qualcuno.  Ma per cosa, o per chi?

    «Sono qui!» urla lei alla fine, un ampio sorriso stampato sul volto.  «Scusami tanto, sono in ritardo...»

    L’uomo si gira e si avvicina a lei, ma Maggie non lo riconosce.  Mentre lui va avanti, inciampa, e poi all’improvviso ecco un lampo di luce e uno schianto sonoro, come se un albero fosse stato colpito da un fulmine.  Maggie sente un tonfo sordo, poi un doloro bruciante al centro del petto; e in soli pochi secondi, niente.  Non sentirà mai le parole urlate da quell’uomo, la sua voce piena di angoscia. «Oddio!  Cosa ho fatto?»  L’uomo mette la pistola ancora fumante nella tasca del cappotto e corre verso di lei, inciampando nelle pile di detriti, ma è troppo tardi.

    Chinandosi sul corpo inerme della donna anziana, l’uomo le solleva il polso scheletrico e sente se c’è battito, un segno di vita.  Ma non c’è.  Si accascia a terra accanto a lei, singhiozzando incontrollabilmente, le spalle strette appesantite, mentre accarezza inconsciamente i sottili capelli bianchi sulla sua testa anziana.  Alla fine, si ricompone, si asciuga le lacrime dagli occhi con un fazzoletto e si alza.  Il suo cuore è pieno di rimorso, ma in quel momento non ha tempo di piangere.  È determinato a sparire il più velocemente possibile.  Pensa per un momento di chiamare la polizia, ma chiamarla, anche da un telefono anonimo a pagamento, sfocerebbe solo in una vita passata dietro le sbarre, e di sicuro non riporterebbe indietro quella donna.  Alla fine, decide di non farlo.  Guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno l’abbia visto, si muove attentamente fuori dalle rovine dell’hotel, scende volutamente le scale di cemento distrutte, e scompare nella notte, la sua missione abbandonata e dimenticata.

    Capitolo 2

    G uardavo intensamente la piccola ninfa dalle ali blu misura 18 galleggiare lentamente a valle con la corrente, attaccata a un delicato tippet 6X, parte di un leader di nylon di tre metri e mezzo.  Erano gli inizi di giugno, ed ero a pesca di trote a Wagon Tracks, un tratto pesantemente solcato della parte No-Kill più alta del famoso fiume Beaverkill nelle Catskill Mountains di New York.  Il cielo coperto all’alba era perfetto per la schiusa dell’attenuata che continuava con regolarità da quarantacinque minuti. Con un po’ di fortuna l’opera sarebbe potuta continuare nel pomeriggio.  Sorrisi di quanto conoscessi tutti i nomi latini degli insetti che ora cercavo di imitare.  Cavolo, fino a quindici anni fa sapevo a malapena cosa fosse una canna da pesca.

    Sono Matt Davis, Comandante della Polizia di Roscoe, New York, un paesino a nord dello stato conosciuto soprattutto per lo straordinario ruscello di trote che vi scorre vicino.  In effetti, oltre al titolo di Città delle Trote degli Stati Uniti, un nome con cui è nota da decenni, è stata nominata di recente Migliore Città di Pesca in un sondaggio condotto da un'azienda nazionale di attrezzature da pesca.

    Essendo un giorno feriale, il gruppo di pescatori a mosca del fine settimana dall'area metropolitana di New York doveva ancora arrivare, quindi avevo l'acqua praticamente tutta per me.  A monte, a Cairns Pool, c’erano alcuni pescatori, ma per il momento l'acqua a Wagon Tracks era solo mia.  Stavo pescando alla sorgente della pozza, proprio sotto l’incrocio in cui le due strette arterie del fiume si incontrano dopo aver sgorgato attorno alla piccola isola su di esso.  Perfetto.  Era mercoledì e avevo l’intera mattinata libera, a meno che ovviamente non ci fosse stata un'emergenza.  Ma fortunatamente quelle occasioni erano più uniche che rare.  Giusto per essere sicuro, tuttavia, avevo il mio cellulare appena requisito, con la vibrazione invece che la suoneria, nascosto in una tasca superiore della mia giacca da pesca.  Prima di entrare in acqua di mattina presto l’avevo controllato per vedere se c’erano messaggi di testo o vocali.  No.  Nulla.  Stavo pescando con la coscienza pulita.

    A quel punto l’esca aveva raggiunto la fine della deriva, e procedeva lentamente. Con la mano libera tirai delicatamente la lenza per sommergere l’esca, e poi la alzai dall'acqua con una tirata lenta e decisa della canna, prima di fermarla all’improvviso posizionandola alle due di un orologio immaginario.  Aspettai finché la lenza dietro di me non si raddrizzò, poi cominciai a fare finta di lanciarla velocemente per asciugare l'esca, mentre guardavo l'acqua aspettando un’altra increspatura.  Non dovetti aspettare molto.

    L’increspatura rivelatrice apparve sulla superficie dell'acqua a circa un metro oltre il punto in cui avevo visto l’ultima.  Feci un altro falso lancio e poi stesi il filo abbastanza da raggiungere il mio obiettivo. Il lungo leader si srotolò in modo tale da atterrare in una serie di morbide curve che rassomigliavano a una S. La ninfa dalle ali blu galleggiò per circa mezzo metro e poi sparì.  Alzai leggermente la punta della canna e contemporaneamente tirai la lenza con la mano sinistra, e con l’amo acchiappai ciò che sembrava essere un buon pesce.

    Dieci minuti dopo, alla fine di una battaglia protratta, dovuta alla delicata natura del tippet, feci avanzare sull'acqua una trota marrone di quarantacinque centimetri buoni e allungai il braccio dietro di me per prendere il retino.  Ma proprio mentre mi abbassavo per prendere il pesce, fui spaventato da una vibrazione contro il petto dal cellulare nella tasca della giacca.  «Merda!» Ringhiai sobbalzando involontariamente in risposta e allo stesso tempo perdendo il pesce.  «Figlio di puttana!»

    Con la trota perduta, rivolsi l’attenzione al telefono colpevole, che a quel punto avevo tolto dalla tasca della giacca.  Guardai il piccolo schermo e vidi che era una chiamata dal comando.  Aprii il telefono e lo misi all’orecchio.  «Che c’è?»

    «Matt?»  La voce era quella di Nancy Cooper, la mia segretaria.

    «Eccomi», sospirai.

    «Ti ho preso in un brutto momento?»

    «Che c’è?»

    «Scusa, Matt», disse Nancy.  «So che sei a pesca, e odio disturbarti, ma...»

    «Ma l’hai fatto comunque.  Quindi suppongo sia importante, giusto?»

    «Beh, si tratta di Maggie McFarland.»

    «Cosa le è successo?  Ha portato quelle esche per trote che avevo ordinato?»

    Maggie aveva quasi novant’anni e intrecciava alcune delle migliori esche nelle Catskill (a parte Mary Dette Clark, che era la campionessa locale riconosciuta).  Di recente avevo ordinato delle rusty spinner, ma per via della demenza di Maggie che avanzava, riceverle era una puntata alla pari.  Ultimamente sua nipote, Nellie McFarland, aveva raccolto il testimone, quindi forse c’era ancora una possibilità di avere le esche.

    «Vorrei si trattasse di questo,» disse Nancy. «La nipote di Maggie ha chiamato stamattina presto per segnalare la sua scomparsa.  Dice che deve essersi allontanata tra le nove di ieri sera e le sette di questa mattina.  Non è mai tornata a casa.»

    Guardai l’orario sul cellulare: 9:47. Avrei dovuto immaginarlo che fosse troppo bello per essere vero: una mattinata tutta per me sul fiume senza interruzioni.  «Non è la prima volta che sparisce la ragazzaccia,» dissi.  «Ha controllato dai vicini?  Forse è in strada a prendere il caffè con Miriam Stone all'agenzia immobiliare.»

    «Temo di no, Matt.  Nellie ha chiamato e cercato dappertutto.  L’unico posto in cui non ha guardato è al vecchio Artemis Hotel, dove l’hanno trovata l’ultima volta che è sparita.»

    «Be’, le consiglierei di andare lì.»

    «È per questo che ha chiamato», disse Nancy.  «La macchina di Nelly è dal meccanico e non ha modo di arrivare lì.  Si chiedeva se potessimo controllare per lei.»

    Sospirai e ci pensai su per un momento.  «Tecnicamente non possiamo sporgere denuncia per una persona scomparsa da 24 ore, ma credo non ci sia nulla che ci impedisca di farle un favore.  Falle dare un passaggio da Bobcat e fammi sapere come va.»

    «Va bene», disse Nancy.  «È quello che ho pensato di fare, ma non volevo mandarlo lì senza dirtelo prima.»

    «Nessun problema», dissi.

    «Oh, e non dimenticare di...»

    «Lo so.  Lasciare il cellulare acceso, giusto?»

    «Giusto», disse Nancy.  (Riuscivo quasi a sentire il suo sorriso compiaciuto nel telefono.)  «E, grazie, Matt.  Se non senti notizie per un po’, continua a pescare e ci vediamo verso mezzogiorno.»

    Misi la suoneria al telefono e lo riposi nella tasca della giacca.  Mi piaceva davvero Maggie.  E mi piacevano specialmente le sue esche.  Ma a quel punto mi pentivo di averle ordinate da lei per cominciare.  Cavolo, probabilmente le avrei già avute se le avessi prese da Frank Kuttner.  Mi pentii immediatamente di quel pensiero e mi sgridai in silenzio per aver perfino pensato una cosa simile.  Di sicuro speravo stesse bene.

    Venti minuti dopo, il silenzio pacifico della mattina fu spezzato di nuovo, solo che quella volta non ero preparato.  Merda, pensai aprendo velocemente il telefono e mettendolo all’orecchio, speriamo si sia solo allontanata e persa.

    Le notizie erano molto peggiori di quanto potessi immaginare.

    Capitolo 3

    Maggie McFarland era morta.  Dovetti lasciar sbatacchiare quella notizia per un po’ nella mia testa prima di digerirla completamente.  Semplicemente non poteva essere vero.  Doveva esserci un errore.  Ma d’altra parte lei aveva quasi 90 anni, quindi non avrei dovuto essere così sorpreso.  Eppure, fu un po’ uno shock.

    «Ne sei assolutamente certo?» Dissi al telefono, la mia voce superava di poco un sussurro.

    «Cosa hai detto, Matt?» disse Bobcat.

    Mi schiarii la gola.  «Ho detto sei sicuro?»

    «Vorrei non esserlo, ma non ci sono dubbi.  Credo sia morta da un po’.»

    «Com’è successo?  È caduta?  Infarto?  Ictus?»

    «Le hanno sparato...»

    «Sparato?!»

    «Be’, almeno è quello che sembra... proprio al petto.»

    «Qualcuno ha sparato a Maggie McFarland?»

    «Ne sono abbastanza sicuro, Matt.»

    Non aveva alcun senso.  Chi poteva aver sparato a Maggie?

    «Matt?»

    «Sì?»

    «Stai arrivando?»

    «Sì... Sì», sussurrai.  «Io... io sono a Wagon Tracks.  Arrivo il prima possibile.»

    «Va bene.  Ci vediamo allora.»

    Chiusi il telefono e lo riposi nella tasca della giacca.  Avvolsi lentamente la lenza, tolsi l'esca e la misi in una scatola asciutta di esche.  Ero ancora in stato di shock.  Perché mai qualcuno avrebbe voluto sparare a Maggie McFarland?  Doveva essersi trattato di un incidente.

    Mentre guadavo verso la riva altre possibilità mi passarono in mente.  E se non fosse stato un incidente?  Poteva essere stata una rapina?  No, non aveva senso.  Maggie era una donna anziana con pochissimi soldi. Inoltre, come avrebbero fatto? L’hanno seguita fino in città e poi le sono saltati addosso?  Questo aveva ancora meno senso.  Forse si trattava di qualcuno a caccia di procioni?  Quello era possibile, ma poi perché non avrebbero chiamato aiuto?  Gli incidenti che capitavano.  Questo si poteva spiegare.  Pensai al vicepresidente Cheney.  No.  La stagione dei procioni era chiusa fino a ottobre, quindi neanche quello aveva senso.  No. Doveva essersi trattato di omicidio... Ma perché?

    Dieci minuti dopo lasciai la mia Jeep dietro la Pathfinder di Bobcat sulla banchina opposta al numero 17 di Old Route, sul cui fianco scorreva il Beaverkill, proprio sotto la proprietà che ospitava i resti del vecchio hotel una volta maestoso.  Di fronte c’era un parcheggio costruito di recente per i pescatori a mosca che volevano accedere alla pozza di Ferdon e alla piana di Barnhart.  Sin dalla sua costruzione, l’avevo visto come un danno alla pesca piuttosto che una miglioria concepita dai suoi creatori.  In passato solo i più dediti erano disposti a fare l'escursione nei boschi per raggiungere quelle acque sacre.  Ora, pensai, qualsiasi scemo sa bagnare una lenza.  Di recente, tuttavia, avevo riesaminato il mio giudizio affrettato.  Pensai che un giorno sarei invecchiato e forse allora avrei abbracciato la comodità data da quell’accesso.  Ma in quel momento era irrilevante. L’unica cosa che avrei pescato nel mio immediato futuro sarebbe stato l'assassino di Maggie.

    Mentre mi affrettavo sul pendio verso le vecchie rovine bruciate dell’Artemis, immaginai come doveva essere stato nella sua epoca d’oro, quando aveva aperto le sue porte per la prima volta nel 1887.  Avevo visto delle foto di quel posto, ed era meraviglioso.  L'architettura federalista era popolare all'epoca, e l’hotel era un classico esempio di quello stile sobrio, reso con assicelle dipinte di bianco che proteggevano ventuno stanze degli ospiti, una grande sala da pranzo, una sala da lettura formale e un bellissimo portico frontale che era sempre occupato da visitatori seduti all’ombra a sorseggiare una limonata o un tè freddo.

    Prima che il concorrente, l’Antrim Lodge, fosse costruito nel 1890, l’Artemis era il primo edificio del suo genere oltre al corridoio tra Monticello e Binghamton.  I tipi ricchi ci venivano da New York City in treno per soggiornare e pescare nelle acque piene di trote del Beaverkill e del Willowec, le loro mogli erano felici di socializzare nella sala da pranzo sontuosa o sedersi tranquillamente nella sala da lettura, prese da romanzi audaci.  Stava appollaiato sulla collina che dava sui boschi davanti al fiume.  I mecenati, con indosso abiti in lana, potevano attraversare la strada nel pomeriggio per pescare, e poi ritornare all’hotel la sera per farsi preparare il pescato da uno chef esperto.

    Ma una volta aperto l’Antrim, l’Artemis diventò la seconda scelta finché un incendio non lo bruciò fino quasi a demolirlo nel 1944, nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale.  Cinque ospiti erano morti nel fuoco verificatosi di notte.  La causa dell’incendio non fu mai stabilita, ma molti all’epoca sospettavano fosse un atto criminale, sebbene non fu mai provato.

    Mi avvicinai a quello che era il portico frontale.  Ora tutto ciò che rimaneva dell'edificio erano travi bruciate e marcite disseminate tra pezzi rotti di cemento e vetro, e dovetti stare molto attento a non inciampare e cadere nella fretta di raggiungere Bobcat.  Dei nastri gialli della scena del crimine erano stati appesi accuratamente attorno al perimetro di quello che era una volta un edificio a due piani.  Alzai il nastro e scivolai velocemente sotto e sulle rovine.

    «Prenditi il tuo tempo, Matt.  Non va da nessuna parte.»  La voce apparteneva a Bob Bobcat Walker, uno dei miei tre agenti di polizia, gli altri due erano Rick Dawley e Pete Richards.  Bobcat era inginocchiato accanto al corpo della donna morta, le mani rivestite di guanti di lattice, gli occhi che esaminavano il terreno attorno alla sua figura senza vita alla ricerca di qualsiasi cosa che indicasse come fosse successa quella tragedia terribile.  Aveva già scattato più di una dozzina di foto e aveva disegnato con lo spray il contorno del corpo di Maggie per indicare la sua ubicazione per riferimenti futuri.

    Mentre mi guardavo attorno, qualcosa catturò il mio sguardo.  Era un piccolo riflesso di luce solare che rifletteva qualcosa di metallico sul terreno a circa cinque metri dal corpo di Maggie.  Quando mi avvicinai all’oggetto, mi infilai un paio di guanti di lattice, poi mi chinai e con cautela sollevai un bossolo da terra.

    «Cos’hai, Matt?»

    «Questo», dissi alzando un bossolo di ottone lucido, esaminando attentamente il suo involucro.  «Sembra un calibro 45.  Ma scommetto che non ne vedi uno simile da un po’.»

    Bobcat si avvicinò e diede un’occhiata.  «Gran cosa», disse lui con una risata.  «È un calibro

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