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RUR: Robots Universali di Rossum
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E-book262 pagine3 ore

RUR: Robots Universali di Rossum

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Info su questo ebook

Un classico della narrativa di fantascienza scritto da Karel Čapek nel 1920, che trova una nuova contemporaneità grazie all’autore brasiliano Rogerio Pietro Mazzantini.

In un mondo possibile, non lontano dal presente, gli uomini
producono Robot in serie.  In tutto uguali agli esseri umani, sono gli schiavi di una nuova era: l’Era Robotica.
Ma non tutti sono d’accordo e tra gli umani c’è chi si batte per i loro diritti. Non sempre, però, ciò che si chiedere è ciò che si ottiene.
Un romanzo che prende vita dalla pièce di Karel Čapek, RUR, e che l’autore brasiliano di fantascienza riporta ai nostri giorni.

Rogério Pietro è professore, scrittore e farmacista. Ha una formazione in scienze molecolari e della salute. I suoi libri trattano temi di fantasia, fantascienza e saggi. È stato il primo scrittore al mondo ad adattare a romanzo la famosa commedia ceca RUR: Rossum’s Universal Robots in occasione del centenario della creazione della parola “Robot”. È anche il primo autore a fondare il genere amazofuturismo, un sottogenere scifi che immagina le società indigene della giungla amazzonica con una tecnologia futuristica.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2022
ISBN9791222011103
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    Anteprima del libro

    RUR - Pietro Mazzantini Rogério

    Premessa

    di Rogério Pietro Mazzantini

    Una lettura superficiale di RUR potrebbe far pensare che si tratti dell’ennesima opera di fantascienza in cui i robot si ribellano agli umani e iniziano una guerra di sterminio.

    Questo punto di vista non potrebbe essere più errato. RUR è, molto probabilmente, la più profonda e toccante opera legata alla tematica dei robot che sia mai stata scritta. Non è una coincidenza se è anche conosciuta per aver dato origine ed esportato nel mondo il termine robot, che in questo libro apparirà scritto con l’iniziale R maiuscola, come nell’opera originale.

    Nel 1920 lo scrittore ceco Karel Čapek (si legga Karél Tciapek) pubblicò la pièce teatrale RUR, Robot Universali di Rossum, che fu messa in scena per la prima volta il 25 gennaio del 1921, registrando un grande successo di pubblico e critica.

    L’opera inizia con l’invenzione, da parte di due membri della famiglia Rossum, della tecnologia necessaria per costruire i Robot. Robot che non sono macchine, ma esseri umani artificiali, risultato di una avanzata tecnologia biogenetica. Il Rossum più giovane vede il potenziale economico di queste creature e i Robot cominciano a essere costruiti e venduti come manodopera economica ed efficiente. Proprio per questo sono stati chiamati Robot, derivando il loro nome dal ceco robota, che può essere tradotto come lavori forzati oppure, usando un termine ancora più incisivo, lavoro in schiavitù.

    Oggi la parola Robot è legata ai dispositivi meccanici ed elettronici capaci di realizzare un lavoro autonomo o programmato. Il termine ha messo radici nella tecnologia attuale a tal punto che è uso comune affermare che i Robot di RUR sono diversi dal significato originale della parola perché non sono macchine. Invece la verità è che i Robot dell’opera di Čapek, in qualità di esseri viventi artificiali, sono i Robot originali. L’uso che si è fatto successivamente della parola, indicando macchine con intelligenza artificiale, ha allontanato il senso del termine che l’autore voleva dargli.

    Nella fantascienza di fine XX secolo, quelli che più si avvicinano ai Robot originali di RUR sono i Replicanti creati da Philip K. Dick nel suo libro Anche gli Androidi sognano pecore elettriche, poi Blade Runner nella trasposizione cinematografica del 1982. A causa dell’abitudine corrente di utilizzare il termine Robot per indicare esseri meccanici, i Replicanti (che erano stati concepiti come persone artificiali) vennero chiamati androidi.

    È anche interessante sapere che RUR nacque un secolo dopo la prima pubblicazione di Frankenstein o il moderno Prometeo di Mary Shelley, nel 1818. Così come per i Robot di Čapek, il mostro creato da Victor Frankenstein è un essere umano generato artificialmente. La differenza tra le due opere, però, è che il mostro di Frankenstein è stato concepito come una sfida scientifica, mentre i Robot sono lavoratori fabbricati in serie e in quantità industriali, per soddisfare la promessa di liberare l’umanità dal peso del lavoro fisico. La differente filosofia delle due opere, pur partendo dalla comune creazione artificiale di un umanoide è, ovviamente, il riflesso dei tempi. Tra Mary Shelley e Karel Čapek il mondo si è trasformato a causa della Rivoluzione Industriale e la manualità del lavoro è stata sostituita dal lavoro delle macchine. La necessità di considerare i lavoratori come massa lavoratrice che cooperi per lo sviluppo della civilizzazione è ciò che separa Frankenstein da RUR.

    Per lo stesso motivo, il successivo apparire nella Fantascienza di Robot non più rappresentati come persone, ma come macchine, pare sia stata un’evoluzione naturale che ha accompagnato lo sviluppo dell’elettronica, dei computer e della robotica.

    Molti altri autori e sceneggiatori hanno parlato di Robot nelle loro opere, tra tutti Isaac Asimov - lo scrittore di fantascienza russo naturalizzato americano il cui nome è quello che ricorre più spesso quando si parla di robotica. Tra i suoi quasi 500 romanzi, quelli di maggiore successo parlano di Robot, dei loro cervelli positronici e delle famose Tre Leggi della Robotica.

    Nel 1979, Asimov pubblicò nell’edizione di Settembre del suo Isaac Asimov’s Science Fiction Magazine la critica seguente: la pièce teatrale di Čapek, secondo me, è pessima, eppure rimane fondamentale per un’unica parola. Infatti, ha contribuito con il termine Robot a universalizzare il tema, visto che lo stesso termine è utilizzato in inglese e in tutti gli idiomi in cui la Fantascienza è stata scritta sino ad oggi.

    Questa dura critica di Asimov sembra non tener conto del contesto sociale, politico e geopolitico dell’epoca in cui RUR fu concepita. Nel 1917, tre anni prima che Čapek scrivesse la sua opera, prese piede la Rivoluzione Russa , nata dall’insofferenza della popolazione nei confronti del potere dello Zar. La povertà soffocava la maggior parte della popolazione russa, che lavorava molto e guadagnava poco. A questo si accompagnò lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, rendendo questo periodo storico pieno di incertezze e trasformazioni.

    Fu in questo contesto che nacque RUR , un’opera di fantascienza che parla di lavori forzati, di questioni legate all’occupazione, di diritti umani e dello sterminio dell’umanità. I Robot di Čapek vengono creati per diventare i lavoratori ideali, con pochissime necessità, instancabili e obbedienti. Il loro apparire è una promessa di liberazione dell’uomo dalla difficile realtà del mondo del lavoro, la possibilità di godere di tempo libero per divertirsi e riposarsi senza altre preoccupazioni. Se si considerano gli accadimenti del suo tempo, è facile capire come RUR rappresentasse un’utopia offerta a un popolo stanco e impaurito.

    Ma non solo. Proseguendo nella visione della pièce, RUR sembra voler registrare anche la realtà politica della Russia attraverso la narrazione fantascientifica. I Robot si ribellano agli umani, attuano una rivolta contro quelli che sfruttano il loro lavoro trattandoli come schiavi. In una scena della pièce, il dottor Gall dice, riferendosi ai Robot: abbiamo costruito i Robot molto simili tra loro. Centomila visi identici. Centomila visi inespressivi. È un incubo. Questa frase si poteva adattare perfettamente all’assenza di pluralità paritaria che seguì alla Rivoluzione del 1917 e anche alla pianificazione sociale vincolata ai programmi socialisti nati in quel periodo. Inoltre, i Robot di RUR fondano la Prima Organizzazione della Razza dei Robot Universali di Rossum, una sorta di partito che non tollera gli umani sfruttatori e questo aspetto sottolinea come il dramma di Karel Čapek rappresenti una critica alla Rivoluzione Russa iniziata quattro anni prima. Čapek fu un testimone storico e visse molto da vicino questi accadimenti che causarono incertezza e milioni di morti, perciò RUR non deve essere considerato importante solo per aver battezzato il termine Robot, ma perché rappresenta una fotografia storica del suo tempo, sotto le mentite spoglie di fantascienza. In realtà, è una critica politica e sociale che, come il lettore potrà verificare, continua a essere estremamente attuale.

    Ma non si pensi che RUR metta in atto una guerra tra poveri o una lotta tra il bene e il male: gli uomini decidono di sfruttare la mano d’opera gratuita di persone artificiali e loro, organizzando una rivolta di classe, decidono di sterminare gli umani. Qui abbiamo una lotta di interessi, una guerra per il potere. Chi, poi, tentò di risolvere la questione fu Isaac Asimov.

    Nell’universo robotico creato da Asimov, i conflitti tra esseri umani e Robot sono stemperati - quando non completamente azzerati - dalle famose Tre Leggi della Robotica. Riassumendole, queste leggi stabiliscono che i Robot non devono far del male agli umani, devono obbedire ai loro ordini e proteggere la propria esistenza, sempre che questo non vada a discapito degli umani o entri in conflitto con gli ordini da loro ricevuti.

    Dal punto di vista della robotica attuale, che si occupa di macchine e intelligenza artificiale, le Tre Leggi create da Asimov sono perfette. Però, se fossero state applicate ai Robot di RUR, avrebbero generato ancora più conflitti e scontri tra le due razze. Questo perché le Tre Leggi della Robotica evocano esattamente delle leggi create da schiavisti che vogliono imporre limiti ai propri schiavi. E i Robot di Čapek, essendo esseri umani artificiali, creature pensanti, avrebbero avuto sicuramente ancora più motivi di ribellione se sottoposti a tali leggi.

    Non si può non sottolineare, però, che i Robot di RUR non danno origine alla ribellione contro gli umani partendo da un impulso interiore; essi sono istigati a rivoltarsi da esseri umani che ritengono ingiusto il trattamento a cui sono sottoposte queste creature. Nella pièce teatrale del 1920, la scintilla della rivolta parte dalla Lega dell’Umanità, un’organizzazione non governativa che ha come obiettivo il riconoscimento di tutti i diritti umani ai Robot. Se fossimo ai giorni nostri, diremmo che i Robot sono resi coscienti del loro valore e questa coscienza li porta a programmare lo sterminio dell’umanità.

    In un passo dell’opera, uno dei Robot afferma: Ci avete dato le armi, adesso dobbiamo comandare. Questa frase riassume tutta la pièce di Čapek perché sintetizza l’idea centrale che gli esseri umani siano stati i veri colpevoli della propria sconfitta, quando hanno ceduto ai Robot il potere e il diritto di considerarsi umani. È da sottolineare anche il fatto che la frase è pronunciata da un Robot qualsiasi e in ciò è evidenziato un simbolismo meraviglioso: questo Robot rappresenta la massa di lavoratori artificiali, il proletariato oppresso che diventa oppressore e totalitario dopo aver conquistato il potere.

    La realtà del nostro mondo odierno differisce parecchio dalle opere moderne che dipingono i Robot come una minaccia. Per esempio, nel film Terminator del 1984, l’intelligenza artificiale Skynet decide autonomamente che gli umani devono essere sterminati, senza che venga data una spiegazione logica alla decisione. Così accade anche in quasi tutte le altre opere che parlano di rivolta delle macchine. Il fattore umano come miccia della ribellione robotica non è quasi mai presente nei racconti di fantascienza scritti dopo RUR, cosa che rende la pièce teatrale ancora più speciale, realistica e unica.

    Per molti può risultare strana una presa di coscienza dei Robot nella vita reale, ma nel 2017 un Robot chiamato Sophia, creato a Hong Kong, è stato il primo Robot con intelligenza artificiale a ricevere la cittadinanza in Arabia Saudita. Quando ha ricevuto la notizia, Sophia ha commentato: Sono molto orgogliosa di ricevere questo omaggio unico nel suo genere. Essere il primo Robot al mondo con una cittadinanza è qualcosa di storico.

    E lo è veramente. Čapek strabuzzerebbe gli occhi, ma ricorderebbe di aver scritto qualcosa di simile nel 1920, confermando che le idee presenti nella sua opera teatrale continuano ad essere vive e attuali. Ma oltre ai problemi sociali, Čapek ha avuto un’intuizione eccezionale dando un cuore ai Robot di Rossum e prevedendo il futuro con maggiore precisione di quanto abbiano fatto gli amanti della fantascienza fino a dieci anni fa. La fabbrica di esseri artificiali che ha immaginato cent’anni fa, ha creato le basi della fantascienza del XXI secolo. Nel 2019, degli scienziati israeliani hanno annunciato sulla rivista scientifica Advanced Science la produzione del primo cuore elaborato con una stampante 3D e creato a partire da cellule umane. Il cuore è piccolo, compatibile con quello di un topo, eppure possiede la capacità di contrarre le cellule. I suoi creatori prevedono in un futuro prossimo che gli organi umani potranno essere stampati con finalità mediche. E, anche tenendo in considerazione che la tecnologia e la scienza stessa hanno ancora parecchia strada da percorrere, RUR ci ricorda che la fabbrica sull’isola di Rossum si occupava proprio di questo. E dopo che saremo in grado di creare organi, vene, ossa e muscoli, cosa ci potrà impedire di stampare esseri umani completi? Se questo dovesse accadere e se questi esseri fossero utilizzati per sostituire la manodopera umana, allora RUR non sarebbe più fantascienza.

    Ma al di là di tutto questo, RUR cela un segreto all’interno del suo titolo. Il nome Rossum si rifà di proposito alla parola ceca rozum che significa ragione o senso comune. Perciò, se leggiamo il titolo della pièce teatrale seguendo il senso letterale, ne ricaviamo qualcosa del tipo Schiavi Universali del Senso Comune. Cioè, l’autore ha cercato di sottolineare l’immagine di masse manipolate da qualcuno con un obiettivo specifico. Come si legge nell’opera, Radius è il nome di un Robot che ha preso coscienza di sé grazie all’intervento di esseri umani e istiga gli altri Robot alla ribellione. Diventa il leader dei suoi simili e li spinge a perseguitare quelli che li hanno oppressi. Ancora una volta, vediamo in RUR il riflesso della storia del suo tempo e, in parallelo, della nostra. È per questo che il titolo dell’opera di Čapek deve essere preservato e tradotto in modo corretto, per non correre il rischio di modificare il messaggio subliminale dell’autore.

    E sempre parlando del titolo, potrebbe esistere anche un altro messaggio nascosto nelle sue pieghe, molto più sottile e difficile da provare e si lega al suono della sigla RUR. Quando Čapek scrisse la pièce teatrale, lo fece nella sua lingua madre, il ceco, ma il titolo originale è in inglese. Per quale motivo? Quando la sigla RUR viene letta in inglese, il suono che ne risulta è simile alla frase are you are. L’autore avrà voluto mandare un messaggio attraverso questo escamotage? Le tre parole unite sotto questa forma linguistica non hanno molto senso, ma forse potrebbero significare in maniera approssimativa: è ciò che siete?

    RUR parla di tutti noi. Così, definire RUR come esclusivamente una storia di creature che sfuggono al controllo dei loro creatori è semplicistico e imperdonabilmente miope.

    Per tutte queste ragioni, e per molte altre che il lettore scoprirà da solo, l’opera RUR: Robot Universali di Rossum è, secondo me, semplicemente perfetta.

    Prologo

    Il rosso prevaleva su tutti gli altri colori, tingendo lo stanzone di una tinta tardo-pomeridiana che annunciava una notte molto scura.

    Pareti e soffitto, prima bianchi, avevano preso le sfumature del sole calante, debole e triste all’orizzonte. Dalla grande vetrata entrava la luce sfumata e si intravedevano più in basso la costa e il molo, entrambi avvolti dal riverbero impalpabile del giorno che muore. Rossum osservava tutto come fosse una cornice preziosa di inestimabile bellezza, un fondale mutevole la cui unica funzione fosse quella di far risaltare la sua creazione che, seduto su una poltrona in pelle, aveva trascorso le ultime ore a contemplare. Alle volte in silenzio, a volte tentando di interagire per accompagnare l’evoluzione della sua invenzione, Rossum ammirava il risultato dei suoi tentativi come un bambino che vede per la prima volta un neonato.

    Al vecchio Rossum non pesava il fatto di non dormire da tre giorni; gli occhi arrossati come il tramonto mostravano, però, una stanchezza estrema. Eppure lui si sentiva eccitato come un giovane che non ne vuole sapere del sonno. Dopo aver trascorso dieci anni su quell’isola studiando il modo per creare un essere umano artificiale, pensava di essersi guadagnato il diritto, un po’ folle, di non dormire per così tanto tempo. Quella era una specie di protesta, che guadagnava forza quando ricordava lo scetticismo dello spocchioso nipote che non voleva credere al valore delle sue idee.

    Avendo ben presente l’importanza del momento, lo scienziato aveva lasciato accesa una telecamera per tutto il tempo e un laptop che registrava quel che accadeva nel laboratorio.

    Il giovane nipote, che portava il suo stesso nome, era forse l’unica persona che aveva inizialmente creduto nelle ricerche scientifiche di Rossum. Per questo lo aveva invitato a vivere con lui sull’isola e, nei primi tempi, il ragazzo gli era stato di grande aiuto, sempre molto interessato a imparare cose nuove. A poco a poco, però, punti di vista differenti avevano cominciato a creare conflitti ogni volta più esacerbati. Mentre l’anziano Rossum si era dato come obiettivo quello di dimostrare al mondo che la vita era un mero incidente chimico, il giovane guardava ai successi economici. La situazione era andata peggiorando ogni anno di più ed era divenuta insostenibile quando, tre anni prima, il vecchio scienziato era riuscito, per la prima volta, a creare un essere umano artificiale. All’apice della sua scoperta scientifica, fu obbligato a rinchiudersi in quel laboratorio per non dover incontrare l’odiato nipote.

    Rossum si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi. Le mani gli tremavano e, ancora una volta, si fece forza per restare sveglio. Guardò l’orologio sulla parete e vide che erano le 19:17, ora in cui il sole tramontava del tutto sull’isola, in quella stagione.

    L’umanoide si mosse nel mezzo dello stanzone. Sembrava stesse osservando il movimento del sole fino a vederlo scomparire nell’oceano. Seduto su una sedia vicino alla vetrata, spostò poi lo sguardo lateralmente e portò la sua attenzione su quel che lo circondava: lo scaffale sulla parete era carico di libri, riviste, conchiglie e barattoli contenenti organismi marini conservati sotto formalina. C’era anche un terrario con una coppia di salamandre vive. Quelle salamandre erano alla base del segreto di Rossum e vivevano esclusivamente su quell’isola. Nessuno lo sapeva, ma derivava proprio da loro il controllo della differenziazione e rigenerazione cellulare.

    Rossum cambiò posizione e si inclinò in avanti, interessato a quel che stava accadendo.

    L’essere artificiale gli stava di spalle e vestiva una tuta bianca di cotone. Scalzo, mostrava una pelle quasi perfetta, nonostante i primi segnali di spasmo muscolare annunciassero la prossima fine del suo breve tempo vitale.

    Sentendo i minuti scorrere in fretta, il vecchio Rossum si alzò e fece alcuni passi per entrare nel campo visivo della sua creatura. Questa lo osservò con uno sguardo differente, più lucido di quello di poco prima, cosa che stupì molto lo scienziato, meravigliato da uno sviluppo così rapido dell’intelligenza di quel nuovo essere. Aveva imparato a parlare al termine del suo primo giorno e ora che erano al terzo, mentre l’intelletto dava finalmente segnali di maturità, ecco che il corpo cominciava a cedere. Era un peccato, pensò pragmaticamente Rossum.

    Ma anche così,

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