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Il regno perduto
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E-book383 pagine5 ore

Il regno perduto

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Info su questo ebook

Il romanzo racconta un tratto della vita di Emmanuel, un giovane e nobile normanno alla ricerca di sé stesso e del suo grande amore perduto. Ad attenderlo ci sarà un lungo percorso, che lo porterà dalla Normandia fino in Terra Santa, dove insieme al lettore intraprenderà un viaggio introspettivo, liberatorio ed, a tratti, doloroso. Dovrà attraversare guerre, intrighi ed inganni per poter raggiungere il suo Regno perduto. Un romanzo senza tempo, ambientato nell'epoca delle crociate, ma attuale per i temi trattati: La perdita di una persona cara, la ricerca del senso della propria esistenza, la paura ed il perdono. Il giovane Emmanuel crescerà e maturerà sotto gli occhi del lettore, svelando pagina dopo pagina i suoi pensieri più reconditi e segreti, spogliandosi di ruoli, titoli e false credenze, per tornare ad essere semplicemente sé stesso.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2022
ISBN9791221430264
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    Anteprima del libro

    Il regno perduto - Mauro Ferraris

    Capitolo primo

    Normandia. Cherbourg¹, 21 settembre 1189

    I profondi occhi di Lamya scrutavano l'orizzonte, su quel mare freddo lontano dalla sua casa natia. La notte oscura si era da tempo impossessata del suo cuore e la donna, avvolta nel suo niqāb², era scossa da crescenti brividi di freddo ed eccitazione per ciò che finalmente stava per realizzare.

    Era partita da Tiro a bordo di una galea sottile³ un’imbarcazione da guerra della Repubblica marinara di Genova⁴ battente l'emblema della Croce di San Giorgio⁵, una croce rossa in campo bianco.

    Gli occupanti si sentivano rassicurati da quello stemma che veniva spesso evidenziato in uno scudo sostenuto ai lati da due grifoni ovvero due leoni alati dalla testa d'aquila. Questo era un simbolo genovese antichissimo.

    La croce di San Giorgio, veniva issata dalle navi della Repubblica marinara di Genova e rappresentava una sorta di immunità per chi si imbatteva nelle navi musulmane che, per evitare il conflitto temendo il nemico, giravano al largo.

    La grande vela era mossa dal gelido vento del nord ma i tre alberi stavano immobili contro quelle raffiche di vento.

    I due timoni erano tenuti in modo fermo da esperti marinai, il mare era rimasto calmo fino alla sosta presso il porto di Genova, per raccogliere nuove provviste ma quando erano ripartiti alla volta di Siviglia, per una seconda ricognizione, si erano trovati in condizioni avverse.

    Insieme a Lamya, oltre all'equipaggio, si erano aggiunti una dozzina di cavalieri Templari⁶ che, insieme a Padre Bernard, avevano il compito di scortare la donna. Bernard era da tempo legato alla famiglia di Lamya.

    Era stato per anni il suo insegnante ma ciò che li legava era un passato oscuro e difficile da superare.

    Per Bernard la giovane era come una figlia, colei che in quel deserto di sabbia e di sofferenza gli aveva offerto un prezioso goccio d'acqua.

    Anni prima il Templare si era ritirato nel deserto in cerca di una risposta dal cielo. Nel corso della sua vita aveva compiuto atti di inaudita violenza, causando morte e patimento tutto intorno a sé.

    La risposta tanto attesa però tardava ad arrivare e l'uomo iniziava a perdere le forze sotto quel sole rovente.

    Ormai quasi del tutto disidratato sentì delle piccole mani che sollevavano la sua testa dalla sabbia.

    Per giorni quella bambina si era recata da lui con una bisaccia d'acqua fino a quando, trovandolo svenuto ai piedi di una duna, ella corse a chiamare la sorella di suo padre, una delle donne più potenti e influenti dell'intero Egitto.

    Grazie alla sapiente abilità curativa di Amalthea, zia di Lamya e grande sacerdotessa dell'Ordine di Iside, Bernard si rimise in forze.

    Per ringraziare quella famiglia di veggenti e guaritori che gli aveva salvato la vita, l'uomo decise di restare in modo permanente nell'oasi e di dedicarsi all'insegnamento, accogliendo ed istruendo i bambini che vivevano nei pressi del tempio.

    L'unica che aveva rapito il suo cuore di uomo pentito però era proprio la piccola Lamya, malvista da tutti e trattata al pari di una serva.

    Per rendere la sua vita più leggera, l'uomo le aveva donato un prezioso diario.

    La copertina in cuoio, con all'interno dipinta la croce rossa dello stemma dei Templari, racchiudeva fogli di pergamena e i più profondi pensieri di Lamya.

    "Dopo tanti anni vissuti nella vergogna potrò finalmente regolare i conti con quella donna che ingiustamente si è impossessata del mio amato, e con lei anche la sua famiglia.

    In questo viaggio solitario i miei pensieri si sono animati, hanno preso a volte il sopravvento, e per questo ho deciso di tornare a scrivere la mia storia.

    Ricordo ancora il giorno in cui Padre Bernard mi donò questo diario, disse che mi sarebbe stato indispensabile, che avrei potuto scrivervi di tutto ciò che mi spaventa e mi turba.

    Mi spiegò come, scrivendo i miei pensieri, essi sarebbero rimasti intrappolati tra le pagine di questo libro.

    Quando tutta questa storia sarà finita potrò bruciare il diario, e con quel fuoco darò vita alla mia rinascita.

    In queste notti di viaggio Bernard è irrequieto, teme per la mia vita e cerca ancora di dissuadermi dall'incontrare il re.

    Povero sciocco Bernard, ora si comporta come un codardo, ma la visione che ho avuto il giorno del nostro primo incontro narrava una storia diversa.

    Nei suoi occhi ho visto tutti quegli uomini che lui e i suoi avevano ucciso o mutilato, e poi quel bambino innocente tra le sue braccia.

    È stato semplice manipolare la sua mente, già così compromessa, e mostrargli ogni notte lo stesso sogno: un bimbo in fin di vita ferito dalla spada di uno dei suoi compagni.

    Ingenuo Bernard, per tutti questi anni, grazie al nostro incontro nel deserto, ha creduto che fossi io la risposta alle sue preghiere, e si è così a lungo impegnato da permettermi di apprendere le pratiche esoteriche riservate ai Sacerdoti dell'Ordine di Iside.

    Ha persino insistito perché Amalthea acconsentisse al farmi apprendere la lingua latina e la langue d'oil⁷, la lingua parlata dei temuti Franchi⁸.

    Senza il suo arrivo nell'oasi nessuno si sarebbe degnato di istruirmi, sono stata ignorata da Amalthea e da Abdel Fattah come un cane randagio.

    Dopo la morte di mio padre sono stata affidata alla veggente e a suo cugino, ma entrambi mi hanno sempre nutrita di avanzi e lasciata per infinite ore rinchiusa in quella gabbia dorata.

    Ero circondata dallo sfarzo e dalla bellezza dell'oasi ma mai questa ricchezza è stata condivisa con me.

    I servi di Amalthea dicevano che ero una disgrazia capitata alla veggente, dicevano che mio padre aveva predetto la mia inclinazione per le arti oscure ancor prima che nascessi, e per questo aveva deciso di marchiarmi per sempre con il nome che si riserva alle donne subdole e crudeli: Lamya.

    In Francia nessuno conoscerà il significato del mio nome e forse potrò finalmente liberarmi dallo stigma che porto".

    Nel frattempo l'imbarcazione mercantile stava raggiungendo il porto di Cherbourg e, dopo aver dispiegato le bandiere con la croce di San Giorgio, l'equipaggio iniziò a prepararsi per l'attracco.

    Sapeva che il suo piano era l'unico modo per ottenere la vita che aveva sempre sognato, e per questo era pronta a tutto.

    Tra il Ṣalāḥ adDīn Yūsuf ibn Ayyūb e il re di Francia non correva buon sangue e lei era consapevole di ciò a cui sarebbe andata incontro.

    Avrebbero potuto torturarla, impiccarla o persino ridurla in schiavitù ma questo a lei non importava.

    Aveva preparato con cura una pozione creata con gocce di veleno del temibile cobra egiziano. Una piccola boccetta il cui contenuto, se ingerito, le avrebbe tolto la vita in pochi istanti. Osservando il liquido verdognolo che luccicava sotto i raggi della luna si ricordò di quel giorno, molti anni prima.

    A soli cinque anni aveva cercato di incantare un servitore della sua famiglia, portandolo rapidamente alla pazzia. Come spesso accadeva era stata punita duramente e rinchiusa nelle dispense dismesse del palazzo.

    In quella penombra, senza cibo e senza nessuno con cui parlare, un incontro la sorprese. 

    Un grosso scorpione immobile di fronte a lei cercava un riparo per proteggersi da quella figura oscura. 

    La piccola Lamya aveva trovato un contenitore con cui aveva cercato di catturare il grosso aracnide. Il povero animale si era trovato bloccato in un angolo, con una minaccia pronta a catturarlo.

    In un gesto estremo lo scorpione si punse, mettendo fine alla sua vita e alle sofferenze che sentiva che quella bambina avrebbe potuto infliggergli. 

    Un episodio che nella mente di Lamya era ancora vivido, come se fossero trascorsi pochi giorni dall'incontro.

    Da quel giorno aveva compreso la natura effimera della vita ed era riuscita ad accettare la morte, se mai un giorno questa fosse stata necessaria per proteggersi.

    Una folata di vento freddo proveniente da nord ovest riportò la donna alla realtà.

    Ormai era quasi l'alba ed ella era pronta ad accogliere il suo destino.

    Giunti al porto di Cherbourg, come da ordine di Al-Aziz Uthman, figlio del grande Saladino, i Templari si apprestarono a scortare la giovane donna.

    La missione, che richiedeva la massima segretezza, era di grande importanza e per questo l'equipaggio era stato istruito sul da farsi.

    La nave doveva attraccare a Cherbourg al sorgere del sole e nessun marinaio poteva rivolgere parola a quella donna incredibilmente silenziosa e bella, il figlio del Saladino era stato chiaro. Se i marinai si fossero avvicinati a lei avrebbero rischiato una morte terribile.

    La giovane donna era eccitata, aveva cosparso i suoi lunghissimi capelli corvini con quell'olio profumato che fin da ragazzina aveva perfezionato. Un unguento in cui, nelle notti di luna piena, venivano infuse le spezie più potenti e afrodisiache delle sue terre.

    Anche il capitano della nave era rimasto colpito da quell'avvolgente profumo di acqua di rose, muschio e patchouli⁹, tanto da indurlo a trattenere lo sguardo troppo a lungo su quella misteriosa donna.

    Ciò che i suoi occhi videro, negli istanti in cui Lamya si apprestava a lasciare la nave, lo lasciarono impietrito.

    Una folata di vento aveva leggermente scostato il velo di Lamya, mostrando un sorriso glaciale, come l'espressione di un animale selvatico pronto ad avventarsi su una preda senza scampo.

    La donna si era rapidamente coperta ed aveva abbandonato la nave ignorando gli sguardi indiscreti a cui ormai era abituata.

    Ad attenderli c'era una scuderia di cavalli purosangue, pronti a galoppare verso la fortezza di Filippo II. 

    Come stabilito da Al-Aziz la donna venne travestita da Templare per non destare sospetti e, dopo aver indossato il lungo mantello scuro e abiti adatti alla galoppata che l'attendeva, la compagnia partì.

    Al suo arrivo, al tramontare del sole, Lamya avrebbe incontrato il grande re di Francia, temuto e rispettato in tutto il mondo.

    Per mesi, insieme ad Al-Aziz, aveva progettato un modo per sedurre il monarca e indurlo nella sua trappola.

    Non sarebbe stato semplice ma sapeva che il suo fascino era senza dubbio un'arma potentissima.

    Finalmente la donna poteva scorgere l'imponente fortezza che, per alcuni giorni, l'avrebbe ospitata.

    Sapeva che in compagnia dei Templari sarebbe stata accolta dalle guardie del re, l'intuizione di Al-Aziz si era dimostrata corretta, il suo astuto amante aveva tessuto una tela in cui lei, temibile vedova nera, si sarebbe potuta muovere con facilità.

    Alcuni mesi prima, il secondogenito del Saladino aveva inviato al sovrano francese un messaggero con una lettera scritta da Padre Bernard de Ioanville, un nobile che Filippo II coosceva personalmente e che stimava, membro influente dell’Ordine dei Cavallieri Templari.

    La missiva era accompagnata da molti doni di pace. Pietre preziose, spezie, stoffe ricamate e persino un baule di dolcissimi datteri.

    Filippo II Augusto era rimasto sconcertato da quella visita.

    Un nemico lo riempiva di pregiati doni in cambio di un favore ai suoi occhi sciocco.

    Il messaggero era stato incaricato di avvertire il Re di un pericolo imminente e di informarlo che nella lettera erano contenute le risposte.

    Nella missiva Bernard era stato vago ma abbastanza scaltro da incuriosire il re Francese.

    "Sommo Filippo Augusto, invio a Voi queste offerte di pace da parte del secondogenito del Saladino, il nobile al-Malik al-Aziz Uthman ibn Salahaddin Yusuf, per chiedervi di leggere queste mie poche parole.

    Scrivo per raccontare ciò che forse ancora non sapete.

    Nelle vostre terre alberga un detrattore della patria, un abile traditore che ha da poco fatto ritorno in Normandia dalla crociata.

    Se accetterete di ricevermi, accompagnerò da voi una persona fidata che ve ne parlerà, e vi svelerà il motivo per cui la sua presenza può essere per voi e per il vostro regno un pericolo.

    Quest'uomo sta tramando alle vostre spalle da molto tempo, e sono a conoscenza di una fitta corrispondenza tra lui e l’attuale re d'Inghilterra.

    Il principe Al-Aziz Uthman è riuscito a scoprire i suoi segreti dopo averlo imprigionato, la sua apparenza può ingannare, è un uomo affascinante con lunghi capelli biondi e occhi color ghiaccio.

    Non posso svelarvi altro perché qualcuno potrebbe intercettare questa missiva.

    Il principe Al-Aziz Uthman potrebbe rischiare la vita se qualcuno ne conoscesse il contenuto.

    Sommo Sovrano, non posso dilungarmi oltre.

    Ricordate però che il vostro regno è in grave pericolo".

    Vostro servitore leale

    Padre Bernard

    Il re, colto alla sprovvista da quella lettera così insolente e allarmante, era rimasto interdetto a rileggerla per ore.

    L'abile messaggero durante la sua permanenza alla corte francese, aveva decantato le tante doti di Al-Aziz e aveva confidato in gran segreto, ad una servetta chiacchierona, la volontà del figlio del Saladino di volersi convertire al cristianesimo, raccontando di come avesse insistito per seguire gli insegnamenti di Padre Bernard e apprendere la lingua d'oil.

    In pochi giorni la notizia arrivò in ogni cucina, salone e stanza della fortezza, raggiungendo anche le orecchie del re.

    Il messaggero era stato sapientemente istruito e casualmente, mentre intratteneva con coloriti racconti sulle donne arabe alcuni tra i consiglieri del sovrano, si era fatto sfuggire il nome di Riccardo I d’Inghilterra, per poi scusarsi e lasciare la sala rosso di vergogna.

    Il re di Francia stava già pregustando un possibile e vantaggioso accordo commerciale in quelle meravigliose terre baciate dal sole.

    Stando al contenuto della lettera, il figlio del Saladino sembrava proprio uno stolto, e se con un semplice incontro con un ambasciatore avesse potuto ottenere la sua fiducia, tanto valeva incontrarlo.

    Filippo Augusto era un uomo sicuro di sé, non temeva Riccardo I e con questo incontro sperava di poter ottenere informazioni utili su quello che per lui era, sì, il re d'Inghilterra ma anche un suddito in quanto duca di Normandia.

    E così, sopraffatto dalla curiosità e dalla sete di dominio, accettò di accogliere l'ambasciatore e i Templari che l'accompagnavano.

    La fortezza¹⁰ in cui dimorava Filippo II stava per essere ristrutturata e ampliata. Il progetto era molto ambizioso.

    Da quel momento si attendeva con fervore l’inizio dell’anno nuovo che avrebbe permesso la costruzione del nuovo castello composto da una fortezza quadrata, circondata da un fossato largo dieci metri alimentato dall'acqua della Senna.

    Le mura sul lato ovest, di guardia alla campagna, erano più spesse e senza porte se comparate alle altre mura perché dovevano difendere un'area più esposta.

    Il perimetro era rinforzato da dieci torri difensive e altre si trovavano agli angoli del castello. Nel progetto, queste torri erano costellate di balestrieri per difendere i bastioni.

    Il castello doveva contare su due entrate, con la principale verso il fronte della Senna e la secondaria, più piccola, ad est, verso la città.

    Inoltre, altre due strutture ospitavano la guarnigione e l'arsenale.

    Al momento la fortezza di Filippo II era ber difesa e sorvegliata ma il monarca francese non vedeva l’ora di avviare quel progetto l'anno successivo, al termine dell'inverno, per proteggere la capitale Parigi da future invasioni.

    In particolare, egli intendeva difendere la città dai soldati inglesi che occupavano la Normandia.

    Dopo aver dato ordine di rifocillare e far riposare il gruppo di Templari di Padre Bernard in tarda serata, nella sfarzosa quanto maestosa sala delle riunioni, il re attese l'arrivo dei Templari insieme a quattro suoi fidati consiglieri.

    Sei cavalieri¹¹ si presentarono dinnanzi al sovrano, e in quel momento Lamya, togliendosi i panni da Templare, si rivelò essere una donna araba.

    Sui volti di Filippo II e dei consiglieri si manifestò un'espressione esterrefatta che non lasciava presagire nulla di buono.

    Il re ordinò ai suoi consiglieri di chiamare immediatamente le guardie, Padre Bernard però lo pregò di ascoltare le sue parole prima di compiere una scelta irreversibile.

    Il Templare spiegò che quella donna era la più fidata serva di Al-Aziz ed era stata proprio lei a scoprire il nascondiglio di Emmanuel, il traditore, e per questo doveva essere lei a svelare l'intrigo al monarca francese.

    Svelando quel nome, Bernard si era assicurato l'attenzione di Filippo II che, dopo aver riflettuto sul da farsi, decise di acconsentire.

    Lamya, che aveva preparato per mesi il suo discorso, spiegò al re che nessun altro uomo avrebbe potuto assistere a quell'incontro.

    La sua religione le impediva di rimanere sola in una stanza con tutti quegli uomini.

    Filippo Augusto II, ammaliato da quegli occhi e desideroso di conoscere il reale motivo di quella visita, acconsentì alla richiesta della misteriosa donna araba.

    Lamya venne perquisita da due serve del re, che le trovarono indosso solamente un ciondolo dalla forma allungata e contenente un liquido verdognolo.

    Lamya, con le sue grandi doti persuasive e l'abile utilizzo della langue d'oil, la lingua parlata dai reali francesi appresa in anni di studio con Bernard, spiegò alle due donne che quello speciale unguento le permetteva di affrontare il freddo tagliente del nord.

    Lamya si sentiva forte, piena di vita, sapeva che da quel giorno tutto sarebbe cambiato per sempre.

    Maestà, le parole che sto per pronunciare si riveleranno salvifiche per voi e per il vostro popolo. Come avrete letto nella missiva che Padre Bernard ha scritto per conto del mio padrone Al-'Aziz, il cavaliere che sta per scatenare una grande ira contro di voi si chiama Emmanuel, ed è un ragazzo dall'apparenza innocente. Questo giovane uomo ha il potere di stregare e convincere il popolo ad un'insurrezione....

    Il re però non riusciva a staccare gli occhi da quello sguardo magnetico e, nonostante Lamya continuasse a parlare, era come interdetto di fronte a quei due grandi fari nell'oblio.

    Le movenze di quella donna lo avevano incantato, e uno strano profumo di spezie aveva iniziato ad impossessarsi di tutta la stanza, dei pregiati tessuti e dei suoi sensi.

    Quando il re si risvegliò era quasi l'alba, era sudato e inebriato da ciò che aveva appena sognato. Il sogno era così vivido che sembrava reale, una donna araba aveva trascorso con lui una lunga notte di piacere, la migliore di tutta la sua vita pensò tra sé e sé il sovrano.

    Solo durante il banchetto della colazione scoprì che aveva ordinato ai suoi tre migliori cavalieri¹¹ di seguire la serva araba.

    Lo stordimento di quell'incontro e il ricordo annebbiato di quel sogno erano così forti che lo costrinsero a trascorrere l'intera giornata a letto.

    Non aveva spiegato a nessuno il motivo di quella decisione, ai suoi consiglieri e ai Templari aveva solo riferito che la donna si sarebbe recata a Caën¹² per portare le condoglianze della famiglia del Saladino al duca di Normandia, Riccardo Cuor di Leone, che da poco aveva perso suo padre.

    Ricordava a stento le parole di quella serva, che aveva giurato di aver visto Emmanuel tornare in Normandia.

    Quello che fino ad allora era per lui un soldato fidato, figlio dell’amabile barone Carlo, stava tramando alle sue spalle, prima cercando di sposare una musulmana e poi stipulando un accordo con Riccardo I d’Inghilterra.

    Accordo in cui lui, il sommo re di Francia, non era stato incluso.

    Diario di Lamya. 24 settembre 1189 domenica 11 Ša‘bàn 585 o 11 Cha`bân 585¹³

    "È stato più semplice di ciò che credevo. Nonostante le previsioni drammatiche del mio amato Al-Aziz, il re si è dimostrato meno ostile.

    Anzi, come tutti gli uomini non ha saputo resistere ad un corpo femminile pronto a soddisfare la sua carnalità.

    Come mi disse un tempo Bernard, ora è giunto il tempo di colpire chi si trova sulla mia strada, e per colpire un uomo bisogna attaccare ciò che più gli sta a cuore.

    Non sarà difficile trovare il vecchio e portare a termine il mio piano.

    Ho corso un grande rischio innamorandomi del figlio del grande Sultano ma so che dopo questo viaggio tutto per me cambierà.

    Finalmente potrò essere considerata dalla famiglia del mio amato.

    Per lui ho lasciato tutto, l'oasi, le ricchezze della mia famiglia e il palazzo di Amalthea.

    Non mi pento del mio gesto.

    Quando tornerò da Al-Aziz non sarò più costretta a vendere le mie arti divinatorie a qualche ricco annoiato, sarò la fedele compagna del figlio del Saladino".

    Lamya chiuse la pagina del suo diario con un sorriso pieno di oscuro piacere...

    Capitolo secondo

    Rouen¹, Normandia, 24 settembre 1189.

    Come ogni giorno, Emmanuel si era svegliato con i primi raggi del sole. Anche se la casa del druido² Sigfrido, o Frido come il giovane normanno amava chiamarlo, era fatiscente per ospitare un cavaliere del suo rango, Emmanuel amava quel rudere in pietra e legno di castagno costruito nel mezzo del fitto bosco.

    Nonostante fosse avvezzo alle molte comodità che gli erano state riservate per gran parte della vita, si era abituato molto in fretta a quel letto di foglie e alle coperte di spessa lana del suo Maestro.

    Fin da piccolo il giovane aveva frequentato la casa del druido² nel bosco.

    Nella fortezza dei genitori di Emmanuel a Rouen, città che da sempre aveva ospitato i vari Duchi di Normandia, ad eccezione di Riccardo I d’Inghilterra che preferiva soggiornare a Caën, tutti definivano Frido come un anziano druido, folle e pericoloso.

    Nonostante ciò, Emmanuel da lui aveva appreso l'arte del misticismo e infinite tecniche per rinforzare mente, corpo e spirito.

    In quella fredda mattina del 24 settembre 1189 si era seduto davanti al caminetto per scaldarsi ed aveva gustato un infuso ancora caldo.

    Frido doveva essere uscito da poco, dedicava gran parte della mattina a raccogliere le erbe spontanee che utilizzava per le sue misture dai poteri curativi.

    Dopo aver sorseggiato il suo infuso, Emmanuel decise di riprendere a studiare.

    Trovava intriganti quelle discipline antiche e quegli insegnamenti preziosi, sapeva che il suo percorso era ancora lungo ma con l'aiuto di Frido gli studi procedevano rapidamente.

    I due si erano incontrati per la prima volta quando Emmanuel era poco più che un bambino. In una calda giornata si era smarrito nel bosco, e il destino, o forse una misteriosa e potente forza, li aveva fatti incontrare.

    Con il tempo le visite di Emmanuel in quel luogo segreto nel fitto bosco si fecero sempre più frequenti, così Frido iniziò a trasmettere al giovane il suo sapere.

    Quella mattina Emmanuel stava riponendo le rune³, dipinte e attivate da Frido su sassolini bianchi, nell’apposito sacchetto in pelle, dopo che il druido le aveva utilizzate la sera prima.

    Il rituale aveva lo scopo di ottenere un aiuto divino per predire, con il beneficio degli dei, e di Odino in persona, il volgersi degli eventi che riguardavano il giovane Emmanuel.

    Nel riporre le pietre, e con esse la "slat an draoichta⁴" nell'apposito cassetto, Emmanuel si accorse di un'urna ricoperta da un fitto strato di polvere che, a differenza degli altri contenitori, non riportava alcuna scritta.

    Incuriosito, decise di aprirla ma invece delle solite foglie essiccate vi trovò una lettera ben ripiegata. La calligrafia era molto curata, sicuramente femminile pensò il giovane.

    La pergamena ingiallita dal tempo era datata circa sessanta anni prima.

    Ad Emmanuel venne spontaneo chiedersi quanti anni potesse avere il suo Maestro⁵, dato che era sempre rimasto molto vago sulla questione.

    Le parole trascritte, scelte con cura da quella donna, avevano da subito attirato la sua attenzione. Le frasi che Emmanuel lesse in quella visione fugace nel passato del suo mentore avevano alimentato un'esagerata curiosità su chi davvero fosse Sigfrido Wolf.

    Emmanuel notò che la missiva riportava poche righe, lise dal tempo e dalle lacrime versate su di esse, forse da chi l’aveva scritta, sicuramente da chi l’aveva letta.

    "Caro Frido, ti scrivo perché non ho il coraggio di incontrarti di persona. Questa lettera giunge a te da mani fidate. Sono addolorata che il nostro amore naufraghi per via dell’ignoranza e dell’arroganza di chi, nel proprio delirio di onnipotenza, pensa di poter controllare la nostra felicità, e soprattutto la mia. Sai che mi riferisco a mio padre, e sai che, essendo uno dei nobili più in vista del regno, non vuole di certo perdere il suo onore lasciando che sua figlia possa sposarsi con un druido, uno stregone. E cosa succederebbe se poi scoprisse che da quest’uomo aspetta una figlia. In cuor mio sento che è una bambina, ecco perché devo lasciarti in questo modo brutale, ne va della mia stessa vita, della tua e del prezioso dono che porto in grembo. 

    Sai bene quanto quell’uomo, che non riesco nemmeno a chiamare padre, può diventare violento, ed è per questo che ti scrivo e ti imploro:

    Se mi ami davvero, Sigfrido Wolf, dimenticami!

    Sono consapevole di ciò che ti sto chiedendo, di quanto possano essere dolorose queste parole, e di quanto tu possa ricevere questa mia richiesta con inaudita violenza, ma ciò che sto per chiederti può essere ancora più devastante e affliggere la tua grande anima già ferita. Ti imploro di dimenticarti di tua figlia Esmeralda⁶.

    Sai, è così che la chiamerò, in onore di tua madre e dell’amore che ho provato per te, un amore impossibile e incosciente tra due giovani, separati da ceto e cultura ma vicini nel cuore.

    Non parlare a nessuno del nostro dono, ti supplico. Se mi ami davvero taci su questo nostro segreto, come farò io, e ti scongiuro di non avvicinarti mai a tua figlia o alla sua famiglia.

    Promettimelo con il giuramento più sacro che conosci, non ci tradire. Tua per sempre, amato Frido, Silvie⁷."

    Dopo aver letto quelle parole Emmanuel trasalì. Ora tutto nella sua mente appariva chiaro.

    Sconvolto dalla lettera dovette sedersi per riprendersi da quell'inaspettata verità.

    Luna, la lupa che parecchi anni addietro aveva deciso di farsi addomesticare da Frido, accortasi dello stato emotivo del giovane Emmanuel, si avvicinò a lui appoggiando il muso nel grembo del suo caro amico.

    Ci volle qualche istante prima che Emmanuel si rendesse davvero conto che quel druido, con cui aveva condiviso gioie e dolori, era in realtà il nonno di sua madre.

    Ci volle ancora più tempo per accettare che quell'uomo che conosceva da anni non gli aveva mai parlato del legame che li univa da sempre.

    Dopo aver riacquisito il senno, Emmanuel iniziò a camminare vorticosamente per la stanza, sforzandosi di ricordare il suo passato.

    Iniziò a ricordare di quel giorno in cui suo padre, il nobile Carlo, gli aveva raccontato di Silvie. Una donna che, come la madre di Emmanuel, aveva perso la vita durante il parto. Pur non avendo mai conosciuto la nonna di sua moglie, spesso Carlo si era ritrovato a meditare sulla stranezza del nome che aveva scelto per sua figlia, Esmeralda, un nome così inconsueto rispetto a quelli nobiliari diffusi in tutte le famiglie.

    Di rado condivideva queste riflessioni con suo figlio Emmanuel, che invece avrebbe voluto conoscere ogni dettaglio della madre e della bisnonna, scomparse così prematuramente.

    Emmanuel ora comprendeva che in quella famiglia le donne erano avvolte da una maledizione, era come se per ogni nuovo nascituro della dinastia, esse dovessero dare in cambio la propria vita.

    È vero, Esmeralda era stata privata dell'amore della madre ma non di quello di una figlia. Eppure anche lei aveva vissuto con la consapevolezza che l'uomo con cui condivideva le giornate non fosse il

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