Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tantalia
Tantalia
Tantalia
E-book324 pagine4 ore

Tantalia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L’omicidio di un uomo di colore durante un comizio separatista scatena una serie di meccanismi a catena che porteranno alla secessione. L’Italia viene divisa in Eleuteria, Stato Pontificio e Panthalassa. I nuovi Stati cooperano tra loro, in particolar modo nella condivisione di affari sporchi, soprattutto narcotraffico, tratta umana a scopo di sfruttamento schiavile e sessuale o mercato di organi. Il protagonista, Epanastatis, è entrato a far parte delle forze di polizia di Eleuteria dopo aver consegnato alla giustizia, mediante delazione, i suoi genitori, rei di violenze domestiche reiterate, abusi di derivazione psicotica e abiezioni varie. Mentre durante il servizio esegue una perlustrazione, Epanastatis viene catturato dagli irregolari, extracomunitari che pensano di servirsi di lui come ostaggio e di sfuggire in tal modo alla cattura ed alla deportazione a fini di tratta. Il loro scopo è fuggire a Tantalia, isola del Mediterraneo ove vige libertà assoluta, al di fuori delle rotte normalmente conosciute. Durante i giorni del sequestro tra Miranda, figlia di Prospero, capo degli irregolari, ed il prigioniero, si stabilisce un contatto telepatico. Epanastatis prende progressivamente coscienza di una realtà che ignorava, e comincia a maturare seri dubbi di coscienza. Un'Italia dopo dell'Italia. Un futuro vicino, immediato, quasi presente, rimanda ad un passato ormai remoto, quello preunitario di un'Italia prima dell'Italia. Ma ancora più forte è il richiamo ad un altro passato, uno più recente anche se già storico, il Ventennio fascista. In una realtà completamente distopica dominata da un radicale sovvertimento delle regole del vivere civile nonché dei principi di umanità, il fascismo diventa un faro per i potenti, il modello cui conformarsi per assicurare stabilità al potere, un periodo dai cui archivi si può attingere per recuperare discorsi e comizi davanti a un popolo che non può accorgersi di questo “reclico” perchè nessuno ricorda più la storia, nessuno più la studia.Un futuro in cui sono tutti “malati di presente” insomma, non solo perchè dimentichi, anzi, ignoranti del passato, ma soprattutto perchè completamente privi di senso di responsabilità verso i posteri cui consegneranno un mondo in totale disfacimento etico e morale.Come per ogni realtà distopica l'atmosfera è totalmente surreale e a tratti diventa onirica e grottesca. Eppure i legami con la realtà italiana attuale sono drammaticamente manifesti. La secessione attuata con la formazione di tre nuovi Stati non è altro che una presa di coscienza e un'accettazione delle effettive spartizioni di ambiti, territoriali e non solo, da parte degli oscuri poteri che spadroneggiano nella Penisola. L'istituzionalizzazione del razzismo “di Stato”, o la legalizzazione della mafia, più che un ribaltamento di valori è solo la fine del buonismo e dell'ipocrisia di facciata dei politici e dell'opinione pubblica.Il protagonista del romanzo è totalmente immerso in questo sistema, anzi, né è egli stesso parte integrante seppur in maniera totalmente disincantata. E' proprio questa sua partecipazione diretta al nuovo ordine delle cose che lo renderà gradualmente consapevole della sua potenziale forza di ribellione: egli è solo un piccolo e anonimo pezzo strumentale dell'inesorabile macchina che ha instaurato e perpetua il nuovo assetto, ma a volte il saltare di una semplice rotella può far inceppare l'intero ingranaggio. 
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2016
ISBN9788869821769
Tantalia

Correlato a Tantalia

Ebook correlati

Relazioni per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Tantalia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tantalia - Natale Fabiano

    Natale Fabiano

    Tantalia

    Cavinato Editore International

    © Copyright 2016 Cavinato Editore International

    ISBN: 978-88-6982-176-9

    I edizione 2016

    Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi

    © Cavinato Editore International

    Vicolo dell’Inganno, 8 - 25122 Brescia - Italy

    Q +39 030 2053593

    Fax +39 030 2053493

    cavinatoeditore@hotmail.com

    info@cavinatoeditore.com

    www.cavinatoeditore.com

    Realizzazione ebook a cura di Simone Pifferi

    DEDICATO

    A chi soffre

    A chi ha sofferto

    A chi si è liberato

    A chi non sa ancora come si fa.

    Dal manoscritto di Epanastatis

    ANNO VENTESIMO DALLA SECESSIONE

    ANNO TRENTESIMO DALLA FONDAZIONE

    Èassai probabile che non mi abituerò mai al nuovo sistema di datazione. Che poi del tutto nuovo non è. Nuovo, in rapporto al breve tempo, breve, rispetto all’eternità, che è mediamente concesso ad ogni essere umano.

    In segreto, nonostante non ci sia bisogno di circospezione, qui a Tantalia si può fare sostanzialmente ciò che più si vuole, continuo a basarmi sui Mondiali di calcio, che si svolgono ancora ogni quattro anni. Da seguire in veste di disinteressato critico o spettatore amante del bel gioco. La mia nazionale non esiste più.

    Certo, è piuttosto fastidioso, alle volte, sentirsi da soli a praticare la nostalgia. Come se tutti, dall’alba dei tempi, avessimo sempre numerato il tempo che passa seguendo questo genere di cervellotica sequenza. D’altronde, è scritto nella storia, e farsene una ragione è l’unica strada possibile. Tutte le volte che un evento epocale ha avuto la presunzione, profonda, di aver modificato il corso dell’umano divenire, il mutamento doveva, per necessità, intervenire in svariati ambiti. La rivoluzione francese ha nominato i mesi in maniera illuministicamente nuova e ricoperta di intrinseci significati.

    E, prima ancora, secondo i Romani, grandi guerrieri, conquistatori senza scrupoli; si gloriavano di appartenere al mondo prima degli altri, sia pure nel pensiero e nel futuro desiderio. Al punto da pagare moneta sonante, sesterzi d’oro lucente, a chi ne magnificasse storia, gloria, dinastia e genealogia. E, pertanto, gli anni dovevano partire ab urbe condita, ovvero dalla fondazione della città.

    Io, antimperialista, anticapitalista, anarchico, comunista latente e poi anacronisticamente consapevole e dichiarato, rido sotto i baffi che non ho, al solo pensiero di essermi sentito a casa, per la primissima volta, in un luogo che, in tale autarchica disposizione, scimmiotta i figlioli della lupa, nobile cagna nota per aver allattato quei due gloriosi fratricidi, Romolo e Remo.

    Eppure, Tantalia è Tantalia; mi mancherà, profondamente. Come ha guidato la mente ed il pensiero di chi qui ci ha condotto, proseguirà nel rimpiazzare il vuoto della sua assenza reiterando il martellante richiamo. Lontano dagli occhi, non certo dal cuore; sapendo che rincontrarsi non sarà un luogo della mente.

    Lascio questo manoscritto. Il desiderio che mi strugge da una vita intera, che si possa leggere ciò che trasferisco, nero su bianco, sulla superficie di un foglio, potrà avverarsi quando non mi servirà più. Ma forse tutto ciò avrà facoltà di giovare a qualcun altro. Anzi, di certo accadrà.

    Raramente ho percepito dentro di me tanta sicurezza come adesso, che sto abbandonando recenti eppure eterni affetti, materiali e spirituali.

    No, non mi prenderanno. Anche di questo, sono del tutto certo.

    Per quanto i miei nemici siano riusciti a trovarmi, per quanto, nella loro potenza, numerica e personale, mi siano superiori, non è arrivato ancora il momento di separarsi da questa vita, oltre che dalla nuova casa. Nuova. Quantunque abbia deciso di diventare mia da sempre.

    È impensabile poter trascorrere tutta l’esistenza a scappare, pur tuttavia. Prima o poi dovrò, di necessità, affrontare la resa dei conti. Proprio quella che stiamo programmando, con la nostra fuga. Chi era piccolo è cresciuto. Da virgulto imberbe, si è ricoperto di corteccia. Ha voluto dissotterrare quelle radici donate da noi, che non le possedevamo. E adesso ci attende, lontano, per ricongiungersi alla pianta.

    Affinchè ciò per cui il mondo ci volle sulla sua superficie prosegua fino a quando è obbligo morale. Combattere.

    Io sono Epanastatis.

    È così che mi conoscono, qui.

    Ne ho fatto un nome in codice, dapprima. Mi si è appiccicato addosso. È la mia essenza. Fa parte di me, come se con me fosse nato, mi fosse stato riservato direttamente dal destino.

    Che poi, credetemi, il destino non esiste. La solita solfa per cui siamo noi, e noi soltanto, a determinare il nostro presente, il nostro futuro, è ASSOLUTAMENTE e CATEGORICAMENTE vera.

    Ho goduto del raro privilegio di quelle giuste amicizie, che hanno arricchito in tale maniera le mie conoscenze. Ne sono stato onorato e formato, prima che fosse troppo tardi, che le mie emozioni cristallizzassero la voglia, la capacità, l’anelito di capire e superare i limiti. E, con loro, me stesso. Prospero, Yanez, Ictino.

    Mnemosyne, ovunque lo spirito grande tuo dispieghi le ali, ti renda docente per altra gente desiderosa di volare, perché rimanere ancorati al suolo ti priverebbe dell’essenza più alta, lo slancio per l’infinito.

    Quando leggerete una missiva che nasce dagli anni, dalla condivisa speranza, quando scruterete l’animo di chi ha imparato Amore, sappiate che è tutto per voi. Quello che scrivo, quello che colpisce gli occhi vostri, il mio grazie.

    Ad ogni modo, adesso, proprio adesso, è il momento di andare.

    PARTE PRIMA

    dal manoscritto di Epanastatis, diario dei fatti che sconvolsero la vita di una famiglia apparentemente perfetta. Agli occhi di quella vita che non vive, di chi è cieco pur vedendo.

    UNO

    Tutte le volte che si scava all’interno del proprio essere, arriva il momento di fermarsi, il punto oltre il quale non si può consapevolmente andare, a meno che non si decida di vincere le proprie paure. Che sia l’orlo di un precipizio o un’insana paura di dormire senza lenzuola, ancorchè ad agosto, privati dell’aria condizionata.

    L’uomo nero mi rapirà e mi porterà via.

    Sul materasso rivestito da lenzuola in flanella, fradice per maleodorante contaminazione, di sudore, ma anche di altri paurosi o puberali umori, non giaccio voltando le spalle alla porta; qualcosa deve coprirmi, e i piedi non stanno fuori.

    L’uomo nero mi rapirà e mi porterà via.

    Mi sono sempre chiesto quale potesse essere il mio punto. La mia dead line, il limite di non ritorno che mi permettesse di superare le inibizioni.

    Ricevevo un enorme sostegno dai sogni. Mi aiutavano, sì. A desiderare, forse, ma più spesso, a capire. Nitidamente. Le notti trascorse a dormire senza crociere oniriche mi tornavano inutili, come una battuta di pesca al ritorno dalla quale bisogna accontentarsi di aver respirato corroborante e salubre brezza di mare. Magra giustificazione per una cesta vuota.

    Quel sogno.

    La piccola stanza, giocattoli smozzicati e parzialmente integri. Qualche poster. Tanti libri. Per lo più di seconda mano, o rilevati da biblioteche e mai restituiti. Solitamente, almeno così mi ricordo di aver letto, da qualche parte, anni fa, la scenografia di quanto si costituisce durante il sonno è immutata rispetto alla realtà.

    Suppongo sia più semplice accettare situazioni grottesche e fatti o azioni nocive, complesse, inattese o terribili confortati da un giaciglio, da pareti, da mobili familiari e da un contesto perfettamente noto, in cui sentirsi a proprio agio.

    Ecco; se mai, chiedetevi quanto serenamente si possa tollerare che il proprio libro preferito tiri fuori le gambe, si sollevi e si stiracchi per sgranchirsi. Diamo per buona la vostra sincerità, qualora mi rispondeste che no, non è affatto un problema; diamola per buona, anche perché ho sempre pensato che i libri possiedano effettivamente una propria autonomia, una vera e propria linfa vitale pronta a scaturire quando meno te lo aspetti. Però, voglio dire, sfido chiunque a non scappare a gambe levate quando una sdrucita e sgualcita copia di Ventimila leghe sotto i mari, con voce profonda e cavernosa, declama strane parole. Non so voi. Io sarei anche fuggito, ma mi trovavo all’interno di quello che non fatico a catalogare come incubo, caratterizzato dalla sensazione di non potermi muovere, se non accennando passi minimi a fronte di eccessivi, quasi sovrumani, sforzi e tensioni muscolari per sollevare ed abbassare le gambe.

    Ascoltai, dunque. Talmente bene da ricordare, parola per parola, tutto quello che venne detto dallo strano testo parlante.

    "Un uomo sentiva le voci.

    Di dentro, le voci.

    Di fuori.

    Riecheggiavano.

    Da fuori a dentro, da dentro a fuori.

    Una donna non sentiva le voci.

    Non sentiva le voci di dentro, e neppure quelle di fuori.

    Non sentiva la loro eco, ma sentiva il rimbombo di un’altra.

    Un’altra voce la educava all’obbedienza, a sentire il comando, alla passiva rassegnazione.

    Una voce di fuori. Potente. Cattiva.

    Un’altra voce le parlava. Dentro.

    La donna la sentiva, stavolta.

    Mutando sé stessa, decise di salvarsi.

    Mutando sé stessa, decise di salvare.

    Mutando sé stessa, decise di condannare.

    Un bambino, un ragazzo, un uomo, non aveva il tempo e la forza di sentire quelle voci che non c’erano.

    Quelle di fuori.

    E di dentro.

    Dentro la testa di chi le sentiva.

    E di chi non le sentiva.

    C’era una voce vera, quella occupava il suo tempo.

    Lo devastava nello spirito, ne distruggeva il corpo.

    Da bambino, da ragazzo, da uomo.

    Una voce di fuori che, con la prepotenza dei demoni, dentro voleva entrare.

    Dentro, non la fece entrare.

    Dentro era occupato.

    Sentiva la voce, dentro, quella che gli parlava.

    E gli diceva che, mutando, la donna aveva sbagliato scelta su chi doveva salvare, aveva sbagliato scelta su chi doveva condannare.

    Uomini e donne, tutti, sentono le voci.

    Le voci di fuori, che fanno tremare vetri e mura.

    Che rimbombano e raccontano.

    Non potrebbe essere altrimenti.

    Sarebbe impossibile non sentirle.

    Non sentono la voce di dentro.

    Quella della coscienza.

    Quella che parla al cuore e lo esorta a cambiare ciò che non va.

    In sè stessi e poi negli altri.

    Non c’è niente che non va.

    Porte, cuori, orecchie, bocca, occhi. Tutto è chiuso; la voce del silenzio.

    Uomini e donne, tutti, adesso non sentono più alcuna voce.

    Sono finite quelle di fuori, non contano più quelle di dentro.

    La terra, nuda, nera, ha insonorizzato tutto.

    L’uomo non sente più voci; non dentro, non fuori.

    Non sente più.

    L’uomo non ha più voce.

    Non urla più.

    La voce non rimbomba.

    Nessuno la sente, non più.

    Nessuna voce per nessuna persona, per uomini e donne, per un bambino, divenuto ragazzo, reso uomo, infine libero.

    Oracolo del Capitano Nemo!"

    Il mio libro non narrava la solita storia, la sua storia. Raccontava la mia e, con la mia, stabiliva l’avvento dell’attimo perfetto, da non far diventare fuggente. Il giorno ed il momento delle grandi decisioni.

    Madido di sudore, aprii gli occhi, prendendo coscienza di un’ombra oscura e perfino gigantesca, prepotentemente assisa con le gambe sul mio torace; appoggiava la mano destra sul mento e sulla mia bocca.

    Ne distinguevo i contorni, seppure a fatica, dato che questi si confondevano con il buio. Non riuscendomi ancora di sollecitare le mie membra, di ordinare loro i movimenti più normali, credetti che un energumeno a premermi addosso fosse ragione plausibile e sufficiente. Queste strane paralisi indotte dal sonno durano, talvolta, anche svariati minuti: dunque potei dirmi fortunato, poiché la sensazione scomparve rapidamente. La camera di Trelos Sclerè, il Pazzo Crudele, che confinava lateralmente, a destra, con la mia, tremava come se dovesse crollare da un momento all’altro. Stava dormendo, e l’inequivocabile suono, accompagnato a quelle sinistre vibrazioni, confermava: come sempre, russava sontuosamente. Deilia, l’Ignava, giaceva accanto a lui, respirando appena, flebile sussurro. Neppure negli atti fisiologici e incontrollabili, a prima vista, abusava del privilegio inconscio di turbare il consorte, il suo stato di calma apparente.

    Ragionai di prendere, finalmente, il coraggio a due mani.

    Non so per quale strana motivazione, in quell’aurora anonima, con poca luce, priva di rugiada mattutina, mi sentii improvvisamente coraggioso, voglioso di darci un taglio. Scrollai e scostai da un cassetto della cucina mestoli e cucchiai di legno fino a trovare il coltellaccio adoperato per affettare i più duri e grossi pezzi di carne e formaggio. Risoluto, lo soppesai spostandolo da una mano all’altra. Afferrandolo con la destra, mi diressi laddove si trovava il talamo coniugale di quei due pazzi furiosi, capaci di distruggere ciò che entrava in contatto con loro, di sporcare il pulito e contaminare il puro. Con la loro semplice presenza. La lama già iniziava ad affondare tra mento e collo, segnando la pelle che di lì a poco avrebbe attraversato. Avrei potuto spingerla a fondo, più a fondo, ancora di più. Mi frenai. E decisi di percorrere una strada differente. Senza la quale non starei dove sono adesso. Stabilii di non vanificare sconsideratamente quanto costruito a prezzo di spersonalizzante fatica fino ad allora. Di opporre resistenza alle lusinghe di un sogno non del tutto svanito.

    È stato destino? No, continuo a non crederci.

    Non prestate fede a tante fandonie. La colpa non va imputata al Fato. Quello non esiste più. Ho scelto io, da solo.

    DUE

    Era trascorso un po’ di tempo dalla notte miliare, dal sogno, testata d’angolo, dai mutamenti frutto di reazioni a catena. Il libro di Jules Verne sdraiava sul fondo di uno scatolone, che poi non saprei neppure dire se esista ancora, avendolo dimenticato in soffitta allorché la casa è stata abbandonata dai suoi occupanti. Ogni tanto, nell’onirica illusione, quelle pagine si aprivano, parlavano, gracchiavano e sparlavano. Ma non si cimentavano più in discorsi suasori; non veicolavano decisionismi definitivi.

    L’arcigno cipiglio del tizio sovrappeso al metal detector cedette il passo ad uno sguardo più rassicurato non appena si accorse, leggendo nel cartoncino identificativo, che appartenevo alla sua stessa risma. Proprio così. Solidarietà tra colleghi, tanto più che il commilitone, esaminando il cognome, si rese conto dell’ingrato compito che avrei dovuto assolvere nel suo campo.

    Trasferire nel Dimenticatoio i miei vecchi non aveva rappresentato la più comoda delle imprese, in special modo quando la pesantezza dei ricordi più turpi regalava spallate e trabocchetti al buonumore di facciata che mi contraddistingueva. Eppure, tutta la serie interminabile di cospicui benefici che la delazione mi aveva procurato e gli impegni molteplici che ne erano derivati avevano assorbito ogni stilla del mio tempo, diventato in breve estremamente prezioso e produttivo.

    Con la certezza di non mentire, posso affermare che il loro attestato di morte inviato sulla mia casella di posta elettronica certificata, che mi spinse ad avere presente, gioco forza, fatti e persone altrimenti avvolte nell’oblio, fu l’unica nuova che ebbi a sapere su chi mi aveva partorito, sul seme casuale che vi aveva partecipato attivamente.

    Ricevevo l’email all’indirizzo noto del database. Dopo la secessione, i supremi organi istituzionali individuarono, tra le disposizioni di legge più immediate, la dotazione di un domicilio elettronico che fosse conosciuto dal potere centrale, ove tutta la corrispondenza che il medesimo inoltrava acquisiva valenza di documento ufficiale e vincolante.

    Per chi fosse stato baciato in fronte dalla fortuna e, quale diretta conseguenza, posto agli ordini di quelle funzioni ministeriali investite con la facoltà di difendere, offendere, attaccare o arrestare, più comodamente Forze dell’Ordine ed Esercito, imperativo supplementare era astenersi categoricamente dal modificare la password che il server centrale inviava tanto al dipendente quanto alla struttura da cui dipendeva.

    Ad uso e consumo di chiunque desideri asserire che si tratta di violazioni a carico dei più elementari diritti di privacy ed autodeterminazione, sarà bene confutare loro mediante una precisazione: esse diventano quasi d’obbligo; i nemici dello Stato possono annidarsi ovunque, sotto le spoglie di qualsiasi individuo, come poi avemmo a vedere ben presto.

    Tali forme di precauzione, pertanto, non si possono stigmatizzare, tanto più che evitare di cimentarsi in attività sovversive o sobillatrici poteva serenamente permettere di dormire tra due guanciali. Male non fare, paura non avere. Saggezza popolare, amici: non passa mai di moda.

    Tra le innovazioni apportate dal nuovo governo, in realtà, quelle all’ordinamento giudiziario passarono in secondo piano. Era verosimile mantenere in proprio quegli assetti di procedura penale e civile in vigore al tempo della vecchia madrepatria che da subito nessuno chiamava nostalgicamente Italia.

    Le leggi, in effetti, erano sempre esistite; garantiste al punto giusto, punitive egualmente, e la categorizzazione dei reati nonché del loro corrispettivo contrappasso sanzionatorio addirittura da manuale, modello che era auspicabile tenere in considerazione nella maggior parte delle democrazie per l'appunto così definite.

    Ciò che, rapidamente, contrassegnò la nuova nazione fu, se mai, un inasprimento di quelle misure che problematiche irrisorie agli occhi dei più, quali il sovraffollamento delle carceri e la difficoltà conseguente a mantenere i detenuti in condizioni che non travalicassero l’umana dignità, avevano reso morbide se non, addirittura, inattuabili.

    La demagogica certezza della pena rappresentò istantaneamente il fiore all’occhiello di Orso Diodicibus, il capo del movimento secessionista, e del suo paritario collaboratore, Augusto De Cesaris, divenuti vertice apicale di una repubblica bipresidenziale in cui l’inusitato accentramento di potere nelle mani di due individui avvicinava il paese ad una dittatura, pericolosamente ed inesorabilmente.

    Quanto affermato finora, mi portò ad un’iniziale delusione.

    Lungi dal voler inscenare un processo farsa, come la polizia stessa mi aveva prospettato per invogliarmi a rincarare la dose delle accuse, già di per sé gravi, che muovevo avverso i miei genitori, giudice e corte smontarono e vivisezionarono minuziosamente e non senza qualche esasperante slancio cavillistico tutte le vicende che avevo riportato ed espresso, nonché i riscontri che avevo procurato allorchè decisi di consegnare su un piatto d’argento due individui violenti, disonesti e pericolosi.

    L’onere della prova rimaneva, come tutt’ora rimane, a carico dell’accusa; l’imputato, si capisce, indugia nell’innocenza fino a contraria dimostrazione, ovvero fino a che venga riconosciuto colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio.

    Non conservai tanto a lungo la preoccupazione. Dove non potè la certezza del castello circostanziale da me raccolto, assolutamente reale e in grado di resistere alla verifica completa di qualunque scettico, arrivò al bersaglio una bevuta di birra con gli amici, sorseggiata svogliatamente fino a che la sentenza non era stata prodotta, dopo tre ore e mezza circa di camera di consiglio.

    La più terribile delle condanne stava ottenendo dei risultati addirittura esemplari nel permettere lo svuotamento delle celle sovraffollate, senza per questo ridurre esponenzialmente le percentuali di rei riconosciuti.

    In uno stato moderno, rispettoso di leggi e regolamenti internazionali, migliaia di colpevoli, ritenuti tali a seguito di regolare processo, per colpe medio gravi, venivano ammanettati, per come stabilito dalla sentenza, che diveniva esecutiva in un fiat, e trascinati presso campi di lavoro dove, spogliati di diritti, documenti, identità, avrebbero trascorso un periodo di occupazione obbligata: questa li avrebbe condotti al fine pena.

    Quale che fosse la disposizione dell’organismo giudicante, la detenzione non sarebbe coincisa con arresti domiciliari, pasti e coperte ripercossi sulle tasche dei cittadini onesti e penitenziari fatiscenti a continuo rischio rivolta, gestiti e protetti da personale poco qualificato e sempre meno appagato. Pale e picconi e via; andiam, andiam, andiamo a lavorar; come i sette nani, olio di gomito, muscoli e fatica.

    Signori miei, l’uomo ha inventato i lavori forzati e l’uomo stesso ha pensato di abolirli. La buona vecchia manfrina dei corsi e ricorsi storici può sempre essere riesumata. Fino a che limite lecito non è del tutto dato saperlo. E, comunque, a me non importava affatto.

    Si comunica l’avvenuto decesso dei detenuti 143789 m e 34867 f presso il campo di lavoro ubicato in posizione nota. Per il disbrigo delle formalità inerenti ai cadaveri, e prima che le salme possano essere tumulate all’interno della Soluzione Comune, occorre la Sua presenza nella giornata di domani, alle ore 11.30.

    In allegato i certificati di morte, la documentazione da produrre per ottenere i titoli di viaggio, l’esonero dal lavoro per i tre giorni successivi, ed il rimborso del vitto eventualmente acquistato.

    Il tono della missiva, pur se il contenuto era asettico, asciutto ed essenziale, tendeva a lasciar presagire una partecipazione emotiva allo strazio dell’incarico da adempiere, come se riconoscere i cadaveri dei genitori fosse una circostanza strappalacrime, difficilissima da affrontare e superare.

    La necessità di un riconoscimento dei corpi dipendeva dal dispositivo stesso della sentenza e della punizione. Spaccare pietre e sassi, spalare terra e letame da vendere alle aziende agricole o ai supermercati era ben gravosa imposizione. I forzati, tuttavia, l’avrebbero accettata, non dico di buon grado, questo no, ma se ne sarebbero anche fatta una ragione, tanto più in previsione di un termine. Purtroppo, il procedimento della cancellazione graduale, tendente all’autoeliminazione inconsapevole dei rei, partiva dall’assegnazione di un numero progressivo con il quale venire identificati, e sfociava nell’alienazione da qualsiasi pensiero connesso alla realtà.

    Niente documenti, niente nomi, niente di niente. La durata della reclusione non rivestiva importanza alcuna, poiché non esisteva individuo, fosse stato il più forte, resistente o asceta, che avesse mai superato intatto i due anni di segregazione.

    Allo scadere del terzo anno, per lo più, tutti avevano salutato questo mondo, destinati a passare lo Stige degli antichi, tra le anime in attesa di un giudizio un po’ più duraturo. Semplicemente, occorreva la certezza, dopo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1