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MayBelle: Dietro l'ombra eterna, niente
MayBelle: Dietro l'ombra eterna, niente
MayBelle: Dietro l'ombra eterna, niente
E-book198 pagine3 ore

MayBelle: Dietro l'ombra eterna, niente

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Info su questo ebook

Nel libro MayBelle parla dei suoi rapporti con i genitori e con i nonni.
Persone in carne ed ossa che trasmettono valori autentici ma anche figure archetipiche che incarnano gli stereotipi e i pregiudizi che si tramandano inalterati da generazioni e limitano il pieno esprimersi dell'individualità personale.
Dunque, un viaggio nel mondo interiore di un'adolescente e un viaggio nella memoria di un popolo che si specchia nelle proprie tradizioni.
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2022
ISBN9791222029320
MayBelle: Dietro l'ombra eterna, niente

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    Anteprima del libro

    MayBelle - Luigi De Simone

    Prefazione

    di Danila Lunardini

    Ogni libro possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e pensato, di coloro che l’hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Questo sarà il libro diverso nella vostra libreria… quello che spezza la monotonia di dimensioni e dorsi tutti uguali sullo scaffale.

    Anno 2021. Le strade di due ragazzi si incrociano, in tempi di regime, con intenti solidali, non afferenti alla scrittura. Dopo poco, per caso, nasce la collaborazione a quattro mani, sempre più creativa e folgorante, sul testo scritto e ideato da Luigi.

    Ho letto la bozza di questo libro, capitolo dopo capitolo, con attese dilatate, perché l’autore me le inviava a singhiozzo quando riteneva fossero sufficientemente presentabili. Poi di nuovo, estenuanti giornate di attesa del feedback dell’autore, e il cellulare inondato da notifiche. Ad ogni rilettura divorante, giungevano collegamenti e dettagli nuovi, ancora oggi sono convinta di non aver colto proprio tutto.

    Abbiamo cercato di presentarlo nella veste migliore, nato nella mente di un architetto al suo primo anno di insegnamento di tecnologia, arte e poi sostegno nelle scuole medie in provincia di Ravenna. Cresciuto fra pensieri appuntati in scontrini, foglietti, quaderni… illuminazioni improvvise durante la vita reale, forse pensieri latenti da sempre, germogliati grazie alla nuova e desiderata esperienza di docenza, poi raccolti e plasmati nella veste di un libro. All’esperienza di docenza si è aggiunta l’esperienza pseudo-pandemica del periodo 2020-2022… di difficile metabolizzazione non solo nel personale come tutti noi, ma anche vivendo temporaneamente in prima persona l’inevitabile caos del mondo scolastico (dad, mascherine, distanza interpersonale, riduzione degli standard qualitativi).

    Quanto di questo libro è frutto di una mente adulta? Quanto è frutto delle testimonianze dirette dei ragazzi, raccolte da un fantasioso docente? Quanto è frutto di un adulto fuori, con un frizzante bambino interiore da palcoscenico?

    L’intenzione del libro è avvicinare il mondo adulto con il mondo adolescenziale, il mondo esteriore con quello interiore, il tutto con il niente, l‘ombra con la luce… in un abbraccio circolare perpetuo fra il prima e il dopo. Quanti di noi adulti si sono dimenticati di quando sognavamo ad occhi aperti il futuro o il passato? Quanti ragazzi guardano gli adulti e non vedono l’ora di diventarlo, non sapendo cosa riserverà loro il futuro e cosa potranno perdere varcando quella soglia? Quanti adulti sono consapevoli di avere dentro di sé, da qualche parte, ancora quell’ ingenuo e sognante ragazzo dalle infinite possibilità?

    Il fil rouge di questo viaggio diventa una ragazzina, MayBelle, la leggenda di una bambola misteriosa nel primo capitolo, i racconti di professori illuminati, un ingombrante passato e il fiume in piena di parole e viaggi mentali che solo un’adolescente può fare. In questo libro si respira un’aria magica, a tratti lenta come un dondolio di un’amaca sotto al sole cocente, a tratti vorticosa come una cascata gelata di montagna. Chiari i riferimenti alle origini dell’autore, con racconti locali, antichi, a tratti esoterici, finemente dark.

    Introduzione

    di Ivan Miani

    Nellʼappassionato viaggio che Luigi De Simone ha intrapreso, e ci ha fatto intraprendere, attraverso le pagine di questo libro, è possibile scorgere diverse soluzioni linguistiche originali. Una, in particolare, si ripete lungo tutto il libro: si tratta del piacere dellʼAutore di descrivere una situazione fortemente emotiva facendo leva sul senso dellʼodorato piuttosto che su quello della vista. L’esempio più appropriato è la scena dell’incontro tra Arturo e la figlia piccola, nata dopo la sua partenza per la Russia e che ora vede per la prima volta. La descrizione di ciò che essi vedono è sostituita dallʼaccostamento ai due personaggi dei rispettivi odori. Da una parte lʼ«odore pungente di fame, di sete, di stanchezza» di Arturo, dallʼaltra il «profumo dell’innocenza» della bambina. È da notare che il sintagma odore pungente ricorre due volte in tutto il libro. La prima è nell’esempio descritto, la seconda è quando MayBelle entra nella casa magica e misteriosa della nonna.

    Per spiegare cosa sente la protagonista quando vede il tramonto, basta enunciare che ha il «profumo d’agrume». In questo modo non è necessario fornire una descrizione fisica di quello che appare davanti agli occhi di MayBelle. Può essere qualsiasi tramonto. Ma il lettore può vedere il «suo» tramonto. Prendiamo ora in considerazione questa descrizione: «il cielo stanotte non è nero: è blu, un blu scuro, forte e lucente». Questo tipo di descrizione la chiamerei seriale. Si può notare infatti che l’elemento successivo aggiunge qualcosa al precedente. Nel libro non mancano descrizioni seriali come questa.

    MayBelle, la protagonista del romanzo, è una ragazzina delle scuole medie. La sua capacità di immaginazione è espressa con contorni vividi. Quando va a trovare i suoi parenti esclama: «ed eccola lì la casetta dei nonni, un nido in mezzo al mare». Lʼimmagine può essere vista sia come lʼespressione di un animo ingenuo, sia come una costruzione letteraria. Lo stesso vale per il soprannome del suo treno preferito, isola deserta, che è sia un’immagine letteraria sia un termine che qualunque adolescente può fare proprio.

    La parola isola ricorre nel testo anche con altri significati.

    «Non avere amici è come essere abbandonati in un’isola lontana e sperduta». Ed anche: «Le persone a volte si sentono isolate, perse e tristi, l’ho visto con i miei occhi». Ma possono essere isolate anche le abitazioni, come è ben descritto qui: «Solo nelle abitazioni più isolate, [...], questa creatura [la civetta] si temeva ancora e i suoi trascorsi continuavano a spaventare».

    Dal confronto tra il piano dell’espressione e il piano del contenuto sorgono interessanti considerazioni. Ciò che è isolato (piano dellʼespressione) appartiene a un mondo arretrato, vincolato a credenze lontane che si perpetuano da tempo immemorabile (piano del contenuto). Semplificando, se potessimo riassumere in unʼimmagine il mondo retrogrado descritto nel libro si può utilizzare la terra. Qual è lʼopposto di terreste? È facile: è celeste. E cosa cʼè nel mondo celeste? Cʼè lʼamore, il piacere di donare, di stare insieme e di essere se stessi, liberi dalle gabbie. Lo abbiamo capito benissimo dalle parole del prof. e da come esse sono state recepite da MayBelle.

    Nel libro questa dialettica è risolta felicemente... con la stessa parola: una «isola del tesoro» è il luogo che MayBelle sta cercando.

    Dʼaltra parte è grande la perplessità di MayBelle di fronte al carattere polisemico del termine isola. La vediamo infatti ragionare così: «Oddio, cosa ha detto? Isola del tesoro o isola deserta? Non ho capito bene…», dopo che il prof. ha terminato uno dei suoi racconti.

    Allora possiamo classificare gli oggetti più ricorrenti del romanzo in uno dei due gruppi. Il primo è quello degli elementi del mondo terrestre, il secondo contiene gli elementi del mondo celeste.

    Albero «Verso un parco pieno di alberi liberi di svettare nel cielo e di tuffarsi nelle nuvole celesti ogni volta che vogliono tenendo le loro radici nel fango». Albero appartiene senz’altro al mondo celeste, mentre radici e fango fanno parte del mondo terrestre.

    Vento «Sopra la sua testa una marea burrascosa e alberi piegati dal vento sul crinale». Il vento appartiene al mondo terrestre. Anche il crinale e, per estensione, le montagne. Lo possiamo notare anche da un altro passo: «Alle sue spalle un monte massiccio a protezione, dove non arrivano gli occhi».

    Luce «Lentamente svanisce la luce bianca della luna, sulle case, nei laghi e sugli alberi fitti di fumo bianco che attraversa ogni ramo, ogni foglia». La luce appartiene al mondo terrestre. Tutta la descrizione appartiene al mondo terrestre. Ma gli alberi allora cosa c’entrano? Si noti che qui gli alberi – che appartengono al mondo celeste – sono celati da una cortina di fumo. Il significato è chiaro: non son loro.

    Luna Appartiene al mondo terrestre: «Danzeremo prima che cali la luna, lontane dal sole».

    Del resto a livello simbolico la luna è considerata sempre in opposizione al sole.

    Ombra È il congiungimento del mondo terrestre con il mondo celeste.

    Riflettiamo ora su questo passo: «Il vento profuma di fiori e

    di mare, di ulivo selvatico, di sabbia bollente e di terra umida».

    Si possono fare due considerazioni: a) È un altro bell’esempio di come si possa esprimere un'emozione attraverso la descrizione di un odore; b) In questo passo abbiamo anche un elenco di elementi appartenenti al mondo terrestre: vento, ulivo, sabbia e terra.

    L’insieme delle due osservazioni ci induce a un'ulteriore riflessione. Ci possiamo chiedere come possano gli elementi del mondo terrestre acquisire vita. Come possiamo noi infondere in essi un’anima?

    Ecco la risposta: attribuendo loro un profumo. Il profumo, infatti, è parte del mondo terrestre (fiori, mare, ulivo), ma possiede anche una caratteristica che lo rende assimilabile al mondo celeste: si distacca dal corpo che lʼha creato. Il profumo è in opposizione al sudore, che rimane addosso.

    La MayBelle del primo capitolo e la MayBelle protagonista del romanzo sono indistinguibili. Le loro connessioni con gli elementi del mondo celeste sono stabili, direi permanenti.

    Questo brano si riferisce alla MayBelle del passato: «La stanza di MayBelle era alla stessa altezza delle chiome degli alberi che circondavano la casa. La bambina la amava perché le dava lo stesso punto di vista di tutti gli uccelli che si appollaiavano sugli alberi».

    La MayBelle del presente è sempre occupata ad osservare, sentire, andare, fare. È instancabile. Tutti i suoi sensi sono potenziati alla massima espressione. Questa frase lo esemplifica:

    «Che bello catturare con gli occhi le sagome di energia intorno alle chiome!»

    MayBelle è eternamente connessa con potenti fonti di energia. Quale MayBelle? Tutte e due. Mi pare abbiano la stessa funzione: fare da collettore di energie.

    Non ho ancora parlato di energie. Bisogna parlarne, certo: affinché un oggetto si muova ci devʼessere qualcosa che lo fa muovere. Il vento, il mare non si muovono da soli. Neanche la luna. Ci sono energie che ne dirigono il moto.

    Ed esiste anche un’energia proveniente dagli inferi: la civetta ne è lʼespressione vivente. Esiste quindi un vivente che porta la morte. Questo è sempre stato lo scandalo assoluto delle civiltà tradizionali, che hanno sempre rifiutato lʼidea che il vivente possa portare la morte e che, sulla base di questo rifiuto, hanno costruito un insieme di credi, di pratiche e di riti tali che si può concludere che da questo rifiuto si siano generate le strutture portanti della cultura. Lo dimostrano le innumerevoli ricerche antropologiche effettuate nel XX secolo nei cinque continenti. Ma deve anche esistere ciò che dà vita alle cose inanimate.

    Prologo

    «Cosa hai fatto oggi a scuola MayBelle?»

    Una classica domanda di routine.

    «Niente».

    La mia classica risposta di routine.

    Il mio niente è un tutto che risuona nello spirito e frigge sotto ogni centimetro della mia pelle, ma come spiegarlo ai grandi?

    I fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli adulti il niente nel tutto

    (Giacomo Leopardi) 1.

    1

    Il primo giorno

    All’inizio mi era sembrata una lezione di storia: avevo ascoltato con curiosità, mi ero dedicata anima e corpo a quelle prime parole che avevo udito in quell’aula così grande, immersa tra persone mai viste prima. Avevo cercato di darmi coraggio, per non pensare a tutte quelle facce nuove intorno a me… che ansia. Rassicurante la voce del professore: «Gli antichi romani erano grandi coltivatori di grano, lo seccavano al sole per conservarlo a lungo e sfamare interi popoli nel periodo invernale. Quella preziosa risorsa veniva trasformata in farina da cui ottenere pane in versioni diverse susseguitesi poi nei secoli. Ancora oggi il grano è al centro dell’alimentazione mondiale. Incredibilmente è stato oggetto di pratiche spaventose, di magia nera, di esoterismo».

    La magia nera? L’esoterismo? Mai sentiti in vita mia, ma già solo questi nomi mi avevano messo i brividi. Ero al massimo della concentrazione, finalmente avevo perso la cognizione dello spazio, e questo era un bene, ma il seguito di quel racconto mi avrebbe spaventato, e non poco.

    «La conservazione del grano, ai tempi dell’antica Roma, non era cosa facile», aveva continuato con la sua voce lenta e profonda. La immagino riecheggiante nelle strade affollate dei sobborghi di quella antica città. Era così calato in quella narrazione che a volte avevo faticato a credere che i suoi fossero solo dei racconti. E se non lo fossero stati?

    «Tenere al sicuro il raccolto era complicato: il grano spesso subiva mutamenti, marciva o spariva nel nulla; e così intere popolazioni finivano affamate e in carestia. Madre natura era da un lato così buona e generosa da donare un ricco raccolto, poi dall’altro lasciava che si verificassero sciagure di quella portata. I contadini potevano contare solo sul raccolto e il grano era senz’altro la loro fonte primaria di sopravvivenza. A difesa dei cumuli di grano mettevano perciò tre animali di guardia alla porta del granaio, dove tenevano stipato il raccolto: una talpa, un pipistrello e una civetta. La talpa, abitante dei sotterranei, veniva sacrificata per estirpare il male proveniente dalla terra. Dal sottosuolo potevano ergersi forze oscure, anime minacciose e spettri malvagi, scacciati con il sangue versato e il dolore inflitto fino alla morte alla povera talpa inchiodata a terra sull’uscio assieme al pipistrello e alla civetta. Il pipistrello, padrone assoluto del cielo notturno, dissetava con il suo sangue gli spiriti del cielo, e la civetta pagava il prezzo del suo canto».

    Povere creature! Questa era stata la cosa più cattiva che avessi mai sentito. Ho sempre amato gli animali fin da quando ero bambina e un giorno avrò una fattoria tutta mia. Questa crudeltà e queste pratiche sono per fortuna molto lontane da noi. Ma il racconto non era finito.

    «Uno dei tre animali sacrificati per il bene del raccolto era conosciuto come il messaggero del diavolo, per questo scelto come vittima sacrificale per interrompere il flusso di quell’energia oscura proveniente dagli inferi. Dopo un disgraziato evento, infatti, nessuno osò più toccare né avvicinarsi a quella bestia: la civetta. Era quasi diventata sacra, un simbolo del male: una storia diventata leggenda le cambiò drasticamente il destino. Veniva definita il messaggero del diavolo perché nella notte, per volere del sommo padrone degli inferi, risaliva direttamente dagli abissi fino alla superficie della terra per volare e cantare l’ode che accompagnava l’arrivo della signora più temuta: la morte. Si appollaiava sull’albero in prossimità della casa del promesso defunto, o sul tetto, o direttamente sul davanzale della finestra e la distanza del suo canto indicava il tempo atteso per il trapasso: più era vicino e meno avrebbe impiegato la morte a sopraggiungere. Per molti anni la civetta con il suo canto ha aperto le porte alla signora oscura direttamente verso l’inferno, fino a quando accadde qualcosa di molto strano in un piccolo villaggio di campagna: una ragazzina, figlia del pastore, ha cambiato le sorti di questo animale. Il suo nome era MayBelle».

    A quel punto avevo avuto davvero paura. Com’era possibile? La ragazzina del racconto si chiamava come me! Mi era passata la voglia di ascoltare. Avevo provato già abbastanza terrore a sentir parlare del sacrificio dei tre poveri animaletti indifesi, ma quel particolare mi aveva davvero atterrita. Ok, è solo una storia, un bel respiro… uff! Si tratta di un racconto banale. Almeno credo. Avevo provato a darmi coraggio, a tranquillizzarmi, perché in fondo la storia era intrigante e mi piaceva ascoltare. Quella voce mi aveva trascinato come un fiume, e aveva continuato a scorrere, a raccontare.

    «MayBelle era una bambina in carrozzina, le sue gambe non l’assistono dalla nascita. Spesso di notte non dormiva, e trascorreva tutto il tempo affacciata alla finestra a guardare le stelle, il cielo, la luna, tutto ciò che poteva scorgere nella penombra. Fantasticava su cosa ci fosse lì fuori, in tutto quel buio, uno spazio così grande, infinito, dalle tante meraviglie, eppure lei lo aveva solo e sempre visto dallo stesso punto: la finestra della sua camera. Amava la notte, amava starsene affacciata ad aspettare la grande ombra, quasi come fosse un pacco regalo da scartare. Sì, perché lei aspettava che la notte prima o poi le facesse un dono, che si aprisse e magicamente svelasse il suo contenuto: la possibilità di correre in quell’immenso velo nero, sotto quella cappa scura trapassata da fori luminosi e quella palla luccicante che la

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