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Principessa tra le nuvole
Principessa tra le nuvole
Principessa tra le nuvole
E-book966 pagine14 ore

Principessa tra le nuvole

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Info su questo ebook

Nuvoletta è una bambina vivace e curiosa. Ama la natura, arrampicarsi sugli alberi, prendersi cura degli animali del bosco, confidare loro i suoi piccoli segreti. Il candore della sua anima è talmente intenso da colorarla di luce; la bimba infatti ha una pigmentazione che nessuno ha mai visto, grandi occhi cerulei e soffici capelli bianchi. Vive in un piccolo villaggio felice, ha una famiglia numerosa e tanti amici che le vogliono bene. Ignora, la dolce Nuvoletta, di essere stata, quando era ancora in fasce, strappata ai suoi genitori da un destino avverso e affidata al buon cuore degli uomini, lei che è l’erede al trono di un regno le cui porte sono ben oltre il cielo azzurro…
Crescendo, strani sogni iniziano a turbare le sue notti: voci spaventate invocano l’aiuto di una misteriosa principessa, l’unica in grado di porre fine a un assedio feroce e senza fine. 
È un romanzo straordinario quello che Lucia Alexandra Turdo ci ha lasciato; in esso l’autrice ha infuso creatività, energia e amore, elementi che irradiano calore e avvolgono il lettore dalla prima all’ultima pagina. Tra elfi, maghi e unicorni, un fantasy che rispetta la tradizione ma che sorprende per la sintonia che da subito sa instaurare con chi vi accede, accogliendoci in un immaginario che rapisce e regala emozioni.

Lucia Alexandra Turdo è nata nel 1979 a Freiburg, in Germania, dove ha vissuto fino all’età di 8 anni, prima di trasferirsi con la sua famiglia a San Giuseppe Jato (PA). Qui ha trovato l’ispirazione per scrivere una fiaba che ha come protagonista una ragazza albina come lei. Nel febbraio del 2000 si era trasferita a Reggio Emilia dove era diventata un’appassionata di videogiochi, alcuni dei quali le hanno dato l’ispirazione per trasformare la sua fiaba in un vero e proprio romanzo fantasy dal titolo Principessa tra le nuvole. Lucia Alexandra Turdo è stata una centralinista del Comune di Reggio Emilia e nel 2019 è venuta a mancare all’affetto dei suoi cari a causa di un tumore.
 
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2020
ISBN9788830627888
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    Anteprima del libro

    Principessa tra le nuvole - Lucia Alexandra Turdo

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-2788-8

    I edizione elettronica settembre 2020

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    .

    Nei primi anni ‘90 (91-93), quando frequentavo le scuole medie, tra i vari compiti per casa ricevetti anche quello di disegnare una maschera di carnevale, così il primo anno disegnai Sigaro, una sigaretta gigante dalla faccia imbronciata e cattiva.

    Il secondo anno disegnai Nuvoletta, una bimba albina (come me) con un bel cespuglio di capelli bianchi, che sembrava una nuvola appunto; nei miei sogni ella doveva essere un’eroina (da bambina mi piacevano cartoni animati come Nanà supergirl, una ragazzina coi superpoteri che doveva sempre lottare contro dei cattivoni).

    Correva l’anno 1997, quando un giorno, rovistando fra le mie vecchie cose, ritrovai questi due disegni e siccome i personaggi mi piacevano un sacco, mi dissi: «Perchè non costruirgli attorno un racconto?».

    Così, scrissi un intero quaderno di marachelle da parte di Sigaro che andava in giro spaventando i bambini del villaggio mentre Nuvoletta cercava di difenderli da questo cattivone.

    Un piccolo quaderno, però, mi sembrava poca roba, questi due personaggi meritavano di più...

    Nel 2005 mi venne l’ispirazione (dopo aver giocato a due meravigliosi giochi di ruolo, Arcanum e Morrowind e dopo aver visto il film de ‘Il Signore degli Anelli’) e ripresi a scrivere attorno a questi due personaggi, creando un intero mondo tutto per loro, pieno di tante creature fantastiche e di personaggi caratteristici, un mondo tanto grande da trasformare Sigaro, che era l’antagonista principale, in un personaggio secondario, un surplus a tutto il resto.

    Questa è stata la genesi del mio primo romanzo fantasy...

    Ringraziamenti vanno alla mia famiglia per essermi sempre vicina.

    Soprattutto al mio fratellino Fabio Riccardo.

    E infine alle mie micie, Kety e Ambra, che sono le gioie della mia vita.

    In ricordo di Lilly, la mia gattina adorata.

    Il nostro meraviglioso pianeta Xantia è un puntino azzurro facente parte di due sistemi solari che, per la loro peculiare vicinanza, vengono considerati come un unico sistema solare; infatti, esso si trova in mezzo a due stelle dette nane gialle: il nostro pianeta è il terzo di sei pianeti, i quali orbitano attorno alla stella più grande e vicina a noi, per questo motivo essa viene denominata Sole di Xantia ed è quella che ci dà la luce del giorno.

    Tre pianeti invece ruotano attorno all’altra stella, abbastanza vicina a noi da considerarsi parte del sistema di cui Xantia fa parte, ma troppo lontana per illuminare il nostro cielo a giorno, perciò essa viene chiamata Sollontano; l’avrete sicuramente scorta in pieno giorno, più grande e luminosa di una qualsiasi stella durante le limpide notti d’estate, essa illumina, a volte, le notti assai più di quanto ne sia capace la stessa Luna, unico satellite che ci gira attorno, quando è completamente piena. Sollontano sa oscurare, in queste occasioni, tutti gli altri astri celesti, cosa che accade poche volte l’anno per fortuna: pensate che cosa orribile sarebbe se non esistessero le notti stellate che fan tanto sognare!

    Il sistema di cui facciamo parte è un minuscolo granello di sabbia rispetto all’enorme agglomerato di stelle a forma di disco, che consideriamo come la nostra galassia; essa, per quanto estesa possa essere, rimane sempre una minuscola parte di quell’immenso contenitore nero, ornato da un indefinito numero di stelle e pianeti, che è l‘Universo.

    Chissà in quale suo remoto angolo ci troviamo, rispetto al suo inizio o alla sua fine, sempre che abbia un inizio e una fine.

    E chissà quante altre forme di vita, più o meno intelligenti della nostra, esso tiene nascoste dentro di sé…

    VOGLIA DI RACCONTARE

    Le lezioni del professor Albert sono sempre così interessanti: egli inizia sempre i suoi discorsi guardando negli occhi i suoi allievi, poi, a poco a poco, si perde nei suoi sogni, iniziando a porre un mare di domande a se stesso. Forse è questo che piace ai suoi studenti o forse sono le sue spiegazioni a essere incredibilmente affascinanti, fatto sta che i ragazzi, nonostante la sua immensa tranquillità e bontà, stanno tanto attenti e in un silenzio tale per cui si sentirebbe ronzare una mosca, se in questa stagione dell’anno ce ne fossero in giro; i fanciulli sembrano rapiti dalle sue parole e a me fan sorgere una grande ispirazione, a tal punto che mi viene un’intensa voglia di raccontare le incredibili vicende, a cui io stesso ho assistito, in cui anche il professore trova una sua importante parte.

    Potrei trasferire i miei pensieri dentro un libro, rendendoli visibili a chiunque sia curioso e abbia voglia di conoscerli; sarebbe una buona idea se non fosse difficile da realizzare, ma perché non provarci?

    Per prima cosa dovrei trovare qualcuno disponibile a prestarmi la sua grande mano, ma so già a chi rivolgermi.

    Le finestre dell’aula e la porta sono tutte chiuse, dovrò aspettare la fine delle lezioni per proseguire nel mio intento, ma in fondo la cosa non mi dispiace affatto, visto che qui c’è davvero un bel calduccio, grazie a queste stufe alimentate dall’energia dell’acqua attraverso un marchingegno, studiato e realizzato dal professore stesso e poi quante morbide e folte chiome di fanciulle ci sono a mia disposizione, come comodo posto da cui seguire la lezione.

    Finalmente la campana è suonata, i fanciulli corrono tutti fuori (adesso sì che li riconosco!) e anch’io devo muovermi: ali in spalla dunque, l’avventura mi aspetta! Ma che freddo fa qua fuori!

    Ieri notte, infatti, ha nevicato per la terza volta in quest’inverno che pare interminabile, quando ormai sembrava che la primavera fosse alle porte. Da parecchi anni ormai non mi capitava più di vedere un inverno così insistente e delle nevicate tanto abbondanti.

    Il mio cuore, comunque, si scalda alla vista di questo allegro e vivace villaggio in cui da molto tempo ormai mi sono stabilito. Mai mi stancherò di ammirare le sue piccole casette di mattoni, tutte colorate una diversa dall’altra, che fanno da degna corona alla grande piazza circolare.

    Della piazza fa parte la scuola, da cui sono appena uscito, che è un lungo e largo edificio a due piani, bianco con delle rosse persiane alle finestre: sul portone principale è posta un’insegna rettangolare, in cui è raffigurato un bambino sorridente che rivolge lo sguardo verso un libro aperto, essa vuole indicare quanto possa essere piacevole lo studio, se solo lo si vuole e si prende il giusto appiglio a tale importante e gratificante attività che, se svolta con attenzione, può regalare grandi soddisfazioni nella vita. La scuola accoglie ogni mattina un gran numero di bambini e di adolescenti che vengono anche dai villaggi circostanti, essendo questa l’unica scuola nel raggio di molte miglia.

    Di fianco a essa c’è un piccolo luogo di culto, un edificio giallo, su cui si erge un alto e magro campanile sotto il quale vi è posto un grande orologio. Davanti a esso si trova una piccola aiuola, oggi coperta dalla neve che la rende irriconoscibile, ma che diviene una meta segnata su tutte le agende dei viaggiatori e indicata come luogo da visitare almeno una volta nella propria vita, per il suo spettacolo unico nel mondo intero in un particolare giorno dell’anno, precisamente d’estate.

    Nella piazza si può trovare anche una locanda, su tre piani, abbastanza grande da poter ospitare chi viene da fuori, essa ha una bella tonalità di celeste con le persiane di un color verde scuro. D’inverno la sua insegna mostra un bel piatto di spaghetti fumanti, mentre d’estate mostra un boccale di birra, accanto al quale un grosso cono gelato fa la sua bella figura. Qui c’è anche una piccola banca di color marrone con porte e finestre dello stesso colore un po’ più chiaro, la sua insegna mostra un sacchetto legato che promette dentro di sé un gran numero di denari; ma nessun rapinatore si sognerebbe mai di fare un colpo qui, per il semplice fatto che in questa banca di soldi ne circolano davvero pochi. Non c’è da stupirsi, visto che il villaggio è prevalentemente abitato da contadini che ancora preferiscono barattare in natura piuttosto che in denaro, quando ciò è possibile; d’altra parte chi ha i soldi preferisce tenerli nella banca della città più vicina, ritenendo lì i propri risparmi più sicuri.

    Senza dubbio la casa che salta più all’occhio è quella del negoziante (cosa non si farebbe per i soldi!); egli ha conciato il suo negozio in uno strano modo: la sua casa sembra esser fatta di marzapane colorato e le finestre sono coperte da persiane simili a biscotti e il tetto sembra fatto di cioccolata (dove la neve sembra far da panna) e, quando la neve non c’è, si vede una bianca superficie che sembra scivolare sul tetto su cui si trova un rosso comignolo che ha la forma di una voluminosa ciliegia. L’insegna della bottega porta la scritta ‘VENITE DA LINETTO DOVE POTRETE TROVARE TUTTO’; trovandosi vicino a una scuola, l’idea è stata azzeccata visto che spesso i bambini corrono da lui a cercare dolci. Ha grande successo anche tra gli adulti che vengono dai paesi vicini a far spesa da lui, nonostante non sia l’unico negozio della zona, però di certo è di gran lunga il più originale, oltre che il più visitato.

    Ai confini sud-occidentali del villaggio si trova l’officina del fabbro, un grosso edificio color rosso ruggine con una sola piccola finestra di lato e con un grosso portone di ferro dipinto di un blu chiaro; il fabbro si occupa di qualsiasi oggetto fatto di ferro e altri metalli: li costruisce e li ripara, per la maggior parte del suo lavoro si occupa di strumenti usati dai contadini come zappe, vanghe, forconi. Qualche volta si diletta a creare qualche arma, come spade corte e lunghe con cui ama decorare le proprie pareti, egli va così fiero del suo operato, anche giustamente, difatti, qualche straniero di passaggio gli ha chiesto qualcuna delle sue armi in vendita, ricevendo puntualmente un no come risposta, il fabbro si giustifica ogni volta dicendo di non gradire la presenza di persone armate dentro il suo paese. Spesso allora qualcuno gli chiede perché mai egli perda il suo tempo a costruirne di nuove che, sì, sono una più bella dell’altra, ma sono anche inutili, visto che egli non le vuole cedere, allora la sua risposta è semplice ma soddisfacente; infatti, parla sempre della necessità di mettere a disposizione del villaggio qualcosa con cui difendersi dagli eventuali attacchi delle strane creature che circolano nel mondo, anche se lui stesso ammette che questa possibilità sia assai remota, non trovandosi queste creature nelle immediate vicinanze del villaggio, ma la prudenza non è mai troppa, suole sempre aggiungere per concludere e giustificare i suoi discorsi, soddisfacendo in tal modo i suoi interlocutori.

    Il fabbro si occupa anche dei ferri di cavallo richiesti dalla vicina scuderia che è assai piccola in realtà: questa ospita attualmente cinque cavalli, tra i quali spicca Calamità Naturale, un vero fenomeno, che ha vinto parecchie corse regionali e internazionali, un puledro e due pony, questi ultimi rappresentano una grande attrazione per i più piccoli che stanno immobili per ore a guardare queste creature brucare erba nel loro recinto e per le feste possono addirittura cavalcare questi cavalli nani. Il lavoro dei proprietari della scuderia consiste prevalentemente nell’ospitare e accudire i cavalli dei viandanti che si trovano di passaggio o di scambiare con loro gli animali, se essi lo richiedono.

    A sud il villaggio confina con un grande campo di grano, in cui è immersa una piccola casetta raggiungibile da uno stretto viale.

    Ancora più a sud è circondato da immensi campi, dove, con una sapiente rotazione negli anni, viene coltivato un po’ di tutto.

    Questi campi circondano il villaggio anche ad est, dove essi vengono attraversati da una lunga strada che porta a villaggi vicini.

    A nord-est c’è una grande villa dall’aria un po’ misteriosa, seguita da Bosco Grande, un’immensa distesa di alberi, da cui questa area prende il suo nome.

    Verso est il bosco è interrotto da una piccola collina su cui si erge, in tutta la sua regalità, una quercia secolare; poi il bosco riprende, formando una piccola macchia scura, dietro questo raggruppamento di alberi si trova un campo non coltivato, dove l’erba cresce rigogliosa, nascondendo degli splendidi fiori; questa zona è stata lasciata apposta incolta perché luogo preferito di gioco dai bambini, essendo questo un posto sicuro, in quanto chiuso da alte colline (così da evitare che i bimbi possano perdersi) che nascondono la vista di un piccolo villaggio dietro di sé. Inoltre è proprio una di queste colline a portare sulla sua estremità la famosa quercia plurisecolare.

    Adesso sarà meglio darsi una mossa, ho già perso troppo tempo e la strada da fare è lunga; forse quando tornerò, sarà arrivata anche la primavera.

    Devo dirigermi verso la grande quercia e poi tagliare nel bosco in direzione nord-ovest fino a raggiungere il fiume Azurlungo.

    Meno male che le mie ali, simili a quelle di una libellula ma ancor più veloci, mi permettono di percorrere in un giorno la stessa distanza che altrimenti dovrei percorrere in un’intera settimana ad andamento veloce senza mai fermarmi.

    Il gelido clima m’intorpidisce i sensi del tatto e dell’olfatto, ma nulla può contro la vista; dentro il bosco posso ammirare diverse varietà di alberi, tutti già pronti ad accogliere la primavera, vestiti di tante verdi e splendide foglioline che non perdono il loro vigore nemmeno ora, nonostante una grossa quantità di neve le abbia ricoperte, appesantendole senza alcuna pietà.

    Quanto è bello zigzagare questi alberi in tutta velocità. Ecco, lo sapevo! È questo che accade volando soprappensiero, per poco non mi frantumavo il mio povero naso, spiaccicandomi contro il grosso tronco d’albero davanti a me. E ora ci mancava anche la valanga di neve caduta dal ramo mosso dal vento, che per poco non mi finiva addosso: che pensiero agghiacciante!

    Già sta tramontando il sole, che bei colori dorati coprono le foglie e la neve, dovrei essere quasi alla fine del bosco, ma sarà meglio trovare un rifugio per la notte, non voglio rischiare di perdere l’orientamento a causa del buio.

    In quel tronco d’albero davanti a me c’è un grosso buco: forse è la tana di qualche animale, controlliamo con estrema cautela, non vorrei imbattermi in un serpente o qualcosa del genere. Che fortuna! Si tratta solo di uno scoiattolo.

    «Perdonami amico, devo averti svegliato da un lungo e piacevole sonno, lo vedo da come ti stropicci gli occhi, però ho bisogno di chiederti un favore. Potrei dormire al sicuro nella tua tana? Così domani potrò proseguire il mio viaggio riposato e soprattutto alla luce del sole. Oh quanto sei gentile, non solo mi offri un riparo, ma vuoi anche darmi questa grossa noce; davvero non posso accettarla, deve di certo far parte della tua riserva per passare l’inverno. Dici di cavartela con ciò che ti rimane e che la primavera sta per giungere? Beh, se insisti tanto l’accetto con gioia, ma come faccio ad aprirla? Ci pensi tu: sei davvero in gamba, guarda che meraviglia si nasconde dentro quel duro guscio. Tieni, facciamo a metà; davvero squisita, non trovi? Dimenticavo che le noci sono il cibo preferito di voi scoiattoli, hai ragione, la mia non è stata una domanda molto intelligente. Invece vorrei chiederti quanto manca per il fiume. Dici che bastano dieci minuti di volo d’uccello? Ciò che dici mi rassicura, per lo meno ho seguito la strada giusta. Adesso sarà meglio dormire. Posso appoggiarmi sul tuo morbido e caldo pelo? Splendida idea, la tua folta coda farà da confortevole coperta e poi come è piacevole da accarezzare! Non riesco più a tenere gli occhi aperti. Ti auguro buona notte e sogni d’oro, gentile amico mio».

    Dove mi trovo? Aspetta, adesso ricordo; ma dove sarà andato lo scoiattolino? Fuori il sole è già alto.

    «Eccoti, ma dove sei stato? Guarda che caro che sei, hai riempito i gusci della noce di ieri con del buon miele dorato, come te lo sei procurato? Povera creatura, hai sfidato il freddo per me, andando a chiedere alle tue amiche api un po’ di questa gustosa e dolce vivanda, così da potermi offrire tale deliziosa colazione. Sei stato davvero molto cortese, ma ora devo andare, anche se mi tocca ammettere che un po’ mi dispiace di dovermi separare da te così presto, spero di incontrarti ancora, addio e buona fortuna».

    Eccomi giunto al fiume, finalmente: le sue acque stanno tornando al normale scorrimento, dopo esser state ghiacciate per un lungo periodo. Da tempi immemori non vedevo una cosa simile: l’acqua è talmente ghiacciata che ci si può tranquillamente pattinare sopra, cosa non molto usuale per una regione con un clima così temperato.

    Ed ecco il grosso ponte di pietra che devo superare; adesso mi dovrò dirigere a nord, attraversando un’assai estesa pianura; si tratta di una grande area desolata dove si trovano solo alcune grosse pietre, grazie alle quali mi potrò orientare.

    Volando nell’aria, con piroette e acrobazie,

    tra qualche svelta salita, seguita da una veloce discesa in picchiata;

    continuo a proseguir per le conosciute vie,

    affinché io possa raggiunger la meta tanto agognata.

    Proseguendo per la mia strada, ballando e cantando, arriverò, quasi senza accorgermi della fatica, dove desidero.

    Un unico pericolo esiste in un posto con un cielo così libero ed ecco che esso si rende concreto davanti a me: si avvicina così velocemente, devo assolutamente tuffarmi nella neve (cosa mi tocca fare adesso) come una talpa mentre scava una galleria sotterranea, io devo muovermi sotto questa glaciale sostanza prima che il passerotto che mi viene incontro possa raggiungermi, facendo di me la sua cena. Difficile è per me credere che esso sia rientrato, per mia estrema sfortuna, sbagliando i tempi del ritorno dalla migrazione. In quel caso non sarebbe l’unico uccello a svolazzare ora in questi cieli alla ricerca disperata di cibo; in realtà a sbagliare i tempi quest’anno è la primavera che si sta attardando un bel po’ ad arrivare: come possono questi poveri volatili immaginare che c’è ancora neve? Essi mantengono semplicemente i tempi a cui sono abituati, dunque non hanno colpa. È più probabile che, per non so quali motivi, nello scorso autunno non avesse seguito i compagni di stormo nella migrazione e adesso eccolo qua alla disperata ricerca di cibo ed eccomi qui in mezzo a un mare di neve e di guai!

    Ahi, che botta! Devo aver raggiunto un masso. Bene, adesso potrò guardare cosa sta combinando il volatile; che sciocco, continua a beccare nella neve.

    «Attento passerottino, un’aquila ti sta puntando a tutta velocità, vola via!».

    Spero che si salvi, in fondo non è colpa sua se ha fame e in più ritengo che sarebbe un peccato l’interruzione di questo miracolo vivente; una così fragile creatura che è sopravvissuta, senza alcun aiuto, a questo rigido inverno meriterebbe di poter vivere ancora a lungo.

    Con fatica ho ripulito la roccia dalla neve per sedermi un po’; ora dovrò aspettare che le mie ali possano tornare a volare. Fortunatamente il sole inizia a mandar giù un po’ di calore, ancora flebile a dire il vero, ma già abbastanza forte da far sciogliere lentamente la neve davanti ai miei occhi.

    C’è un’iscrizione sopra la pietra: ‘IN RICORDO DEL CLAN DEL FUOCO, CHE QUI SOTTO SCOMPARVE, LASCIANDO NELLA DISPERAZIONE TUTTI NOI’. Allora mi trovo su una grossa lapide e ora che ci penso, quando la neve non lo ricopre questo luogo sembra davvero un enorme cimitero. Vorrei allontanarmi al più presto da questo macabro posto. Forse avrei fatto meglio ad aspettare l’estate, ma, ogni giorno che passa, rischio di perdere frammenti di memoria e non voglio che ciò accada realmente.

    Le mie ali tornano a poco a poco a funzionare, ora devo rimettermi in viaggio, affinché esse, con il movimento, possano asciugarsi del tutto. Ormai non posso più arrendermi, manca così poco, già la vedo: la grande foresta oscura che viene denominata ‘Foresta delle Ombre Sorgenti’.

    Tre volte solamente sono già stato qui e ogni volta mi ripromettevo di non tornarci più, ma questa volta è un buon motivo che mi spinge a tornare di nuovo in questi luoghi oscuri.

    Enormi alberi la riempiono, quasi di doppia altezza rispetto a quelli che sono abituato a vedere, con grassi e nodosi tronchi; i loro lunghi rami e le rigogliose fronde si abbracciano in uno stretto intreccio che forma un immenso tetto. Non capisco se la sensazione che provo ora sia paura di questo buio luogo a cui i miei occhi ancora devono abituarsi, venendo da un posto assai illuminato dal sole primaverile, oppure se sia solo freddo, poiché qua, oltre alla neve, non riescono a penetrare nemmeno i raggi del sole. Le grosse radici fuoriescono dal terreno per rientrarvi di nuovo più in là, formando un fluttuoso movimento; infatti questi alberi hanno una propria intelligenza, il loro compito consiste prevalentemente nel tenere lontani gli estranei, ma a me non hanno mai dato fastidio, forse a causa delle minuscole dimensioni che mi caratterizzano, non mi ritengono un pericolo; più che badare a loro, farò meglio a evitare le lunghe e striscianti creature dalla lingua biforcuta, oltre a stare alla larga da quei grossi rapaci notturni dai gialli occhi rotondi che sono i gufi, ma il pericolo più grande che possa capitarmi è quello di incontrare un pipistrello che ben si può mimetizzare con questo ambiente e chissà quante altre insidie si nascondono in questo luogo.

    Sento delle stridule urla, sembrano così vicine, forse si tratta di scimmie, sono curioso; ecco, dietro quegli alberi c’è davvero un buffo spettacolo: dei goblin che ballano attorno al fuoco per chissà quale loro rito; non sapevo che ce ne fossero qui e mi chiedo come sia possibile che possano rimanervi tranquilli. Somigliano a dei piccoli uomini-scimmia, molto meno belli di un qualsiasi individuo facente parte della razza umana ma più intelligenti delle scimmie; essi, infatti, riescono con disinvoltura a mantenere una posizione eretta e a maneggiare delle armi e non temono il fuoco, alcuni di loro, i cosiddetti goblin sciamani, sono persino in grado di usare magie (cure ed evocazioni) quando è necessario. Ma è qui che la loro intelligenza si ferma. Essi non hanno un vero e proprio linguaggio e nemmeno hanno acquisito un linguaggio già preesistente, come quello degli umani, ad esempio. Il loro modo di comunicare consiste prevalentemente in gesti e in versi, simili a quelli delle scimmie per l’appunto. Se nessuno li infastidisce se ne stanno buoni e tranquilli, ma guai a invadere il loro territorio, anche solo per sbaglio. Sarà meglio allontanarsi il più possibile…

    È bene andare avanti silenziosamente e con prudenza, ormai non posso più permettermi distrazioni, quindi è meglio procedere lentamente.

    In lontananza vedo la cripta dalle antiche pietre, quindi girando a destra dovrei essere giunto al villaggio che stavo cercando: ed eccolo dietro quegli alberi!

    Finalmente sono giunto a Ombra Sorgente.

    Strane abitazioni lo compongono, fatte di bianco marmo circolari con tetti piani, porte e finestre rettangolari sono fatte di marmo pur esse, anche se con spessore più sottile, ma è un altro aspetto a rendere queste case davvero particolari: le loro mura; infatti, sono attraversate da strane piante rampicanti, simili a lunghi e sottili rami di alberi che dalle pareti entrano ed escono con un continuo movimento simile a quello dei serpenti, anche se molto più lento, questo loro moto mi fa girare la testa come se venissi ipnotizzato e, a dire il vero, io ho una terribile paura di quelle viscide creature di cui questi ramoscelli copiano le posture. Forse mi hanno scorto, ma se così fosse anche gli alberi dovrebbero destarsi contro di me, quindi ritengo più probabile che queste piante in realtà siano in perenne movimento.

    Finalmente sono al loro cospetto: mi dà una strana sensazione stare vicino a questi elfi dallo scuro mantello, essi sono simili a tutti gli altri elfi che esistono sul pianeta, ma che per il loro particolare modo di vestire, amano indossare mantelli scuri come la notte senza stelle e, forse, per incutere timore a chi osa parlare di loro, si fanno chiamare elfi oscuri.

    Ombra Sorgente è la comunità più grande che esista su Xantia, tra quelle composte unicamente da elfi oscuri.

    Molte stranezze ho visto nella mia lunga vita, ma mai mi era capitato di vedere un elfo dai capelli corti: è davvero carina con quei suoi occhi neri dello stesso colore dei capelli e quelle sue lunghe ciglia la rendono così affascinante. Ma è assai poco rispetto a quello che vedo laggiù: seduta su una panchina riesco a scorgere una splendida creatura, voglio avvicinarmi per vederla meglio e quel ramo lassù in alto fa proprio al caso mio. Ella porta lunghi e ricci capelli biondi e il suo viso è così delicato e luminoso, che contrasta fortemente con lo scuro abito che indossa, dandole un fascino particolare, un misto di piacere e paura provo nell’ammirarla. Posso vedere la sua vanità, caratteristica certo non usuale per un elfo: ella sta usando la fioca luce emanata dal proprio corpo, potere usato in genere per farsi strada e non certo necessario a lei adesso, essendo il luogo già ben illuminato da tante lanterne appese qua e là sui muri delle case, sui rami e su grossi pali. Ella al momento ascolta con molto interesse ciò che hanno da dirle due alti elfi, credo, perché non riesco a distinguere il loro volto a causa dell’ombra creata dai loro cappucci, di certo non indossati a causa del freddo a cui devono sicuramente aver fatto l’abitudine; questi devono essere due delle tante spie mandate per il mondo a osservare le abitudini di vita degli altri popoli dai quali essi non sono benvisti, per il semplice fatto che non si degnano nemmeno di rispondere, quando qualcuno tenta di parlare con loro, perché fanno di tutto per apparire superiori, apparendo arroganti e in linea con il disprezzo che loro apertamente mostrano per tutte le altre razze. Gli uomini affermano che essi si rifiutano di rivolgere la parola persino agli altri elfi che non fanno parte della loro comunità che essi stessi definiscono oscura.

    La ragazza seduta deve avere un ruolo assai importante, perché sembra che i due le stiano dando un resoconto assai dettagliato e lei appare molto compiaciuta di tutte le loro parole.

    «Stupido albero, per poco non mi buttavi addosso a uno di loro, ti darei un calcio se non fosse per il fatto che mi farei male io, facendoti ridere solamente; però, ora che ci penso, sarebbe stato uno spasso vedere quegli elfi abbatterti perché ti considerano pazzo, visto che io sono così piccolo da potermi nascondere alla loro vista con tanta facilità, mentre tu non avresti scuse visibili per il tuo agitarti tanto, ma sei fortunato, non voglio abbassarmi ai tuoi livelli, così semplicemente me ne vado».

    Deve essere la casa dietro la panchina, quella che sto cercando: così è, voglio trovare un buon posto da dove osservarla prima di entrare.

    «Ti prego buon albero, non farmi uno scherzo come quello fattomi dal tuo amico, vedi come ti accarezzo, puoi trarre solo benefici dall’ospitarmi sul tuo ramo come si deve».

    Ormai tutte le paure si stanno dissolvendo e la fortuna inizia a sorridermi, la finestra è aperta e io vedo la creatura per cui ho superato tanti pericoli: con i suoi lunghi, lisci e lucidi capelli neri, il viso poggiato sulle mani, con i gomiti poggiati sul tavolo, ella è illuminata solamente da una debole luce di candela che tiene accanto a sé, con quei suoi scuri e tristi occhi sognanti fissi verso la finestra ed è proprio per questa deliziosa elfo-bambina che sono venuto.

    Sarà per la loro vita assai longeva, ma si possono alternare intere generazioni di uomini senza che ci sia un cucciolo di elfo in circolazione, così mi ritengo immensamente fortunato a sapere della sua presenza nel mondo.

    Forse riuscirò a rallegrarla con la mia compagnia, coraggio se non provo non lo saprò mai.

    «Sciocco e fastidioso insetto che mi ronzi attorno, se riesco a vederti e ad acchiapparti ti schiaccio!».

    «Attenta ragazzina o mi colpirai davvero; io non sono un insetto, porgimi il palmo della tua mano, affinché io mi possa riposare e tu possa osservarmi bene: il calore sprigionato dalla tua pelle è proprio quello che ci voleva dopo un lungo e freddo viaggio».

    «Non posso crederci: tu sei un folletto! Allora esistete davvero! Però sei strano, credevo che foste più grandi e poi di certo tutto potevo immaginare ma che poteste possedere delle ali non lo avevo mai considerato».

    «Hai ragione, io sono un folletto speciale, invece tu sei prepotente come tutti gli altri elfi oscuri, forse ho sbagliato a venire fin qui e adesso me ne vado».

    «No, aspetta, ti prego».

    «Cosa vuoi dirmi ancora, prima che me ne vada?»

    «Perdonami, è vero: mi sono comportata come loro, anche se faccio di tutto per evitarlo, la loro influenza su di me diventa inesorabilmente sempre più forte e questo non mi piace affatto: so a quali conseguenze porta il nostro atteggiamento, tutti ci evitano e io quando me ne andrò da qui, non vorrò mai attirare questo tipo di attenzione su di me».

    «Sono queste le parole che speravo di sentire uscire dalla tua bocca: sei ancora una bambina che non teme di rivelare i propri pensieri, eppure già la saggezza del tuo popolo ti caratterizza».

    «Cosa ti porta da me? Perché mi hai scelto come tua amica, nonostante tutti i rischi che per te ciò comporta?».

    «Il mio popolo ha delle severe leggi per quanto riguarda le amicizie che possiamo stringere con le specie dalle maggiori dimensioni fisiche delle nostre, forse per la nostra stessa sopravvivenza. Noi possiamo parlare solamente con i bambini; a me serve qualcuno che sappia scrivere bene e che abbia tanta pazienza e chi meglio di un elfo può avere tali caratteristiche? Tu sai scrivere, vero?».

    «Ti faccio vedere subito; prendo uno dei miei quaderni».

    «Nel frattempo posso chiederti il tuo nome, amica mia?».

    «Matilda, Voce della notte: il mio vero nome è Malainirel Tilrian Dalintor, sillabando le prime lettere dei miei tre nomi ho formato un nome che mi sembra carino e così mi faccio chiamare in questo modo. Per quanto riguarda il soprannome, poteva andarmi peggio, quindi mi tengo stretto questo, a ogni modo potevano risparmiarsela quest’usanza. Ecco il quaderno che cercavo, cosa ne pensi?».

    «Interessante: non capisco molto della lingua elfica, ma il tuo stile è davvero il massimo che possa chiedere, scrivi proprio come, anzi, meglio di un uomo adulto. E ora che ci penso, come mai conosci così bene la lingua corrente degli uomini, con la quale mi hai così calorosamente accolto?».

    «Da molto tempo gli elfi insegnano ai loro figli entrambe le lingue, la mia comunità lo motiva affermando che bisognerà farsi capire dagli altri, quando domineremo il mondo. Ma io penso sia un altro il vero motivo, assai più semplice: nessun popolo rinuncerebbe mai volontariamente a una, qual che sia, cultura acquisita e a dire il vero a me piace molto questa lingua».

    «Ma ciò non spiega come mai tu la sappia parlare in modo così corretto».

    «Il mio unico divertimento è leggere i libri che mio padre mi mette generosamente a disposizione, molti di essi parlano di questo idioma».

    «Tutto a mio vantaggio, perché, mentre conosco bene la lingua del mio popolo e quella degli uomini, che da molto tempo osservo, davvero poco so della tua lingua di cui un po’ capisco, ma non saprei parlarla né saprei riferire le parole uguali a quelle sentite pronunciare da qualcun altro. Ma dimmi, povera fanciulla, davvero il tuo unico divertimento è la lettura? Certo, pensandoci bene, è normale che tu passi tutto il tuo tempo in questo modo, visto che qui non ci sono altri bambini con cui giocare».

    «Non temere, eviterò sempre di chiederti di riferirmi qualcosa in lingua elfica, né devi preoccuparti per me; infatti, non avrei comunque tempo per giocare, la maggior parte del giorno devo dedicarla agli studi della magia; potresti chiederti come mai parlo di ‘giorno’ in questa foresta dalla luminosità sempre uguale: il tempo qui è segnato dai rintocchi delle campane che suonano a ogni mezzodì e a ogni mezzanotte».

    «Parli di questi studi come se non li gradissi».

    «All’inizio, quando si trattava di potenziare la magia strettamente legata alla natura, mi piacevano, ma adesso quella che vogliono insegnarmi mi fa paura, essa è troppo potente e fa scomodare entità che dovrebbero essere lasciate in pace; forse mia madre ha ragione quando dice che sono io a non voler crescere».

    «Cosa vuoi dire?».

    «Resto sempre la stessa, non mostro segni di crescita, mio padre è preoccupato e fa tutti gli studi possibili per capire il mio caso, mentre mia madre lo deride, invitandolo a occuparsi di cose più importanti».

    «Tu ritieni che sia questa tua paura a non farti crescere, io invece ti chiederei di imparare il più possibile, perché un giorno potresti aver bisogno di tali conoscenze per salvare il mondo da vari pericoli, compresa l’avidità di potere del tuo stesso popolo: proprio così, salvare il mondo come ha dovuto fare una giovane fanciulla tra gli uomini».

    «Dunque sei qui per questo, vuoi che io scriva per te le gesta di questa fanciulla?».

    «Ti narrerò le sue gesta, le sue parole e i suoi pensieri, se vorrai dedicarmi un po’ del tuo tempo e te ne sarò grato, perché così potrò conservare i miei ricordi, senza la paura di perderli, anche se non so, se il mio coraggio di venire a dirlo a te può essere giustificato da ciò».

    «I suoi pensieri?! Come sarebbe a dire?».

    «Leggere nel pensiero delle altre creature è una mia specialità, se no, come avrei potuto sapere del tuo buon cuore?».

    «Nemmeno io so se tutto ciò vale il rischio di stare tra gli elfi oscuri, ma il tuo coraggio sarà ricompensato, perché io accetto di aiutarti molto volentieri sia perché sono felice di avere un nuovo amico, sia perché voglio sapere come ha fatto una fanciulla a salvare il mondo e soprattutto da cosa l’ha salvato».

    «Adesso sono più tranquillo; non sapevo proprio come chiederti questo favore. Davvero quella che mi hai fatto vedere poco fa è la tua calligrafia?».

    «Perché, forse ne dubiti? In fondo potrai accertartene presto».

    «Giusto, ma prima voglio trovare un buon posto; quel giglio sul davanzale è proprio quel che ci vuole, anche se non capisco come faccia un fiore così bello e delicato a crescere in questo posto nascosto dal sole».

    «Prendo subito il vaso, così da metterlo sul tavolo, ma prima devo togliere il candelabro».

    «Adesso è tutto chiaro: sei tu a dargli la luce e il calore di cui ha bisogno, lo vedo grazie all’intensa aura sprigionata ora dal tuo corpo».

    «Questo è stato il dono di un piccolo amico: un lontano giorno mi trovai a soccorrere una piccola colomba che si era smarrita, forse fuggendo da qualcosa; essa per ringraziarmi, un dì mi portò un seme che decisi di piantare nel vaso che vedi ora, dandogli tutto quello di cui ha bisogno, esso mi dice le sue necessità, lo capisco chiaramente».

    «Tutto ciò è normale, poiché voi elfi avete un rapporto molto intenso con la natura. I suoi petali sono così candidi e vellutati, è una piacevole poltrona, ma devo stare attento a non scivolarci dentro».

    «Adesso mi sembra di parlare davvero a un fiore!».

    «Lo sai che sei ancora più carina quando sorridi?».

    «Oh, grazie. In effetti non mi capita spesso di sorridere…».

    «Le tue parole mi fanno sovvenire alla memoria un fatto curioso e divertente che potei osservare con i miei stessi occhi. Un giorno, infatti, sorvolai il mare, arrivando a quelle che oggi gli uomini definiscono ‘terre scomparse’ e scorsi, vicino ai suoi confini, un immenso giardino ricolmo di fiori di ogni specie e colore; io stavo lì ad ammirare quella meraviglia e a sentire gli stupendi profumi che quel luogo emanava, quando a un certo punto si avvicinò un grosso e muscoloso uomo. All’epoca si trattava per lo più di uomini primitivi e selvaggi, che trovavano sostentamento solamente nella caccia e nella pesca; probabilmente egli era partito dal nostro amato continente, usando una piccola barca trovata sulla spiaggia, forse lasciata lì da qualche elfo avventuriero. Con lui c’era un altro uomo più piccolo e gracile, i due probabilmente erano andati per mare, sostando sulle varie isole, per trovare un buon posto adatto alla pesca e così giunsero in quelle terre che erano abbastanza vicine da poter essere raggiunte in questo modo. Il più piccolo rimase sulla riva a pescare, felice di vedere un mare così pieno di pesci, l’altro decise di esplorare l’interno di quelle terre, fino a raggiungere il meraviglioso giardino. In quel luogo vivevano piccole creature, simili agli elfi, dotate di ali di farfalla, esse si facevano chiamare ‘fatine dei fiori’, perché amavano prendere dimora proprio dentro di essi, facendo a gara con gli insetti per ottenere i posti migliori, senza mai rinunciare a vivere in pace con essi; l’unica regola era: ‘Chi arriva prima si prende il posto’, e tutti rispettavano quest’implicita e semplice regola di convivenza, in fondo c’era abbastanza spazio per tutti. Una di queste piccole fate osservava l’uomo che dimostrava una grande sensibilità verso le cose belle, non riuscendo a trattenere la sua tentazione a raccogliere uno di quei fiori. La fatina svelta si nascose dentro il fiore verso cui l’umano dirigeva la mano e con la sua vocina argentea ella disse: «Non strapparmi dal terreno che mi nutre, se no sarò destinata a morire». L’uomo rimase qualche istante lì fermo, sorpreso da quella voce inaspettata di un linguaggio a lui incomprensibile; arrivando poi alla conclusione che era stato il fiore a parlare, egli scappò via, come inseguito da mille api, per la gran paura, arrivò alla riva e trascinò con sé l’amico verso la barca, allontanandosi in fretta da quel luogo con le imprecazioni del compagno che doveva rinunciare a tutto quello che là il mare offriva. Chissà quali stranezze avrà raccontato in giro di quelle terre, poiché nessuno, tranne rari avventurieri, in seguito mise piede in quel continente e di certo quell’uomo non rientrava in quella lista di avventurieri».

    «Non avevo mai sentito parlare di queste creature prima d’ora».

    «Esse vivevano solamente nelle terre lontane dove, già da tempo, erano assai rare, subendo lo stesso destino di gnomi e folletti diminuiti di gran numero nel tempo; quindi è assai probabile che nessuno qui sappia di questi graziosi esseri».

    «Adesso cerco quel che serve per scrivere il tuo racconto».

    «E io ti illustrerò la mia importante premessa».

    «Ti ascolto».

    «Tu ben conosci questo nostro mondo su cui vivono elfi, uomini e altre forme di vita, con grandi città, piccoli villaggi e immense foreste e sono sicuro che avrai già sentito parlare delle città sotterranee dei nani».

    «Ho letto dei libri su di loro, che illustrano le loro case fatte d’oro e di altri metalli più o meno preziosi e so anche che essi, grazie alle loro tecnologie, riescono a far vivere interi boschi sottoterra, usandoli come veri e propri giardini; essi vivono in clan con diversi nomi, semplicemente per comodità di descrizione; infatti essi si considerano un unico e compatto popolo».

    «Tutto quello che mi hai descritto corrisponde a verità. Infine esiste un terzo regno, situato sopra le nuvole, sconosciuto ai più, di cui dovrò farti una buona descrizione, avendo esso un ruolo fondamentale nel mio racconto».

    «La storia si fa sempre più interessante: prima mi dicevi di una giovane costretta a salvare il mondo intero e ora mi parli di un regno sconosciuto! Ecco il libro che stavo cercando, pieno di bianche pagine che aspettano solo di essere riempite da fiumi di nero inchiostro, che fluttuando daranno vita a tante parole e a tante frasi».

    «Io sono in grado di immedesimarmi perfettamente negli eventi che ho vissuto negli ultimi cento anni, quindi ti narrerò tutte le vicende legate agli anni vissuti dalla nostra protagonista, come se le stessi rivivendo in questo stesso momento».

    «Fantastico! Questo renderà la storia più coinvolgente!».

    «Se sei pronta, apri bene le orecchie e scrivi tutto ciò che d’ora innanzi ti dirò!».

    PARTE PRIMA

    Profezia

    1. SGUARDO ALL’INDIETRO VERSO UN TEMPO ORMAI LONTANO

    Tutto ebbe inizio nella prima era del calendario degli elfi, quando ancora l’uomo non aveva fatto la sua comparsa sul suolo di Xantia. In quei tempi lontani ogni luogo era ricoperto di verde: boschi, foreste e grandi praterie coprivano tutto. Non esistevano città, tutt’al più, attraversando le enormi foreste, si poteva incontrare qualche piccolo villaggio, composto da bianche case marmoree incastonate in un meraviglioso scenario rappresentato dalla natura stessa; lì vivevano piccole comunità di elfi, ma anche questi piccoli agglomerati di poche casette erano assai rari in quel periodo. I nani già allora vivevano nelle caverne sotterranee, dentro le buie cittadine illuminate solamente da una fioca luce tenuta da loro in vita artificialmente; essi di rado si facevano vedere fuori del loro mondo: sembrava quasi che nemmeno esistessero sul pianeta.

    Gli elfi così affermavano già allora di essere state loro le prime creature intelligenti ad apparire su Xantia, ma ciò non è del tutto certo: altre creature intelligenti vivevano sul pianeta in quella lontana era, esse erano di dimensioni ridotte rispetto a un elfo, ma erano di numero superiore. Si trattava degli gnomi, esseri grassottelli dalla lunga barba, simili a nani in miniatura, calmi e pazienti, queste caratteristiche gli conferivano una grande saggezza; poi vi erano le fatine dei fiori, di numero ridotto già allora, a dire il vero, le si poteva descrivere come piccoli elfi, dotati di ali di farfalla, con la capacità di emettere dal loro corpo un’intensa luce fluorescente; infine vi erano i folletti, creature magroline, per la maggior parte con viso glabro, essi come gli gnomi erano di dimensioni tali da poter essere afferrati da una mano chiusa in un pugno di uomo o elfo. Essi, a differenza degli gnomi, erano molto vivaci e impulsivi, ciò li portava spesso in grossi guai, perché non sapevano resistere alla tentazione di scherzare con creature di maggiori dimensioni, tra cui animali potenzialmente aggressivi e facilmente irritabili come i grossi felini dagli affilati artigli abitanti le foreste o ancora i lupi, anche quando questi animali prendevano a loro volta lo scherzo come un gioco da ricambiare risultavano ancor più pericolosi, perché con le loro dimensioni, non lo facevano apposta, ma col loro gesticolare impacciato rischiavano spesso di colpire gravemente noi piccoli esserini; accadeva, in questo modo, che molti di questi folletti giocherelloni facevano una brutta fine, ciò succedeva troppo spesso, a tal punto che tutti i folletti, per la loro sopravvivenza, stabilirono un patto a cui tutti avrebbero dovuto aderire: non ci si sarebbe più dovuto avvicinare a specie potenzialmente pericolose, cioè tutte quelle da noi denominate ‘giganti’. Unica eccezione, preferibilmente da evitare comunque, era rappresentata dai cuccioli delle suddette specie, che non ci avrebbero fatto del male o almeno avremmo potuto difenderci con qualche speranza in più di sopravvivere; il patto diede i frutti sperati: da allora il nostro numero rimase stabile. Trovo invece maggiori difficoltà a spiegare come siano diminuiti gli gnomi col passare del tempo, forse dipende dal fatto che ci sono sempre meno terre disponibili adatte al loro stile di vita, visto che molte foreste ormai non esistono più. In quel periodo, in ogni caso, regnavano pace e armonia tra le diverse specie viventi.

    Le nuvole erano differenti da come le conosciamo oggi: non erano né bianche, che indicassero il bel tempo, né grigie o nere, che portassero con sé tempeste e piogge accompagnate da lampi, tuoni e fulmini; erano invece tutte di un unico colore dorato, come le si può scorgere ai giorni nostri durante i tramonti, quando hanno quella delicata sfumatura giallo-arancione, poco prima di entrare nell’oscurità della notte. Pareva che esse comunicassero con la terra sottostante, erogando a essa acqua a catinelle, ogni qualvolta questa ne avesse avuto bisogno, lasciando invece asciutte terre bagnate poco prima, che non chiedevano nulla; il clima era dovunque equilibrato e, di conseguenza, non venivano a crearsi né siccità né inondazioni.

    Tra i folletti vivevano dieci speciali esemplari contati in tutto il mondo, ai quali il destino non aveva solo dato dimensioni ancor più piccole di un normale folletto né aveva solamente donato loro delle ali di libellula, ma gli aveva anche dato una vita all’apparenza eterna: io sono uno di questi dieci, ancora oggi sono qui a raccontare e descrivere i tempi passati, credo che vivrò fino alla fine dello stesso pianeta in cui vivo e non ricordo di esser stato fanciullo, invero tutti i ricordi precedenti alla prima era li ho persi col tempo che avanza. Forse noi dieci siamo stati un errore o uno scherzo della natura o forse no. Deve essere stato il destino a darci il compito di tramandare ai posteri ciò che noi vediamo, affinché certi sbagli commessi possano essere evitati nel futuro.

    Io ero il più vivace di tutti e avevo già visto tutto il mondo attraverso i miei lunghi viaggi; così un giorno decisi di sfidare me stesso, cercando di volare sempre più in alto. La notte prima ebbi un sogno premonitore (o almeno esso aveva ispirato la mia folle idea) in cui udii una soave voce femminile sconosciuta che mi appariva proveniente da molto lontano, la quale probabilmente doveva essere la manifestazione fisica del destino che in quell’episodio volle a quanto pare essere visibile. È straordinario come esso prenda le proprie sembianze a seconda dello scopo che vuole raggiungere; che si tratti di persuadere o distogliere qualcuno dai propri propositi.

    La delicata voce cantava queste parole, da me ripetute l’indomani, affinché mi tenessero compagnia:

    "Sali, sali, piccola creatura,

    Sempre più in alto vai,

    Attraverso il limpido cielo,

    Dirigiti verso le nuvole dorate,

    Scopri cosa esse nascondon,

    Forse troverai un nuovo mondo,

    Luoghi affascinanti e misteriosi,

    Di cui bellezze e meraviglie potrai cantare,

    Se soltanto lo vorrai".

    Nel sogno arrivai oltre il mio pianeta, mi trovavo nell’immenso universo nero tra vari astri colorati alla ricerca di nuovi mondi.

    Il giorno dopo, semplicemente avrei attraversato gran parte di quel chiaro cielo azzurro d’estate, illuminato da un sole di mezzogiorno, mentre una leggera brezza di vento rinfrescava l’aria e le membra. Desideravo inconsciamente scoprire qualcosa di nuovo che mi potesse stupire, così andavo sempre più su, temevo che sarei stato fermato a un certo punto dalla mancanza dell’aria che effettivamente si faceva sempre più leggera; superate le prime nuvole iniziò anche a girarmi la testa, ma decisi di andar ancora più su a occhi chiusi ormai, quando mi scontrai con una rete di energia magica. Riuscii ad attraversare le sue strette maglie con un po’ di fatica, inoltre la curiosità mi diede nuove forze e rinnovata voglia di proseguire, superai delle nubi di enormi dimensioni, dovendo salire ancora qualche metro per poterle superare del tutto. A un certo punto mi fermai a osservare sbalordito: davanti ai miei occhi si mostrava un tale scenario cui mai avrei creduto se mi fosse stato raccontato, senza che lo avessi visto io stesso.

    Allora davvero esisteva in questo mondo qualcosa che non avevo ancora visto e mi era bastato cercarlo, seguendo un sogno, per scoprirlo!

    Vere e proprie montagne si ergevano dinanzi a me, grandi quanto le più piccole che si trovavano al livello terreno, ma sempre di montagne si trattava, sopra di loro erano ferme delle piccole nubi che, di tanto in tanto, mandavano giù tranquille piogge; su questi monti scorrevano come azzurre linee dei sottili fiumi che scendevano a valle, percorrendo relativamente lunghi percorsi fino a sfociare in grossi laghi.

    Come in una scacchiera il terreno fatto di vapore dorato era interrotto qua e là da grossi quadrati di territorio verde, tutto questo si mostrava chiaramente guardandolo dall’alto. Questi campi erano coltivati con ogni genere di pianta; infatti il clima eternamente temperato e il calore emesso dalle nubi facevano crescere vigorose le piante e i loro germogli, inoltre vi erano anche dei veri e propri boschi, di forma circolare questa volta.

    Tutto sembrava disegnato da una perfetta geometria e, tra una grossa nuvola e l’altra, vi era un grande ponte fatto di vapore quasi solido anch’esso. Ancor più sorprendente fu vedere, sparse qui e lì, delle case fatte con mura di vapore dello stesso colore della nuvola che le sorreggeva, abitate da esseri umani! Creature che allora ancora non conoscevo, simili agli elfi per aspetto fisico, ma avrei presto scoperto che erano differenti nel carattere e nella longevità.

    Proseguendo il mio interessante viaggio, potei ammirare una vera e propria cittadina fatta di tante piccole casette, dove la gente passeggiava felice e spensierata.

    Per le vie c’erano delle bancarelle piene di strani ma graziosi gingilli di ogni genere, belli quanto inutili, probabilmente, ma alle persone piaceva esaminarli con attenzione: vi si potevano trovare gioielli di varia forma e colore, giocattoli, soprammobili, c’erano esposti anche degli sfarzosi vestiti ornati da pietre preziose, fiori e altro. La gente barattava ciò che gli piaceva con altri oggetti o con cibo che non si faceva fatica a risparmiare, perché ce n’era in abbondanza per tutti, grazie al clima favorevole tutto l’anno e al ridotto numero della popolazione.

    Le mura delle case erano fatte di vapore, non dovendo difendere chi vi abitava né dalle intemperie, essendo sempre buono il tempo, né da attacchi di nemici, essendo lassù tutto un unico popolo. La sola funzione delle pareti domestiche era quella di mantenere riservata la vita privata di ognuno.

    Esistevano in quel regno molte specie di uccelli che vivevano nei boschi, aventi il compito di mantenere basso il numero degli insetti proliferanti dappertutto; di mammiferi, invece, vi erano solamente animali erbivori raggruppati in pascoli, come gli ovini e i bovini, o viventi in piena libertà, come conigli e altre creature simili; da notare che una particolare specie di equino, mai esistita sulla terra di Xantia, aveva un piccolo numero di rappresentanti lassù e si trattava di animali meravigliosi a vedersi; erano dei bianchi cavalli alati, le loro ali erano simili a quelle dei cigni ma di dimensioni maggiori, ben proporzionate rispetto al corpo della creatura che ne era dotata.

    La vita sociale era molto attiva: le persone si riunivano per strada a discutere allegramente oppure ci si riuniva in luoghi pubblici come le taverne per gli adulti e le grandi sale da gioco per i bambini che là potevano scatenare tutta la loro energia ed esprimere la loro fantasia e creatività. Si giocava a rincorrersi, a nascondino, si ballava, cantava e qualcuno si dilettava a recitare racconti e poesie, nelle varie stanze si trovavano giocattoli in gran quantità: bambole, animali di legno o di pelo, pezzi di legno da costruzione, libri e altro. Fuori vi era un cortile coperto d’erba, dove era possibile trovare altalene, scivoli e piscine ripiene di palline, dunque ci si poteva divertire in infiniti modi! Quando una madre portava per la prima volta il proprio bambino in quel luogo di compagnia e divertimento, per incoraggiare il figlio poco propenso a dividersi dalla mamma, ella gli diceva:

    "Figlio mio

    Che ancor così piccino sei,

    Divertiti e goditi la spensieratezza finché puoi,

    Perché anche tu,

    Crescer un giorno dovrai.

    Adesso l’amicizia devi trovare,

    Mentre l’affetto di tua madre già hai.

    Dunque non ti lamentare,

    Ma va’ felice

    A conoscer tanti nuovi amici".

    Il bambino dopo queste parole si convinceva ad andare, perché sapeva che niente avrebbe fatto cambiare idea alla madre; presto l’avrebbe ringraziata per tale ‘costrizione’, perché quello era un luogo felice, dove avrebbe presto fatto tante nuove conoscenze destinate col tempo a trasformarsi in solidi legami di amicizia.

    Il lavoro era una festa continua: si trattava soprattutto di coltivare e raccogliere cibo per la comunità, soprattutto la raccolta era un momento apprezzato un po’ da tutti. Tutto si faceva cantando e le parole più ricorrenti erano:

    "Grazie natura

    Per i dolci frutti che ci offri,

    Da divider tra tutti i figliuol tuoi,

    Perché tu con noi

    Come una madre benevola ti comporti,

    E così sempre sarà

    Fin quando con rispetto tratterem tutti i nostri fratelli,

    Questo è quel che vuoi,

    Perché tu ami allo stesso modo,

    Tutti i figli tuoi".

    C’erano inoltre quelli che si dirigevano verso le montagne, per trovare metalli e pietre preziose da lavorare e rivendere finiti nelle bancarelle del mercato cittadino.

    "Alla ricerca di pietre colorate e splendenti

    Noi andiam

    Per decorare collane e anelli

    Così felici le fanciulle rendiam

    Grazie a questi gioielli,

    Che con gioia e affetto per tutte loro creiam".

    Persino il momento in cui si salutava qualcuno che lasciava questo mondo per sempre era affrontato con grande serenità e una leggera allegria si mescolava alla mesta tristezza e malinconia inevitabili in una tal situazione; il defunto veniva trattato con tutti gli onori senza troppe preoccupazioni, perché le credenze popolari dicevano che egli sarebbe andato in un mondo ancora migliore di quello che abbandonava, essendo esso eterno non avrebbe più dovuto dunque sopportare ancora il misterioso passaggio della morte, forse più angosciante per chi rimaneva in vita, che rimaneva così ignaro di ciò che in realtà accade dopo. Di certo non ci si preoccupava di eventuali punizioni ultraterrene visto che nessuno compiva mai malefatte, non essendocene motivo. Per il defunto si organizzava un’ultima grande festa di addio. Si iniziava di buon mattino in cui si svolgeva una processione, più o meno lunga, a seconda del luogo in cui il defunto dimorava in vita.

    "Caro amico

    Eccoti per l’ultimo viaggio,

    Del tuo corpo mortale,

    Che ormai l’anima ha lasciato,

    Per seguire liberamente il destino speciale".

    Egli veniva portato in un posto fatto di brulla terra, dove veniva cremato il suo corpo, lasciato bruciare da un’intensa fiamma; questa usanza potrebbe sembrare rude, per chi, ai nostri giorni, quaggiù, usa la sepoltura; ma ciò era dettato per lo più da motivi di igiene e di spazio; questo rito veniva fatto con estrema serietà, perché era considerato un momento sacro. Qui si preparava l’anima al lungo viaggio, chiedendole:

    "Oh anima, che qui sei stata tanto nobile,

    Precedici in questo misterioso viaggio,

    E prepara per tutti noi,

    Che ora ti salutiamo,

    Un posto vicino a te".

    Le ceneri venivano portate in una zona dove crescevano gli alberi e lì erano sparse con un augurio:

    "Ecco natura, ti ridiamo il corpo di uno dei tuoi figli,

    Affinché il suo spirito interceda verso te, per noi,

    Perché tu continui sempre a essere buona e generosa,

    Con tutte le creature, che un giorno hai deciso di mettere in questo mondo".

    La sera si sarebbe svolto un grandioso banchetto, idealmente presieduto dal defunto per salutare tutti i suoi ospiti, alla fine del quale si faceva un grande brindisi, per salutare quell’anima che ormai doveva mettersi in viaggio. Le veci di chi ormai non c’era più erano prese dal re in persona, il quale partecipava a tutte le manifestazioni di massa.

    Gli esseri umani hanno sempre sentito la necessità di un capo carismatico che facesse loro da guida; forse si sentivano più sicuri e comunque sempre avevano bisogno di qualcuno che potessero considerare superiore da poter venerare, così, anche questo regno, senza nemici né pericoli, aveva un re. Il sovrano girava liberamente e senza scorta tra i suoi sudditi e accontentava chiunque gli volesse stringere la mano, ciò accadeva spesso, perché questo gesto era considerato un auspicio per la propria fortuna e prosperità. A difesa del sovrano comunque vi era un imponente esercito sparso per le vie della cittadina dove egli risiedeva, all’inizio puramente ornamentale e simbolico dell’importanza dell’istituzione che era destinato a proteggere, per questo già composto da un elevato numero di membri.

    Vi erano ammessi sia uomini che donne, il loro motto è sempre stato: più si è, meglio è, ma soprattutto si credeva che l’esercito fosse più efficiente se tutti fossero, e lo sono, volontari. Poche donne in realtà decidevano di intraprendere questa carriera, perché le altre in genere preferivano altri mestieri, mentre molti uomini si arruolavano ai tempi in cui era impensabile un reale pericolo, per mostrarsi insigni del loro apprezzabile ruolo.

    I più grandi supervisori maestri strateghi dicevano delle poche iscritte: Hanno maggiore difficoltà ad accettare ordine e disciplina, ma non appena riescono a padroneggiare questo controllo, insieme all’uso delle armi, risultano molto efficienti.

    In compenso dentro l’esercito erano soprattutto le donne ad avere particolare interesse ad assimilare nozioni di medicina, in contemporanea all’esercizio puramente militare, dimostrandosi unità particolarmente utili.

    La stragrande maggioranza dei guaritori, oltre che da maghi, era composta da donne, mentre erano davvero pochi gli uomini specializzati, in tutto o in parte, in questa disciplina.

    Più si è e meglio è, ma comunque ognuno aveva tutto il diritto di poter scegliere il proprio modo di vivere come gli pareva, per quanto potesse essere pericoloso, se mai a quei tempi ci fosse stato qualcosa di veramente pericoloso;

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