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Esperienze di analisi del jazz: Armstrong, Parker, Cesàri, Monk, Mingus, Intra, Soft Machine
Esperienze di analisi del jazz: Armstrong, Parker, Cesàri, Monk, Mingus, Intra, Soft Machine
Esperienze di analisi del jazz: Armstrong, Parker, Cesàri, Monk, Mingus, Intra, Soft Machine
E-book437 pagine4 ore

Esperienze di analisi del jazz: Armstrong, Parker, Cesàri, Monk, Mingus, Intra, Soft Machine

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Info su questo ebook

Il volume raccoglie una serie significativa di saggi analitici sul jazz di Vincenzo Caporaletti, in parte inediti, in parte già pubblicati, ma ampliati e aggiornati nelle analisi per questa nuova edizione. Dopo aver indagato le problematiche legate agli approcci analitici, alle strategie di analisi e alla trascrizione della musica jazz, l’autore affronta i più importanti maestri del jazz attraverso lo studio di singoli pezzi musicali, dei quali si sottolineano di volta in volta gli aspetti più significativi (per es. la trascrizione nel caso Armstrong, il ritmo nel caso di Monk). Ampio spazio è dedicato a due innovativi pianisti jazz italiani: Umberto Cesàri ed Enrico Intra.
LinguaItaliano
EditoreLIM
Data di uscita8 feb 2023
ISBN9788855432221
Esperienze di analisi del jazz: Armstrong, Parker, Cesàri, Monk, Mingus, Intra, Soft Machine

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    Anteprima del libro

    Esperienze di analisi del jazz - Vincenzo Caporaletti

    Grooves

    Collana di Studi Musicali

    Afro-Americani e Popular

    1

    Elaborato e preparato per la stampa con OpenOffice.org

    © 2007 Libreria Musicale Italiana

    Lim srl, via di Arsina 296/f,

    I-55100 Lucca, P.O.Box 198

    lim@lim.it, www.lim.it

    ISBN 978-88-5543-222-1

    Versione digitale realizzata da Streetlib srl

    SOMMARIO

    Preface (Lewis Porter)

    Premessa dell’Autore

    Pubblicazioni originarie degli articoli editi

    Criteri di redazione per i riferimenti musicali

    ESPERIENZE DI ANALISI DEL JAZZ

    I. L’analisi del jazz: questioni di metodo e teoria

    Il PAT, la CNA e la questione dello statuto testuale

    Approcci analitici

    Trascrizione come primo livello di analisi

    Strategie di analisi

    Le analisi di questo volume

    II. La trascrizione di G. Schuller della cadenza di Louis Armstrong in West End Blues [1928]: una riscrittura critica

    Problematicità dei processi di trascrizione in notazione

    Trascrizione come analisi: la cadenza di West End Blues.

    III. Miniature audiotattili. I break di Charlie Parker nelle 24 incisioni di Night in Tunisia

    Premessa

    Analisi

    Filologia dei break: autenticazioni e datazioni

    IV. Begin the Beguine [1950] del Trio di Umberto Cesàri

    Introduzione

    Antecedenti

    Analisi

    Il bandolo: filologia dei tratti formali

    V. Stratificazione metrica e modularità costruttiva in Straight No Chaser di Thelonious Monk

    Introduzione

    Lo statuto fenomenico dell’opera audiotattile

    Analisi: considerazioni metodologico-operative

    Elementi preliminari di sintassi ritmica della musica africana

    I livello: individuazione delle stratificazioni metriche

    La dissonanza metrica come generatrice di moduli costruttivi (II livello)

    III livello: la struttura organizzativa delle unità modulari

    VI. Le modulazioni temporali nella musica di Charles Mingus. L’esempio di Serenade In Blue [1955]

    Introduzione

    Analisi

    VII. Dal cliché all’Archetipo di Enrico Intra

    Introduzione

    Modalità creativo/performative e contesto culturale

    Analisi del piano immanente

    VIII. Out-Bloody-Rageous [Soft Machine, «Third», 1970]. La logica dialettica della musica audiotattile

    Introduzione

    Analisi di Out-Bloody-Rageous

    Due questioni preliminari

    Parte Strumentale I

    Parte Strumentale II

    Strategie performative, percettive e modelli di ricezione

    Ascendenze stilistiche e processi creativi

    IX. La trascrizione fa bene all’analisi?

    Riferimenti Bibliografici

    Discografia

    Indice dei nomi

    PREFACE

    Vincenzo Caporaletti is doing some of the finest work in jazz analysis today. It helps that he is a guitarist himself who studied with Joe Pass and performed with Tony Scott, among others. This has given him insights into the music that are not available to those who don’t play an instrument, or who do play but have not improvised. Professor Caporaletti has thought long and hard about the special challenge of analyzing improvisation. As with classical music, in order to improvise well one must have many years of study and practice. However, where a classical musician can take many months to produce a work, the jazz artist must do so in one take, on the spot, and in public. So the methods of analysis that we use to discuss jazz must reflect the unique manner in which we create the music.

    This volume collects some of Professor Caporaletti’s work. The first chapter introduces his approach to analysis, and it sets the stage for the chapters that follow. As he explains, he is interested in a broad-based look at improvisational music that takes into account audio-tactile and neurological features. After that, each chapter of the book is a study of one particular piece of music. This collection makes a coherent whole, as it covers some of the most important masters of jazz, Louis Armstrong, Charlie Parker, Thelonious Monk, and Charles Mingus. In each case, Caporaletti deals with a significant issue – for example, transcription in the case of Armstrong, rhythm in the case of Monk – that has broader significance for the study of jazz and of music generally.

    For centuries, Italy has produced some of the greatest musicians in the world, and jazz is no exception. So it is significant that Caporaletti also devotes two chapters to innovative jazz pianists of his country. The legendary Umberto Cesàri is only recently being rediscovered. The other artist, Enrico Intra, is, thankfully, a delightful gentleman and very much with us, and still very active as an educator, performer and composer. As is well known, Intra’s fascinating career runs from performances of straight ahead jazz in the 1950s to avantgarde jazz and composition.

    As can be seen by this summary, Professor Caporaletti himself is interested in a great variety of music, and he is in addition one of the only scholars to have made a specialty of works that bridge the divide between jazz and pop, and to discuss the constant interactions between those types of music. His chapter about the pioneering group Soft Machine exemplifies his work in this area.

    In Chapter IX, he returns to the question of transcription, pointing out that the quality of the transcription will have a great effect, good or bad, upon the analysis. By the end of the book, the reader will have gained an understanding of many kinds of music, from many different angles, and always with an historical perspective. There is much to learn from the work of Vincenzo Caporaletti.

    Lewis Porter

    Professor of Music, and Jazz Pianist

    Rutgers University

    Newark, New Jersey, U.S.A.

    May 2007

    PREMESSA DELL’AUTORE

    Questo volume raccoglie una serie significativa di miei saggi analitici sul jazz, alcuni dei quali in parte o in toto già pubblicati. Le analisi sono tutte presentate in nuove versioni, variamente rimaneggiate e integrate. In particolare, nell’analisi di West End Blues di Armstrong vi sono correzioni di refusi, aggiunte e modifiche sostanziali rispetto alla versione edita; parimenti lo studio su Parker presenta aggiustamenti negli esempi musicali rispetto alla versione apparsa su «Musica Oggi» e diverso editing in confronto a quella su «AAA TAC»; in quello su Cesàri, sono emendati i numerosi errori di stampa che compromettevano nella pubblicazione originaria la comprensione del testo, e in particolare la corretta decodifica degli accordi siglati; nell’articolo su Mingus, tutti gli esempi sono stati ritrascritti in note reali; lo studio sui Soft Machine appare in versione integrale (nel sito Internet della Facoltà di Musicologia di Pavia/Cremona è pubblicata solo la seconda delle tre parti). Sono totalmente inediti, invece, L’analisi del jazz: questioni di metodo e teoria; Dal cliché all’Archetipo di Enrico Intra e il conclusivo, La trascrizione fa bene all’analisi?

    Pubblicazioni originarie degli articoli editi

    Stratificazione metrica e modularità costruttiva in Straight No Chaser di Thelonious Monk, «Musica Theorica Spectrum», Curci, n. 2/3, Maggio/Settembre, 2002, pp. 32-51. Le modulazioni temporali nella musica di Charles Mingus. L’esempio di Serenade in Blue, «Musica Oggi», vol. 22, 2002, pp. 48-61. "Begin the Beguine" del Trio di Umberto Cesàri: la matassa e il bandolo, in S. Zenni (a cura di), Il pianista invisibile. Vita e opere di Umberto Cesàri, Chieti, Fondazione Carichieti-Società Italiana di Musicologia Afroamericana, 2003, pp. 36-67. La trascrizione di G. Schuller della cadenza di Louis Armstrong in West End Blues (1928): una riscrittura critica, «Musica/Realtà», LIM, n. 74, Luglio 2004, pp. 87-100. Evoluzione di un volo. Il Famous Alto Break nelle 24 incisioni parkeriane di Night In Tunisia, in Atti del Convegno Internazionale Charlie Parker e la nascita della tradizione moderna del jazz, Milano, Università Bocconi, luglio 2005, «Musica Oggi», n. 24, 2006, pp. 44-64. In una versione diversa il saggio è apparso come: Miniature audiotattili. I break di Charlie Parker nelle 24 incisioni di Night In Tunisia, «Acoustical Arts and Artifacts. Technology, Aesthetics, Communication», vol. 3, 2006, pp. 97-111. "Out-Bloody-Rageous" [Soft Machine, «Third», 1970]. La logica dialettica della musica audiotattile. [I Parte], in G. Borio e S. Facci (a cura di), Atti del Congresso Internazionale «Composizione e sperimentazione nel rock britannico – 1966-1976», Cremona, Facoltà di Musicologia, ottobre 2005, «Philomusica Online», Firenze University Press, 2007.

    Criteri di redazione per i riferimenti musicali

    Per la denominazione delle note è stata utilizzata la solmisazione italiana, con la nota in minuscolo e carattere corsivo.

    Esempio: la³; si ⁴; (do centrale = do³).

    Per le tonalità, le scale e i modi è stata utilizzata la solmisazione italiana con nota in maiuscolo e carattere tondo.

    Esempio: Do maggiore; La minore melodica; Re dorico.

    Per l’indicazione dei dispositivi accordali/armonici, in ragione della specificità che essi assumono nel contesto jazzistico, popular e audiotattile in generale, si sono mantenute la solmisazione e siglatura anglosassoni, in carattere tondo.

    Esempio: E min(maj7); D min7( 5).

    Il singolo tempo all’interno della battuta è indicato con rispettivo numero in apice.

    Esempio. batt. 55³.

    Riassumendo i vari criteri, si scriverà, quindi: «A batt. 55⁴, il punto culminante do⁵, nella sezione basata sull’accordo di C Maj7( 11), è da intendersi come finalis modale nel modo di Do lidio».

    V.C.

    A mia figlia Elena

    ESPERIENZE DI ANALISI DEL JAZZ

    I. L’ANALISI DEL JAZZ: QUESTIONI DI METODO E TEORIA

    L’esperienza analitica della musica jazz presenta aspetti particolarmente problematici, proponendo, oltre alle tradizionali questioni epistemologiche implicate dall’analisi musicale in sé,¹ una serie ulteriore di nodi teorici. Tra questi, in particolare, la definizione del campo operativo/semantico ritagliato dalla nozione di jazz all’interno dello stesso percorso storico della musica afro-americana e, non secondariamente, l’individuazione delle specificità e prerogative di questo campo rispetto sia alla musica di tradizione scritta occidentale sia ai repertori e alle pratiche musicali delle culture tradizionali orali.

    La mia teorizzazione delle musiche basate sul principio audiotattile (PAT) [Caporaletti 2000; 2004; 2005], a ben vedere, propone una risoluzione di entrambe le questioni. Considerando la costellazione dei repertori canonizzati sotto l’etichetta jazz come un sottoinsieme di quello costituito dalle più generali attribuzioni fenomenologiche della musica audiotattile, sempre tenendo presente la coordinazione degli assetti strutturali con una visione più ampia delle peculiarità antropologiche, si possono porre in evidenza i caratteri condivisi da un variegato corpus di declinazioni stilistiche, riconducibili a determinati aspetti operativo/strutturali. Nel contempo, individuando i meccanismi di funzionamento poietico/estesici [Nattiez 1975] e le attribuzioni estetiche di tale campo, si possono predisporre finalmente le condizioni per attivare oggettivi criteri comparativi interculturali, sia nei confronti della musica cólta euro-americana sia rispetto alle produzioni ed espressioni delle culture tradizionali.

    Rimando ai testi citati per una discussione approfondita di queste tematiche e per la descrizione dei capisaldi dell’infrastruttura teorica correlata (tra cui il medium costituito dal principio audiotattile, la codifica neoauratica, la nozione di estemporizzazione). In questa sede, a fronte di un sintetico richiamo di questi concetti, discuterò più estesamente di alcuni aspetti più direttamente connessi con l’operatività analitica, tra cui l’accesso privilegiato al documento registrato attraverso una particolare metodologia trascrittiva; la sua specifica valenza analitica; la questione della caratterizzazione delle fonti; lo statuto testuale; la validità applicativa di metodologie consolidate ai repertori e pratiche in oggetto. Rinvio, inoltre, ad ulteriori riferimenti metodologici all’interno dei singoli capitoli di questo volume.

    Il PAT, la CNA e la questione dello statuto testuale

    Prima di dedicarci alle questioni metodologiche, bisogna almeno indicare alcuni punti di riferimento teorico, altrimenti la peculiare modalità di esercizio analitico sul jazz rischia di perdere la propria direzionalità. La specificità delle musiche che definisco audiotattili risiede in una doppia serie di valenze. La prima riguarda il potenziale poietico, caratterizzato dallo specifico medium (principio audiotattile) che influenza il modo in cui la musica viene conosciuta, rappresentata e prodotta, e, la seconda, la messa in forma, il processamento tecnologico (fonografico) della produzione segnica musicale nella mediazione comunicativa.

    Coerentemente con la concezione di mediazione culturale (medium) presente nella linea di riflessione socio-antropologica della cosiddetta scuola di Toronto,² assume un ruolo fondamentale la cogenza esercitata dai principi epistemici inglobati nell’assetto mediale, con cui un dato costrutto culturale è prodotto e comunicato, sulle valenze materiali e simboliche del costrutto stesso. Per esemplificare la mia personale applicazione di questo paradigma allo specifico musicale, in estrema sintesi, se si sostituisce costrutto con la nozione di musica euroculta, e assetto mediale con il sistema logico-simbolico della notazione e teoria musicale occidentale, si ottiene una prima approssimazione del concetto che voglio illustrare. Continuando con questo esempio, se si satura la valenza di assetto mediale con quella di formatività corporea audiotattile, sempre intesa come medium cogente e non ininfluente, si ritaglierà un costrutto culturale contraddistinto da radicali differenze rispetto alla musica euroculta.

    La definizione audiotattile si riferisce appunto alla qualificazione delle produzioni musicali non appartenenti alla tradizione scritta occidentale caratterizzata dallo statuto nomologico della partitura (pressappoco dal periodo classicoromantico alla prima metà del secolo XX). Il principio audiotattile, in prima istanza, si configura come il medium somato-psichico, alternativo rispetto al medium notazionale, attraverso cui avviene la costituzione testuale di tali repertori, sul piano generativo e ricettivo. Esso consente la produzione di nessi formali, di tipo processuale, di grande pertinenza in queste formazioni musicali [Caporaletti 2000]. Cito tra gli altri i fenomeni dinamico-ritmico-timbrici che si polarizzano attorno alle nozioni emiche di swing e groove nel jazz e rock, di laya nella musica indiana, repriz nella musica della Guadalupe, balanço nella musica brasiliana: elementi assenti nell’immagine estetica della musica euroculta, anche in quanto non codificabili attraverso il medium notazionale. Sulla base delle concezioni mediologiche della scuola di Toronto, la nozione di PAT travalica, quindi, la mera produttività fisico/corporea (anche la musica euroculta, infatti, si avvale di una mediazione corporea, nella riproduzione del testo composto processato dai dispositivi notazionali), investendo, oltre alla sfera della pragmatica musicale, quella della cognizione ed immaginazione creativa, e promovendo uno specifico modo di conoscenza e di rappresentazione del fatto musicale.

    In questo senso, vi è un’affinità fenomenologica tra le musiche delle culture tradizionali orali, tribali e popolari, e quella della società di massa contemporanea, basata sulle applicazioni della tecnologia elettronico-informatica. La differenza si situa nella seconda serie di valenze cui mi riferivo, inducendo una riflessione sulla natura dello specifico statuto testuale.

    Quest’ultimo presenta aspetti molto problematici nelle culture tradizionali. Qui si stempera in una serie di dinamiche performative che attengono a sfere extramusicali, non riuscendosi a definire oggettivamente quale unità testuale una cultura consideri propriamente, se non all’interno di un campo di dispersione attivato da varianti e variazioni [cfr. Giannattasio 1987]. Queste sono caratterizzate per di più da provvisorietà fenomenologica, inserite nel flusso evenemenziale senza una statutaria modalità di codifica exosomatica [La Matina 2004] predisposta culturalmente. È un processo che incide notevolmente sui criteri di analisi delle produzioni musicali delle culture tradizionali, difficilmente riconducibili ad una testualità univocamente definita: come ricordava Béla Bartók [1955, p. 267], dal momento che il canto popolare presenta notevoli varianti, la trascrizione stessa, e l’analisi, sono condizionate e quasi rigettate nella loro essenza funzionale oggettivizzante da questa tendenziale fluidità della forma dell’espressione.

    Diverso il discorso appare per i sistemi simbolici cui riservo la denominazione di musiche audiotattili, in cui il principio audiotattile, pure attivo nelle musiche delle culture orali tradizionali, è processato nel medium video-fonografico in modo analogo alla compitazione della unità nucleare sonora effettuato dalla funzione semiografica. Si può dire, suggestivamente, che la registrazione sonora si configura come la scrittura, attraverso un filtro indicizzato, del principio audiotattile. In questo senso genera delle unità di testo performativo, costituite nella volatilità della mediazione psichico-corporea, procurandone una fonofissazione. Non credo occorra rimarcare ulteriormente l’importanza della funzione testualizzante del disco ai fini degli sviluppi dell’improvvisazione nel jazz e non solo [cfr. Caporaletti 2005], o il valore testologico nel jazz e nella cosiddetta popular music di ogni singolo brano registrato, inteso nella sua qualità di opera audiotattile.

    In altri termini, possiamo dire che nella produzione di alcuni repertori e sistemi di pratiche musicali basati sul principio audiotattile, assume un ruolo cruciale il processamento dei testi (siano essi scritti o solo performativi, o una mediazione tra i due) operato dalla registrazione sonora; ne deriva uno statuto testuale definitivo, che agisce in un senso per molti versi omologo (anche se qui saldamente radicato nella dimensione evenemenziale/audiotattile) alla fissazione notazionale della progettazione di lunga durata, tipica della composizione scritta individualizzata.³ L’utilizzo intenzionale del medium di registrazione sonora come strumento creativo ingenera, nelle musiche audiotattili, importanti conseguenze d’ordine cognitivo: queste si riflettono sulla loro immagine estetica, anche nella dimensione puramente esecutiva, come carattere distintivo rispetto alle musiche delle culture tradizionali. Il complesso di queste dinamiche estetiche, che promovono nella creazione basata sul PAT i fattori di originalità creativa del performer e della valenza artistica dell’artefatto, e la conseguente percezione estetica del fruitore, ponendola in stretta relazione con i criteri fondanti dell’estetica moderna, è stato da me ricondotto alla nozione di codifica neoauratica (CNA) [cfr. Caporaletti 2004; 2005, p. 121 sgg.], in senso antifrastico rispetto alla concezione della perdita dell’aura nell’opera d’arte in regime di replicabilità tecnologica, così come teorizzata da Walter Benjamin [1936]. Se è indubitabile, infatti, che con la riproducibilità tecnica si debba rinunciare all’hic et nunc dell’opera, è altrettanto vero che gli aspetti riconducibili al principio audiotattile trovino nella registrazione (video)sonora il mezzo per una fissazione di alcuni indici significativi delle qualità processuali/evenemenziali, che ricostituiscono per queste formazioni musicali un nuovo modello di auraticità attraverso il supporto tecnologico.

    Approcci analitici

    Il richiamo di queste sintetiche indicazioni teoriche si rivela necessario ai fini della presente discussione, in quanto definiscono uno scenario decisivo per la teorizzazione di metodologie analitiche. Ora, se nelle musiche di tradizione orale la questione della praticabilità dell’esercizio trascrittivo appare complicata dalla difficile reperibilità dello statuto testuale, per le musiche audiotattili, specialmente per quelle intenzionalmente codificate nel medium fonografico, il problema si pone in un’ottica del tutto diversa. Qui abbiamo delle configurazioni testuali addirittura più precise e informative rispetto ai testi depositati in notazione, in quanto nella fissazione fonografica appaiono incriptati indici processuali [Keil 1966] non reperibili nel dettato semiografico (si considerino i valori fonico-materici connessi al tocco individuale, la spinta propulsiva nello swing, ecc.). Quanto al tasso di variabilità testuale presente nelle incisioni relative ad alcuni repertori (alternate take, versioni live dello stesso brano registrato, ecc.), il problema è facilmente risolvibile. Queste variabili saranno in certi casi un numero elevato, ma non infinito, ed ognuna soggetta a CNA (ad es., le registrazioni pervenuteci dei break in Night in Tunisia eseguiti da Charlie Parker in tutta la sua carriera sono ventuno, quelle delle cadenze introduttive di Louis Armstrong a West End Blues solo otto: come tali facilmente riconducibili ad un quadro di controllo esaustivo). Nel caso di artisti che hanno completato la propria traiettoria artistica, le differenti versioni saranno depositate in un corpus di registrazioni ormai delimitato, non più soggetto ad ampliamento,⁴ mentre, di converso, le varianti regionali/locali del repertorio orale sono difficilmente mappabili.

    Come si può notare, processi e dispositivi tipici delle musiche di tradizione orale e della musica d’arte occidentale di tradizione scritta si compenetrano, definendo la dimensione estetica delle musiche audiotattili. I criteri di analisi dovranno di conseguenza tener conto di queste caratteristiche sincretiche.

    Come prima conseguenza, si pone il problema delle fonti di riferimento filologico. I processi di CNA definiscono una testualità discografica, facendo della registrazione audio(visiva) il testimone primario dell’investigazione.

    In connessione con questa problematica, si pongono le questioni dell’accesso al testo fonografico, che in questo caso si trovano a dover tenere conto delle implicazioni della CNA. A fronte di uno statuto testuale normativo, e non meramente documentale, il momento della trascrizione notazionale deve farsi carico del valore veritativo delle componenti strutturali dell’opera incise su supporto fonografico, e non considerarle all’interno di un’ideologia dell’oralismo e della testualità fluttuante, con tutto quanto ne deriva. I processi di CNA nel jazz e nella musica popular pongono al trascrittore rilevanti problemi deontologici. Certamente, l’accesso trascrittivo al documento sonoro dipende di volta in volta dalla finalità dell’interesse analitico, ma è lecito chiedersi: si può documentare in trascrizione il senso della musica, poniamo, di John Coltrane, senza tener conto di quanto realizzato nell’interplay da Elvin Jones? Oppure, in termini più generali: è possibile ignorare il lavorìo ritmico timbrico/dinamico dei batteristi, come accade di regola – estrapolando in un’improvvisazione jazz o rock il sostrato melodico, magari sovrapponendovi delle indicazioni di massima armoniche – in un genere musicale dove per universale riconoscimento la dimensione ritmica è esteticamente e pragmaticamente preponderante? La mia risposta è, ovviamente, no.

    Conseguenza di questa riflessione è che la trascrizione deve essere caratterizzata da un intendimento filologico. Non è possibile, quindi, commettere l’errore – purtroppo più diffuso di quanto si creda – di scambiare per fonte primaria una trascrizione tratta da una pubblicazione motivata da interessi economico/commerciali o da finalità didattiche. Il criterio filologico nella trascrizione di musica audiotattile, sia jazz, rock, o via dicendo, impone degli standard diversificati, nel senso di una trascrizione integrale ad alta definizione parametrica, dove sia documentato il farsi interattivo e contestuale della performance. Un corollario di questo criterio è che ai fini di una ricognizione analitica, nel caso di utilizzo di trascrizioni già edite, bisogna sottoporre anche i documenti ritenuti più affidabili ad un lavoro di verifica e revisione critica in sede stessa di analisi.

    Tra i vantaggi di una simile concezione trascrittiva vi è la risoluzione radicale dell’annoso problema della corretta decrittazione armonica nei processi interattivi in the course of performance. Come noto, nella performance jazzistica le armonie originali del brano sono modificate e interpretate liberamente, sia pure all’interno di precisi codici stilistici. È oltremodo improprio, quindi, estrapolare la linea melodica del solista presupponendo gli accordi del brano precomposto, come spesso accade di vedere: la situazione reale non corrisponde a quanto appare in trascrizione, per quanto accurata questa possa essere. Il criterio delle sostituzioni armoniche estemporanee genera un livello di scambio energetico tra middleground armonico e foreground melodico per cui l’uno è nello stesso tempo precondizione ed effetto dell’altro (come è anche vero, in certi casi, che le due dimensioni restano del tutto irrelate). Ad ogni buon conto, l’unica soluzione scientifica è l’annotazione delle effettive armonie realizzate, con la corretta disposizione delle parti nel voicing specifico realmente eseguito. In ambito analitico vanno evitate, quindi, le sigle armoniche, utilizzabili invece in una trascrizione didattica prescrittiva; inoltre, l’annotazione è opportuna in note reali, anche per gli strumenti traspositori. Le illusioni auditive psico-motorie, altrimenti dette ghost notes, possono essere indicate con l’altezza percepita tra parentesi o annotando la grafia della testa della nota con una x.

    Un’ultima osservazione, a proposito dei processi di codifica cognitiva dello spazio acustico. Il mito del trascrittore automatico, che Charles Seeger negli anni Cinquanta cercò di rendere tangibile con il perfezionamento del Melograph (Modello C), si rivela fallace, se non altro, per un motivo in particolare. Se pure possiamo definire tecnologicamente con un margine di approssimazione l’altezza di un suono, riferibile a parametri oggettivi frequenziali (lasciamo stare la questione della discriminazione delle note effettivamente eseguite in un aggregato armonico), nessun software ci fornirà informazioni incontrovertibili sulla sua esatta collocazione nello spazio metrico (o, in altri casi, nelle strutture non metriche) con cui concettualizziamo il rapporto tra ritmo e tempo. Questo aspetto è frutto di una nostra decisione, e attiene al modo stesso di categorizzazione del dato sonoro.

    Trascrizione come primo livello di analisi

    La trasposizione in notazione convenzionale, o in altro codice grafico, del fatto musicale performativo-creativo la cui testualità non sia dipendente da una funzione normativa di tipo compitazionale [Goodman 1968], ossia, di un’esecuzione musicale che non disponga di una partitura scritta,⁷ è già di per sé un approccio analitico, in quanto formalizza visivamente l’esperienza auditiva del fenomeno.

    Per la trascrizione della musica jazz o, più in generale, audiotattile, ho elaborato una particolare metodologia⁸ basata sulla notazione convenzionale, che acquisisce nuova identità sulla base della videoscrittura informatica e dell’uso del relativo controllo sonoro: si può definire videotrascrizione musicale (trascrizione in videoscrittura con il sistema misto notazionale/parametrico). Integrando all’interno del convenzionale processo trascrittivo tratti di informazione relativi al timbro, alla dinamica, ai modi di attacco, alle stesse condotte normative di suddivisione del tactus, questo sistema ha il vantaggio di rendere l’interfaccia informatica meno criptica di quanto accade, ad es., per i sonogrammi, che offrono un tipo di informazione non codificato notazionalmente. Per le specificità sincretiche notazionali-informatiche di questo modello operativo di trascrizione, la dicotomia tradizionale tra approccio descrittivo e prescrittivo⁹ [Seeger 1958] sembra riformularsi.

    Bisogna subito chiarire che non si tratta di un protocollo di trascrizione automatica, ma nemmeno di un utilizzo neutro della tecnologia semiografica informatica. La videotrascrizione permette la proiezione nella sfera bidimensionale acustica della tradizionale operazione monodimensionale di annotazione visuale; non incide direttamente sulle scelte del trascrittore, cui resta demandata la responsabilità di programmare le opportune opzioni notazionali e le parametrizzazioni. Ciò avviene affiancando alla scrittura in notazione convenzionale, con opportuna programmazione dei dati, la trasduzione parametrica degli elementi che in Caporaletti 2000 sono stati definiti infrasegmentali dx (quantificazioni dei valori temporali/dinamici processuali di attacco, rilascio, di phase shift, ecc., che restano incriptati nella videopartitura e consultabili con opportuni protocolli di accesso). La programmazione dei valori di questi elementi costituisce, in un certo senso, la versione informatica delle funzionalità diacritiche introdotte nella metodologia trascrittiva da Béla Bartók.

    Rispetto alla tradizionale annotazione manoscritta si offre in questo modo la possibilità di un controllo sonoro che si rivela di grande utilità, specie in partiture polifoniche e/o ritmicamente complesse, caratterizzate da

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