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Volevo solo fare il rapper: ma a 30 anni ho capito di essere un astronauta
Volevo solo fare il rapper: ma a 30 anni ho capito di essere un astronauta
Volevo solo fare il rapper: ma a 30 anni ho capito di essere un astronauta
E-book173 pagine2 ore

Volevo solo fare il rapper: ma a 30 anni ho capito di essere un astronauta

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Info su questo ebook

In molti mi chiedono come sono diventato l’”unità carbonio” di oggi. Troppo lungo da spiegare e allora provo a raccontarlo in questo libro di avventure dal quale si capisce che con un po’ di incoscienza, con tanta determinazione, talento, e soprattutto tanta, tanta ma tanta fortuna, si possono raggiungere traguardi mai nemmeno lontanamente sperati.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mar 2023
ISBN9791222079035
Volevo solo fare il rapper: ma a 30 anni ho capito di essere un astronauta

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    Anteprima del libro

    Volevo solo fare il rapper - Marco De Antoniis

    Marco De Antoniis

    VOLEVO SOLTANTO DIVENTARE UN RAPPER

    ma a 30 anni ho capito di essere un astronauta

    A chi c’è stato e ora non c’è più,

    ma ci sarà sempre…

    finché ci sono io.

    * * *

    Introduzione

    Tutto è cominciato una sera, durante uno dei tanti concerti a cui lavoravo in produzione, in qualità di organizzatore generale, una qualifica al top della gerarchia del campo della produzione artistica, raggiunta dopo anni e anni di pura gavetta. Lo spettacolo si svolgeva a Roma, presso il prestigioso Auditorium Parco della Musica. Era il momento finale dei saluti, subito dopo l’ultimo acuto dell’ultima canzone che aveva mandato in estasi il pubblico. Quello è sempre un momento speciale in un concerto, ma quella sera per me fu particolarmente speciale. Mi sono guardato intorno e ho visto l’artista stanco ma felice che si inchinava per ringraziare il pubblico e gli spettatori che applaudivano contenti tra cui alcuni miei amici storici di quando ero un ragazzo. Per un attimo ho avuto un brivido lungo la schiena e mi sono tornati alla mente tanti ricordi, i sacrifici, le gioie e le difficoltà passate per arrivare fino a quel momento. L’artista era Massimo Ranieri che per me, sia artisticamente che umanamente, è il numero uno in assoluto.

    È stato in quell’istante che ho pensato a questo libro che, in fondo, è la storia che ognuno di noi avrebbe potuto vivere o che forse ha vissuto, ma non ha avuto il coraggio o l’occasione di raccontare.

    La grande volontà e il desiderio fortissimo e affascinante di diventare qualcosa di impossibile: un astronauta prima e un rapper poi, ad esempio, lavori che amavo e vedevo ideali per vivere mille avventure e acquisire la tanto agognata conoscenza di me stesso all’interno del meraviglioso mondo che ci circonda. I mille misteri dello spazio, talmente irraggiungibili, talmente eterei come eterea è la musica che è il mezzo con cui ognuno di noi può raggiungere l’infinito e portarlo dentro il proprio cuore.

    I sogni non muoiono, ma mutano e a volte si realizzano in qualcosa di più concreto, anche se questo traguardo si raggiunge combattendo mille battaglie e affrontando e risolvendo mille problemi.

    Quando questo succede inevitabilmente diventi un guerriero, dove hai un’unica arma, che non uccide, ma che è più potente di mille pugnali: la determinazione.

    Solo quando capisci che hai questo potere sei pronto a vincere qualsiasi battaglia. Io lo chiamo spirito Muay Thai ed è quello che ho appreso grazie agli anni che racconto in questo libro.

    La dedica a mia madre

    Voglio iniziare questo mio libro con il pensiero più importante: mia Madre. È a lei che lo dedico. L’ho scritto per lei, a lei. La M la scrivo maiuscola perché mia mamma, Rosanna, la merita per ciò che è riuscita a realizzare da sola, mantenendo sempre la sua dolcezza amorevole: è riuscita, dopo essere diventata vedova purtroppo, ma anche meno male (poi capirete il perché), a fare sia da madre che da padre a me, mio fratello e mia sorella. Mio padre ci ha lasciato che eravamo tutti e tre ancora giovanissimi, e lei non ci ha mai fatto mancare nulla, rimanendo sempre un punto di riferimento per tutti noi.

    Per indole sono una persona molto riservata e non le ho mai raccontato nulla di quello che ho combinato negli anni della mia adolescenza e nei primi anni lavorativi. Sicuramente quando mamma leggerà queste righe che seguono, e non vedo l’ora che lo faccia, si ricorderà di qualche episodio, ma il 90% di questo mio racconto/confessione le risulterà completamente nuovo. In fondo, quanti raccontano tutto alla propria madre in quegli anni? Per pudore, incoscienza o necessità di indipendenza, tutti ci nascondiamo, quindi potete comprendermi.

    VERBATIM HD:LAVORO:LIBRI:Libro De Antoniis:Libro Marco:Foto libro:FOTO OK:parigi.tif

    Con mia madre e mio fratello a Parigi

    Appena maggiorenne ho iniziato il mio percorso lavorativo nel campo dello spettacolo facendo una lunghissima e durissima gavetta. Siamo nei primi anni ‘90 e a quei tempi per lavorare nel campo dell’organizzazione di eventi musicali dovevi iniziare veramente dal gradino più basso, pronto a chinare il capo e a tirare diritto, facendo grandi sacrifici per riuscire a crearti una posizione certa in un campo pieno di incertezze.

    Io, un po’ per caso, per incoscienza e soprattutto per molta ma molta fortuna, mi sono ritrovato catapultato in questo incredibile mondo, dove alla fine sono riuscito a trovare il mio spazio in modo abbastanza stabile.

    Devo premettere che in famiglia avevamo già chi lavorava in questo ambiente e forse per questo, conoscendo il mondo dello spettacolo, mia madre non avrebbe mai e poi mai voluto che io lavorassi in questo campo e, anzi, per me aveva tutt’altre ambizioni.

    Io però ne ero affascinato e così per non deluderla non le raccontai nulla dei miei primi anni di carriera nel campo dell’organizzazione di eventi musicali, poiché ben sapevo che in cuor suo sperava sempre che avrei, prima o poi, abbandonato lo spettacolo per finire il mio percorso universitario.

    Parlavo del mio lavoro il meno possibile perché comprendevo bene la sua opinione e non volevo arrecarle un dispiacere. Capii la sua disperazione in occasione del mio primo viaggio negli Stati Uniti dove, appena diciottenne, partii per dare una mano come interprete al seguito di un tour di cantanti italiani.

    Come era bella l’America. Quando la vidi la prima volta ne rimasi estasiato. Nel mio primo viaggio a New York, ipnotizzato dalle mille luci di Manhattan, dai mille negozi, dai magnifici ristoranti, dalle auto che sfrecciano sulle larghe avenue e da tutto quel mondo incredibilmente lussuoso ed immensamente grande, comprai da un venditore ambulante un fintissimo Rolex d’oro che dopo un’estenuante trattativa pagai ben otto dollari. Praticamente era fatto di latta, ma che bella sensazione averlo al polso! A fine viaggio, appena tornato a casa a Roma, dopo aver abbracciato mamma, che per come mi accolse mi fece sentire come un profugo appena tornato in patria, andai in bagno a lavarmi le mani e ovviamente mi levai l’orologio dimenticandolo sul lavandino. Dopo pochi minuti arrivò lei, urlando e sventolando nella mano il mio orologio come se le avesse fatto schifo. Aveva due occhi sgranati e lucidi per le lacrime urlandomi: «Un rolex, un rolex d’oro!». La guardai senza capire. Poi continuò: «Ho capito che lavoro fai tu per permetterti un rolex… Altro che interprete, tu spacci la droga!» e scoppiò a piangere. E meno male che aveva capito tutto! Io, un po’ offeso da quella affermazione e un po’ per ripicca, annuii vigliaccamente facendo un sorrisetto cattivo e ricambiando il suo sguardo disperato con un occhiolino provocatorio. Ero giovane e non mi rendevo conto cosa ci fosse dietro quelle sue lacrime. Comunque, ripensandoci, per permettermi un Rolex finto di latta dorata del valore di 8 dollari come spacciatore sarei dovuto essere veramente scarso. Lei però non aveva capito che fosse finto, aveva letto Rolex e per lei quello era un originale che costava una cifra che all’epoca non mi sarei mai potuto permettere.

    A scanso di equivoci, vorrei specificare che, come mia madre ben sa, non bevo alcolici, non fumo e soprattutto odio qualsiasi tipo di droga, ma posso capirla perché se tuo figlio non ti dice nulla… Per inciso, al Rolex preferisco il mio Omega Speedmaster edizione limitata modello NASA Apollo 11, l’orologio prestigioso indossato dagli astronauti durante lo sbarco sulla Luna, che dopo tanti sacrifici sono riuscito a permettermi più di venti anni dopo quell’episodio.

    Insomma, ecco perché a distanza di anni ho voluto fare questo piccolo omaggio scritto a lei che da sempre è un’appassionata di libri rigorosamente di carta. Mamma divora libri più che cibo. Ancora oggi se le chiedi un’informazione che non conosce scatta e apre la sua enciclopedia cartacea di decine di volumi. È stata una precorritrice della ricerca su Google.

    Spero ti piaccia mamma, è un mio modo per dirti grazie per tutte le innumerevoli cose che hai fatto per me e per i miei fratelli. Sono sicuro che papà dall’alto dei cieli sia molto soddisfatto dell’ottimo lavoro che hai fatto con noi negli ultimi trent’anni. Ti voglio bene.

    Marco

    * * *

    * * *

    Capitolo 1

    Le radici

    Mio padre e mia madre si sposarono verso la fine degli anni sessanta nel pieno del boom economico. Presto mia madre rimase incinta di un maschietto che si sarebbe dovuto chiamare Giacomo come il nonno di mio padre, come la tradizione voleva in quegli anni. Purtroppo, a causa di una complicazione, il bambino morì al quinto mese di gravidanza. Ovviamente fu un grande dolore per loro, ma non si fecero abbattere: da un dramma e da una forte delusione bisogna riprendersi e reagire e devo dire che la determinazione è sempre stata una caratteristica di ogni membro della mia famiglia. Infatti, dopo poco mia madre rimase di nuovo incinta e ancora una volta sarebbe dovuto arrivare un maschietto. Che felicità dopo quel momento triste, sarebbe finalmente arrivato il momento della nascita di quel Giacomo De Antoniis che tutti attendevano. E invece niente, anche lui non ce la fece e venne partorito già morto. Mia madre, in sala parto, con gli occhi pieni di lacrime, se lo vide portare via dall’ostetrica, privo di vita. Una vera e propria sciagura da cui mia mamma rimase ovviamente traumatizzata. Un secondo colpo durissimo, reso ancora più pesante dal fatto che era appunto una seconda volta. Quanti si sarebbero lasciati andare alla disperazione e alla depressione? Non loro. «I De Antoniis sono abruzzesi e non si abbattono mai», mi ripeteva spesso mio padre, e quella fu una grande dimostrazione di questa frase, e un grande insegnamento per me. I miei genitori, infatti, non si diedero per vinti e, forti dei loro caratteri, si davano forza l’un con l’altro continuando a vivere amandosi. Alla fine del 1968 mia madre si accorse di essere di nuovo incinta e anche in questo caso sarebbe dovuto nascere un maschietto. Mio padre però questa volta, si impuntò e disse, categorico: «Me ne frego di mio nonno. Questa volta non si chiamerà Giacomo… lo chiameremo Marco».

    VERBATIM HD:LAVORO:LIBRI:Libro De Antoniis:Libro Marco:Foto libro:FOTO OK:da piccolo.tif

    Io da bambino

    E così eccomi qua. Sono nato il primo maggio del 1969 alle ore 23.45 e cioè quasi il 2 maggio, due mesi prima dello sbarco dell’uomo sulla Luna, uno degli eventi che ha segnato un prima e un dopo nella storia dell’umanità. Dopo quell’evento, il mondo ha iniziato a correre e il progresso è stato inarrestabile e i segni di quell’evento li vediamo ancora oggi. Dopo quel giorno le persone hanno ragionato in modo diverso, da cosa posso fare per sopravvivere a cosa posso fare per migliorare il mondo e questo ha fatto scaturire uno scontro generazionale in cui mi sono trovato direttamente coinvolto. Che poi, pensandoci, penso che lo scontro generazionale ci sia sempre stato e sempre ci sarà, perché è causato dalla lenta e inesorabile evoluzione dell’uomo. Il problema è che pur sapendo questa verità, è difficile gestirla quando si è coinvolti, ma questo lo vedremo…

    Come tutti sanno, il primo maggio è la festa dei lavoratori e devo dire che per quanto e per come ho lavorato nella mia vita, questa data mi si addice alla perfezione. A quei tempi il primo maggio era molto sentito, ideologicamente. E infatti appena nato, con un parto cesareo, iniziarono subito i problemi con mio nonno, il padre di mia madre, che era di forte ideologia di destra e che addirittura nel 1922 partecipò alla marcia su Roma, la famosa manifestazione  con la quale il partito fascista guidato da Mussolini salì al governo. Nel 1969 mio nonno rimase sconvolto per il fatto che un suo nipote nascesse nel giorno di una famosa ricorrenza comunista, per lui era inaccettabile. Per questo tentò di far registrare la data ufficiale della mia nascita spostandola al due maggio, andando a parlare sia con l’ostetrica che con i medici della clinica che rimasero esterrefatti da questa assurda richiesta. Mio padre, sempre in guerra con suo suocero per ideologie politiche completamente differenti alle sue, naturalmente si oppose. Da sempre sono stato felice di essere nato in quella data, mi ha sempre fatto sentire speciale e fortunato perché un giorno di festa in tutto il mondo è la mia festa. Cosa voglio di più?

    Ripensandoci, che strano bambino sono stato. Della mia infanzia ho tanti ricordi frammentati, come fossero tanti flash diversi, alcuni in bianco e nero e altri a colori, colori fortissimi, direi sfavillanti. Erano i mitici anni ‘70, il periodo dei jeans a zampa

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