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Sempre giovane mai rifatta. Prevedere, correggere e prevenire con il metodo Eternage
Sempre giovane mai rifatta. Prevedere, correggere e prevenire con il metodo Eternage
Sempre giovane mai rifatta. Prevedere, correggere e prevenire con il metodo Eternage
E-book348 pagine4 ore

Sempre giovane mai rifatta. Prevedere, correggere e prevenire con il metodo Eternage

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Info su questo ebook

Il nuovo metodo Eternage è al centro di questo libro che mira a rivoluzionare l'approccio tradizionale al ringiovanimento del viso. Attraverso questo inedito metodo si vuole anche superare le paure e i pregiudizi comuni riguardo agli interventi estetici al viso.

Con Eternage, dimentica i timori di ottenere risultati eccessivi, poco naturali o addirittura ridicoli e il timore di non riconoscersi più a causa della trasformazione eccessiva. Con Eternage, la medicina estetica ti restituirà un aspetto simile a quello originale, ti libererà, ti aiuterà a superare ricordi dolorosi e migliorerà la tua autostima, facendoti amare te stesso ancora di più.

Una medicina estetica fatta di persone che hanno ritrovato il sorriso, di storie di rinascita e di risultati bellissimi.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mar 2023
ISBN9791221430783
Sempre giovane mai rifatta. Prevedere, correggere e prevenire con il metodo Eternage

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    Anteprima del libro

    Sempre giovane mai rifatta. Prevedere, correggere e prevenire con il metodo Eternage - Beatrice Giorgini

    CAPITOLO 1

    LA MIA STORIA

    L’unica costante nella vita è il cambiamento

    Buddha

    Se enumerassi le tante esperienze professionali, gli studi, i corsi e i congressi ai quali ho preso parte, racconterei solo il mio percorso formativo ma non direi nulla di chi sono davvero.

    Ecco perché, oltre al mio curriculum, sento di dover trasmettere qualcosa della mia storia, del cammino compiuto nei miei primi quarant’anni. Spero che questo breve sunto possa mostrare almeno in parte chi sono, ciò in cui credo e i valori imprescindibili che mi hanno guidato nel lavoro e nella vita.

    Sono nata il 25 ottobre del 1980 a Cervia, una cittadina ricca di storia e tradizioni.

    Romagnola DOC da generazioni, orgogliosa di esserlo, ho avuto la fortuna di ereditare molto dalla mia terra e dalle sue genti. Come la tenacia dei miei nonni, che lavoravano ancora nei campi a più di ottant’anni e macinavano chilometri in bicicletta sotto il sole estivo, senza conoscere la stanchezza. La semplicità di chi apprezza le piccole cose della vita guadagnate con impegno e spirito di sacrificio. La franchezza e l’onestà tipiche di chi è autentico e perciò non sa dire che ciò che pensa e non può essere diverso da ciò che è. La determinazione di chi, come i miei genitori, ha sempre creduto nel lavoro, faticando con dedizione e impegno per costruire ogni giorno un futuro migliore.

    Sono cresciuta ascoltando i racconti del mio coraggioso nonno Stefanino, piccolo ma tostissimo, scappato dai Nazisti correndo a perdifiato di notte, in mezzo ai campi.

    L’apertura e l’allegria che si respira d’estate in Riviera e quel senso di ospitalità e accoglienza, che difficilmente si trova altrove, mi sono rimaste dentro. Così come mi hanno sempre caratterizzata la testardaggine e la fierezza, tipiche dei Romagnoli, orgogliosi della propria storia e dei loro valori, a testa alta anche nelle avversità senza dimenticare mai chi sono e ciò in cui credono.

    Quando nacqui, i miei genitori, mio fratello maggiore Filippo ed io vivevamo in un piccolo appartamento al secondo piano di una palazzina anni ‘70, sopra all’erboristeria dei miei genitori.

    Mio padre, il dott. Martino Giorgini, oggi noto imprenditore nel settore della fitoterapia e dell’erboristeria, iniziò la sua attività nel 1977, proprio nel retrobottega di quel piccolo negozio a Cervia. A quei tempi nelle erboristerie si vendevano solo preparati per tisane e poco più. Mia nonna paterna, la nonna Giordi (Giordana), si mise addirittura a piangere quando seppe che mio padre ne voleva aprire una, si domandava come avrebbe fatto a guadagnare vendendo erbe secche.

    In effetti, allora l’erboristeria era un settore poco sviluppato e tutt’altro che florido. Mio padre, forse per caso o per volere di un destino già scritto, si mise a studiare antichi rimedi e a inventare preparati a base di erbe, sciroppi, mieli, tavolette, con i quali cominciò a curare problematiche di ogni tipo.

    All’inizio era tutto fatto in casa, nella cucina del nostro appartamento o nel capannone dei miei nonni, realizzato a mano dai miei genitori. Ma, incredibilmente, questi preparati sembravano risolvere problemi che spesso nemmeno i farmaci erano in grado di alleviare e la voce si sparse a macchia d’olio, attirando gente da tutta la Romagna e non solo.

    Sempre più persone si recavano alla piccola erboristeria per farsi vedere dal dott. Giorgini e per avere le sue pastiglie e i suoi amari (ai tempi davvero amarissimi e cattivissimi).

    Contro ogni previsione della Giordi, quella che all’inizio sembrava un’occupazione da hippy e senza futuro si trasformò in un’attività che non smise di crescere fino a divenire una vera e propria impresa, ancora florida ai giorni nostri. Mosso da una fervente passione per il suo lavoro, da un amore sviscerato per la ricerca e da grande intuito, in pochi anni mio padre divenne un vero e proprio pioniere della fitoterapia, dando vita a un nuovo settore in Italia, fino ad allora inesistente: quello dei preparati erboristici o integratori alimentari.

    Intanto io muovevo i primi passi in questo mondo poco convenzionale. A quei tempi, i miei genitori erano dei veri fanatici della medicina naturale, della vita senza condizionamenti e dell’anticonformismo. Io e i miei fratelli crescevamo con la cucina macrobiotica, senza televisione e senza dolci. Né medici né farmaci erano presenti a casa nostra.

    Tutto questo, considerato il periodo storico, era davvero bizzarro. Per i miei nonni era impensabile che dei bambini potessero crescere sani senza assumere carne o dolciumi; quando eravamo soli con loro, ci facevano mangiare di nascosto piadine e cioccolato, rischiando la furia implacabile di mio padre. Mia madre Alfreda preparava tutto in casa: latte di riso e di mandorla, seitan, tofu e succhi biologici all’epoca introvabili in commercio. Per anni i miei genitori hanno lottato per farci crescere lontani da mense e merendine, con tutti i sacrifici che ciò comportava. Non è stato facile per loro, ma nemmeno per noi. Ricordo la foto del mio terzo compleanno: soffiavo una candelina sopra un caco perché le torte erano bandite. Al tempo non capivo le scelte dei miei genitori e odiavo sentirmi sempre diversa dagli altri bambini. Tuttavia, negli anni ho compreso e apprezzato il valore di quella vita e con il tempo mi sono sentita sempre più grata per le loro scelte e la loro determinazione.

    Non solo ho imparato ad accettare quella educazione, ma l’ho compresa tanto da farne il caposaldo della mia stessa visione della salute e adesso, da madre, mi rendo conto di voler crescere mio figlio seguendo regole e principi simili.

    Mi ci vollero anni per apprezzare appieno la fortuna di crescere in una famiglia in cui c’era tanta attenzione per la salute, la natura, l’alimentazione, ma anche per l’energia, la vita e la spiritualità. Ciò che respirai durante la crescita mi influenzò davvero tanto e accese in me un grande amore e fascino per il mistero dell’uomo, del corpo umano e dello spirito vitale che lo anima. E tutto questo non mi abbandonò più.

    Al di là dell’educazione e dell’ambiente nel quale sono cresciuta, ho sempre provato un senso di estraneità, stupore e smarrimento che mi ha accompagnato tutta la vita, rappresentando per anni una costante del mio sentire. Sono stata una bambina attanagliata da domande come: perché esisto? Da dove vengo? Cosa c’è dopo la vita e che senso ha?

    Mi sono sempre sentita fuori luogo, non riuscivo a rassegnarmi al fatto che fosse tutto qua. Nutrivo la convinzione che dovesse esserci qualcosa di inspiegabile e insondabile da scoprire per poter dare un senso profondo all’esistenza. Ho attribuito spesso questa mia sensibilità e alienazione a un episodio molto toccante vissuto da bambina, all’età di quattro anni.

    Ero solita recarmi a giocare da una signora che aveva un negozio di fronte alla nostra erboristeria, dall’altra parte della strada. Essendo piccola, in genere qualcuno mi accompagnava per aiutarmi ad attraversare la strada trafficata.

    Quella mattina d’estate decisi di raggiungere la mia amica e, senza chiedere niente a nessuno, attraversai da sola. Con la rapidità e l’imprevedibilità che solo i bambini riescono ad avere, in un attimo mi ritrovai nel mezzo della carreggiata, senza guardare e senza preoccuparmi delle auto in corsa. In quel preciso istante un’automobile stava arrivando. Ricordo di aver sentito il forte rumore dei freni, di aver girato la testa a sinistra e di aver visto il cofano di un’automobile a pochi centimetri dal mio viso. Per qualche istante fu come se il tempo scorresse a rallentatore, e io potessi vedere l’auto che si muoveva verso di me, sopra di me, come in un sogno. Ricordo nettamente la percezione delle ruote e delle gomme nere che si avvicinavano. Se ripensassi a quel momento, potrei giurare di aver percepito il peso di quel veicolo sul mio corpicino.

    Senza dolore, solo peso, qualcosa di nero. Poi buio, per un attimo.

    Ho sentito un paio di volte raccontare questa scena da mio padre. Si trovava al di là del bancone dell’erboristeria quando accadde il fatto.

    Chiuse gli occhi per non assistere a quella tragedia, convinto che non avrei avuto scampo. Non aveva il coraggio di guardare la strada, immaginava la più atroce delle scene.

    Invece io ero là, dall’altra parte, incolume e pronta a giocare. Secondo lui (e ora posso affermare, anche secondo me) fui salvata. Non c’è modo di spiegare l’accaduto senza pensare a qualcosa di divino, una forza superiore o un angelo custode, che quel giorno decise di sottrarmi a quell’auto in corsa.

    Questo evento in qualche modo mi segnò nell’animo. Pur essendo molto piccola, lo ricordo con precisione, e soprattutto ricordo la sensazione di essere stata strappata via, sottratta dalle ruote della macchina. È difficile descrivere quello che provai, né tantomeno posso essere certa che tale ricordo non sia frutto di suggestione. Da quel giorno, però, ho raggiunto la consapevolezza dell’esistenza di un ordine superiore, qualcosa di più grande di noi, capace di regolare la nostra vita e il nostro destino. Ho avuto la chiara percezione di essere stata graziata.

    Mi accompagna ancora la sensazione di aver un compito da portare avanti in questa vita, qualcosa di importante da dover realizzare prima di andarmene. Questa impressione, insieme alla coscienza della precarietà e dell’impermanenza di tutto, compresa la mia vita in questo corpo, mi hanno sempre accompagnato e sono state la spinta più potente a vivere tutto, a vivere al massimo, ma soprattutto a cercare di crescere, di trovare uno scopo e diventare un essere umano migliore.

    Di lì a poco, mio padre decise di lasciare il lavoro in erboristeria per dedicarsi ai suoi studi e alla ricerca. Così io e la mia famiglia, che nel frattempo si era allargata con la nascita di Federico, ci trasferimmo a Marradi, un piccolo paesino sull’Appennino Tosco Emiliano dove vissi fino a diciassette anni.

    I primi tempi in quel posto furono i più belli e spensierati della mia vita. Vivevamo in una casa in mezzo al verde, un podere costruito e restaurato su una collina. Ero una bambina felice e piena di amore. Amavo la vita, la natura, le persone, in modo quasi esagerato.

    Come una specie di fatina del bosco, trascorrevo le mie giornate in mezzo agli alberi, nei prati, sulle montagne, immaginando di costruire bacchette magiche, di scoprire il centro della terra scavando tunnel, di trovare gli gnomi. Sentivo più che mai la magia della vita, lo spirito che anima la natura, il mistero che ci circonda e che rende insondabile ogni cosa. In quegli anni sapevo ben poco ma tutto mi sembrava perfetto, incantato e fatto apposta per riempirmi gli occhi e il cuore di gioia.

    Purtroppo, quel luccichio magico con il quale vedevo il mondo, ben presto, lasciò il posto a un senso di disagio e malessere profondo che durò per molto tempo.

    Intorno agli otto anni, i miei genitori si separarono e mio padre andò a vivere con un’altra donna, che tormentò la mia adolescenza fino al 1999, quando morì prematuramente e in modo inspiegabile. Ripensando a quel periodo mi appare un’immagine nitida: nuvole nerissime e dense che oscurano una calda giornata di sole, portando via tutta la luce e il calore in un istante.

    Il mio cuore, fino ad allora così pieno di allegria e ancora impreparato alle sofferenze della vita, di colpo fu invaso dall’angoscia, dalla rabbia e dal disprezzo verso tutto e tutti.

    Non so se poter attribuire la causa di tale cambiamento alla separazione dei miei genitori, alla presenza di una matrigna perfida e invadente, alla sofferenza di mia madre o all’assenza di mio padre, ma da allora divenni una ragazzina molto irrequieta.

    Persi la serenità dell’infanzia; la magia e la bellezza di quel periodo erano state spazzate via da paure, malessere e odio. Così trovai un po’ di conforto nel cibo e cominciai a prendere peso, arrivando ai tredici anni con una situazione di grave sovrappeso. Divenni un’adolescente ribelle, testarda e presuntuosa, che non voleva dare ascolto a nessuno disprezzando ogni imposizione, prima tra tutte la scuola. In quel periodo ero convinta di voler dipingere e diventare una pittrice, per questo avevo scelto di frequentare il liceo artistico. Mio padre non era d’accordo e non mi lasciò scegliere, imponendomi di frequentare il liceo classico.

    I primi anni al liceo furono una lotta tra me, mio padre e i professori. Per nessun motivo volevo cedere a quell’imposizione, a costo di essere bocciata. Con lui non avevo quasi più nessun rapporto, lo vedevo pochissimo e non ne riconoscevo certo l’autorità né ascoltavo i suoi consigli.

    Così cominciai a saltare la scuola, a frequentare brutte compagnie e a scendere ancora più a fondo nel baratro che sembrava ormai avermi inghiottito.

    Persi un anno di scuola e fu un miracolo se non presi strade molto brutte. Qualcosa mi salvò di nuovo, un po’ come accadde quel giorno in cui l’auto stava per investirmi, mettendo sul mio cammino una persona in grado di cambiare la mia vita.

    In terza superiore ci assegnarono una nuova insegnante di Italiano e Latino, capace di farmi innamorare dello studio. La professoressa Spada. In modo del tutto insospettabile, studiare divenne una fonte di soddisfazione e piacere. Passai dai voti insufficienti ad essere la prima della classe, mi dedicai alla lettura e all’apprendimento con sincero interesse e passione. Persi peso e cambiai modo di vestire abbandonando il look punk, i piercing e i capelli rasati color blu elettrico per gli abiti bon ton, i capelli lunghi e un aspetto diciamo più da brava ragazza.

    L’anno successivo decisi di andare a studiare negli Stati Uniti per perfezionare l’inglese. Così, solo diciassettenne, mi ritrovai in una casa dall’altra parte dell’oceano, in Iowa, posto alquanto diverso dalle metropoli che sognavo e vedevo nei film. Finii nell’abitazione di un anziano signore rimasto vedovo poco prima del mio arrivo, malato di Parkinson e tutt’altro che socievole. Forse, trovandomi sola con una persona più chiusa e scontrosa di me, in un luogo dove non conoscevo niente e nessuno, in mezzo alle fattorie e agli allevamenti di maiali, fui costretta a riaprirmi al genere umano, a ingentilire i miei modi e a moderare il mio caratteraccio.

    Durante quell’anno di studi scelsi un laboratorio di anatomia che mi appassionò moltissimo. Mai avrei pensato che dissezionare un piccolo maialino mi avrebbe acceso una scintilla dentro, una curiosità che non avevo mai avvertito prima di allora. Così cominciai a pensare che forse avrei dovuto intraprendere un percorso di studi attinente alla medicina o alla biologia.

    Il signore con cui convivevo, di nome Glen, era un tipo asociale e spesso poco lucido a causa della sua patologia. La moglie aveva sempre provveduto ad ogni cosa e lui, pur non avendo reali impedimenti fisici, non era in grado di fare nulla in casa, a parte tagliare l’erba del giardino. Così fui costretta a occuparmi di tutto: fare la spesa, le pulizie, cucinare, preparargli le medicine. Dopo un po’, prendermi cura di quell’anziano signore, cominciò a piacermi.

    Nei mesi lo vidi cambiare, passando dalla depressione dovuta al recente lutto, alla riscoperta del buon umore e della serenità. Sapevo che la mia presenza lo aveva aiutato a stare meglio e questo mi fece capire che poter contribuire in qualche modo a migliorare la vita delle persone mi dava un senso di pienezza e calore che non avevo mai provato prima.

    Fu allora che decisi che sarei diventata un medico.

    Scelsi questa professione perché per me significava poter dare un contributo al mondo, rendermi utile, toccare la vita delle persone e magari migliorarla. Mi sembrava l’unica cosa in grado di dare un senso alla mia esistenza; quel senso che fin da bambina mi era mancato così tanto.

    Conclusi il liceo con il massimo dei voti ed entrai all’università di medicina a Bologna, senza problemi né dubbi.

    Tuttavia, gli anni di frequentazione dell’ateneo non furono facili e per me iniziò un nuovo periodo di difficoltà e smarrimento. Mi era stato insegnato che l’uomo è composto non solo dal corpo e dalla materia, ma anche da un’energia che lo anima, lo nutre e che, se in disarmonia, può portare a scompenso e malattia. Inoltre, credevo nella capacità dell’organismo di auto-curarsi e rigenerarsi nonché nel potere della mente e delle emozioni di influenzare la salute. Fin da bambina ero sempre stata curata con la fitoterapia e la medicina naturale; dunque, attribuivo alle erbe un importante effetto curativo, così come agli alimenti. Ma la visione della salute, della malattia e della terapia, con la quale ero cresciuta, era assai lontana dagli insegnamenti appresi nei reparti d’ospedale. Spesso avevo l’impressione che mancasse la percezione dell’uomo nella sua interezza. Inoltre, mi sembrava si perdesse del tutto il rapporto umano con i pazienti e l’empatia di cui tanto si sente parlare. Il più delle volte i pazienti venivano rimbalzati da uno specialista all’altro senza essere davvero curati.

    Trovavo l’approccio della medicina convenzionale molto lontano dal mio modo di sentire e di vedere la vita, e questo mi metteva in crisi e mi lasciava senza certezze per il futuro.

    A circa 20 anni cominciai a soffrire di una grave forma di acne nodulo cistica tardiva, che durò molto a lungo. L’acne, per quanto non si possa considerare una patologia grave e che compromette la salute generale, è comunque una malattia seria, con dei notevoli risvolti psicologici e sociali.

    Ciò mi fece perdere ogni sicurezza in me stessa. Il mio corpo sembrava non rispondere più a nulla e ogni cosa che provavo produceva solo l’effetto di peggiorare la situazione. Non trovai aiuto né nella medicina naturale, né tantomeno in quella ufficiale. Provai di tutto, con il solo risultato di deprimermi sempre di più. Il mio viso era invaso dall’acne, non avevo più voglia di uscire, di incontrare persone e piangevo ogni volta che mi guardavo allo specchio. Passavo la maggior parte del tempo in casa da sola a studiare.

    Di nuovo, quel malessere e quell’inquietudine si ripresentavano nella mia vita. Ogni volta che mi era capitato di provare quelle emozioni così intense, avevo vissuto delle vere e proprie metamorfosi e, anche quella volta, tutta la mia esistenza stava per cambiare di nuovo.

    Iniziò una crisi più profonda delle precedenti, che riacutizzò in me quei dubbi esistenziali sui quali tanto mi interrogavo da bambina. Chi sono? Perché sono qui? Che senso ha la mia vita? Cosa succederà quando giungerà a termine il mio corpo fisico?.

    A differenza di quando ero piccola, questa volta però non mi fermai sconcertata ad aspettare una risposta dall’esterno, ma intrapresi un vero e proprio percorso di ricerca interiore che mi accompagnò per il resto della mia vita. Mi avvicinai alla psicoterapia, alla PNL, al potere della mente e del pensiero. Comincia a studiare libri sulla cultura orientale, la spiritualità e il Buddismo. Fu così che scoprii la meditazione trovando per la prima volta qualcosa di vero: una nuova consapevolezza che diede un significato profondo al mio sentire e alla mia esistenza.

    Vissi esperienze davvero incredibili in quegli anni: un peregrinaggio di due mesi in Tibet munita solo della mia tenda, ritiri spirituali dove non si parlava per settimane intere, sessioni infinite di meditazione, percorsi estremi di Tantrismo, camminate sui carboni ardenti, costellazioni familiari, corsi di crescita personale, e tanto altro. Viaggiai in giro per il mondo, spesso da sola, incontrai personaggi grandiosi, maestri di vita, provai emozioni sorprendenti, scavai nel profondo della mia anima e vissi più volte momenti illuminanti.

    Fu come se in pochi anni si fosse condensato il vissuto di una vita intera.

    Credo di essere stata fortunata ad avere avuto la possibilità di fare così tante esperienze in così poco tempo e soprattutto aver incontrato persone straordinarie sul mio cammino, insegnanti incredibili che mi hanno arricchito e trasmesso tantissimo.

    Per anni la mia vita fu focalizzata sulla spiritualità e la ricerca interiore. Pur essendo molto giovane, il mio bisogno di verità, per molto tempo, ebbe la priorità su tutto.

    Questo percorso, tra l’altro, non fece che rafforzare la mia convinzione che l’approccio della medicina convenzionale non fosse in grado di rispondere appieno ai miei bisogni, prima di tutto come paziente, poi come persona e di conseguenza come futuro medico. Così mi avvicinai sempre più ad altri approcci che, dal mio punto di vista, prendevano in considerazione l’essere umano in tutta la sua complessità e affrontavano i diversi aspetti alla base di un vero e profondo benessere. Cominciai a interessarmi di alimentazione, di integratori e fitness. Provai su me stessa cosa si può ottenere con l’impegno e la disciplina in termini di trasformazione del proprio corpo, passando da paffutella senza un muscolo, a tonica e scolpita in meno di un anno, grazie allo sport e a un sano stile di vita.

    Tutto ciò mi aiutò a raggiungere uno stato di profondo amore e accettazione per me stessa. Imparai a prendermene cura con costanza e impegno, senza ansia e ossessione. Compresi che il corpo era un mezzo per godere appieno di questa vita, e non l’obiettivo finale della vita stessa; che era parte di me, ma non tutta me stessa, che andava curato e rispettato ma mai stravolto. Tutte le vecchie insicurezze sparirono e con esse anche l’acne. Da allora il mio corpo è rimasto immutato nonostante la gravidanza e vent’anni di più, a riprova che l’impegno e soprattutto la giusta attitudine permettono davvero grandi risultati.

    A ventisei anni mi laureai in medicina ma, a differenza di molti miei compagni di corso che sembravano conoscere la loro strada fin dal primo anno di università, io mi sentivo confusa e non sapevo affatto cosa avrei voluto fare dopo la laurea. Perciò decisi di prendermi qualche mese di pausa per scegliere la specializzazione da frequentare. Fu allora che mi capitò, quasi per caso, di imbattermi nella scuola di medicina estetica.

    Questa branca della medicina mi attirava perché per me non rappresentava solo un modo per valorizzare e migliorare il proprio aspetto fisico, ma uno strumento in grado di aiutare le persone a recuperare un rapporto di serenità con sé stesse, il proprio corpo e la propria immagine. Era un mezzo per aiutare i pazienti a raggiungere un benessere profondo e completo, uno strumento per potere influire sulla vita delle persone a più livelli. Potevo spaziare dalla dermatologia alla nutrizione, dal ringiovanimento del viso al rimodellamento del corpo, dall’antiaging all’innovazione delle tecnologie medicali. Tuttavia, non ero ancora sicura che potesse diventare la mia professione.

    Da sempre affascinata dalla medicina orientale, decisi di frequentare anche

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