Quinta Elle. L'anno della pandemia
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Nel mese di marzo del 2020, il lockdown, causato dall’emergenza dovuta alla pandemia, ha cambiato la prospettiva di studenti e insegnanti. Il professor Pontremoli, ricoverato a causa del virus, ha modo di riflettere sulla sua professione, su come l’ha affrontata. Ha l’occasione di “guardare” la scuola nel suo insieme, le relazioni coi colleghi, la professionalità di alcuni di loro e la preoccupante estemporaneità di altri. Ma proprio l’emergenza della malattia del loro insegnante di storia e filosofia fa emergere la grande umanità degli studenti, che riscoprono il sentimento di partecipazione e solidarietà.
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Anteprima del libro
Quinta Elle. L'anno della pandemia - Fabio Filippi
Quinta eLLe, l’anno della pandemia
EEE - Edizioni Tripla E
Fabio Filippi. Quinta Elle. L’anno della pandemia.
© Edizioni Tripla E, 2022
ISBN: 9788855392082
Collana I Mainstream
, n. 38
EEE- Edizioni Tripla E
di Piera Rossotti
www.edizionitriplae.it
Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.
In copertina: Cesare Filippi, La scuola (olio su tela, 1980; particolare).
Premessa
Mai come in questo caso è doveroso il preludio che spesso precede le narrazioni: i nomi e fatti citati sono fittizi. Ogni riferimento è da intendersi come puramente casuale.
Detto ciò è inevitabile, credo, che qualche lettore si riconosca nei personaggi che compaiono in questi racconti perché il contesto è reale e le persone, qui descritte, sono costruite su modelli reali.
Mi faccio carico appieno del rischio che corro ma non posso fare a meno di descrivere caratteristiche umane che ho osservate durante la mia vita da insegnante. Se non altro, io ne sono il primo bersaglio.
La 5L è una classe di Liceo Scientifico composta da 17 studenti: Arina, Jacopo, Matteo, Davide, Sofia, Li, Alessandro, Marco, Francesco, Giovanna, Chiara T, Chiara, Michael, Federico, Adele, Tommaso, Elena.
Gli altri protagonisti, sono gli insegnanti.
Annibale Pontremoli – Storia e Filosofia
Antonia Bizzarri – Disegno e Storia dell’arte
Artemisia Bach – Inglese
Don Guido –Religione cattolica
Federica Valdinoci – Scienze naturali
Francesca Farneti – Matematica e Fisica
Patrizia Calabrini – Italiano e Latino
Ugo Bazzoli – Scienze motorie
La scuola non è composta solo da ragazze, ragazzi e insegnanti, ma anche da personale con varie mansioni. Tra questi compare, in questa finzione, la signora Anna.
Annibale
«Questa è la mia chiamata?»
«Direi di sì.»
«Ah. Non pensavo arrivasse così presto.»
«Però è arrivata.»
«E… non c’è appello, immagino.»
«Non c’è appello. Non è un processo penale.»
Sorride, o crede di farlo e dice: «Immagino sia anche inutile chiedere un rinvio…»
«Immagini bene.»
«Perbacco.»
«…»
«Quindi tu saresti il Padreterno.»
«C’è chi mi chiama con questo nome. Ma non ha importanza quali parole usi.»
«Non sono sicuro di essere pronto…»
«Nessuno lo è mai. Non ti preoccupare.»
«Credevo fosse diverso. Come funziona, ora?»
«Se vuoi, puoi gettare uno sguardo alle tue spalle.»
«Gli altri fanno così?»
«Qualcuno lo fa. Lo devi volere tu.»
«…»
«Annibale?»
«Sì. Vedere ogni istante… da questa prospettiva… non è facile.»
«Non sei obbligato.»
«Mi torna in mente tutto… e niente. I ricordi si sovrappongono. Non so bene che filo seguire.»
«Lasciati andare, allora. Qual è la prima cosa che ti viene in mente?»
«Il mio lavoro. Domani avrei dovuto interrogare.»
«Già.»
«Ma allora a cosa è servito tutto questo?»
«Non essere severo con te stesso. Chiediti piuttosto se quello che hai fatto fino ad ora ti ha dato sensazioni positive. Chiediti se hai recitato la tua parte nel teatro della vita.»
«Il teatro della vita… «
«…»
«In cuor mio, forse, l’insegnamento non era tra le massime aspirazioni che serbavo tra i miei desideri di giovane laureato in storia e filosofia. Ci sono finito dentro. E poi ci sono rimasto. Stare con gli studenti mi piace, voglio dire, mi è piaciuto. Per un breve periodo della mia vita ho accarezzato l’idea di dedicarmi alla ricerca storica. Ma poi ho lasciato perdere. C’era la cattedra libera qui al Liceo Scientifico e mi sembrava stupido lasciarla vacante, con la carenza di lavoro che c’è in giro. Mi sembrava stupido. E poi avevo voglia di essere indipendente, volevo andarmene a stare da solo. Una vita mia, insomma. Così ho dato il concorso. E… all’inizio, voglio dire, quando sono entrato in classe per la prima volta… nessuno mi aveva detto come si fa a insegnare. Ero convinto che fosse sufficiente comunicare una conoscenza e quindi ero tutto concentrato sulla disciplina, come dire, ero appiattito sulle nozioni. Così, si può dire che ho improvvisato. Una volta si faceva così. Adesso è diverso. In un certo senso insegnare è tutto tranne comunicare le nozioni della propria disciplina. Oltre a stabilire feeling con gli studenti, a saperli accogliere, a instaurare un’empatia emozionale, tener conto delle diversità e delle diverse abilità, ci sono i genitori che non accettano le disattese aspettative che i loro figli gli recano, accampano pretese di priorità nello stabilire quali sono le conoscenze e le competenze adatte per quella disciplina, avanzano… proposte o pretese. Vogliono un’alta preparazione per i loro figli, quasi chiedono garanzia che abbiano poi successo nella vita.»
«Hai incontrato difficoltà che non avevi immaginato.»
«Già. Pensavo fosse molto più facile. Tutto sommato in me era maturata la convinzione di aver raggiunto, con la laurea, un livello di conoscenze talmente elevato che…»
«… Ti sarebbe risultato semplice trasmetterle ad altri.»
«Sì, esatto. E invece non è così. Non è stato così. Ogni giorno che passava prendevo sempre più consapevolezza che occorreva molto di più. Mi tornano in mente tanti episodi… Alla fine non si ha il controllo mai di nulla.»
«Tuttavia non abbiamo un tempo infinito.»
«Non so decidermi cosa ricordare.»
«La cosa più semplice è richiamare alla mente l’ultimo anno, cosa dici? Immagina di sollevare gli occhi al cielo. Immagina anche di sospirare arrendevole.»
«L’ultimo anno scolastico.»
«Il tuo ultimo anno scolastico.»
«…»
«In settembre ero già stanco. Il mio collega di storia mi aveva fatto fesso. Non avendo la quinta, caso più unico che raro, mi pregustavo l’inaspettata pausa estiva subito dopo la conclusione degli scrutini di giugno. Niente riunione preliminare, niente documenti vari, né faticose riunioni coi colleghi provenienti dalle altre scuole come membri della commissione esterna.»
«È una parte faticosa, la relazione?»
«In quel caso può diventarlo. Gran parte dei docenti detesta l’esame di stato. Solo una parte degli insegnanti ne è coinvolta, per gli altri la scuola è finita. Ci sono molte incombenze burocratiche ma la faccenda più antipatica è lo scambio di ruolo. Nel momento in cui avviene il conferimento della nomina il professor X dimentica di essere a sua volta un insegnante a tutti gli effetti e si sente autorizzato a esprimere giudizi a volte anche velenosi sul lavoro dei colleghi delle classi che vanno esaminando. Talvolta il giudizio lo esprimono sulla pelle degli studenti. La riluttanza alla partecipazione degli esami è stimolata anche dal basso riconoscimento economico che di certo non incentiva a rendere piacevole lo spirito con cui si affrontano quelle settimane di lavoro. Ecco quindi che fioccano i certificati medici che, veri o falsi, rendono l’atmosfera ancora più nervosa e incerta. Lo scorso anno il mio collega di storia, dicevo, ha accampato la legge 104 per assistere la mamma malata defezionando quindi al suo impegno di accompagnare la sua classe all’esame di stato come membro interno. La mamma che necessita di assistenza proprio in giugno, quando vengono nominate le commissioni, con tutto il rispetto e la comprensione per la situazione in sé, pare una coincidenza singolare. Fatto sta che ho ricevuto l’incarico come membro interno supplente di commissione. In settembre ho saputo quali classi avrei avuto. Nella nostra scuola è tutto un mistero. Nessuno sa esattamente quali classi avrà l’anno scolastico successivo. Un terno al lotto. Più o meno uno lo immagina, certo. Almeno per continuità didattica le classi dell’anno precedente. Se devo scegliere mi va di ricordare la quinta L. Sono stato con loro fin dalla prima. Li ho visti bambini. Specialmente i maschi di quattordici anni, tutti spauriti. Erano in ventisette, un numero enorme. Una cosiddetta classe pollaio, tenendo conto che la struttura risale agli anni cinquanta, aule non tanto ampie, alcune senza finestre, con il soffitto infinito. I banchi erano tutti uniti uno all’altro e per le norme di sicurezza questo non è consentito per la mancanza delle linee di fuga. Comunque in due anni se ne sono persi sette, di studenti, per ragioni varie. Qualcuno si è trasferito in un’altra scuola, qualcuno ha cambiato città, qualcuno è stato bocciato e non so che fine abbia fatto. Tra la terza e la quarta ne abbiamo persi altri quatto, un bel numero. Stesse ragioni, più o meno. Una quinta di diciassette ai quali si è aggiunta Giovanna, ripetente, un numero comunque contenuto, un caso più unico che raro.
Non posso pensare all’anno scolastico senza pensare