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E-book102 pagine1 ora

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Info su questo ebook

2 novembre 2020. Giancarlo muore poco dopo il ricovero al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli a Roma. Per lui, ancora un uomo in forze e pieno di spirito, non c’è stato nulla da fare. In questo scritto pieno di pathos e di tenerezza, la moglie Samaritana Rattazzi racconta il suo immenso dolore, elaborato fin dall’inizio e vissuto fino in fondo. “Perché i lutti”, come ricorda l’autrice, “non si cancellano, non si rimuovono, non si accantonano, non si dimenticano. Diventano parte di noi e modificano la nostra personalità. È quasi una strategia di sopravvivenza, un omaggio alla memoria, una necessità psicologica per mantenere la salute mentale”. Senza preavviso testimonia un grande amore, un’intesa intellettuale e una complicità degni delle migliori storie romantiche. 

Samaritana Rattazzi è nata a Roma nel 1947. Baccalaureata in filosofia, è stata praticante giornalista a “La Voce Repubblicana”, poi alla testata “L’Occhio” e al “Corriere Medico”, con specializzazione in politica sanitaria. In seguito ha collaborato anche al “Corriere della Sera”, “L’Opinione”, “La Stampa”. Dal 1980 è iscritta all’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Nel 1986 ha fondato Public Affairs S.r.l, società di pubbliche relazioni, specializzata in relazioni istituzionali e lobbying. Collabora con Barabino&Partners e il Gruppo Edelman. Dal 2009, è stata vice Presidente della Fondazione “Il Faro” di Susanna Agnelli, specializzata in corsi di formazione professionale per minori svantaggiati. Ha pubblicato Mignon e il drago (Marietti J, 2020) e L’albero dei sogni (Marietti J, 2021).
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2022
ISBN9788830674585
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    Anteprima del libro

    Senza preavviso - Samaritana Rattazzi

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    Samaritana Rattazzi

    Senza preavviso

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-6812-6

    I edizione ottobre 2022

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

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    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    La morte non separa,la morte unisce. È la vita che ci separa.

    Senza preavviso

    2 novembre 2020, ore 11.45, Pronto Soccorso dell’Ospedale Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina

    Perché non riesco a piangere? Perché non mi dispero?

    Sei lì disteso davanti a me, su un lettino del Pronto Soccorso, e sembra che tu dorma. Riesco solo ad accarezzarti le mani, a baciarti la fronte, e a fare domande al medico seduto ad una scrivania,  a pochi passi da te.

    «Ma di cosa è morto mio marito?».

    «Gli si è fermato il cuore. Vuole che facciamo l’autopsia?».

    «No, grazie. Ma un’idea ve la sarete fatta?».

    «Mah, aveva un cuore come un melone», mi dice il medico dall’altra parte della stanza. E con le mani mima la forma di un melone.

    Quando siamo entrati al Pronto Soccorso, un quarto d’ora prima, ci siamo andati perché eri affannato. Quando siamo scesi dal taxi, mi hai detto:

    «Ho preso il portafoglio ma ho dimenticato i soldi sul comodino. Scusami, puoi pagare tu?».

    Poche domande dall’infermiera dell’accettazione che compila il foglio: «Sì, gli è stata diagnosticata una policitemia vera, tre settimane fa. Prende l’oncocarbide. No, non è positivo al Covid».

    In sala d’attesa, ti tieni la testa fra le mani come se ti pesasse. Ti toccano la fronte: sudore algido. La tocco anch’io. E ti portano via su una sedia a rotelle con ancora l’husky blu addosso.

    Dopo cinque minuti esce un medico e mi dice:

    «Signora, purtroppo la situazione è gravissima. Ha perso conoscenza, stiamo tentando di rianimarlo…».

    Un brivido mi corre lungo la schiena: penso sia l’adrenalina che precede la paura. Sto seduta su un grande masso di marmo, sulla punta dell’Isola Tiberina, e mentre guardo il Tevere, quasi giallo,  scorrere con forza sotto alla banchina, vedo uscire due medici che mi vengono incontro, questa volta un uomo e una donna.

    Il Dottore di prima mi dice: «Mi dispiace molto, signora, non c’è stato nulla da fare».

    La Dottoressa, in camice bianco, con sotto la divisa verde, mi dice: «Meglio così sa, signora. Rischiava di portarselo a casa in sedia a rotelle e con il sacchettino», e si accende una sigaretta.

    «Quando posso entrare? Quando posso vederlo?».

    «Adesso la chiamano, aspetti ancora qualche minuto».

    Arrivano due ambulanze che scaricano due pazienti Covid anziani. Siamo in piena seconda ondata della pandemia. Temo che mi mandino via e non mi facciano entrare al Pronto Soccorso. Ormai le forze mi stanno abbandonando ma ancora non riesco a piangere, ancora non capisco, ancora non mi capacito che non ci sei più.

    Esce un’infermiera che mi prende sottobraccio e con grande gentilezza mi sussurra:

    «Venga con me, signora, e si faccia coraggio. Condoglianze».

    Entriamo a sinistra, dopo la porta a vetri del Pronto Soccorso e nella stanza, dietro alla tenda verde, vedo una coperta marrone. Mi fanno sedere e l’infermiera tira giù la coperta fino alle mani. Sei proprio tu, con gli occhi chiusi, non sembri aver sofferto, provo un attimo di sollievo, e insieme, nel profondo del cuore, sento qualcosa che si spacca, come un fiume in piena, che rompe gli argini, e che farà danni che non si cancelleranno mai.

    Lo so da subito, e adesso riesco a dirlo, perfino a scriverlo: il dolore della morte, il dolore dello strappo dalla persona amata, da mio marito, da Giancarlo, il mio Giancarlo, non si cancellerà mai, resterà con me per sempre. Un immediato senso di perdita irreparabile che ti accompagnerà per tutta la vita. E anche questo lo sai dal primo momento.

    Torna l’infermiera,  dopo un quarto d’ora,  con un foglio in mano,  e mi dice che mi sta per consegnare le tue cose. Ti leva l’orologio dal polso e me lo consegna e intanto trascrive. Ti leva la catenina d’oro che porti al collo, con la fede nuziale,  e me la dà. Me la metto al collo. E trascrive. Tira fuori dal husky blu il tuo portafoglio, con le carte di credito e il libretto degli assegni. Mi chiede di controllarlo e poi me lo consegna. E trascrive. Poi mi chiede di firmare, sempre con grande gentilezza e rispetto. E mi dà copia del verbale di consegna.

    Ho paura che mi mandino via.

    «Stia tutto il tempo che vuole, signora. Fra un po’ vengono i portantini e lo portano nella cappella».

    «Grazie». Mi appoggia una mano sulla spalla e sento che non è formale.

    Perfino in un ospedale, ogni tanto,  si può trovare un

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