Viaggio nel Dedevil show
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Anteprima del libro
Viaggio nel Dedevil show - Luigi Barocci
L’INCONTRO
E così quel giorno lui la rivede e non sa come comportarsi. Si sente all’improvviso come quando un oggetto delicato e prezioso cade e si rompe per un gesto sbadato.
Stupito, osserva lei che guarda una vetrina: vestito estivo, borsetta a tracolla, capelli corti (non li aveva così corti). Poi lei passa alla vetrina successiva e lui la continua a guardare incerto; lei è di spalle e non può vederlo; potrebbe accorgersi di lui se si concentrasse sul vetro e guardasse come in uno specchio ma non ci pensa, intenta a scegliere qualche cosa, ha altri pensieri.
Sono le cinque di un pomeriggio di giugno, c’è il sole, abbastanza caldo, lui ha concluso i suoi impegni di lavoro e ha in programma un weekend lungo nella sua casa al mare: domani venerdì, poi sabato e domenica. Quindi siamo in un giovedì pomeriggio di giugno alla fine di una giornata di lavoro mentre guarda una donna non proprio dimenticata ma ricordata qualche volta negli ultimi anni.
Non importa chi sia lei.
È importante invece capire che l’uomo è incerto su cosa fare; evidentemente non può proseguire come se nulla fosse accaduto ma comunque potrebbe proseguire… verso l’albergo o la stazione, conservando nella memoria questa istantanea, oppure potrebbe avvicinarsi, dire a voce alta il nome di lei, che ricorda benissimo, qualche frase di rito, insomma riprendere un dialogo interrotto, chiedere, raccontare, cadere in qualche ti ricordi
e così via.
C’è nell’animo dell’uomo un forte desiderio di quiete dopo una settimana molto impegnativa e allo stesso tempo un’aspirazione alla distrazione della mente, un’aria estiva lo accompagna, una ricerca di distacco temporaneo dalle cose. La osserva ora mentre inizia l’esame di un grande negozio di abbigliamento, si muove lentamente, incrocia le braccia, si china un po’ per guardare i prezzi; tiene nella mano destra un mazzo di chiavi, dell’automobile, di un motorino, di casa…
Un passante la urta leggermente e subito si scusa, lei ruota il corpo, sorride, dice che non è niente; il fatto la distrae, ora si guarda intorno; guarda verso il marciapiede al di là della strada: un bar, un’edicola, un negozio di alimentari, un uomo che la osserva (lui), e proseguendo in sequenza, un negozio di coiffeur, articoli sportivi, farmacia; poi di nuovo concentra la sua attenzione sulla vetrina del negozio di abbigliamento: non l’ha notato, oppure l’ha sicuramente visto e non l’ha riconosciuto oppure si è accorta della sua presenza e ha controllato l’emozione. Sembra proprio così. Infatti il movimento del corpo nel tornare a guardare i capi esposti è apparso un po’ troppo brusco e fuori tema rispetto allo stile del passeggiare lento di prima.
Quindi anche lei ora potrebbe essere incerta, la sua memoria è attiva, gli occhi sfiorano gonne e magliette che restano estranee alle sue valutazioni sulla qualità e sul prezzo; le cose sono cambiate; adesso c’è tensione, d’un tratto è fuori dalla strada e dal guardare gli oggetti in vetrina, è come sospesa in un’area in cui i rumori sono smorzati, i colori indifferenti agli occhi; adesso guarda con attenzione nello specchio della vetrina che è a pochi centimetri dal suo naso, vede l’uomo di riflesso come fosse un ologramma apparso su un pigiama di seta nera molto chic molto costoso, molto bello, ora molto indifferente ai suoi occhi; il pigiama, non lui fermo sull’altro lato della strada con una valigetta da lavoro, un libro, un settimanale, una borsa leggera a tracolla con il necessario per una breve permanenza (una notte già trascorsa) in questa città.
Siamo in una strada del centro con molti negozi, movimento di persone, automobili, taxi; tutto questo interrompe a tratti la reciproca vista: per qualche secondo l’immagine di un autobus scorre violentemente e crea una sospensione e un’ansia impercettibile; affiora il timore che tutto non sia altro che una somiglianza, come qualche volta accade, c’è insomma il desiderio che questo incontro casuale (fino a questo momento fatto di un lieve contatto visivo diretto/indiretto) sia una reale intrusione nell’andamento di questo giovedì pomeriggio di giugno, ore diciassette e ormai due/tre minuti.
È ora necessario che ci sia un’iniziativa, un gesto deciso; da parte di chi?
Lei potrebbe proseguire come se nulla fosse, magari entrare nel negozio e attardarsi volutamente, chiedere alla commessa di vedere il pigiama di seta nero chic, informarsi sulla disponibilità di un altro colore e intanto far passare del tempo mentre guarda fuori, aspettando che lui si decida ad andarsene; si avvicinerebbe alla parte posteriore di una vetrina per sbirciare meglio, per essere sicura che non sia più lì, tutto con indifferenza, lasciando comunque un po’ sconcertata la commessa per questi spostamenti nello spazio del negozio che la porterebbero vicino a una zona dove non c’è niente di esposto mentre si stanno elencando le qualità del pigiama di seta nero.
Pochi minuti dopo l’episodio sarebbe concluso, lei uscirebbe dopo aver acquistato forse il pigiama o nulla, riprenderebbe la sua strada, lui sarebbe fuori vista, lei sarebbe ormai irrintracciabile.
Lui, che è consapevole di essere stato riconosciuto, potrebbe far finta di niente (sta per farlo), potrebbe portare lo sguardo un po’ a destra e un po’ a sinistra della vetrina come per cercare un taxi nella fretta di un pomeriggio lungo e ancora carico di impegni, mettere su un’aria da uomo stanco e innervosito, potrebbe cercare un foglietto nella tasca della giacca, consultarlo, rimetterlo a posto e tornare a guardarsi in giro nella speranza che lei prosegua allontanandosi e poi non ci sia più alcuna possibilità di vederla e di essere visto.
Ma questo non succede, lei con intenzione resta davanti al pigiama nero e lui improvvisamente fa un cenno con la mano, un timido saluto, consapevole che lei non potrà accorgersene guardando la sua immagine riflessa nella vetrina. Per salutare ha posato a terra la valigetta in mezzo alle gambe. Lui ha scelto timidamente, adesso è lei che deve fare qualcosa.
Telegiornale della notte.
La guerra piace, gli assassinii anche, i politici intervistati si ripetono senza pudore; ma qui non ci sono spettatori e le immagini e i suoni vagano nel terrazzo arredato con le cose vecchie della casa di città. Il mare fa il rumore consueto di quando è calmo. Rumore di telegiornale e di mare in un terrazzo estivo. Sul tavolo c’è quanto rimane di una cena per due. Una candela, che era stata messa lì perché tutto fosse più intimo, si sta spegnendo senza un tremolio. Siamo all’inizio di agosto, c’è una festa sul mare e ci sono barche con lampare e lumi sull’acqua lasciati all’andamento della corrente.
C’è un caldo sopportabile, non ci sono zanzare.
« Quest’anno non ci sono zanzare».
«È vero», dice lei dalla cucina.
Dalla spiaggia arrivano richiami, esclamazioni, canzoni con accompagnamento saltuario di chitarra. Si sente l’allegria un po’ alticcia della vacanza. Nonostante la voce nevrotica della giornalista di guerra e le cattive notizie poco documentate che arrivano dal video, sotto c’è aria di relax e nessun desiderio di coinvolgimento nei drammi nazionali ed esteri.
Lui dice dopo un lungo sospiro e battendo una mano con il palmo aperto sul tavolo vicino alla sdraio: «Finalmente!».
E lei premurosa accarezzandogli il braccio: