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Snowblind: Edizione italiana
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E-book197 pagine2 ore

Snowblind: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Tutto può succedere quando una tempesta di neve costringe due uomini a convivere in un’isolata capanna nel cuore dell’Alaska.

E i segreti sono pronti a complicare ogni cosa.

Torna Eli Easton con Snowblind, una piccante storia ricca di misteri!

Neve, scommesse e segreti.
L’ultima tempesta di neve porta qualcosa di inaspettato sulla soglia dell’isolata capanna di Hutch, in Alaska: uno sconosciuto di nome Jude, l’uomo più bello che Hutch abbia mai visto. Jude dice di essere in zona per una vacanza sugli sci e di essere fuggito da un amante violento, pensando di riuscire a raggiungere la città. Ma Hutch è un bastardo sospettoso e tratta con diffidenza il suo ospite indesiderato. Il problema è che Jude non è solo stupendo, è anche divertente, intelligente e provocante.
Due uomini gay bloccati dalla neve per tre giorni… è ovvio che accadano delle cose. Cose davvero belle. Quando la tempesta si placa, Hutch scopre di essersi un po’ affezionato a Jude Devereaux, un modello con base a San Francisco. Ma Jude è quello che afferma di essere? O è collegato ai segreti che hanno spinto Hutch a fuggire in Alaska?
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2023
ISBN9791220705769
Snowblind: Edizione italiana
Autore

Eli Easton

Eli Easton has been at various times and under different names a minister’s daughter, a computer programmer, a game designer, the author of paranormal mysteries, a fan fiction writer, an organic farmer, and a long-distance walker. She began writing m/m romance in 2013 and has published 27 books since then. She hopes to write many more. As an avid reader of such, she is tickled pink when an author manages to combine literary merit, vast stores of humor, melting hotness, and eye-dabbing sweetness into one story. She promises to strive to achieve most of that most of the time. She currently lives on a farm in Pennsylvania with her husband, two bulldogs, several cows, and a cat. All of them (except for the husband) are female, hence explaining the naked men that have taken up residence in her latest fiction writing. Website: www.elieaston.com Twitter: @EliEaston Email: eli@elieaston.com

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    Anteprima del libro

    Snowblind - Eli Easton

    1

    Dannazione, perché i sensori di movimento dovevano attivarsi proprio la notte più fredda dell’anno?

    Perché anche gli animali hanno freddo, idiota, e cercano un riparo.

    Hutch rimase steso e guardò il soffitto, dove c’era una macchia di chiarore proveniente dall’esterno. La luce attivata dal movimento e il basso bip bip sulla scatola dell’allarme indicavano che c’era qualcosa là fuori. Eppure eccolo lì, ancora a letto a lamentarsi. Cazzo, si stava rammollendo. Ma era anche vero che fuori c’erano dieci gradi sottozero. Se i cattivi se ne andavano in giro, erano degli stupidi.

    Scese dal letto e si infilò i pantaloni in Gore-Tex sopra i leggings termici. Andò nella stanza principale della baita e indossò il suo pesante parka bianco, passamontagna, berretto, stivali e guanti. Afferrò un fucile dall’armadio e scivolò fuori dalla porta sul retro, lontano dalla luce del sensore. Hutch ripuliva regolarmente la neve intorno all’abitazione, quindi non fece rumore mentre faceva il giro fino alla parte anteriore dell’edificio, all’interno della linea degli alberi. Quel dannato procione stava per avere una sorpresa.

    Solo che l’intruso non era un procione. Quando Hutch riuscì infine a dare una buona occhiata al cortile sul davanti della casa, che comprendeva la baita, la rimessa e il posto auto coperto, vide una solitaria figura umana con un giubbotto da sci nero, il cappuccio alzato e il busto piegato in avanti. La figura fece un passo ondeggiante verso il portico, barcollando come in un film horror degli anni Settanta.

    O in guerra.

    L’adrenalina riempì le vene di Hutch. Si mise subito in allerta, dimenticando all’istante sia il sonno che il freddo. Scrutò gli alberi e il vialetto buio, però non riuscì a vedere molto oltre la luce di sicurezza. Dall’oscurità non proveniva alcun suono. Si mosse silenzioso tra le piante e perlustrò la proprietà, cercando il resto del gruppo del suo ospite indesiderato. Ma non c’era niente lì: solo le impronte dell’uomo che creavano un sentiero sulla neve fresca.

    Cinque minuti dopo, quando fu abbastanza sicuro che l’uomo fosse solo, Hutch si avvicinò al portico. Il tizio ora era accasciato davanti alla porta della baita. Probabilmente aveva anche bussato.

    Hutch gli torreggiò sopra e gli puntò il fucile contro il volto, che era ancora nascosto dal cappuccio. «Chi sei?» La sua voce risuonò forte e profonda nel silenzio della desolata Alaska.

    L’altro mosse le mani in modo frenetico e si tirò rigidamente a sedere, mezzo congelato. «Per favore.» La voce era profonda ma debole.

    Hutch non abbassò il fucile. «Chi sei?» ripeté, più forte.

    «J-J-Jude. Devereaux. Per favore, non spararmi. Stavo solo cercando un r-r-rifugio.»

    «Mani in alto. Sopra la testa.»

    L’uomo obbedì come meglio poté, però sembrava impedito dal freddo. Lui lo perquisì in fretta ma a fondo, sentendo spessi strati di vestiti su una figura snella e compatta. Il tizio non aveva armi. Tuttavia, c’era un portafoglio. Hutch lo aprì e lo puntò verso la zona più illuminata del portico. Jude Devereaux, California.

    California. Porca puttana. Quell’idiota doveva stare morendo dal freddo per via della temperatura. Anche a Hutch si stavano congelando le palle. Faceva un freddo cane là fuori.

    Abbassò l’arma. «Alzati.»

    Jude Devereaux cercò di rimettersi in piedi, ma era messo male. Hutch lo afferrò per un gomito per aiutarlo, aprì la porta, lo spinse dentro e poi lo seguì.

    All’interno della baita, Devereaux ondeggiò in modo allarmante e non fece neanche il gesto di togliersi i vestiti. L’ambiente era piuttosto freddo. Hutch lasciava sempre spegnere il fuoco prima di andare a letto. Riattizzò le braci e ci mise alcuni ceppi, tenendo sotto controllo Devereaux con la coda dell’occhio. Ma l’uomo non si mosse finché lui non si voltò a guardarlo. Poi alzò le braccia e si tolse il cappuccio con le mani simili a mazze per via dei grossi guanti.

    Hutch deglutì. Gesù Cristo. Jude Devereaux era… beh, era bello in modo assurdo. Aveva i capelli neri e folti e, ovviamente, ben tagliati nonostante fossero arruffati per via del cappuccio del parka e del sudore. I suoi occhi sconcertati erano azzurri. Non un azzurro comune, bensì profondi e luminosi, come zaffiri o altre pietre preziose. Aveva zigomi alti e pronunciati, un profilo leggermente piatto, pelle pallida con le lentiggini, barba scura, naso dritto che si allargava un poco vicino alle narici e una bocca grande e carnosa.

    Hutch sbatté le palpebre. Perché diavolo un uomo come quello vagava in giro per l’Alaska in una gelida notte di marzo?

    «Cosa diavolo stavi facendo là fuori?» chiese, senza nemmeno cercare di nascondere l’implicito stupido idiota nella voce.

    Devereaux guardò Hutch, poi se stesso come per controllare se aveva ancora tutti gli arti attaccati. Le sue ciglia nere spiccavano contro le guance arrossate dal vento. «Mi crederesti se ti dicessi che è una lunga storia?»

    «Dammi la versione breve,» insistette con voce dura.

    Devereaux lo fissò di nuovo, lo sguardo più concentrato. Sembrava diffidente. Probabilmente stava cercando di capire quanto fosse pericoloso Hutch. Non era una sorpresa. Hutch lo aveva salutato puntandogli un fucile in faccia. Anche se conosceva uomini più grossi di se stesso, sapeva di sembrare molto più grande rispetto a qualcuno di altezza e peso medi come Devereaux. E non aveva neanche paura di usare la propria mole per intimidire. Ora l’altro se ne stava con le spalle dritte, le gambe leggermente divaricate e le braccia incrociate sul petto. Quel tizio era nel suo territorio. Hutch voleva una dannata risposta.

    Devereaux si leccò in modo nervoso le labbra screpolate. «Sono venuto qui con un amico per una vacanza sulla neve. Abbiamo litigato e me ne sono andato.»

    «Andato? Andato da dove?»

    L’altro cercò di scrollare le spalle, ma il gesto si trasformò in un brivido. «Era un posto in affitto. Deve essere ad almeno cinque miglia da qui. Ho camminato.»

    Hutch sollevò un sopracciglio, incredulo.

    «È stata un’idea stupida,» concordò subito Devereaux. «Io… sono uscito dalla porta principale e… Non sembrava così male. Pensavo di riuscire ad arrivare in città a piedi. Non mi era parso poi così lontano quando siamo arrivati. Ovviamente non stavo pensando in modo lucido.»

    «Ma non mi dire.»

    Devereaux guardò il pavimento. «Ho corso per qualche chilometro. Non pensavo che sarebbe stato un problema. Ne faccio dieci senza problemi a casa, e credevo che correre mi avrebbe tenuto al caldo. Però… il freddo. Il mio corpo era diventato troppo rigido per continuare ad andare avanti e la città era più lontana di quanto pensassi. Io… ho visto il tuo vialetto. L’ho quasi sorpassato per via del buio.» Il suo tono si ridusse a un lieve tremito. «Grazie a Dio. Probabilmente non sarei riuscito a proseguire oltre.»

    «Puoi dirlo forte. Sei un idiota fortunato a essere vivo in questo momento. Lo sai, vero?»

    Devereaux lo guardò. Un angolo della sua bocca si sollevò. «Sì. Prima regola per una fuga improvvisa: non farlo sui pontili corti o nella natura selvaggia dell’Alaska.»

    L’ironico umorismo nel suo tono contribuì a placare i sospetti di Hutch più di quanto non avesse fatto la perquisizione. Grugnì. «Meglio vedere quanti danni hai fatto e metterti qualcosa di caldo nello stomaco.»

    «Non voglio disturbarti. Se mi lasci usare il tuo telefono, chiamo un taxi.»

    Devereaux stava fingendo che andasse tutto bene, ma Hutch riusciva a capire che, mentre si riscaldava nell’aria della baita, il corpo gli faceva male. Non aveva provato a togliersi il giaccone e aveva le mani sollevate e rigide. La sua bocca, quando non scherzava, si riduceva a una linea sottile per il dolore. Se aveva davvero percorso dei chilometri con quel tempo, il suo corpo era nei guai, soprattutto se era abituato al clima della California.

    «Sono le due del mattino,» disse Hutch con fermezza. «E questa non è esattamente Manhattan. Non andrai da nessuna parte, stasera.» A meno che io non decida che è una questione di vita o di morte portarti in ospedale, aggiunse dentro di sé. «Togliti il ​​giaccone. Devo controllarti mani e piedi.»

    Per un secondo, sembrò che Devereaux volesse discutere, però la stanchezza ebbe la meglio. Armeggiò con i guanti, senza avere la forza per levarli. Quindi lo fece Hutch per lui, sfilandoli con cura. Le sue mani erano di un rosso violento e scuro per via del freddo, ma non del nero che avrebbe indicato il congelamento.

    Hutch gli aprì la zip del vistoso e costoso parka da sci e glielo tolse. Sotto indossava un maglione termico di lana blu che copriva un corpo molto in forma. Guidò Devereaux verso il divano, lo aiutò a sedersi e si inginocchiò ai suoi piedi. Gli stivali che indossava erano di un famoso marchio tedesco, qualcosa che sembrava perfetto per i resort di lusso sulle Alpi svizzere. Erano di pelle pesante e termici, foderati di lana di pecora, e probabilmente gli avevano salvato i piedi. Quando Hutch gli sfilò le due calze di lana, vide che i piedi di Devereaux erano più o meno come le sue mani: rossi ma non neri. Una delle estremità e un mignolo avevano appena iniziato a scurirsi, fino a diventare viola.

    «Se fossi rimasto un altro po’ là fuori, l’avresti perso,» disse Hutch, toccandogli il piede.

    «Merda,» borbottò l’altro senza troppa energia.

    Come il resto di Devereaux, le sue mani e i suoi piedi erano eleganti, lunghi e con una bella forma. Hutch provò una punta di disagio. Qualcuno come lui non dovrebbe essere qui fuori.

    Si alzò. «Ti preparo un bagno caldo. Voglio che tu rimanga nella vasca e aggiunga acqua dal rubinetto un po’ alla volta quando ti abitui alla temperatura.»

    L’uomo rabbrividì. «Fa caldo qui. Sto bene.»

    «Sì? Beh, non è molto caldo in realtà, Devereaux, quindi il fatto che tu stia bene qui dentro non è un buon segno. Farai quel bagno e poi andrai a dormire. Domattina decideremo il da farsi.»

    Devereaux aveva chiuso gli occhi, ma li riaprì subito, le incredibili sfere azzurre che fissavano Hutch con quella che sembrava gratitudine. «Jude. Chiamami Jude. Sei molto gentile. Mi dispiace impormi in questo modo. Se sei sicuro che non ci sia un taxi…»

    Si trattenne dall’alzare lo sguardo al cielo. «Sì, non ne troverai neanche uno nel cuore della notte.»

    «Non so nemmeno come ti chiami.»

    «Hutch.»

    «Hutch. Grazie.»

    Jude chiuse di nuovo gli occhi e si accasciò sul divano. Hutch ne approfittò per fare una ricerca più approfondita, perquisendolo e controllando le tasche. L’uomo non si mosse neanche una volta. Non aveva armi, a meno che non se le fosse infilate su per il culo, e a quel punto meritava di vincere, come diceva Moby D. Rullo di tamburi… ba ba bum.

    Hutch lasciò Devereaux addormentato sul divano e andò a riempire la vasca.

    2

    Si occupò del bagno, preparò il tè e svegliò Jude per fargli bere il liquido caldo. L’altro gemette e rabbrividì al primo sorso, ma Hutch gli fece finire l’intera tazza.

    Si assicurò che l’acqua nella vasca fosse solo calda e non bollente. Sarebbe stato uno shock più che sufficiente per il suo corpo. Fece alzare Jude dal divano e lo accompagnò in bagno. La stanzetta era riscaldata dal vapore e dalla stufa che Hutch aveva acceso.

    «Come stanno le tue mani? Riesci a toglierti i vestiti?» chiese Hutch in tono pratico.

    «Sì. Sì. Sto bene.»

    «D’accordo. I piedi e le mani ti faranno male, ma tienili immersi. Via via che il tuo corpo si adatta, puoi scaricare un po’ d’acqua e aggiungerne calda dal rubinetto a sinistra.»

    Jude annuì, con aria stanca.

    «Non addormentarti nella vasca,» ordinò Hutch con tono severo. Poi lo lasciò da solo.

    Mezz’ora dopo, bussò alla porta del bagno ma non ottenne risposta. Aprì l’uscio e trovò Jude sul pavimento, addormentato, il corpo raggomitolato per adattarsi al piccolo spazio. Aveva la pelle rosea e ancora un po’ umida per il bagno, ed era riuscito a mettersi i pantaloni termici e le calze che Hutch gli aveva preparato. Aveva la bocca aperta e sembrava profondamente addormentato e vulnerabile. Lui conosceva quel genere di sonno. Succedeva sempre dopo una battaglia o uno sforzo estremo. Quel tipo di freddo, diecimila-gradi-sottozero, ti strappava l’energia dalle ossa mentre il tuo corpo cercava disperatamente di impedire a quello che c’era dentro – organi, cuore e fegato – di congelarsi.

    Hutch posizionò i piedi ai lati di Jude, si accovacciò e lo sollevò di peso, prendendo il suo ospite tra le braccia. Lo portò in camera e lo adagiò sul letto, abbassando le coperte dall’altra parte e infilandolo sotto di esse. Le sistemò in modo che lo coprissero bene e aggiunse un altro piumino dall’armadio. Jude non si mosse, ma lui gli controllò il polso e il respiro, che sembravano a posto.

    Tornato in soggiorno, frugò più a fondo nelle tasche dell’altro, controllando tutto. Trovò un costoso smartphone nero con un codice di accesso. Hutch non cercò di sbloccarlo. Trovò anche il suo portafoglio, di pelle nera. Conteneva quasi trecento dollari in contanti, una patente di guida con la foto di Jude, alcune carte di credito, la tessera di una palestra, quella della previdenza sociale e una sua fotografia con i capelli più lunghi mentre giocava a pallavolo su una spiaggia assolata insieme a un altro ragazzo. Amante? Fratello? Amico? C’era anche la fototessera di una bambina dall’aria seria con i capelli scuri e gli occhi azzurri che assomigliavano molto a quelli di Jude. Sorella? Figlia? Infine, trovò delle ricevute recenti di alcuni ristoranti della California e una dell’aeroporto di Parigi.

    Hutch rimise tutto nel portafoglio, poi posò le cose di Jude sulla sedia in camera da letto. Tornato nella stanza principale, accese il portatile. Fece una ricerca su Jude Devereaux e trovò diverse persone con quel nome. Quando scovò una foto del ragazzo che al momento dormiva nel suo letto, decise di scavare più a fondo. Jude era un modello. C’erano immagini di lui sulle passerelle con un abito in tweed e un cappotto nero, e altre da una campagna di Abercrombie & Fitch, in cui era uno tra i sei modelli multietnici. Aveva posato anche per la pubblicità di un’auto, in piedi accanto a una BMW blu. In quella era vestito come un ricco uomo d’affari. I suoi occhi azzurri si abbinavano alla macchina.

    Non sembrava super famoso, però di certo lavorava. Hutch grugnì, a metà tra l’essere divertito e disgustato. Sei di certo fuori luogo in Alaska, amico mio, pensò con amarezza. La più vicina destinazione sciistica, il Monte Aurora, vantava una spettacolare aurora boreale, ma era comunque un luogo remoto. Non era esattamente Aspen.

    Scavò ancora un po’. Non trovò nulla che indicasse che Jude fosse mai stato nell’esercito.

    Internet stava procedendo a singhiozzo a causa della

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