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Falling Down: Edizione italiana
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E-book291 pagine4 ore

Falling Down: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Josh si ritrova senza casa a diciotto anni, ma ha un piano. Per amore della madre, andrà verso nord in autobus fino in New England e trascorrerà lì il mese di ottobre. Lei aveva sempre desiderato andare, un giorno, per vedere le foglie autunnali. E quando le foglie saranno cadute e arriverà il rigido inverno, Josh troverà un posto dove raggomitolarsi e lasciarsi andare. Sarà un sollievo smettere finalmente di lottare.

Mark ha trascorso la sua vita cercando di essere all’altezza della spavalderia dei fratelli maggiori, finché non si è spinto così tanto oltre ed è crollato. Ora, ex-marine, ha affittato una piccola baita nelle White Mountains del New Hampshire dove può leccarsi le ferite e capire cosa fare del resto della propria vita. Una cosa è chiara: Mark non è l’eroe di nessuno.

Il destino interviene quando Josh si accampa sotto un ponte vicino alla baita di Mark. Mark riconosce lo sguardo spento del giovane straniero e si sente in dovere di fare qualcosa. Quando offre a Josh un lavoro, non immagina che sarà lui a cedere.

La neve sta per arrivare. Riuscirà Mark a convincere Josh che potrebbero avere una vita insieme prima che inizi la bufera?
LinguaItaliano
Data di uscita23 feb 2023
ISBN9791220705165
Falling Down: Edizione italiana
Autore

Eli Easton

Eli Easton has been at various times and under different names a minister’s daughter, a computer programmer, a game designer, the author of paranormal mysteries, a fan fiction writer, an organic farmer, and a long-distance walker. She began writing m/m romance in 2013 and has published 27 books since then. She hopes to write many more. As an avid reader of such, she is tickled pink when an author manages to combine literary merit, vast stores of humor, melting hotness, and eye-dabbing sweetness into one story. She promises to strive to achieve most of that most of the time. She currently lives on a farm in Pennsylvania with her husband, two bulldogs, several cows, and a cat. All of them (except for the husband) are female, hence explaining the naked men that have taken up residence in her latest fiction writing. Website: www.elieaston.com Twitter: @EliEaston Email: eli@elieaston.com

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    Falling Down - Eli Easton

    1

    1° ottobre

    Le foglie arancioni danzavano nella brezza fuori dalla stazione ferroviaria di Birmingham, in Alabama. Josh contemplò lo spettacolo silenzioso fuori dal finestrino. L’albero non era molto grande ed era piantato in una piccola aiuola circolare ricavata nel marciapiede di cemento. Era un posto piuttosto ignominioso per un albero, un piccolo e avaro nascondiglio di terra. Ma era lì, con il fogliame ancora verde alla base e arancione brillante alle punte. Sembrava che la chioma stesse arrossendo.

    Le foglie penetrarono attraverso lo sguardo vuoto e la totale nebbia di disinteresse di Josh.

    «Guarda, Joshie.» Sua madre era apparsa improvvisamente, seduta lì accanto a lui, con un sorriso appena accennato sulle labbra. «Foglie d’autunno. Non sono bellissime?»

    Josh sbatté le palpebre e scosse la testa. Lo spazio accanto a lui era, ovviamente, del tutto vuoto.

    Ma che giorno era? Da quando aveva lasciato casa, il tempo aveva perso il suo significato. I giorni della settimana erano importanti. Il temuto lunedì: il ritorno a scuola. Il mercoledì: la tristezza infrasettimanale. Il venerdì: la felicità. I sabati e le domeniche erano preziosi ma, di solito, venivano sprecati e trascorrevano troppo in fretta. In quel momento i giorni si confondevano l’uno con l’altro come acquerelli sotto la pioggia.

    Guardò un giornale che qualcuno aveva lasciato appoggiato sopra un cestino. Sabato 1° ottobre.

    Daniel gli si avvicinò con la sua abituale energia nervosa. «Ehi, possiamo andare a Tampa con trentanove dollari.» Il suo tono era impaziente e, al tempo stesso, amaro. Daniel odiava spendere soldi e pensava che il mondo intero fosse una grande cospirazione creata unicamente per derubarlo delle poche monete e banconote che guadagnava facendo lavori saltuari o chiedendo l’elemosina per strada. Era un punto di vista su cui non poteva proprio discutere.

    Josh non rispose. Contemplò l’albero. Poteva sentire il vetro del finestrino sotto la sua mano, ma la percezione era lontana, come Daniel. L’unica cosa reale era quel tronco solitario con le foglie arancioni.

    Un giorno io e te andremo nel New England in ottobre per vedere le foglie autunnali. Guarda qui. Non sono le cose più belle che tu abbia mai visto?

    Sua madre gli aveva mostrato alcune foto sul computer. Erano troppo belle per essere reali. C’erano stradine di campagna che attraversavano foreste di alberi alti e sottili con brillanti chiome sfumate di granato e ocra. Stagni di colore indaco intenso, bordati di rosso fuoco, e montagne verdi, punteggiate di macchie di colore, che si ergevano come giganti addormentati.

    Ricordava il sorriso affettuoso della madre. Guarda che paesaggio, Josh. È di una bellezza inestimabile.

    La sua foto preferita raffigurava un uomo seduto sulla veranda di una baita di legno, che sorseggiava una tazza di caffè. Il vapore si alzava nell’aria nebbiosa del mattino e, oltre il portico, si intravedeva una coltre rossa sul terreno e dei filari di alberi quasi surreali.

    Come sarebbe stato sedersi in quella veranda e osservare il tutto? Anche solo per un giorno? Anche solo per avere un’ora perfetta? L’Alabama non aveva alberi simili. Ci andremo, solo noi due. Magari il prossimo autunno. L’aveva affermato ogni anno. Beh, tutti gli anni tranne questo.

    «Josh,» insistette Daniel. «Amico, ecco i biglietti per Tampa. È meglio mettersi in fila. Il treno parte tra mezz’ora. Hai abbastanza soldi, vero?»

    «Non andrò a Tampa,» rispose Josh. Non pensava sarebbe riuscito a dirlo, ma gli sembrava giusto. Gli si stava formando un’idea nella mente. Più di un’idea. Una convinzione. Per la prima volta da quando era scappato di casa, tre mesi prima, sapeva dove voleva andare.

    «Cosa vuoi dire? Eravamo d’accordo che saremmo andati in Florida. È quello che abbiamo deciso,» si lamentò Daniel.

    Beh, Daniel l’aveva proposto ieri e Josh si era sentito troppo apatico per discutere, così aveva acconsentito che lo trascinasse alla stazione ferroviaria. Ma le cose erano cambiate.

    Josh abbassò lo sguardo sulle scarpe per non incontrare gli occhi di Daniel. «Mi dispiace. Ho cambiato idea. Vado a nord.»

    «Nord? Nord dove?»

    Josh scrollò le spalle. «Massachusetts. Vermont. Un posto del genere.»

    «Ma presto sarà inverno! Avevamo deciso che saremmo andati in Florida. Si può vivere sulle spiagge, laggiù, e magari possiamo trovare lavoro in qualche fast food o altro. È meglio non essere un senzatetto in inverno nel Vermont, amico.»

    L’avvertimento fece venire un’idea a Josh. Ottobre. Le foglie autunnali in New England. Il dolce addio dell’estate. La terra che va in letargo. E poi?

    Inverno. Neve. Pensò all’immagine di un laghetto immerso in un bosco innevato. Sarebbe stato un ottimo posto. Avrebbe potuto raggomitolarsi sopra un cumulo di neve e… lasciarsi andare. Probabilmente non avrebbe fatto molto male. Ed era un’immagine bellissima: tragica e serena, con il cadere ovattato della neve che lo avrebbe ricoperto come una coperta. Sembrava perfetto.

    «Josh?» chiese Daniel con voce preoccupata.

    Josh sbatté le palpebre. Raccolse il borsone e se lo mise in spalla. L’odore sgradevole che emanava gli fece snebbiare la mente. Il borsone conteneva i suoi ultimi beni terreni e anche gli ultimi beni della madre. In passato era bello, grigio con lo Swoosh rosso della Nike, ma alcuni mesi di vita per strada lo avevano ricoperto di una patina di sporcizia e puzzava come bucato molto sporco. Avrebbe potuto trovare posto in un bidone della spazzatura e nessuno ne avrebbe mai sentito la mancanza.

    «Mi dispiace,» borbottò Josh. «L’ho promesso a mia madre. Quindi… immagino che ci divideremo qui. Ti auguro di trovare un lavoro, a Tampa.»

    «Tua madre?» Daniel sembrava confuso. Josh si azzardò a rivolgergli uno sguardo. Fu un errore, perché vide lo sguardo implorante e timoroso di Daniel che fece sentire Josh ancora peggio.

    Aveva conosciuto Daniel solo una settimana prima, e anche il ragazzo – Daniel aveva solo sedici anni, quindi Josh poteva chiamarlo ragazzo – era un senzatetto. Si era attaccato a lui con una disperazione mal celata. Per un attimo Josh pensò di cambiare idea. Daniel aveva i capelli rosso vivo, una marea di lentiggini e, purtroppo, l’apparecchio ai denti. Josh si preoccupò proprio di quello. Non avrebbe dovuto essere stretto ogni tot o qualcosa del genere? E, al termine della cura, essere tolto, giusto? Ma Daniel si era lasciato alle spalle il dentista e l’assicurazione quando era scappato di casa. Cosa sarebbe successo al suo apparecchio?

    Non lo avrebbe mai saputo. Si sentì in colpa, ma fu una fitta momentanea. Non era suo fratello maggiore. Non lo conosceva, non gli importava nulla di lui. Daniel voleva solo compagnia, sarebbe andato bene chiunque. L’apatia che Josh portava come un sudario lo attraversò di nuovo, intorpidendogli il cuore. Daniel sarebbe stato bene. Anzi, sarebbe stato meglio senza di lui, come la maggior parte delle persone che aveva conosciuto.

    E il New England era pieno di foglie autunnali.

    «Mi dispiace, ma devo andare. Buona fortuna,» borbottò Josh e, d’impulso, abbracciò Daniel.

    Daniel si aggrappò a lui, a disagio. Le sue dita premettero sulle spalle di Josh come spilli che bloccano le ali di una farfalla su un cartoncino. «Promettimi che starai bene, Josh. Promettimi che non farai nulla di stupido.» Le parole di Daniel erano così soffocate contro la spalla di Josh che le sentì a malapena sopra il trambusto della stazione ferroviaria.

    Josh si staccò. «Non preoccuparti per me. Starò bene.» Forzò un sorriso.

    «Prometti, bastardo,» disse Daniel, con un sussurro angosciato.

    «Fai attenzione, Daniel. Sii prudente.» Josh gli rivolse un piccolo cenno di saluto e se ne andò.

    2

    4 ottobre

    Mark ondeggiava pericolosamente sulla scala. Accidenti, c’era ancora un sacco di lavoro da fare. Spostò il raschietto nella mano destra, afferrò il davanzale con la sinistra e cominciò a grattare la vecchia vernice intorno alla finestra a timpano della mansarda.

    All’improvviso apparve un volto dietro il vetro. Fu così inaspettato che Mark sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio. Oscillò sullo scalino più alto della scala. Ancora pochi centimetri e sarebbe caduto, ma riuscì a stringere la presa sul davanzale e a riavvicinarsi al muro dove si appoggiò, ansimante.

    La signora Fisher lo scrutò, con il viso rugoso e i capelli bianchi un po’ scompigliati. Tolse il gancio alla finestra e la spalancò. «Oh, accidenti! Ti ho spaventato, vero? Mi dispiace tanto! Come mi è venuto in mente con te sopra la scala. Oh, cielo!»

    «Va tutto bene,» disse Mark a denti stretti. «Non c’è stato alcun danno.» Dopotutto, sarebbe solo caduto da un’altezza di tre piani e mezzo.

    «Volevo solo avvertirti che è pronto il pranzo. Non appena potrai fare una pausa, vieni dentro.»

    La signora Fisher era davvero una dolce vecchietta. Mark riuscì a rilassare la mandibola e sorridere. «Magari tra venti minuti? Vorrei finire questa sezione, così potrò spostare la scala.»

    «Come preferisci, caro.» La donna chiuse la finestra e sparì dentro la soffitta.

    Mark scosse la testa per cancellare il pensiero di se stesso steso a terra e con numerose ossa rotte. Cristo, avrebbe fatto male. E quanto sarebbe stato ironico essere sopravvissuto all’Afghanistan per poi rimanere permanentemente invalido cadendo da una scala, mentre dipingeva una casa nel New Hampshire?

    Continuò a raschiare, spostando l’attrezzo nella mano sinistra quando il polso destro si affaticò. Si appoggiò a un piolo della scala, tenendosi in equilibrio con una mano al davanzale come un’ancora di salvezza.

    Con il riscaldarsi della giornata si era tolto la camicia di jeans a maniche lunghe, rimanendo in T-shirt. I muscoli dell’avambraccio e del bicipite si gonfiavano mentre applicava con forza lunghe strisce di vernice. I risultati gli facevano apprezzare il lavoro. Dipingere era un buon allenamento, lo teneva in forma. Gli piaceva la manualità del lavoro, la fisicità. Lo aiutava a svuotare la mente iperattiva. A dormire la notte, visto che aveva il cervello troppo stanco per evocare incubi o almeno troppo intorpidito per ricordarli.

    Ma oggi il lavoro lo stava stressando. Aveva promesso alla signora Fisher che avrebbe terminato prima dell’inverno poiché sarebbero tornati i figli a casa per Natale. Era il 4 ottobre ed era solo il terzo giorno di lavoro. La vecchia casa vittoriana era grande e Mark sapeva che i tempi erano rischiosi quando aveva accettato l’offerta, ma aveva davvero bisogno di guadagnare. Ora che aveva iniziato, comprese che il compito era ancora più gravoso di quanto avesse supposto. C’erano tante cupole e decorazioni in pan di zenzero. La casa sembrava essere un’opera di Tennessee Williams e appartenere al Sud, anziché alle White Mountains del New Hampshire. I rigidi inverni avevano deteriorato la fantasiosa verniciatura a tre colori come succede a uno smalto che si sfalda. In alcuni punti, le rifiniture in legno si stavano staccando, sgretolandosi sotto i suoi attrezzi.

    I primi due giorni aveva noleggiato un’idropulitrice e preparato le grandi pareti. Ma tutto il lavoro di rifinitura doveva essere eseguito a mano. Ci sarebbe voluta un’eternità, e Mark era stato addestrato troppo bene dal padre anche solo per pensare di dipingere sopra la vecchia vernice screpolata e scrostata.

    Era una giornata calda, con venti gradi. Ma sulle White Mountains il tempo poteva cambiare da un momento all’altro. Non voleva rimangiarsi la parola data e non finire in tempo. Mentre raschiava, Mark rifletteva sulle sue opzioni. Durante l’estate c’era un ragazzino, Luke, che lo aiutava nei lavori saltuari, ma era tornato in città con la sua famiglia, come tutti gli altri villeggianti estivi. Avrebbe potuto mettere un annuncio sul giornale, ma ora che era iniziata la scuola, i ragazzi del posto erano impegnati e gli adulti non sarebbero stati interessati al compenso che poteva permettersi di pagare. Poteva rivolgersi alla sua famiglia, ma era sempre l’ultima opzione. Viveva a due ore di distanza dai parenti per un motivo preciso. Inoltre, avevano la loro vita.

    La scelta più ovvia era Simon, il suo amante occasionale. Si era offerto di aiutarlo se Mark ne avesse avuto bisogno, ma gestiva un bar e un ristorante a venti minuti di distanza, a Woodstock, e Mark odiava occupare le sue poche ore di tempo libero. Inoltre, lui e Simon avevano un rapporto occasionale, quindi non voleva sentirsi obbligato.

    Terminò di raschiare il timpano e scese con cautela la scala. Fece appena in tempo a toccare il suolo con i piedi prima che la signora Fisher aprisse la porta d’ingresso. «Tutto finito, allora? Entra pure, Mark. Ho fatto anche il caffè.»

    Non aveva particolarmente fame. Quando lavorava, raramente pensava al cibo fino al termine della giornata. Ma la signora Fisher era stata gentile a offrirgli il pranzo e lui non voleva offenderla rifiutando.

    Si tolse gli stivali da lavoro e li lasciò vicino alla porta d’ingresso. La casa era elaborata dentro come fuori. Era un labirinto pieno di centrini, tessuti floreali sbiaditi, dipinti di un Gesù barbuto e molto caucasico e foto di famiglia in vecchie cornici. Puzzava di aria stantia, tempo ormai trascorso e borotalco. La signora Fisher era vedova e viveva da sola in quella vecchia casa sconclusionata, come un fantasma che vagava in una vita passata. La casa era ordinata, ma la polvere stava prendendo il sopravvento come un sudario che diventa più spesso. A quanto pare, non c’era nessuno nelle vicinanze che potesse aiutarla. Aveva un figlio che viveva a Denver e una figlia a Los Angeles.

    «Mark?» lo chiamò la donna dalla porta della cucina. «È tutto pronto.»

    «Arrivo.»

    In cucina, sul tavolo, c’erano una tovaglietta, un piatto, delle posate, una caffettiera e una brocca di latte. Nel piatto c’erano un panino al prosciutto e formaggio e delle patatine. Al centro del tavolo troneggiava un piatto di biscotti comprati in qualche negozio.

    «Grazie, signora Fisher. È molto gentile da parte sua, ma non deve prepararmi il pranzo.»

    «Beh, è un lavoro duro. Un lavoro da uomini.» Fece un cenno di disappunto con la mano. «Un giovane come te deve rimanere in forze.»

    Mark non rispose. Si sedette a tavola. Si accorse di avere più fame di quanto pensasse. Ma la sua mente era ancora concentrata su come terminare i lavori alla casa in tempo. Di solito non iniziava a nevicare prima della metà di novembre, ma quell’anno era arrivata già ad Halloween. Anche se si fosse fatto aiutare da Simon, non avrebbe finito per allora. Trattenne un sospiro.

    «Volevo parlarti, Mark.» La signora Fisher si sedette sulla sedia di fronte al tavolo della cucina. Era vestita, come d’abitudine, con un tailleur pantalone blu su cui aveva appuntato una spilla floreale. Aveva i capelli grigi raccolti in uno chignon, ma il bagliore impaziente dei suoi occhi era nuovo.

    «Okay,» disse Mark, chiedendosi cosa volesse.

    «I Miller, ovvero Doreen e Steve Miller, li conosci?»

    «Non credo.»

    «Beh, gestiscono un Bed and Breakfast sulla Riverfront Drive. Sono persone molto gentili. A ogni modo, erano curiosi di sapere chi stesse dipingendo la mia casa, così gli ho parlato di te e di quanto sei bravo e affidabile! Mi hanno chiesto un tuo biglietto da visita. Vorrebbero imbiancare i loro locali, in primavera. Bisogna mantenere le apparenze quando si gestisce un Bed and Breakfast, si sa.»

    Mark estrasse un biglietto dalla tasca della tuta e lo posò sul tavolo. «È gentile da parte sua raccomandarmi.»

    «Certo che sì! Sono cinque anni che cerco di far dipingere questa vecchia casa. Le persone che ho contattato non si sono presentate affatto oppure, dopo aver valutato il lavoro, hanno chiesto un compenso degno di un re. E, considerato che i miei figli e i miei nipoti quest’anno torneranno a casa, volevo che il lavoro fosse ultimato entro Natale! Il tuo prezzo è fin troppo ragionevole. Mi sento ancora in colpa.»

    «Sto guadagnando abbastanza,» replicò Mark a disagio. In realtà, per dipingere l’enorme casa, aveva chiesto un compenso molto più basso del solito, ovvero solo tremila dollari. Era stato un idiota, ma non voleva chiedere di più a quella vecchia signora dall’aspetto fragile. «Il fatto è che non sono sicuro di essere ancora qui la prossima primavera.»

    La signora Fisher si accigliò. «Perché no?»

    «Sto valutando alcune opzioni per il college. Non ho ancora deciso nulla.»

    La signora Fisher aveva un’aria affranta. «Ah! Sarebbe un peccato. Avremmo davvero bisogno di un giovane simpatico come te qui a Gainsville, in modo permanente. I turisti non mancano, certo, ma la vera gente di città è una razza in via di estinzione. Un giovane forte e sano, che ha servito il proprio Paese, educato e responsabile? Sarebbe davvero meraviglioso se vivessi qui, a Gainsville, per sempre.»

    «È gentile da parte sua dirlo.» Mark non poté fare a meno di chiedersi se la signora Fisher lo avrebbe ancora voluto come residente permanente se avesse scoperto che era gay. Probabilmente no. Ma si sentì comunque un po’ in colpa per il suo segreto. Il silenzio in cucina si era fatto opprimente. Ingoiò un boccone del panino e si schiarì la gola. «Vede, ho due anni di tasse universitarie già pagate grazie al servizio militare e voglio approfittarne.»

    «Che cosa desideri studiare?»

    «Non ho ancora deciso. Forse economia o informatica. Qualcosa di pratico.»

    «La pratica è buona,» disse lei senza troppa convinzione. Bevve un sorso di tè. «E suppongo che, se l’università è già pagata, sarebbe un peccato non frequentarla. Non puoi seguire altri corsi universitari e rimanere qui? C’è un’università a Plymouth.»

    Per sua fortuna, sembrava che la signora Fisher stesse pensando ad alta voce e non si aspettava che Mark rispondesse. La verità era che lui avrebbe anche potuto seguire i corsi a Plymouth oppure online. Molte università offrivano programmi a distanza durante il semestre invernale. Ma Gainsville non era destinata a essere più di un battito d’ali, nella sua vita.

    Quando sei mesi prima si era recato lì per fare un’escursione sulle White Mountains e aveva visto la piccola baita in affitto, era stato come se un essere avido dentro di lui avesse preso il sopravvento e aveva firmato il contratto d’affitto il giorno stesso, assolutamente innamorato del posto e non disposto a rischiare di perderlo. All’epoca viveva con i genitori, nella sua città natale, Concord, dopo aver lasciato i Marines. Erano bastati pochi mesi con loro perché la sistemazione lo sfinisse. Con i genitori e i suoi quattro fratelli maggiori, che vivevano ancora tutti a Concord, si sentiva stretto in una camicia di forza. Tutti volevano decidere come doveva vivere la propria vita. Inoltre, Mark non aveva ancora fatto coming out con loro. Forse, probabilmente, non lo avrebbe mai fatto. Quindi la sua vita sociale a Concord era stata inesistente.

    Oltre ai problemi con la famiglia, dopo l’Afghanistan era davvero incasinato. Aveva bisogno di un posto tranquillo per leccarsi le ferite e poter stare da solo finché non avesse messo la testa a posto. La piccola baita di Gainsville era perfetta: remota, panoramica, senza nessuno nelle vicinanze che si aspettasse qualcosa da lui. Ma era solo un’area di sosta. Là fuori c’erano milioni di strade che Mark poteva percorrere. Doveva solo trovare quella giusta. Quella giusta per quella volta. Non poteva vivere con l’idea di fallire di nuovo, come aveva fatto con i Marines.

    Il pensiero era terribile e aveva come un sapore amaro. All’improvviso non voleva più stare seduto lì. Si ficcò in bocca l’ultimo pezzo di panino, deglutì ignorando il groppo in gola e si pulì la bocca con il tovagliolo.

    «È meglio che torni al lavoro.»

    «Vorrei poterti aiutare.» La signora Fisher alzò le mani nodose. «Ma temo di non andare d’accordo con i pennelli, in questi giorni.»

    Il suo tono scherzoso alleggerì l’atmosfera e la vista delle sue mani callose ricordò a Mark che non aveva nulla di cui lamentarsi. Le sorrise. «Ehi, sta cercando di farmi perdere il lavoro?»

    Lei rise. «Cielo, no! Non arriverà quel giorno. Stai attento con la scala, Mark. È terribilmente alta. Non mi perdonerei mai se ti facessi male.»

    «Non permetterò che accada.» La sua vita era già abbastanza incasinata. Cadere non faceva parte del menu.

    Lavorò finché non furono quasi le cinque di pomeriggio e le sue braccia non poterono sopportare un altro minuto di raschiatura. Mentre tornava a casa, vedeva il sole tramontare dietro di lui nello specchietto retrovisore. Alle foglie mancavano ancora alcune settimane prima di essere al loro massimo splendore, ma avevano iniziato a trasformarsi, facendolo sentire sereno e felice, anche se in un luogo dimenticato. L’autunno era il suo periodo preferito dell’anno. Non poteva essere altrimenti, essendo cresciuto nel New Hampshire. La stagione era di una bellezza mozzafiato e uno dei pochi periodi dell’anno in cui non faceva né troppo caldo né troppo freddo. La strada di campagna a due corsie che stava percorrendo era fiancheggiata da castagni, aceri e querce. I castagni avevano già assunto una tonalità ruggine e gli aceri rossi stavano appena iniziando, con macchie di rosso che apparivano tra il fogliame verde. Per un attimo gli ricordò le gocce di sangue sull’erba, ma no, allontanò il pensiero. Non avrebbe permesso che l’autunno fosse rovinato. Non da quello.

    Purtroppo la strada di campagna era più trafficata del solito e la gente guidava troppo veloce o rallentava per osservare la città. Ciò smorzò il suo umore tranquillo. Era l’alta stagione turistica e i cercatori di foglie brulicavano ovunque. Come riuscivano a trovare strade secondarie tranquille come quella? Forse Gainsville era segnalata in qualche elenco di gemme nascoste su Internet. Egoisticamente, desiderava che facessero capolino da qualche altra parte, ma lui stesso era un intruso, quindi il suo era un pensiero del tutto ipocrita.

    Rimase accodato

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