Il mare di Wuh
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Un romanzo forte e ironico al contempo, pervaso da una vena caricaturale capace di trattare con tagliente originalità temi come politica e giustizia, ma anche amore e amicizia.
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Anteprima del libro
Il mare di Wuh - Alessandro Gnani
Orwell
1
«Che bella domenica!»
«Più o meno come le altre.»
Il cielo era alto e il sole scaldava l’ultima domenica di aprile.
«La primavera quest’anno è primavera davvero, tiepida e accomodante.»
«Più o meno come le primavere passate.»
Chiacchieravano con calma seduti su una panchina attrezzata di cuscini in velluto rosso. Tutte le panchine del mandamento li avevano.
«Suvvia, mr Wuh, un po’ più di entusiasmo.»
«Ma io sono entusiasta, mr Kah. Ho lo stesso entusiasmo di Hayal.»
Il mandamento di Hayal era uno dei dieci distretti di Irkét, la città grande. Situato all’estrema periferia ovest, godeva di autonomia amministrativa speciale.
Mr Wuh chiuse gli occhi, inspirò e sorrise sornione. Poi disse: «Provi un attimo a non guardare, amico mio. Vedrà il futuro di Hayal per i prossimi duecento anni».
Sulla pista ciclabile passò una famiglia in bicicletta. I caschetti neri dei tre bimbi luccicavano al sole.
«Temo di non riuscire a seguirla.»
«È semplice invece» e lo guardò di sottecchi. «La placida serenità che siamo abituati a respirare nel mandamento continuerà imperturbabile. Stesso benessere, amico mio, stessa spensieratezza per tutti.»
Dal parco si udiva il vociare dei bambini. I più piccoli filavano giù dagli scivoli, i più grandicelli giocavano schizzandosi addosso l’acqua degli irrigatori pubblici.
«Mi sembra che il suo sia un cinismo senza fondamento, mr Wuh.»
«A me piace chiamarla noia. Coccolati dai cuscini dell’agiatezza, viviamo da sempre un’epoca di letargo politico, mio caro amico, un’epoca che trovo estremamente noiosa, tant’è perfetta» raccolse una cimice posatasi sui pantaloni «e lenta».
Davanti a loro una cicogna camminava guardinga sul prato inglese, diretta allo stagno del parco.
«Mr Wuh, la noia del benessere, se ha un che di politico, ce l’ha nella democrazia. Dovrebbe godere del nostro procedere lento anziché lamentarsi.»
Mr Wuh posò la cimice sulla siepe di lauro a lato della panchina.
«Grandi ideologie sono vissute di assoluto» proseguì mr Kah con fare cattedratico «senza rendersi conto che non c’è assoluto capace di resistere al fluire del tempo. È questo il punto, mio vecchio amico: che nel DNA della democrazia c’è il senso del relativo. Il segreto della sua immortalità sta tutto lì». Mr Wuh continuava a fissare la cicogna. «Veda, non ci facciamo mai troppo caso, ma il benessere cui siamo abituati e che tanto la indispone, caro mr Wuh, altro non è che il tranquillo procedere della democrazia lungo i binari del tempo.» Mr Wuh mosse appena il capo, come di chi annuisce in modo distratto. «E vorrei dirle un’altra cosa.»
«Sono tutt’orecchi» disse mr Wuh. Notò che la cimice aveva zampettato parecchie foglie oltre.
«Vorrei dirle che, per nostra fortuna, nel mandamento sarà sempre così.»
«Quanto mi rallegra la sua fiducia nel futuro, tanto benefica» mr Wuh inseguì con lo sguardo tre ragazze intente a fare jogging «e tanto rassicurante. Per quanto mi riguarda invece, all’età in cui sono, traggo beneficio solo nell’ignavia».
Mr Kah aggrottò la fronte, come se fosse preoccupato per qualche turbamento dell’amico.
«Il fatto è» disse ancora mr Wuh mentre la cicogna stava calando nello stagno «che continuo a non vedere nulla di democratico in questa domenica. Lei mi dirà che è un’idea bizzarra, eppure ho sempre pensato che la democrazia dobbiamo testarla sulla capacità di far fronte agli strappi». Gli occhi di mr Kah restavano incollati sul faccione rubizzo dell’amico. «Però da noi non è mai successo niente, capisce? Un benessere piatto come il nostro non ha nulla di democratico» scacciò una mosca e allargò gli occhi in un benefico sorriso «a parte noi due, s’intende!»
Ma mr Kah non raccolse. Stringendo gli occhi rispose: «Dunque, se ben intendo, sta dicendo che viviamo in un mandamento autoritario?»
«No, amico mio, no, qualcosa di molto più banale.» Con fare rassicurante mr Wuh poggiò la mano sulla spalla dell’altro. «Sto dicendo che non abbiamo avuto ancora modo di scoprire se Hayal sia democratico per davvero.»
«Consideri il nostro tempo noioso quanto vuole» mr Kah si ritrasse appena, quella mano sulla spalla ora gli dava persino fastidio «ma, a costo di sembrarle un conservatore ingrigito, preferisco tenermi ben stretto il benessere piatto di Hayal, per quanto ademocratico le sembri».
Con un batter d’ali scomposto la cicogna spiccò il volo. Piccole gocce d’acqua uscite dalle zampe caddero in aria.
«Mr Kah, le svelerò un segreto» disse mr Wuh liberando la spalla dell’amico. «Il 31 dicembre sarà la data del mio pensionamento.»
«Non so se congratularmi con lei, ma manca una manciata di mesi.»
«Proprio così, amico mio. Potrà risultarle un tantino incosciente, ma dal 1° gennaio sopporterei con molta fatica dover aggiungere alla noia altra noia.»
Mr Kah abbassò le sopracciglia stringendo lo sguardo: «La prego, mr Wuh, a cosa si dovrebbero preparare ancora le mie orecchie?»
«In tutta sincerità, nella nuova vita che mi attende non disdegnerei qualche occasione per rimettermi in gioco» mr Wuh stava mormorando, come un bambino che confidi al compagno il più temibile dei segreti «e, perché no, a colpi di democrazia rimetterci in gioco un po’ tutti. Capisce cosa intendo? Qualcosa di mai visto prima, ecco, qualcosa che ci dia la scossa». Sorrise sornione e si lisciò i baffi, pronto a godersi la reazione dell’amico.
«Maklamà ce ne scampi! Come può indugiare in simili bestialità!» disse mr Kah avvampando. Ma fu solo un attimo. Abbassò le mani e riaccavallò le gambe. «Col suo qualcosa di scossa elettrica parecchi nostri concittadini potrebbero rimetterci la pelle. Deve ricordarselo sempre, mio buon amico.»
Mr Wuh scrutò la cicogna. Nel cielo di Hayal volava alta e piccola.
«La sua idea di democrazia non potrò mai accettarla» rincarò mr Kah. «Una democrazia costretta a vivere nel pericolo collettivo, se lo lasci dire, non è una democrazia.»
Mr Wuh non riuscì a trattenersi dal ridere.
«Sono sicuro che sia nel torto, mr Kah, ma ora venga: rifugiamoci nella serena tranquillità di un buon gelato.»
«Con piacere, amico mio: godiamocelo tutto, questo nostro benessere affidabile.»
«E soporifero!»
I loro sguardi si incrociarono e, per entrambi, fu di nuovo facile sorridersi.
2
Gli scatoloni giacevano impilati sul parquet di legno scuro. Uno solo, più piccolo degli altri, era ancora vuoto. La donna l’aveva aperto al centro della scrivania in radica. Andò all’armadio, prese un rotolo di pluriball, e iniziò a tagliarlo con cura. Tanti pezzetti quadrati, grandi quanto un palmo della mano.
Il sole proiettava una chiazza di luce bianca sul lato sinistro della scrivania. La grande notizia era stata preceduta da un cielo terso e benaugurante. Ma Lady Celik non vi aveva fatto il minimo caso. Per lei gli influssi del tempo non avevano dignità di esistere, i meteoropatici erano gente dalla psiche labile, gli scaramantici degli ignoranti di taglia medio-grossa.
Trenta quadrotti di pluriball impilati sulla scrivania.
Lady Celik, detta la marescialla, si girò di spalle verso ciò che di più prezioso il suo ufficio custodiva. Fissò una mensola a due ripiani attaccata al muro. Un’ondata di contentezza le riempì i polmoni. Era giusto così. Se lo meritava tutto e, alla fine, le era capitato. Non per la buona sorte, quella non c’entra mai un cazzo nelle faccende degli umani, ma solo per merito. Era una vita che sgobbava duro senza uomini né diversivi, tutta una vita passata in sposa al proprio lavoro. I risultati stavano sotto gli occhi di tutti. Non poteva andare diversamente.
Trentadue pupazzetti di gomma dura dritti sulla mensola come tanti soldatini. Qualche secondo e le sapienti mani di Lady Celik li avrebbero avvolti con cura nelle loro copertine di pluriball.
Non si era mai sentita un supereroe, ma la passione per i fumetti dei supereroi l’aveva conservata anche da adulta. No, per quanto donna di successo, non era la Wonder Woman della ronda, semmai una lavoratrice lungimirante e dedita alla causa.
Guardò il pupazzetto in mezzo a Batman e Superman. Da sempre il suo preferito. Sulla scansia era alto il doppio degli altri. Il suo nome era Spiderman. Giganteggiava in posa d’attacco, con le dita contratte e la ragnatela alta per aria.
Lo prese e sorrise. Il sorriso di Lady Celik. Era quello il suo marchio di fabbrica più invidiato. Lo chignon, immancabile e tirato sulla punta della testa, piaceva soprattutto alle donne, ma il sorriso godeva di devozione universale. E lei non si sottraeva: i suoi denti perfetti e bianchissimi salutavano con rigore gli alunni dei corsi d’addestramento non meno che i pubblici ufficiali durante le cerimonie pubbliche. Tante volte era finita sulle prima pagine di riviste patinate ma, altrettante volte, aveva rifiutato contratti milionari come sponsor del dentifricio Dentalux.
«Caro mio, è giunto il tempo di andarcene. Ma non devi preoccuparti. Arriverai in un luogo ancor più prestigioso.»
Perché proprio Spiderman? Perché è uno attaccato alle cose – rispose una sera a mr. Sciucinsk, il suo segretario personale – con la sua ragnatela infallibile non si fa scappare nulla, ma deve saltare eccome per combattere il crimine. Tu mi sei testimone. Sai bene quanto ho sgobbato per rendere il nostro mandamento un gioiello di sicurezza dentro il letamaio della delinquenza. Come Spiderman mi sono attaccata anch’io a potenti, reclute, docenti e chiunque servisse, pur di ottenere il risultato. E che risultato! Aveva esclamato mr. Sciucinsk senza alcunché di ironico.
Avvolse Spiderman nella sua copertina di pluriball e lo adagiò su un letto di carta velina. Alle 13:00 esatte chiuse la scatola di cartone zeppa dei trentadue idoli. La imbustò in uno zaino di pelle nera e uscì dalla porta. Non si guardò indietro.
3
Camminavano a braccia conserte dietro la schiena, piuttosto curvo mr Wuh, ben più dritto mr Kah. Qua e là comparivano manifesti disposti su grandi fioriere. Gerani e petunie ingentilivano il messaggio pubblicitario stampato sopra:
Hayal è il più grande parco del mondo con le case dentro.
«Mr Kah, le piace la locandina ideata per la stagione primaverile?»
Una faina autoctona sgattaiolò dietro un’aiuola.
«Non male, molto meglio del primo bozzetto.»
Il via vai dei residenti lungo Ulia Maklamà sembrava non riguardare i due anziani signori.
«Il bozzetto proposto dal comitato civico era davvero ridicolo» continuò mr Kah «raffigurava una specie di Manhattan infilata dentro qualcosa di simile a Central Park. Poi, per fortuna, il governatore si è fatto carico della campagna pubblicitaria».
Mr Kah era nel giusto. Hayal non aveva nulla di simile a Manhattan. Anziché in verticale, si sviluppava in orizzontale. Tante graziose villette punteggiavano l’immensa area verde del mandamento.
«Sbaglio o i cinque membri del comitato sono prossimi alla scadenza?» chiese mr Wuh.
«Non sbaglia, amico mio. Quattro di loro hanno già compiuto i novant’anni, il quinto li compie proprio oggi.»
Mr Wuh disse: «Tutti coetanei. Una coincidenza davvero singolare, non trova?»
«Che vuole, amico mio, le cose della vita sono fatte anche di amenità statistiche.»
Il sole stava scendendo pigramente sulle loro teste.
«Cosa gliene pare di questo posto per accomodarci?» domandò mr Wuh.
Era il Mustans Cafè.
«Semplicemente perfetto.»
Scelsero un tavolino all’aperto con vista su Ulia Maklamà. Davanti a loro la gente passava a piedi o in bicicletta, molti giovani guidavano overboard e monopattini elettrici. I veicoli inquinanti erano banditi in Hayal, l’uso di auto elettriche era permesso solo per ragioni di salute o servizio pubblico.
Un pipistrello sfrecciò poco sopra le loro teste.
Mr Kah disse: «Il sole tramonta all’orizzonte e i pipistrelli iniziano le loro scorribande».
Tutti ad Hayal avevano una bat box in giardino. Combattevano gli insetti coi pipistrelli, senza ricorrere ai pesticidi. Nelle ore notturne decine e decine di pipistrelli solcavano il cielo di Hayal. E quando l’alba giungeva, la nettezza urbana ne raccattava il guano, lo compattava in panetti da un chilo e lo distribuiva ai residenti per concimare l’orto.
Mr Wuh sorrise: «Già, più o meno come gli altri giorni, mr Kah».
«Oh, la prego, mr Wuh, non ricominci con la storia della noia.»
Il muso sottile di una faina fece capolino da un cespuglio oltre la via.
Mr Wuh sibilò: «Lei ama il perfetto equilibrio tra uomo e natura che siamo riusciti a creare. Vero, amico mio?»
«Ognuno ha le sue convinzioni» disse mr Kah rabbuiandosi. «L’importante è che non diventino indisponenti.»
«Ha ragione, le domando scusa.» Mr Wuh chiuse gli occhi come per assaporare l’aria di Hayal. «Non esiste al mondo convinzione talmente forte da sgualcire lo sguardo in due buoni amici.»
«No, mr Wuh, non si scusi. Osservi quella faina, piuttosto, gli occhietti scaltri, la lucentezza del pelo: come fa a non apprezzare l’incanto della natura!»
La faina autoctona di Hayal, poco più grande della specie comune, era famosa per il manto argenteo. Il governatore acquistava chili e chili di ratti da liberare nei parchi affinché avesse cibo a sufficienza.
«Sa cosa apprezzerei, amico mio? Che il pipistrello di prima si posasse vicino alla faina. Dica, la faina lo azzannerebbe o fuggirebbe?»
«Non saprei.»
«Ah, mr Kah, quell’incontro sarebbe un’opera prima della natura. E sa cosa? Di fronte a uno spettacolo simile perfino io mi sentirei di dire» prese fiato e scandì le parole: «ecco l’incanto della natura, unico e irripetibile».
Un cameriere tarchiato giunse per le ordinazioni.
«Ma non succederà, amico mio.» Mr Wuh abbassò le spalle. Il suo slancio si era sgonfiato come un palloncino.
4
«Arrivederci» la salutò il custode.
La donna ricambiò con un lieve cenno del capo. Vide il portone elettrico aprirsi. Sulle due ante erano inchiodate tre lettere in ottone: CRP. Appena ebbe spazio sufficiente sgusciò fuori.
Campus della Ronda Mandamentale. L’aveva voluto lei, con tutta la perseveranza di cui era capace. Se lo stava lasciando alle spalle come un sacchetto da riporre nel ripostiglio.
S’incamminò a passo spedito. Un’arzilla ottantenne procedeva verso il proprio futuro, comoda dentro le sneakers nere, sotto un poncho di lana cotta.
Aveva riformato la guardia militare (di fatto mettendola in soffitta), l’aveva sostituita con la ronda mandamentale, aveva arruolato giovani, istruttori, formatori per far crescere la sua neonata creatura, l’aveva dotata di una location esclusiva come il Campus, era riuscita là dove nessun altro sarebbe mai riuscito. E ora, lo zainetto in spalla colmo dei suoi uomini più fidati, Lady Celik trotterellava lontana dall’opera che l’aveva resa la prima donna di Hayal.
Il campus, con i suoi alloggi costruiti in legno, le palestre, le sale mensa, le business room domotizzate, l’ufficio direttivo della marescialla, perdeva la sua grande madre. Poco male, poiché tutti sapevano che era per una ben più nobile causa.
La mente geniale di Lady Celik, che prima di tutti aveva compreso la necessità di sburocratizzare la macchina militare, abolire le carriere, eliminare prebende, la stessa mente geniale che aveva reso la sicurezza pubblica un servizio gratuito e democratico grazie all’impegno di volontari cittadini, da domani sarebbe andata a servire il mandamento nel modo più alto possibile.
Una cicogna bighellonava sulla ciclabile. All’incedere fiero della marescialla prese a corricchiare affannata, sgombrando la via.
«Buona fortuna di cuore, Lady Celik» le disse a voce alta un ragazzotto mentre si sbracciava nella sua divisa gialla.
«Grazie caro. Sei nuovo?»
«Mi hanno immesso in servizio due giorni fa.»
Uno dei tanti volontari della ronda. Stava accompagnando una vecchietta all’ufficio postale.
Le domande per i corsi d’addestramento piovevano torrenziali sugli uffici della ronda. Durissime le selezioni. La marescialla si era sempre dimostrata inflessibile quanto obiettiva. Gli allievi la veneravano come il più sommo maestro, sedotti dalla competenza ed empatia che esprimeva giorno dopo giorno. Centinaia di cittadini pattugliavano 24 ore su 24 strade, piazze, esercizi pubblici, edifici sensibili. Tutto su base gratuita, nella massima trasparenza e fedeltà. Nessun esborso per il contribuente, nessuna corruttela, nessun arrivismo per scopi di lucro.
Ben presto, Irkét e le democrazie evolute assunsero la ronda a paradigma da imitare.
«Mi raccomando, ragazzo, non dimenticare mai che sei stato fortunato. La ronda non è per tutti, lo sai.»
Il ragazzotto rispose con un sorriso ancora più solare: «Non lo dimenticherò mai, grazie».
«Bravo, la sicurezza di Hayal dipende soprattutto da te.»
La recluta fissò la sagoma di Lady Celik allontanarsi sul vialetto.
«Ci vogliamo sbrigare, giovanotto? Tra poco la posta chiude» sbraitò la vecchietta tirandolo per la giacca.
5
Il Mustans Cafè distava pochi metri da piazza Hannà. Hannà, il primo governatore del mandamento, era considerato il Grande Padre di tutti; colui che aveva strappato al governo di Irkét l’autonomia amministrativa speciale per Hayal, l’aveva dotato di leggi e della Magna Charta – una sorta di statuto fondativo.
«Guardi che bello» disse mr Kah puntando il dito: «Da qui abbiano la vista frontale su Hannà».
La statua di marmo bianco giganteggiava al centro della piazza. Con fiero cipiglio, il Grande Padre teneva le redini di un cavallo dalla chioma fluente.
«Mio caro amico, non la turberà sapere che ho sempre odiato quell’opera.» Inforcò un cucchiaino di gelato al pistacchio. «Il visitatore dovrebbe concentrarsi sui meravigliosi intarsi a pavimento della piazza, invece di essere distratto da una porcheria celebrativa e rozza come quella.»
Questa volta mr Kah replicò con leggerezza: «Non sarà invece che odia il Grande Padre della nostra democrazia? Quella stessa democrazia che lei reputa così letargica?»
A dire il vero, l’assetto democratico di Hayal era oggetto di studio in vari paesi esteri. Gli elogi delle cancellerie straniere verso la Magna Charta aumentavano di anno in anno e, ancor oggi, resta un mistero il motivo per cui nessuna nazione abbia mai deciso di applicare a sé le regole di Hayal.
«No, non è la passione politica a suscitare il mio inutile sdegno, mr Kah, semmai il mio povero senso dell’arte. Veda, amico mio, l’arte non la si può confondere, e nemmeno la si può barattare.» Si rifinì le labbra con un tovagliolino di carta. «La politica, beh, quella è un’altra cosa.»
L’ingegneria politica di Hannà aveva partorito una macchina tanto perfetta quanto semplice. Un governatore e un comitato civico di cinque membri. Il primo governava ed era eletto, il secondo non governava e dunque non era eletto. I nuovi membri venivano scelti dal comitato stesso.
«Mi stupisce, mr Wuh. Per la prima volta la sento attribuire un valore assoluto a qualcosa.»
Mr Wuh era indaffarato nella pulizia dei folti baffi. Un cameriere in livrea lasciò il conto sul tavolino, e sparì.
«Quante volte abbiamo parlato di politica io e lei» proseguì mr Kah «e sempre ci siamo arroccati in noi stessi».
Mr Wuh gonfiò il petto ed emise un respiro lento. «Amico mio, penso proprio che abbia ragione la kari, sa? Con lei non riesco mai a parlare di politica. È un parlare di niente, continua a ripetere.»
Mr Kah assaggiò un poco di crema zabaione e rispose: «La politica è una cosa nobile, ma è anche così lontana. Le donne, invece, sanno essere così concrete. A proposito, come trova il pistacchio?»
«Superbo!»
Lo sguardo bianco di Hannà pareva biasimarli dall’alto della sua maestosità.
6
Arrivò a destinazione. Suonò e le fu aperto.
La stanza si trovava al primo piano. Entrò tranquilla, come una di casa. Diede un’occhiata in giro. Un tavolo di cristallo prendeva gran parte dello spazio. Una dozzina di sedie se ne stavano impilate contro il muro bianco. Niente di che, classiche sedie da ufficio, coi piedi di metallo e un’imbottitura appena passabile. Andò verso la porta finestra, la cosa più bella della stanza. Larga quanto l’intera parete, era esposta a oriente, pronta ad accogliere tutta la luce che il cielo le offriva. Guardò fuori. Dal terrazzo si vedeva benissimo il centro cittadino, discreto e grazioso. Piazza Hannà con la statua del Grande Padre e la residenza del governatore subito accanto, Ulia Maklamà e l’immenso giardino centrale. Avesse alzato appena appena lo sguardo, in lontananza avrebbe scorto il campus, circondato dai cedri del Libano.
Invece si voltò indietro. Tutto l’ambiente era sobrio, quasi dimesso ma ben tenuto. È così che doveva essere. Niente fronzoli, niente eccessi inutili. Era il suo ambiente. Passò a fianco di un armadio in legno di pino. Poggiò lo zaino sul tavolo ed estrasse la scatola di cartone.
Nella stanza c’era tutto quello che le serviva, e si sentì sollevata: non poteva sperare di meglio. Uno a uno poggiò i pupazzetti sul tavolo. Lasciò Spiderman poco in disparte. Fissò la parete lunga. Più o meno nel mezzo una porta scorrevole accedeva al bagno. Ma non era quella a interessare la marescialla. Puntò la mensola subito a sinistra della porta. Era lunga e vuota. Era perfetta. Iniziò a sistemarli uno a uno sopra la mensola. Si prese il tempo necessario. Li collocò con calma e meticolosità, cercando di mantenere la stessa distanza tra tutti. Quando ebbe finito disse: «No, tu mi servi qui».
Tolse dalla pila la prima sedia e la posizionò vicino al tavolo proprio di fronte a Spiderman.
«D’ora in poi questo sarà il mio posto.»
Sedette e lo rimirò, come un’anziana madre avrebbe fatto col figlio maggiore.
Era profondamente debitrice di Spiderman, lo sapeva bene. Lui le aveva fornito l’idea, col suo gioco di dita sempre così abili, così pronte a schiacciare sui polsi.
La folgorazione le venne una sera. Sedeva accoccolata nella poltrona da lettura con in mano il fumetto Spiderman-La storia della mia vita. Quante volte l’aveva riletto, ma fu proprio quel martedì ad accadere. Sotto la luce dell’abat-jour del salotto, la mano rossa di Spiderman campeggiava nella seconda vignetta di pagina trentacinque. Un primo piano evidente, persino lampante nella sua semplicità.
La mattina dopo al campus, coadiuvata da un manipolo di collaboratori, diede alla luce il Guantox in neanche due ore. Perfino banale, ma tremendamente efficace. Nient’altro che un paio di guanti con all’interno una piccola sacca di gas al peperoncino. Bastava schiacciare un morbido stantuffo per potersi sentire il nuovo Spiderman.
Il dispositivo furoreggiò tra i residenti, disposti a tutto pur di accaparrarsi il dispositivo di autodifesa migliore di sempre. Naturalmente il Guantox venne dato in dotazione ai volontari della ronda. In certi casi e dietro specifica autorizzazione della marescialla, costoro potevano caricarlo con gas tossici più o meno potenti.
«È ora che vada, domani è il grande giorno. Tu resterai qui a presidiare.»
Uscì dalla stanza con Spiderman che le sparava la ragnatela dietro la schiena.
7
«Lei che è più addentro in queste cose, sa se circola qualche nominativo sui futuri membri del comitato?»
«Oh, andiamo mr Wuh, sa meglio di me che la scelta si compie nella massima segretezza» disse mr Kah abbozzando un cenno di approvazione.
Compiuti i novant’anni, quelli del comitato erano costretti a lasciare per raggiunti limiti di età. I successori venivano scelti tra coloro che più si erano distinti per il progresso sociale, civile o economico del mandamento.
«La incuriosisce sapere chi saranno i nuovi membri, mr Wuh?» sogghignò mr Kah, come fosse lieto di aver trovato un breccia dentro la corazza dell’amico. «Devo dedurne che, quanto meno, la nostra istituzione più prestigiosa non la lascia del tutto annoiato.»
Il comitato civico incarnava l’anima di Hayal. Dava voce ai residenti e fungeva da cinghia di trasmissione con l’esecutivo. I cinque membri organizzavano riunioni presso la comunità, ne raccoglievano le istanze e le sottoponevano al governatore, spesso sotto forma di progetti di legge. Il governatore era allora chiamato ad approvarli, modificarli o respingerli entro trenta giorni. Ciò che gli si vietava era il rimanersene zitto fino al trentesimo giorno. Sarebbe scattata la procedura d’impeachment promossa dal comitato.
Mr Wuh continuò a gustare il gelato senza accennare risposta. Mise in bocca un cucchiaino di nocciola. «Chi tace acconsente, giusto mr Wuh? Beh, ne sono immensamente felice. Il comitato civico è la cartina di tornasole della nostra democrazia. Ho sempre pensato che ogni residente la custodisca nel suo intimo.» Posò il cucchiaino e continuò serissimo: «Ora so che anche lei non fa eccezione».
Mr Wuh fece scrosciare una risata cristallina.
«Oh, mr Kah, dovremmo incontrarci più spesso. L’unica cosa di cui mi sento custode è la nostra amicizia.»
Mr Kah era abbastanza più vecchio di mr Wuh, sebbene apparisse parecchio più giovane. Probabilmente era il suo attivismo a mantenerlo così vitale. Era stato un convegno interdisciplinare a farli incontrare parecchi anni prima. Mr Kah aveva trattato della dogmatica maklamita, mr Wuh di equilibrio e imparzialità. Il dire del primo era parso appassionato e coinvolgente, quello del secondo incolore e distante (come del resto era parsa la sua persona).
Quell’amicizia divenne sempre più profonda, per quanto centellinata – al pari